Il martire bambino della “Cristiada”, San José Sanchez Del Rio. Antonello Cannarozzo.

25 Aprile 2024 Pubblicato da 6 Commenti

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Antonello Cannarozzo, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione la storia di San José Sanchez Del Rio, martire della repressione anti-cattolica condotta in Messico da un regime anticlericale. Buona lettura e diffusione.

§§§

Il martire bambino della “Cristiada”,

San José Sanchez Del Rio

 

Antonello Cannarozzo

Il Messico, agli inizi del ‘900, divenne famoso per essere la patria di tante ‘Revoluciòn’ insieme a numerosi governi che spesso duravano lo spazio di qualche mese e arrivando al potere quasi sempre con la violenza.

Chi non ricorda, ormai vere leggende di film e di romanzi, figure come Pancho Villa o Emiliano Zapata? Tra queste Revoluciòn’, pur numerose, una sembra velata dall’oblio, se ne parla poco eppure fu costellata da migliaia di morti insieme a tanti eroi, parliamo dei Cristeros, uomini e donne che si ribellarono, in nome di Cristo Re, al governo laico e anticristiano di Plutarco Elias Calles, in una vera e propria Vandea americana, attraverso una sanguinosa guerriglia durata dalla fine del 1926 al 1929 e proseguita a fasi alterne ancora negli anni ’30, coinvolgendo l’intera nazione nella violenza.

Avvenimenti che vedranno tra le file dei Cristeros anche tanti martiri della fede tra cui un ragazzino di appena quattordici anni, José Sanchez Del Rio.

Una storia che merita di essere raccontata proprio in questa fase storica, con le tante aperture forsennate della Chiesa verso chi non l’ama e dimenticando, colpevolmente, non solo i veri cattolici, ma il suo ruolo fondamentale di difesa della cristianità sempre e d’ovunque, come invece ebbe il coraggio di fare questo povero bambino messicano.

Qualche anno prima dello scoppio della guerra civile del 1926, il 28 marzo del 1913, nella cittadina di Sahuayo, a ovest della capitale Città del Messico, nasceva Josè Sanchez del Rio da una famiglia assai modesta, ma profondamente cattolica che lo formerà per tutta la sua breve vita, insieme ai suoi sei fratelli.

Dimostrò, ancora bambino, una grande intelligenza e vivacità, ma, soprattutto, un grande amore per Cristo unitamente ad una profonda devozione mariana che sarà la sua forza, specialmente durante i giorni del suo martirio.

Quando aveva poco più di tre anni la famiglia si trasferì a Guadalajara per sfuggire ai disordini di una delle tante rivolte che in quegli anni imperversa nello Stato di Michoacán, ed è qui, nella nuova città che ad appena quattro anni ricevette la Cresima.

Il suo grande amore per Gesù

Tuttavia il trasferimento durò poco, ben presto la famiglia nel 1921 tornò a Sahuayo dove il piccolo Josè crebbe nella fede cristiana e il 12 ottobre del 1922 ricevette la sua prima Comunione. Da quel momento, come riferiranno tanti testimoni, nasce il suo grande amore per Gesù, diventando assiduo nel partecipare alle funzioni religiose, ai sacramenti, insieme alle preghiere e soprattutto del rosario recitato in famiglia.

Tutti elementi che formarono la sua spiritualità e lo guideranno a concepire la vita come una offerta di sacrificio a Dio, specialmente davanti a tanta violenza che ogni giorno era intorno a lui.

In questo contesto, ancora bambino, assistette ad un episodio, tra i tanti di cui sarà testimone, che lo segnerà per la vita. I militari mandati dal governo federale, erano giunti nel suo paese per chiudere e sequestrare tutte le chiese insieme ai poveri beni dei locali.

Fu la miccia che accese una violenta ribellione spontanea contro i soldati. Ci furono scontri violenti in quella tragica giornata ed alla fine rimasero a terra alcune donne in una pozza di sangue.

Una visione che sconvolse Josè, ma certamente in quei giorni non era certo un caso isolato.

In tutto il Messico la situazione era sempre più grave, gli scontri erano all’ordine del giorno e la vita ormai si faceva impossibile, si invocava da molte parti un governo forte e deciso tale da riportare la pace nella nazione ormai martoriata.

Sfortunatamente la legalità non era nelle corde dei vari presidenti che si succedevano e né tanto meno di Elias Calles, il nemico giurato dei Cristeros, che da ex militare e ministro con la fama di riformista, arrivò al potere in Messico nel 1924.

Il neo presidente si mostrò fin da subito per quello che era, invece di cercare una via di pacificazione avviò subito e in maniera spietata, l’attuazione degli articoli anti-clericali della Costituzione federale ratificati anni prima, in un clima complicato da una delle tante rivoluzioni, come quella del 1917.

Norme, ebbene ricordare, che venivano applicate in una terra dove, la stragrande maggioranza della popolazione era cattolicissima e mal sopportava queste vessazioni che, oltre a limitare il numero delle chiese, dei santuari, avevano attuato l’espulsione immediata dei missionari e del clero straniero, con la drastica riduzione anche del numero dei sacerdoti messicani a cui si faceva obbligo la proibizione di propaganda religiosa sotto ogni forma e di catechesi pubblica.

Un vero odio contro Cristo pari in quegli anni solo al comunismo e al suo ateismo di Stato.

Scoppiarono quasi subito nuclei di rivolta armata in tutto il Messico, l’esercito, insieme anche a milizie irregolari, cercò di arginare il malcontento, ma si accorse ben presto che aveva di fronte formazioni non di sbandati, come aveva creduto, ma gente coraggiosa che effettuavano la classica guerriglia in maniera efficace, quasi imprendibili protetti anche dalla popolazione.

Il 18 novembre di quell’anno papa Pio XI denunciò duramente l’oppressione a cui venivano sottoposti i cattolici messicani, pubblicando l’enciclica ‘Iniquis Afflictisque’ dalle espressioni di particolare veemenza contro il governo messicano, arrivando a definire i provvedimenti governativi fatti “di superbia e di demenza”.

L’11 gennaio 1927, i ribelli promulgarono il ‘Manifesto alla nazione’ detto ‘de los Altos’, con il quale nasceva l’Esercito Nazionale dei Liberatori con il programma politico che aveva un solo scopo: la restaurazione di tutte le libertà soppresse e non solo quelle religiose.

Nasce l’esercito dei Cristeros

Si formò, in pochi mesi, un vero e proprio esercito ribelle, formato da giovani, contadini e operai, studenti e impiegati, forte di ben 12.000 uomini male armati, ma ricchi della loro fede, un arma che si dimostrò invincibile, tanto che in breve aumentarono fino a 25. 000 uomini e solo due anni dopo, nel 1928, raggiunsero il numero di 50.000 uomini.

Il neo esercito dei Cristeros era al comando del generale Enrique Gorostieta Velarde, grande stratega e uomo religiosissimo; morirà, sfortunatamente, in combattimento, poche settimane prima della fine del conflitto, il 2 giugno 1929.

Anche i vescovi locali parteciparono in qualche modo alla rivolta nella quasi unanimità e nella speranza di persuadere il governo ad una pacificazione, adottando una misura clamorosa: la sospensione del culto pubblico sine die.

Le messe furono cancellate e celebrate solo in forma strettamente privata, ogni altra forma di culto come: processioni, confessioni, celebrazione dei riti battesimali, crismali e matrimoniali vennero cancellati.

Tuttavia l’episcopato messicano aveva sottovalutano, forse per ingenuità, due elementi fondamentali: la reazione del governo sempre più dispotico da un lato e del popolo che si ribellava al dettato di legge inique.

Calles, forte del suo potere, fece l’errore di voler fare le cose senza un minimo di dialogo con la popolazione cattolicissima, anzi, per dare l’esempio, iniziò una vera e propria caccia ai preti per ostacolarne la loro missione e limitarne, sempre con la forza il loro numero, come previsto dagli ignobili regolamenti del 1917 a volte non solo ingiusti, ma anche ridicoli come, ad esempio, il divieto di utilizzare espressioni come: «Se Dio vuole», «A Dio piacendo» tipiche espressioni della lingua popolare, e altrettanto per i presbiteri, il divieto di portare l’abito talare.

In alcune regioni si voleva obbligare i preti addirittura a prendere moglie, un azione che ricordava le infamità della Rivoluzione Francese, forse ancora più meschina. Non contento, il dittatore, perché tale era, comandò agli impiegati cattolici di optare tra la rinuncia alla propria religione o la perdita del posto di lavoro e, dulcis in fundo, chiunque si opponeva alle truppe federali nello svolgere il loro incarico repressivo, veniva arrestato e non era raro il caso di fucilazioni sul posto senza processo.

Tutte imposizioni che non avevano senso, era solo maltrattare la fede per scoraggiare i cristiani, ma in realtà era proprio la profonda religiosità di questi uomini e donne che faceva veramente paura a tali squallidi personaggi.

Davanti a tanta ostentata violenza, la situazione non era più sotto controllo, oltre alle vessazioni ai cattolici, si inseriva una grave crisi economica che avvelena gli animi.

Dopo mesi di scaramucce contro un governo sempre più spietato passare alla lotta armata era un accadimento inevitabile.

Il popolo reagì, dopo tanti massacri, con le armi per difendere la propria libertà. Iniziava la rivolta che prenderà, come abbiamo accennato, il nome di Cristiada, il nome cristeros è una contrazione del termine di Cristos Reyes, dato dai governativi in senso dispregiativo ai ribelli, per il loro grido di battaglia: “Viva Cristo Re”.

Ben presto la rivolta, iniziata nelle zone rurali, si allargò a macchia d’olio anche nelle città, divenendo un vero e proprio esercito di volontari che sbaraglierà i federali e le milizie irregolari filo-governative in tanti scontri non solo, come accennato, con imboscate e veloci scorrerie, ma anche in vere e proprie battaglie in campo aperto.

La violenza insieme all’eroismo

 

Fu una guerra crudele dove la violenza era il pane quotidiano, ma nonostante tanta brutalità, in questo frangente furono numerosi anche gli episodi di eroismo. Ed è in questo frangente di violenza e di fede che emerge la figura già accennata del piccolo Josè.

All’inizio della rivolta già due suoi fratelli più grandi si erano arruolati tra le forze rivoluzionarie e, davanti a questa scelta, anche il nostro piccolo eroe voleva partire, ma aveva appena 12 anni, ciò nonostante sentiva di dover dare il suo contributo, fosse stato anche di sangue alla causa di Cristo.

Qualche tempo prima, visitando la tomba di un eroe di questa rivolta, l’avvocato Anacleto Gonzalez Flores, ucciso in odor di santità dai federali, Josè ebbe una forte emozione e chiese a Dio di poter morire come lui, in difesa della fede e in un certo modo recitò il giuramento dei cristeros «Lo giuro solennemente per Cristo e per la Santissima Vergine di Guadalupe Regina del Messico, per la salvezza della mia anima; mantenere assoluto segreto su tutto quello che può compromettere la santa causa che abbraccio; difendere con le armi in mano la completa libertà religiosa del Messico. Se osserverò questo giuramento, che Dio mi premi, se mancherò, che Dio mi punisca.»

Preso dal furor sacro della giusta battaglia, supplica sua madre di lasciarlo partire, ma la povera donna che ha già dato alla causa due figli, ha paura per un bambino così piccolo trovarsi in battaglia, ma Josè insiste e le dice, in maniera profetica, “Non è mai stato così facile guadagnarsi il cielo come adesso».

Finalmente la madre, vista la sua determinazione e la sua fede in Dio, lo lasciò partire e il ragazzino riuscì ad entrare nelle file del generale Prudenzio Mendoza chiamato anche la Bestia nera dai federali.

Ma non fu una impresa facile.

Dapprima, da buon militare, Mendoza era contrario ad arruolarlo vista l’età, ma grazie alle sue insistenze e ad una grande voglia di combattere per un ideale così grande, gli concesse di servire le truppe, non certo da combattente, ma come addetto ad assicurare la legna al campo, cucinare, gestire i cavalli e fare le pulizie, lavori certo faticosi per uno della sua età, ma José non si lamentò mai, tutto era fatto a maggior gloria di Dio e questo gli bastava.

Intanto la sua disciplina, la sua profonda religiosità e la partecipazione alle liturgie celebrate dai sacerdoti clandestini che assistevano spiritualmente i volontari della Cristiada, colpì molto i suoi “commilitoni” che rimasero stupiti della sua fede così seria per la sua età e gli dettero il soprannome di Tarciso, il bambino dell’antica Roma che preferì morire piuttosto che rinnegare Gesù, fu una premonizione per ciò che si sarebbe manifestata di lì a poco al piccolo ragazzino messicano.

Dopo alcuni mesi di tirocinio partecipò finalmente non più come semplice garzone, ma come alfiere del reggimento e trombettiere. Ma la gioia di partecipare in prima persona alla rivolta in nome di Cristo Re che aveva tanto desiderato, durò poco.

La generosità del piccolo Josè

 

Nella battaglia di Cotija, il 6 febbraio 1928, il generale Guízar Morfín a cui era stato affiancato come trombettiere, rimase a terra alla mercè dei federali dopo che questi gli avevano ucciso il cavallo.

Vista la situazione critica, José scese dal suo cavallo e lo offrì, dicendo: «La vostra vita è più utile della mia». Il generale, pur titubante, accettò l’offerta, pensando chi mai avrebbe potuto far del male ad un ragazzino, ma si sbagliava, non conoscendo sino in fondo lo spirito che animava i soldati governativi.

Josè provò a mettersi in salvo, ma ormai era diventato una facile preda per l’esercito federale che lo catturò insieme ad un altro giovanissimo indio, Lorenzo.

Sarà l’inizio della passione del piccolo Josè, ma anche della dimostrazione del suo coraggio da vero martire cristiano.

L’indomani dalla cattura, il 7 febbraio, i due ragazzi furono trasferiti a Sahuayo, loro città natale con l’intento di farli rinnegare la loro fede, trovandosi insieme con i familiari e con i loro compaesani, ma non aveva capito con chi aveva a che fare.

Visto il fallimento dei questa idea, i due giovani vengono incarcerati, ma, non essendoci prigioni, vennero rinchiusi nei locali della vecchia chiesa parrocchiale già sequestrata, e posta sotto il controllo del notabile del posto, nonché fanatico di Calles, il deputato al Congresso Rafael Picazo Sánchez, il quale, vedendo Josè molto giovane, gli prospettò ancora una volta di abbandonare la sua fede cristiana mettendolo davanti due scelte: o pagare 5 mila pesos, cifra assai onerosa per quei tempi, o entrare nell’esercito federale, ma Josè rifiutò con fermezza tutte e due le proposte, ribattendo: «Piuttosto morto! Sono suo nemico, mi fucili», sapendo che così facendo poteva essere giustiziato e così fu.

La vita dei due ragazzini prigionieri, Josè e Lorenzo era assai dura, tuttavia attraverso una piccola finestra riuscivano in qualche modo a parlare con l’esterno, poi il resto del tempo lo trascorrono in preghiera specialmente recitando il Rosario.

I due ragazzini cominciano però ad essere un ingombro per i governativi, la gente cominciava a rumoreggiare, a chiedere di liberarli.

Era giunto il momento di disfarsene una volta per tutte.

Lo stesso giorno gli uomini al servizio di Picazo prendono per primo Lorenzo costringendo Josè ad assistere alla sua impiccagione ad un albero di cedro piantato proprio sulla piazza del paese, ma qui accadde un vero e proprio miracolo.

Lorenzo non morì, ma credendolo tale lo abbandonarono sulla strada e aiutato da alcuni paesani riuscì a scappare e raggiungere i Cristeros e da quel giorno il suo nome diverrà quello di Lazzaro, come il resuscitato del Vangelo.

Un particolare toccante di quei tristi giorni è la lettera che ebbe la possibilità di scrivere alla madre per quello che sente essere il suo ultimo saluto.

Una lettera bellissima che pubblichiamo integralmente «Mia cara mamma: sono stato preso prigioniero in combattimento quest’oggi. Penso al momento in cui andrò a morire; ma non è importante, mamma. Ti devi rimettere alla volontà di Dio; muoio contento perché sto morendo al fianco di Nostro Signore. Non ti preoccupare per la mia morte, che è ciò che mi mortifica. Invece, di’ ai miei altri fratelli di seguire l’esempio del più piccolo e farai la volontà di Dio. Abbi forza e inviami la tua benedizione insieme a mio padre. Salutami tutti per l’ultima volta e ricevete il cuore di vostro figlio che vi ama entrambi e vi avrebbe voluto vedere prima di morire».

Inizia la sua ‘Via Dolorosa’

La sera di venerdì 10 febbraio 1928, verso le sei di sera, il giovane Cristeros viene trasferito dalla chiesa trasformata in carcere alla Locanda del Rifugio, dove era alloggiato il gruppo di miliziani detto «La Acordada» comandati da Picazo.

In quei giorni i genitori di Josè non sapevano ancora della carcerazione del loro figlio, ma temendo ritorsioni per gli altri tre figli si erano trasferito a Guadalajara, saputo però dell’arresto del piccolo Josè e del pericolo imminente che correva e della cifra di 5000 pesos, richiesti da Picazo per la liberazione del loro figlio, Macario, questo era il nome del padre, cercò di mettere assieme la somma, ma non riuscì a raccoglierla in tempo per salvare il figlio, quando ormai, con tanta fatica, elemosinando porta a porta, aveva racimolato la somma, il giovane Josè era già volato in Cielo.

Ma torniamo a qualche ora prima, presso la Locanda del Rifugio, qui un soldato, senza tanti complimenti, gli lesse la sua sentenza di morte, fissata per la sera stessa e per questo gli concessero di ricevere, come ultimo desiderio, la visita della zia Magdalena e fu per lui il regalo più grande. Senza che i soldati se ne accorgessero la donna riuscì a portargli in segreto, insieme all’ultimo pasto, anche la santa Comunione.

Era l’ultimo atto di questa tortura.

Ricevuta la santa Particola, ormai la sua vita si sarebbe ben presto conclusa, come aveva desiderato quel giorno davanti alla tomba di Anacleto Gonzalez Flores e Iniziava per lui, come vedremo, una dolorosa Via Crucis.

Poco prima della mezzanotte, José, come Nostro Signore, rimase alla mercè della soldataglia a cui Picazo aveva dato il via libera per torturarlo.

Con la crudeltà di chi non sa neanche cosa significa la parola pietà, gli tagliuzzarono le piante dei piedi costringendolo, pur tra forti dolori, di camminare verso il luogo della sua esecuzione tra gli spintoni, gli sputi e le bestemmie.

Il ragazzino, ormai stanco, piangeva dal dolore e per conforto aveva solo la preghiera che non aveva mai tralasciato, arrivato davanti alla fossa preparata per lui, per l’ultima volta gli chiesero di abiurare alla sua fede, ma rifiutò sdegnato con grande coraggio e non certo per uno della sua età.

Per evitare di far sentire rumori degli spari al vicino paese, fu ordinato ai soldati addirittura di pugnalarlo, ma a ogni colpo Josè rispondeva sempre con quanto fiato gli rimaneva ancora in gola «Viva Cristo Re!».

Alla fine, per farlo tacere, lo colpirono con un violento colpo con il calcio del fucile che gli spaccò la mandibola e dal dolore lancinante stramazzò a terra.

Con questo ultimo colpo ormai il suo tempo era veramente finito. Solo lo sparo di una rivoltella riuscì ad interrompere le sue preghiere.

Ormai agonizzante, José morirà poco dopo aver tracciare una croce sul terreno con il suo sangue da vero martire.

Il suo corpo martoriato dapprima abbandonato venne poi avvolto in un lenzuolo da alcune persone caritatevoli e sepolto, vista la situazione d’emergenza, in forma anonima con tra le braccia una piccola bottiglia contenente un foglio di carta con su scritto il suo nome.

Tutti coloro in segreto avevano assistito alla sua morte furono consapevoli di trovarsi davanti ad un “santo” e come nella tradizione dei primi martiri cristiani, raccolsero con i loro fazzoletti il sangue che il piccolo testimone della fede aveva lasciato lungo la sua Via Dolorosa.

Il suo primo miracolo da santo

Molti anni dopo in Messico, nel 2008, una bambina, Ximena Gálvez, era stata colpita, appena nata, da un ictus per il quale le erano stati dati solo tre giorni di vita. I genitori disperati l’avevano affidata all’intercessione proprio di Josè da poco fatto beato da Benedetto XVI e avvenne il miracolo, quando stavano per staccare i macchinari che la tenevano in vita, la bambina aprì gli occhi con un grande sorriso, e in breve tornò alla completa normalità.

Grazie a questo miracolo riconosciuto dalla Chiesa, il giovane Josè Sanchez del Rio saliva come santo alla gloria degli altari assieme ad altri 12 compagni, vicino al suo Gesù che tanto aveva difeso e amato nella sua pur breve vita.

Che grande esempio è il piccolo Josè per questa Chiesa che oggi sa solo cedere tutta la sua millenaria tradizione senza nulla costruire, se non la propria agonia, un prezzo da pagare prima della venuta del Grande Giudice, Nostro Signore Gesù, ma questa è un’altra storia ancora tutta da scrivere.

§§§

Aiutate Stilum Curiae

IBAN: IT79N0200805319000400690898

BIC/SWIFT: UNCRITM1E35

§§§

 

Condividi i miei articoli:

Libri Marco Tosatti

Tag: , , ,

Categoria:

6 commenti

  • Tenan ha detto:

    Un saluto e grazie. Il nome era semplicemente “José” e non “José Luis”. Sarebbe buono correggere questo particolare. Grazie di nuovo.

  • Fulvia ha detto:

    Film bello e commovente, l’ho visto due volte.
    S.JOSE’ prega per la Chiesa e per tutti noi.

  • Silvia ha detto:

    Qualche anno fa arrivò in Italia il film messicano “Cristiada”, del 2012. Il generale Gorostieta era interpretato da Andy Garcia. Fu proiettato in poche sale, ma io e mio marito riuscimmo ad andare a vederlo. Uno dei film più belli che io abbia mai visto, in cui si narra la commovente storia di San José Luis Sanchez del Rio. Consiglio a tutti di cercarlo e guardarlo.

    • laura cadenasso ha detto:

      Proprio oggi ho ascoltato lo stesso Suo commento da una cara amica di Firenze che andò a vederlo. Come ho già fatto per “Golgotha” spero di trovarlo nella edizione originale per poi comperarlo…ci spero

  • laura cadenasso ha detto:

    GRAZIE ! Ad oggi persistere a chiamare SANTO chi, privo di vergogna, osa rimanere a capo della Chiesa che José Luis Sanchez Del Rio ha onorato con il Suo martirio nel nome della “Cristiada” E’ -e resta- la peggiore bestemmia possibile ed immaginabile. Che si vergogni della sua ombra, Viva Cristo Re

Lascia un commento