Israele Oscura Al Jazeera. Gideon Levy: “Che Vergogna Essere Israeliani e Giornalisti Israeliani Oggi”.

6 Maggio 2024 Pubblicato da 2 Commenti

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, offriamo alla vostra attenzione alcuni elementi relativi alla censura che Israele ha attuato nei confronti di Al Jazeera, l’emittente del Qatar che racconta ciò che accade nella striscia di Gaza e nei Territori Occupati. Era di al Jazeera Shireen Abu Akl, e non si può ignorare il fatto che i giornalisti uccisi dall’esercito israeliano nel conflitto in corso a Gaza sono una cifra altissima. Inevitabile il sospetto che il loro ruolo di testimoni sia scomodo, e che di conseguenza i rischi per loro siano molto più alti del normale. Il primo articolo è de Il Post. Il secondo è de Il Corriere del Ticino. A proposito della decisione Gideon Levy, editorialista del giornale israeliano Haaretz, condanna duramente la chiusura di Al Jazeera decisa domenica dal governo di Benyamin Netanyahu. In collegamento da Tel Aviv, proprio ai microfoni dell’emittente con sede in Qatar, parla di “decisione vergognosa”. “Che vergogna essere israeliani e giornalisti israeliani in un giorno del genere – dice – Che vergogna essere israeliani quando il mio paese chiude reti così importanti come Al Jazeera, sia in inglese che in arabo, solo perché alcuni politici non gradiscono ciò che riporta”. Buona lettura e condivisione.

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Domenica il governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu ha approvato all’unanimità una legge per chiudere tutte le attività in Israele di Al Jazeera, il più famoso media in Medio Oriente. Da diversi mesi il governo attaccava Al Jazeera accusandola, spesso in maniera molto generica, di parteggiare per Hamas nella guerra in corso nella Striscia di Gaza: finora però non aveva mai adottato misure così drastiche.

La legge approvata dal governo prescrive che il canale tv di Al Jazeera non sia più visibile in Israele e che i suoi siti non siano più raggiungibili. Nella legge inoltre viene ordinata la chiusura degli uffici israeliani di Al Jazeera e la confisca di tutte le attrezzature utilizzate dal suo personale israeliano, tranne telefoni e computer. Ogni 45 giorni il governo dovrà decidere se rinnovare o meno la misura.

Al Jazeera è uno dei più seguiti media al mondo e uno dei pochi media rimasti operativi nella Striscia di Gaza, invasa ormai da mesi dall’esercito israeliano. Al Jazeera non è un’entità unica: ha sia un canale in lingua araba che uno in inglese (i due maggiori), che hanno dirigenze, giornalisti, uffici e programmi diversi. Pur affermando di seguire la stessa linea editoriale, usano toni e approcci anche molto differenti. Da quando è stata fondata (in Qatar, nel 1996) è stata al centro di numerose polemiche: negli anni ha guadagnato credibilità e influenza, certificata tra l’altro da alcuni premi internazionali per alcuni suoi servizi ma al contempo è stata spesso accusata di avere un approccio più benevolo nei confronti del Qatar, che la finanzia parzialmente, e più in generale dei movimenti islamisti, anche radicali.

Il Likud, il partito di Netanyahu, la definisce uno «strumento di Hamas» dal 2008, e negli ultimi mesi si era già parlato della possibilità che potesse essere chiusa in Israele. La decisione potrebbe complicare i rapporti internazionali tra Israele e il Qatar, che negli ultimi mesi ha lavorato spesso per cercare di mediare tra il governo israeliano e Hamas per cercare di ottenere un cessate il fuoco.

Il voto è stato possibile perché il parlamento israeliano il mese scorso aveva approvato una legge che permette al governo di chiudere temporaneamente eventuali media stranieri nel caso in cui il governo ritenga che mettano in pericolo la sicurezza nazionale.

Non è chiaro come l’ordinanza influenzerà il lavoro che i giornalisti di Al Jazeera portano avanti nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, che si sofferma in maniera molto concreta soprattutto sulle sofferenze e sulle difficoltà quotidiane dei civili palestinesi. Negli ultimi mesi era già stato particolarmente difficile, anche perché alcuni di loro hanno subito personalmente delle perdite pesanti: la moglie e i tre figli del caporedattore di Al Jazeera a Gaza, Wael Dahdouh, sono stati uccisi dall’esercito israeliano durante un bombardamento.

Un giornalista di Al Jazeera e un funzionario israeliano hanno raccontato a Reuters che domenica la polizia israeliana ha fatto irruzione in una camera dell’hotel Ambassador, nel quartiere di Sheikh Jarrah, che l’emittente utilizzava, di fatto, come redazione. Sono circolati online alcuni video che mostrano alcuni agenti in borghese mentre entrano nella stanza e confiscano una parte dell’attrezzatura.

La chiusura di Al Jazeera in Israele è stata criticata da diverse organizzazioni per i diritti umani e la libertà d’espressione. Per esempio, l’Association for Civil Rights in Israel (ACRI) ha detto di aver presentato una richiesta per annullare il divieto alla Corte Suprema israeliana, mentre la Foreign Press Association, un’organizzazione senza scopo di lucro che rappresenta i giornalisti che lavorano per organizzazioni giornalistiche internazionali in Israele, ha chiesto al governo israeliano di riconsiderare la sua decisione, dicendo che la chiusura di Al Jazeera nel paese è un «motivo di preoccupazione per tutti i sostenitori della libertà di stampa». La decisione del governo israeliano è stata criticata anche dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR).

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Per Al Jazeera, il divieto di operare in Israele è ora realtà. Il 1. aprile la Knesset, il parlamento israeliano, aveva approvato una legge che concede al governo israeliano poteri temporanei per impedire ai network stranieri di operare in Israele se i servizi di sicurezza ritengono che danneggino la sicurezza nazionale. Detto, fatto. A poco più di un mese dall’approvazione della Knesset, il governo Netanyahu ha approvato oggi all’unanimità la promulgazione di una legge che prevede la chiusura totale delle attività dell’emittente del Qatar nel Paese. In un paio di ore dal via libera, segnala la stessa Al Jazeera, l’emittente si è vista notificare la chiusura del sito, ora inaccessibile in Israele, così come del canale televisivo.

Il divieto sta già colpendo i giornalisti presenti nello Stato ebraico. L’ordine diffuso dal ministro delle comunicazioni israeliano Shlomo Karhi prevede la «chiusura degli uffici» così come «la confisca delle attrezzature del canale, compresi possibilmente i cellulari». Conferma, in tal senso, è arrivata dai reporter di Al Jazeera presenti nella regione. Così Imran Khan, da Gerusalemme Est: «Stanno vietando qualsiasi dispositivo utilizzato per fornire contenuti, compreso il mio telefono cellulare. Se lo uso per qualsiasi tipo di raccolta di notizie, le autorità israeliane possono semplicemente confiscarlo».

Rapporti complicati

Da tempo, Israele ha un rapporto difficile con Al Jazeera, che accusa di parzialità sulla questione palestinese. Accuse, queste, sempre respinte dall’emittente qatariota. Almeno dal 2017, Benyamin Netanyahu minaccia di chiudere la sede israeliana dell’emittente e nel corso della crisi israelo-palestinese del 2021, la torre al-Jalaa di Gaza City, che al tempo ospitava gli uffici di Al Jazeera e l’agenzia di stampa The Associated Press, è stata distrutta da un missile israeliano.

Fra i pochi media internazionali rimasti a Gaza durante la guerra, Al Jazeera e i suoi giornalisti hanno pagato un duro prezzo per i reportage prodotti nella Striscia. Oltre 50 gli attacchi denunciati dall’emittente qatariota ai danni dei propri giornalisti. Nel proprio articolo live, Al Jazeera ha ricordato in particolare l’uccisione, a gennaio, di due giornalisti (Hamza Dahdouh, figlio maggiore di Wael Dahdouh, capo della sezione di Al Jazeera a Gaza e Mustafa Thuraya) che, su un’auto, sono stati colpiti da un missile israeliano. Altri due freelance erano rimasti gravemente feriti. I quattro avevano girato alcuni filmati con un drone in una zona precedentemente colpita da un raid israeliano. Le Forze di difesa israeliane (IDF) avevano giustificato l’attacco contro i giornalisti definendo i due Thuraya e Dahdouh come «affiliati a gruppi militanti palestinesi». Ma un’inchiesta del Washington Post, pubblicata nel mese di marzo, ha messo in dubbio la verosimiglianza di tale affermazione.

Al momento sbagliato?

La mossa del governo Netanyahu, teme il Partito di unità nazionale israeliano, rischia di compromettere la riuscita dei negoziati. In una dichiarazione citata dai media israeliani, il partito ha affermato che i leader Benny Gantz, Gadi Eisenkot e Chili Trooper sono favorevoli alla chiusura di Al Jazeera in Israele, ma che il momento del voto di domenica non è ideale, in quanto «potrebbe sabotare gli sforzi per concludere i negoziati e deriva da considerazioni politiche».

In precedenza, la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre, aveva dichiarato – quando circa un mese fa si erano avute le prime avvisaglie di un possibile divieto di Al Jazeera – che gli Stati Uniti non avrebbero accolto con favore una simile mossa nei confronti di «un’importante fonte di notizie internazionali».

Ma al momento, riporta la stessa Al Jazeera, la Casa Bianca non ha ancora risposto alla richiesta di commento.

«Una mossa disperata»

In un comunicato diffuso dalla stessa emittente, Al Jazeera ha condannato la decisione di Israele, definendola «criminale».

Hani Mahmoud, reporter di Al Jazeera impegnato a Rafah, la città nel sud di Gaza dove si è rifugiato oltre un milione di profughi palestinesi, ha commentato: «Questo è l’ultimo episodio di quella che sembra essere la soppressione di qualsiasi critica a ciò che sta accadendo sul terreno nella Striscia di Gaza. Il divieto è in gran parte percepito dalla gente di qui come un modo per sopprimere questa voce [quella di Al Jazeera, ndr] che ha amplificato le voci degli oppressi e le voci delle persone sotto occupazione verso il mondo esterno. La gente la vede come una mossa disperata per impedire una copertura equa di ciò che sta accadendo sul campo».

 

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