Amare la Tradizione NON Vuol Dire Essere Ottusi. Aurelio Porfiri.

9 Marzo 2024 Pubblicato da

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum curiae, il maestro Aurelio Porfiri, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione queste riflessioni su Chiesa e tradizione. Buona lettura e diffusione.

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Amare la tradizione NON vuol dire essere ottusi

Aurelio Porfiri

Quando si è immerso nelle cose del mondo, nei suoi rumori e frastuoni, si fa fatica ad avere uno sguardo dall’alto che permetta di vedere le cose nel loro insieme.

Eppure questo sguardo è utile.

Anzi direi che questo sguardo è molto necessario.

Quando si ha la capacità di lanciare questo sguardo, ci si rende conto che spesso alcune cose vengono fatte credere come vere perché chi le afferma è colui che controlla la narrativa. Ecco, chi controlla la narrativa è anche colui che impone come pensate all’opinione pubblica. Sappiamo che ogni totalitarismo che si rispetti, e noi viviamo in un totalitarismo del pensiero, deve saper controllare la narrativa.

Pensiamo per esempio alla parola “tradizione” associata, purtroppo anche all’interno della Chiesa Cattolica odierna, con le idee di ottusità, passatismo, rigidità, indietrismo. Niente potrebbe essere più lontano dal vero, perché non c’è vero progresso se non nella tradizione. Ma il pensiero unico che ci domina è stato bravissimo a creare in alcuni, culturalmente vulnerabili, l’idea che tradizione sia quasi una cattiva parola.

Invece la tradizione è legata all’idea di tramandare, è un messaggio vitale che viene scambiato fra le generazioni perché si progredisca sempre più sulla via del bene e verso la meta ultima, che è Dio. Lo scrittore francese Gustave Thibon diceva qualcosa di molto importante: “Che m’importa dunque il passato in quanto passato? Non vi accorgete che quando piango sulla rottura di una tradizione, è soprattutto all’avvenire che penso. Quando vedo marcire una radice, ho pietà dei fiori che seccheranno domani per mancanza di linfa”. È un bel pensiero ed è denso di significato. Lo scrittore e filosofo francese Fabrice Hadjadj anche ha un bel pensiero su questo argomento: “La tradizione non è così contrapposta alla modernità quanto si potrebbe immaginare, poiché la tradizione non è né conservatorismo né fascinazione del passato storico. Ciò che ha orientato verso la distruzione di ogni tradizione è stata proprio la conoscenza storica fine a se stessa: moltiplica le informazioni sul passato, ma solo per metterle in vetrina. Niente è più lontano dalla tradizione di un museo folkloristico. La verità è che la tradizione non consiste in una semplice trasmissione del sapere: è la trasmissione di un saper vivere. Io posso conoscere con grande precisione tutto ciò che ha fatto Gesù e posso persino sapere la Bibbia a memoria; posso addirittura essere il curatore di un grande museo del cristianesimo. Ma questo rapporto col museo non è un rapporto con la tradizione: la cultura non ha a che fare con il culto. L’erudito conosce la tradizione alla perfezione, ma non vive nella tradizione. L’anziana che prega Gesù vive nella tradizione, anche se conosce della tradizione quanto ne sa l’erudito. Nella tentazione di Gesù nel deserto, Satana cita a memoria il Deuteronomio, dimostrando di essere un esperto di esegesi storico-critica: vive nell’erudizione per evitare di entrare nella tradizione viva”. Forse è vero che molti hanno abusato della parola “tradizione” in modo inappropriato, ma questo non significa che ci sia un problema con la stessa, ma piuttosto che c’è un problema con chi fa tutto questo.

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Photo by Natalie Parham on Unsplash

 

 

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4 commenti

  • Luca antonio ha detto:

    Grazie Porfiri, articolo necessario.
    Vite vissute non filosofemi, realta’, non fantasie esegetiche ed ermeneutiche.
    Anche in considerazione del fatto morale , della responsabilita’ morale, che qui si vanno turbando delle anime su basi documentali spesso incomplete
    -frammenti a volte- parzialissime e di origine oggettivamente non inquadrabile, dando interpretazioni delle stesse del tutto immaginarie; o letture di documenti storici capziose, quali ad esempio ritenere dottrinalmente e spiritualmente la Chiesa responsabile di eventi che andrebbero solo rubricati nelle categorie della politica.
    Ma le opere e le vite nei secoli sono li’ a dimostrare l’atroce contrasto tra il deriso mondo spirituale delle tradizioni di prima e il mondo “moderno”.

  • stilumcuriale emerito ha detto:

    Anch’io sono della sua opinione, Maestro! Sia che per tradizione intendiamo il mantenimento di manifestazioni comunitarie, collettivamente o singolarmente ripetentesi nel tempo, sia che intendiamo la trasmissione verbale della storia di generazione in generazione, come avvenne per quelle che oggi sono le Sacre Scritture prima che venissero messe per iscritto. La tradizione non è da confondersi con la nostalgia e/o il rimpianto di un passato che non si ripete più o con la chiusura mentale di chi nega la naturalità del progresso umano.

  • stilumcuriale emerito ha detto:

    Infatti!!!!
    Però in compenso essere ottusi può persino favorirci nel diventare potenti e addirittura Papi.
    Il Papa: “Basta guerre, provocano immani sofferenze. Gesù non è venuto a condannare, ma a salvarci”
    E che cosa aspetta per salvarci ??????

  • Enrico Nippo ha detto:

    Articolo interessante che tratta di un argomento delicatissimo.

    Tradizione è trasmissione … di che?

    Di una spiritualità o di una religione?

    La spiritualità implica un “messaggio vitale”, quindi fluido: l’acqua scorre dalla fonte.

    Religione significa scelta con cura, o anche rilegamento, vincolo a leggi sacre. Infine significa istituzione e corpo dogmatico, dunque esclusivista per definizione e quindi rigido, spietato, quindi … ottuso.

    C’è anche un problema ineludibile di linguaggio, ovvero il saper porgere i motivi della edificazione spirituale.

    Poco ma sicuro che, dati i tempi, il rivolgersi alle anime con lo spauracchio dell’inferno è ormai obsoleto.