Navalny Story. Senza Retorica, Agiografia e “Omissis” di Comodo…Vincenzo Fedele.

23 Febbraio 2024 Pubblicato da

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Vincenzo Fedele, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione questa ricostruzione della figura di Navalny, dei suoi collegamenti e dei motivi per cui era in carcere. Con molti elementi che non si potrebbero trovare nei mainstream media. E ho appena visto su X (già Twitter) questo commento di Gianmarco Desideri, che ringraziamo per la cortesia, e che vi giriamo: “@Gigadesires – Quindi Putin ha ordinato di far fuori Navalny: – dopo la clamorosa visibilità dell’intervista con Carlson. – dopo l’ennesimo successo militare in Ucraina. – un mese prima delle elezioni. – con l’economia in forte crescita nonostante le ridicole sanzioni UE. Ci credo fermamente”. Buona lettura e condivisione.

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Navalny è morto ed è stato ucciso da Putin. Tutto è chiaro. Mobilitiamoci per non perdere la libertà.

Personalmente non vedo nulla di chiaro nelle reazioni unanimi e illogiche di tutto l’occidente unito.

Iniziando dal “cui prodest ?”, la risposta non conduce certo al Presidente russo. Il suo tentativo di accreditarsi come leader credibile di un grande Paese non è certo favorito da un ingombrante cadavere. La sua rielezione alle prossime elezioni presidenziali di Marzo non è messa in dubbio da alcuno. Navalny, oltre ad essere in carcere, era accreditato da Istituti Demoscopici Indipendenti, di un seguito non superiore al 2 %.

A meno che Putin non sia impazzito, e non sembra proprio, non vi è motivo per cui il Cremlino dovrebbe esporsi nei confronti del mondo per eliminare una persona emarginata e dimenticata.

I motivi per eliminarlo sono invece consistenti, da parte di molti altri, fra cui CIA, servizi segreti inglesi MI6, Amministrazione americana e inglese, l’Ucraina, i vari esponenti di Davos, i sorosiani, ecc.

Basterebbe vedere il mare di contraddizioni, oscuramenti, falsità, amplificazioni in atto per capire che il gioco che ci viene mostrato va ben oltre il destino di una persona. Per avere un quadro decente delle situazioni ho visionato molti siti. E’ quasi impossibile citarli tutti, ma verso tutti sono debitore delle informazioni raccolte cercando la verità che rimane comunque occulta.

Gli inizi politici

E’ bene iniziare chiarendo chi è il caro defunto. Navalny appare sullo scenario politico nel 2004 con posizioni xenofobe che sconfinano nel razzismo e nel neonazismo. Nel 2005 fonda il gruppo di Democrazia Alternativa Giovanile (in sigla DAI), che tra i finanziatori ha anche l’agenzia americana National Endowement for Democracy. Nel 2007 fonda il partito Narod (popolo) e, da posizioni xenofobe, paragona gli abitanti del Causaco, scuri di pelle, a scarafaggi e chiarendo che “gli scarafaggi si uccidono con una paletta, per gli esseri umani è meglio usare le pistole”. La sua “moderazione” limita la soluzione alla deportazione riservando la violenza fisica alle situazioni estreme. Il partito, pur estremista e nazionalista, lo espelle per le sue esagerazioni. Nel 2008 appoggia il Governo Russo contro l’Ossezia del Sud, insulta i georgiani, li chiama “roditori” e ne chiede l’ espulsione dalla Russia.

Sempre nel 2008 ha la grande idea: si atteggia a moralizzatore contro le azioni dubbie di dirigenti di grandi aziende e, in seguito, contro politici e Governo centrale, in particolare contro Putin, definendo Russia Unita, il Partito di Putin, “un Partito di truffatori e ladri” che diventerà uno slogan famoso.

Nel 2011 rilancia il nazionalismo con lo slogan “basta nutrire il Caucaso”, chiedendo la fine dei sussidi russi alle repubbliche caucasiche e tra le sue mail, oltre a scambi con l’estrema destra nazionalista e xenofoba, ne sono trovate molte scambiate con personaggi dell’ambasciata statunitense a Mosca.

Nel 2013 si candida a Sindaco di Mosca con il 27 % dei voti. Il candidato di Putin vince al primo turno.

Il suo seguito, all’insegna dell’anticorruzione, si inaridisce e perde sostenitori quando, nel 2014, si oppone all’annessione della Crimea nella Russia, a seguito del colpo di Stato ucraino di Maidan.

Nel 2020 la Fondazione Anti-corruzione viene chiusa perchè si scoprono versamenti da parte dell’MI6 inglese per finanziare le attività del movimento. Sempre nel 2020, con una conversione a 180°, si schiera a supporto delle tesi dei Black Lives Matter americani contro il razzismo. Nessuno ricorda più i suoi trascorsi razzisti. Forse basta attaccare Putin per ottenere lasciapassare speciali per l’Olimpo.

Nel 2021 l’ente demoscopico indipendente Levada Center lo accredita di un seguito di non oltre il 2 %.

La detenzione

Molti, se non tutti, pensano che la detenzione di Navalny sia dovuta a motivi politici, ma non è così, anche se è probabile che la politica abbia influenzato le dure condizioni della detenzione.

Navalny è stato condannato nel 2014 a seguito di una denuncia dell’azienda francese di cosmetici Yves Rocher che si è ritenuta truffata da Navalny e da suo fratello Oleg per circa 400 mila dollari tramite una società dei due fratelli e dei loro genitori fondata nel paradiso fiscale di Cipro. Niente male per uno che si erge a moralizzatore anticorruzione. Navalny viene condannato a tre anni e mezzo per frode ma, con la pena condizionale, non va in carcere. I media occidentali, nonostante la ditta di cosmetici sia francese, imputano Putin come istigatore di un processo farsa, senza spiegarne i contenuti né la frode. In ogni caso, dopo 10 mesi ai domiciliari la pena venne sospesa e sarebbe decaduta nel dicembre 2020 ma, due giorni prima della scadenza, i giudici convocano Navalny ma non lo trovano, perché è in Germania per un avvelenamento, che vedremo, ha molti lati oscuri. Al ritorno in patria dovrà scontare la pena dei 3 anni rimanenti.

Nel 2018 Navalny entra anche nell’affare “Russiagate” con un video orchestrato contro Trump.  Tutte le notizie relative alla storia Trump-Russia si sono dimostrate false ma, oltre alla scarsa credibilità di Navalny, questi avvenimenti illuminano anche le sue entrature ed i riferimenti negli USA.

A questo punto, siamo nel 2020, la campagna elettorale e la sospensione della detenzione di Navalny si intrecciano con quello che viene descritto come l’avvelenamento di Navalny.

Avvelenamento

Il 20 agosto 2020 Navalny, reduce da un tour elettorale e in buona salute, sale su un aereo a Tomsk diretto a Mosca. Durante il volo ha un malore. Il pilota effettua un atterraggio d’emergenza a Omsk e Navalny viene ricoverato in ospedale dove il personale del pronto soccorso tratta i sintomi, presta le cure e stabilizza l’ammalato. Dopo due giorni la moglie di Navalny riceve il permesso dal Cremlino di poter curare il marito in Germania e il 22 agosto un aereo arrivato dalla Germania lo preleva per portarlo a Berlino con un volo in cui è accompagnato dalla moglie.

Gli interventi medici a Omsk risultano corretti per un caso di colinesterasi e di zucchero nel sangue. Lo stesso Navalny, già nel 2019, ha affermato di aver sofferto di diabete. Fatto sta che i medici di Omsk evitano shock anafilattici salvando la vita a Navalny che è stato curato per “una crisi metabolica (inibizione della colinesterasi) causata dalla combinazione di alcol, litio e benzodiazepine assunte dallo stesso Navalny”. Il diabete di Navalny non viene citato in Germania dove, anzi, viene detto che Navalny non soffriva di diabete.

Sugli avvenimenti di cui stiamo parlando è stato girato un film documentario che ha anche ricevuto un oscar come “miglior documentario” pur se il contenuto è manipolato per adattarlo alla verità che si vuole dimostrare. Non si sa se l’oscar sia arrivato proprio per le manipolazioni della verità, ma sulle incongruenze del documentario si avanzano molti dubbi. Non combaciano le circostanze, le date, il contesto, i personaggi in gioco, ecc. Telefonate fasulle per incastrare il KGB, bottiglie d’acqua prelevate dalla camera d’albergo di Navalny mentre lui sta prendendo l’aereo in buona salute e nulla lascia presagire il suo ricovero. Sono tirate in ballo anche le mutande di Navalny. Ma lasciamo il documentario, comunque parte integrante della sceneggiata, e torniamo alle cure  a Omsk e a Berlino avvalendoci di notizie tratte da fonti diverse tra cui un ottimo lavoro di Blondet del 19 gennaio 2021.

I medici dell’ospedale di Berlino trovano nelle urine di Navalny le stesse sostanze che avevano trovato i medici di Omsk e già saltano agli occhi alcune stranezze:

Se qualcuno voleva ucciderlo in volo non era al corrente che tra Tomsk e Mosca ci sono molti possibili scali ? Certo che i servizi segreti non sono più quelli di una volta;

Se ci fossero segreti da coprire i russi avrebbero consentito il trasferimento di Navalny a Berlino, come chiesto dalla Merkel e da Macron ? La moglie sarebbe entrata in possesso degli effetti personali di Navalny, compresa la biancheria intima e le mutande sopra citate ?

Da Berlino in poi si è sempre negato che Navalny soffrisse di diabete, ma il professore che lo ebbe in cura a Berlino, Kai-Uwe Eckardt, è uno specialista di diabete e non di veleni e nessuno nell’ospedale berlinese ha parlato di avvelenamento da gas nervino ma sempre di “avvelenamento grave con un inibitore della colinesterasi”. L’identificazione dell’agente nervino “Novichok” arriva successivamente dall’IPTB, Istituto di farmacologia e tossicologia dell’esercito tedesco, diversi giorni dopo che Navalny era stato curato, e guarito per “avvelenamento da inibitori della colinesterasi”.

Notevoli sono anche altri due aspetti: l’equipe di cura del prof. Eckardt ha sempre dichiarato, anche dopo, che il lavoro dell’IPTB non ha influenzato le loro cure, quindi il paziente è sempre stato curato, sia a Omsk che a Berlino, come un paziente diabetico che ha abusato di psicofarmaci; il lavoro di ricerca dell’IPTB non è mai stato pubblicato, non ne sono stati resi noti i contenuti neanche ai giudici russi e rimane tuttora fra i segreti di Stato tedeschi.

L’elevato contenuto di alcol, 0,2, trovato nei test dell’ospedale russo di Omsk è giudicato “estremamente alto” e il capo tossicologo, Alexander Sabaev, precisa, supportato dalle analisi eseguite, che “l’alcol era nelle urine, non nel sangue. Ciò suggerisce che l’alcol era in fase di eliminazione …… il paziente non è ubriaco e forse quest’alcol era nel sangue prima. Probabilmente sei – otto ore prima”, cioè tra le 10 di sera e mezzanotte, quando era a Tomsk, prima del volo per Mosca.

 Non vi è quindi traccia di avvelenamento da “Novichok”. Sembra inoltre strano che Navalny rimanga a Berlino e non torni in Russia, pur sapendo che è ai domiciliari. Ci ritorna due giorni prima della scadenza del periodo, sapendo che sarebbe stato arrestato per evasione dai domiciliari, e in diverse occasioni, da detenuto, si comporta in modo da farsi aumentare la pena sino a 19 anni.

Personalmente non escludo che il suo ultimo trasferimento in un carcere oltre il circolo polare artico possa anche essere un tentativo russo di scongiurare la sua eliminazione fisica da parte occidentale (CIA, MI6, ucraini o altri) anche in relazione alle notizie non controllate, di provenienza tedesca, di un possibile scambio di prigionieri che coinvolgerebbe anche Navalny. A che titolo scambiare un prigioniero detenuto per frode e intemperanze varie con altri accusati di spionaggio ? Sarebbe opportuno conoscere le fonti reali di queste notizie, che tanto non conosceremo mai, ma qui entriamo nelle riflessioni sui media.

Comportamento dei Media

Le “strane” dimenticanze sui trascorsi razzisti, nazisti e xenofobi di Navalny dovrebbero porre molte domande ed almeno altrettante dovrebbero scaturire da come i media, TUTTI, hanno trattato il caso.

Anzitutto Navalny ha monopolizzato le prime pagine in tutto il mondo. Ci fosse stato un perentorio ordine in merito avremmo visto, forse, qualche defaillance. Invece tutti allineati e coperti. Tutti con la stessa verità precotta: Putin ha ucciso Navalny. Nessuno che abbia avanzato altre ipotesi: pestaggio tra detenuti, morte naturale, assassinio di altra provenienza o altre potenziali cause. E’ stato Putin.

Da questa verità deriva, poi, tutto il resto: sanzioni alla Russia è il più gettonato, seguito dalla necessità inderogabile di continuare a finanziare e armare l’Ucraina, intromettersi nelle elezioni russe, chiedere alla Cina di allontanarsi da Mosca, ecc.

Si accetta tutto, in nome della libertà, soprattutto il suo contrario.

Si accetta il processo a Julian Assange, che è in carcerazione preventiva dal 2019, che dall’Inghilterra deve essere trasferito negli USA per essere condannato a 175 anni di carcere per aver pubblicato documenti riservati sulle malefatte statunitensi. Se avesse pubblicato documenti che accusavano la Russia, o Putin, gli avrebbero conferito il Pulitzer o il premio Nobel, invece ha scoperchiato il vaso di Washington, e questo non si fa.

Marcello Foa, esperto di comunicazione, già Presidente RAI e che adesso conduce un programma su Rai Radio 1, Giù la maschera, ricorda il caso dei “Pentagon Papers”. Per chi non ricordasse gli avvenimenti, che sono ben romanzati nel film “The Post”, le “Carte del Pentagono” erano documenti riservati del Ministro USA Mc Namara per valutare gli sviluppi della guerra in Vietnam ed evidenziavano che, nonostante l’incremento di armi, uomini e finanziamenti, difficilmente  la guerra in Vietnam avrebbe avuto un esito positivo per gli USA. Nonostante questo i presidenti ed i Ministri che si succedevano, fino a Nixon, continuavano a raccontare agli americani e al mondo che necessitavano più armi, più uomini e più fondi per battere i vietcong e per la vittoria del mondo libero. Il New York Times iniziò a pubblicare questi documenti segreti. Quando il tribunale bloccò la pubblicazione, ammonendo il N Y T a non proseguire, lo fece il Washington Post ed il caso approdò alla suprema corte che, alla fine, sentenziò che “la stampa è al servizio del cittadino e non dei Governi”. Sentenza storica che, però, nessuno dei giornalisti e dei giornaloni più ricorda.

In realtà non c’è differenza alcuna tra il caso Assange ed i Pentagon Papers ma per Assange i giornali si limitano a qualche riga di difesa d’ufficio. In altri tempi si direbbe “il minimo sindacale”. Nessuna campagna d’opinione o barricate a difesa della libertà d’espressione,

Inoltre, come dice Foa, l’imputato è solo Assange, mentre nessuno dei direttori dei giornali che hanno pubblicato, in contemporanea concordata, quelle notizie, è stato citato in giudizio, neanche i suoi collaboratori e nessuno degli editori di giornali e giornaloni che pubblicarono i documenti. Sembra proprio che l’intento sia di dare un segnale forte a non permettersi più di contrastare il potere.

Quando Elon Musk acquistò Twitter una delle sue prime azioni fu di far controllare i rapporti della piattaforma con le altre (facebook ecc.) e con il potere. Vennero fuori un mare di segnalazioni impositive che richiedevano di bloccare commenti o siti che fossero critici verso le scelte politiche.

Ma i media non hanno solo questo handicapp.

Qualcuno ricorda chi sia Gonzalo Lira ?

Gonzalo Lira era un giornalista americano di 55 anni, con figli, che scriveva sulla corruzione della famiglia Biden, del figlio Hunter e degli affari in Ucraina. E’ stato incarcerato in Ucraina, a causa delle sue inchieste non gradite dal Governo Zelensky e perchè commentava, dal fronte, le fasi della guerra senza bavaglio. E’ morto in carcere pochi giorni fa senza aver subito alcun processo, solo per aver violato il codice penale ucraino perchè riportava la verità dal fronte, dove gli altri colleghi avevano timore di andare. In quanto cittadino americano, nato in California, avrebbe dovuto ricevere assistenza legale dalla propria ambasciata, che invece non ha mosso un dito in sua difesa. In America NESSUNO dei grandi giornali ha dedicato a Lira la prima pagina nè per il suo arresto e forse neanche per la sua morte nelle prigioni ucraine. Tanto per ribadire, NESSUNO tra New York Times, Washington Post, CNN, CBS News, NBC News ecc. ne ha parlato. Il New York Post e Newsweek hanno dedicato a Lira un articolo. Per il razzista, xenofobo, frodatore (per limitarci ai titoli ufficialmente riconosciuti), Navalny i titoli e gli articoli sono stati decine per ogni testata, e tutti con glorificazioni dei suoi pensieri e delle sue azioni nonostante i trascorsi ben noti e taciuti.

Abbiamo parlato di Gonzalo Lira in quanto esponente del giornalismo americano quindi, anche come collega, almeno da citare se non da esaltare, ma l’elenco può continuare a lungo.

In Palestina, finchè le agenzie hanno almeno battuto le notizie delle morti, sono periti almeno 70 giornalisti arabi sotto il fuoco delle bombe e dei cecchini israeliani. Adesso non si conosce neanche più il numero preciso, eppure nessuno ne parla. I nostri giornalisti fanno i reportage dai loro uffici a Tel Aviv e, quando vanno in giro, sono “scortati” dai militari israeliani che li portano nei luoghi preparati appositamente per loro ad intervistare le persone che loro indicano e non altri. Nessuno dei giornalisti accreditati, neanche quelli americani, protestano per la mancata libertà di parola. Forse i pochi giornalisti liberi oltre quelli arabi e quelli morti, sono i giornalisti israeliani. Quelli di Haaretz, almeno, si sforzano di raccontare qualche scampolo di verità.

Quasi nessuno dedica articoli o paginate intere a Jeffrey Epstein, intrallazzatore, pedofilo, spia e chissà cos’altro morto suicidato in carcere di cui sono note le sue frequentazioni con Clinton e molti altri.

Forse qualcun ricorda ancora Khashoggi. Era un giornalista dell’Arabia Saudita che era dovuto andare via dal suo Paese continuando anche dall’estero a scrivere articoli duri verso l’Arabia Saudita ed il principe ereditario Bin Salman. Il 2 ottobre 2018 entrò nel consolato dell’Arabia Saudita di Istambul per ottenere documenti matrimoniali, ma non ne uscì mai vivo. Il governo saudita dichiarò che Khashoggi aveva lasciato l’ambasciata uscendo da una uscita secondaria sul retro. La polizia turca negò che ci fossero video che lo ritraevano pur se tutti gli ingressi sono monitorati. Successivamente i turchi affermarono che Khashoggi è stato ucciso e squartato all’interno del consolato. Il 19 ottobre la televisione saudita conferma infine  la morte di Khashoggi all’interno del consolato dichiarando che è avvenuta a seguito di un diverbio. Il 16 novembre 2018 la CIA (LA CIA), conferma l’assassinio di Khashoggi all’interno del consolato ed afferma che il mandante è stato proprio il principe ereditario Bin Salman.

Non risultano discorsi al Congresso americano o al Parlamento europeo come non risultano note ufficiali di protesta, ritiri di ambasciatori, fiaccolate o proteste di piazza organizzate dai governi occidentali o sanzioni di alcun tipo contro l’Arabia Saudita.

Reazioni politiche

Per Navalny, invece, il tempismo e l’unanimità del cordoglio è eccezionale. Non solo a casa nostra una fiaccolata comprendente tutti i partiti ha fatto sparire tutte le divergenze, con qualche polemica su Salvini, tanto per tenersi in allenamento, ma anche all’incontro di Monaco sulla sicurezza, presieduto da Tajani, la solfa è stata analoga. I discorsi dei vari leader mondiali sovrapponibili con poche variazioni sul tema: “il crimine di Putin”, “punire Putin”, “gravi conseguenze per Putin”, “Navalny vessillo della libertà”. Solo il delegato cinese ha differenziato la sua voce rispetto al coro. E’ una stonatura pesante, ma nessuno l’ha riportata quindi ci si può illudere che non pesi e fingere che non ci sia. La Von der Leyen abbraccia la vedova che, ma tu guarda le combinazioni, era li presente sul palcoscenico mondiale. Ci saremmo aspettati una vedova in lutto, affranta, in lacrime, anche per sciogliere i cuori. Probabilmente siamo già oltre e non c’è neanche bisogno di sentimentalismi strappalacrime. Ha, invece, tenuto un discorso che riporto, almeno per la parte centrale, perché mi sembra importante:

“Tre giorni fa Vladimir Putin ha ucciso mio marito, Alexei Navalny. Putin ha ucciso il padre dei nostri figli. Putin mi ha portato via la cosa più casa che avevo, la persona più vicina e più amata. Ma Putin ha portato via Navalny anche a voi. Da qualche parte in una colonia penale del lontano nord, sopra il circolo polare artico, nell’inverno eterno. Putin ha ucciso non solo un uomo, Alexei Navalny. Insieme a lui voleva uccidere le nostre speranze, la nostra libertà, il nostro futuro, distruggere e annullare la migliore prova che la Russia può essere differente, che siamo forti, che siamo coraggiosi, che crediamo e lottiamo disperatamente e vogliamo vivere in modo differente. …… Sappiamo esattamente perché Putin ha ucciso Alexei tre giorni fa, ne parleremo presto. Scopriremo sicuramente chi ha commesso questo crimine e come lo hanno fatto ma la cosa più importante che possiamo fare per Alexei e per noi stessi è continuare a combattere. ….. Putin, i suoi amici, i banditi in uniforme, i ladri, gli assassini che hanno paralizzato il nostro Paese …… lottare contro la guerra, contro la corruzione, contro l’ingiustizia, lottare per elezioni giuste e per la libertà di parola, per riprenderci il nostro Paese”.

Un discorso eccezionale. Con i toni giusti, con lo sguardo giusto,con la voce impostata, con gli occhi incollati alla telecamera, le sottolineature e le pause  corrette nei tempi e nei modi. Niente sbavature nel testo che ha sfiorato tutti i temi che coinvolgono e scaldano i cuori – marito, padre, figli, futuro, libertà, speranza – e di contro tutti i sentimenti negativi – l’inverno eterno, crimine, banditi in uniforme, ladri, assassini, guerra, corruzione, ingiustizia. Il coronamento è l’appello alla lotta per libertà di parola, elezioni giuste, continuare a combattere, siamo forti e coraggiosi, la Russia può essere differente, la Russia siamo noi ………

Il movimento non muore, ha un nuovo leader. La moglie stessa, ovviamente.

L’agenzia che ha confezionato il tutto ha fatto un lavoro eccezionale in tempi brevissimi. Non faccio commenti ipotizzando se sia americana (CIA) o inglese (MI6), il lavoro è dei migliori, secondo le tradizioni della casa. Gli applausi che l’hanno inondata hanno incoronato la nuova eroina. Il vessillo non è caduto nella polvere o, vista la situazione, non è stato sepolto nel ghiaccio. L’atlantismo ha una nuova leader e Putin ha i giorni contati.

Un’ultima riflessione, o se volete una provocazione.

Personalmente ritengo che la causa della morte di Navalny sia stato realmente Putin.

Nell’eventualità che le voci di un possibile scambio di prigionieri risultassero vere, non è difficile pensare che forse Navalny avrebbe anche potuto decidere di parlare e svelare qualche retroscena fastidioso per i suoi precedenti padroni, e quindi era da eliminare.

Ma soprattutto ritengo che Putin non abbia lasciato scelta ai suoi avversari decidendo di utilizzare la sua personale bomba atomica, cioè rilasciare l’intervista a Tucker Carlson che è stata visionata da oltre un miliardo di persone. Dal fronte atlantico hanno cercato di inventare di tutto per distogliere l’attenzione dal contenuto dell’intervista sino ad ipotizzare vere guerre spaziali atomiche putiniane.

Si sono trovati anche incalzati da un mare di avvenimenti avversi. Dalla caduta in Ucraina della zona fortificata di Adveevka che adesso spiana la strada ai russi per conquistare tutto il Donbass e forse arrivare sino a Odessa, al genocidio palestinese di cui Biden e l’Europa si stanno rendendo complici, alle azioni di disturbo degli Houthi che iniziano anche ad affondare navi inglesi in un ginepraio dove stiamo andando a cacciarci anche noi, ecc.

Di colpo tutti questi guai che ci hanno terrorizzati dalle prime pagine dei giornali e dalle aperture di tutti i telegiornali, sono magicamente spariti.

Putin non è più quel tizio che cerca di ragionare e mette in crisi politici e giornalai raccontando a tutti cose mai sentite prima in occidente, è di nuovo quel pazzo scatenato che uccide la gente a 30 gradi sotto zero, li avvelena e per buon peso li finisce con un pugno al cuore come insegnano al KGB che non c’è più ma va bene per tutte le stagioni, anche per l’inverno eterno.

Poi dovremo tornare a parlare della realtà, ed allora sarà di nuovo un problema grosso.

Vincenzo Fedele

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4 commenti

  • piergiorgio buglioni ha detto:

    FATE ARTICOLI TROPPO LUNGHI.
    MI RIFIUTO DI LEGGERLI.
    SIATE PIU’ CONCISI.
    NO????

  • Mimma ha detto:

    Non ci crederete, ma provo tanta pena per questo poveraccio usato e gettato via .
    Dovrebbe insegnare ai giovani che chi si vende finisce male.
    Uno che vuole servire la sua patria non entra in combutta coi nemici della sua patria.
    Putin ha ucciso , in passato, per salvare la sua patria dalle grinfie degli avvoltoi esterni che avevano trovato l’appoggio degli avvoltoi interni.
    Da noi gli avvoltoi interni si ammantano di bei nomi democratici.
    Quelli esterni da 80 anni si fregano del titolo di liberatori. Siccome ci hanno liberati davvero, zitti e muti.
    Vabbè.
    Francamente non mi sento di chiamare assassino chi libera se stesso e la sua patria da pericolosi mediatori che vogliono cambiare civiltà millenarie esportando le loro fisime.
    Dovremmo considerare assassini tutti i grandi imperatori e statisti della storia.
    Alcuni lo furono realmente.
    Altri lo furono per cause di forza maggiore.
    Sfido chiunque a mantenere sangue freddo e ammirazione stellare per Cesare dopo aver letto attentamente il De Bello Gallico.
    Il giudizio morale ha senso,
    nel considerare i fatti storici, se esercitato solo sulle cause e sui fini di un’azione.
    Altrimenti è meglio astenersi e attenersi ai fatti puri, se e quando sia possibile ricostruirli.
    I questo caso molte cose sfuggono, ma è palese che il povero Navalny non era un patriota.
    Come non lo è sua moglie, avviata sulla sua stessa strada, anzi su una china peggiore, in quanto donna, e donna piacente.

  • federico ha detto:

    articolo molto interessante

  • FABIO TORREMBINI ha detto:

    grazie, bellissimo pezzo con informazioni inedite (per me). L’altra sera al TG5 delle 20 l’anchor woman Elena Guarnieri dava la linea a Londra per aggiornamenti sul caso Assange, definendolo un Hacker…(sic!!!). Che livello…..