Quaresima. L’Offerta – Trascurata – dei Fiori Spirituali. Benedetta De Vito.

9 Marzo 2024 Pubblicato da

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, la nostra Benedetta De Vito offre alla vostra attenzione questi pensieri e ricordi sul tempo liturgico che stiamo vivendo. Buona lettura e condivisione.

§§§

 

Quando le margherite bianche ingentilivano i prati e s’aprivano, celesti e innocenti, i nontiscordardime tra le erbe e le ortiche, a casa nostra giungeva con la primavera, da Pordenone, piena di fagotti, la nonna Lisetta. Prendeva possesso della stanza azzurra, cosiddetta per via del copriletto color cielo e dalla testata, azzurra lei pure, che la coloravano tutta quanta. La camera aveva sul naso, aperti i vetri della finestra, una scarpatella nella quale, come soldatini sull’attenti, guardavano verso il basso tanti begli ireos viola. Con la nonna, nel suo golfino lillà, sparso intorno il profumo di violetta di Parma, arrivavano anche i “fioretti”, che non erano fiori veri ma piccoli sacrifici piantati nel giardino del Paradiso per far contento Gesù Bambino (come mi spiegava lei). E mi chiedeva: “È Quaresima, Bettina, che fioretti hai fatto per il Signore?”.

Non era una domanda strana, in quei tempi, ancora foderati di devozione, o almeno non lo era per me stirata e fresca nella divisa banca e blu dell’Istituto Mater Dei, che, però, i fioretti non li domandava più, ma mi insegnava, questo sì, a recitare le “giaculatorie” (una parola che mi faceva un poco ridere e non so perché).

Io, tra me, dicevo a scivolo: “Gesù, Giuseppe e Maria vi dono il cuore e l’anima mia” e mi faceva stare bene. Fioretti, però, non ne facevo. Promettevo alla nonna che li avrei fatti e invece, travolta dalle usanze famigliari e dal cattivo esempio tutto intorno (come accadeva in tutte le case, dalle buone tradizioni cattoliche in quel principio di boom economico), eccomi rigida e restia a rinunciare a quel che mi piaceva.

Così, ripensando a quei miei giorni verdi senza “fioretti” ho sentito la gioia di rifarmi ora che sono nell’età d’argento e sono due anni che li faccio.

Cose da nulla, certo, e forse fanno anche ridere, ma per me hanno un senso e si trasformano in margherite, spero, lassù nell’Eden.

Piccole cose, dicevo, ad esempio la rinuncia al mio adorato caffè e ai dolci e poi altre “myricae” che diventano, lo spero, nontiscordardime, violette e mimose lassù nel cielo.

§§§

Aiutate Stilum Curiae

IBAN: IT79N0200805319000400690898

BIC/SWIFT: UNCRITM1E35

§§§

Condividi i miei articoli:

Libri Marco Tosatti

Tag: , , ,

Categoria:

1 commento

  • R.S. ha detto:

    Che bello!
    I fioretti…
    Certe parole sono diventate più desuete e incomprensibili di quelle che la lingua straniera impone quotidianamente al vivere di chi non ne conosce il significato, ma le ripete.
    Anche nella famiglia ecclesiale è così, rimosso il latino e utilizzato l’italiano per esprimere codici di comportamento, scollegati dal senso della parola (ad. esempio la pastorale con pastori che aprono l’ovile ai lupi o sinodalità per scimmiottare l’assemblearismo avendo detronizzato Cristo Re).
    I fioretti sono davvero belli perchè chi coglie quella bellezza non lo fa per sè, ma per porgerla in dono.
    E i più anziani insegnano ai giovani a ricordarsene, cioè ad averlo a cuore. Oggi invece molti anziani paiono terrorizzati da quei giovani che ricordano: bisogna cancellare tutto e tuffarsi in un nuovo senza cuore.
    E così le giaculatorie, dal latino lanciare: per lanciare verso il Cielo brevi invocazioni piene di devozione.
    Sia nei fiori colti, sia nelle preghiere indirizzate al cielo c’è(ra) un orientamento preciso, che si è smarrito… oggi a molti la giaculatoria farebbe al più venire in mente una parola di quattro lettere che identifica il fondoschiena e relative attenzioni.
    Tra i fioretti la rinuncia… a un dolce o ad altri piccoli piaceri innocenti.
    Oggi senti subito quello che ti dice che “il digiuno non è quello dal cibo” per farti un pippone colossale su ben altre rinunce necessarie per il bene comune (accettando anche bazzecole quali l’aborto, l’obbligo vaccinale surretizio, la tracciatura simil-animale, l’appiattimento al mondo in piena collisione con il catechismo e il vangelo…).

    Meravigliosa questa riflessione della nostra Benedetta, con il suo mazzolino di fiori che va a punteggiare il giardino dell’Eden.
    Questa sua e nostra speranza non è per un incerto futuro, ma per questo presente: spero oggi e coloro oggi il paradiso di Dio, orientandonmi a Lui.
    L’at-tesa è tesa come una corda, che per essere tale è tirata ai due capi (se no sarebbe appesa). Noi tiriamo, aggrappati a questa fune, ma di là anche Dio tende la corda con cui ci recupera a Lui dal naufragio. Questo avviene proprio adesso ed è la meraviglia di una speranza che sa di essere aggrappata al Bene, alla Verità, al Bello, alla gioia anche mentre è immerso in una situazione poco piacevole, resa tale anche dall’incapacità di chi dovrebbe incoraggiare e far vedere la luce. Così guardiamo cose brutte e non intravvediamo l’oltrepassamento che sostiene l’attesa.
    Tutto questo comporta un giudizio e Gesù dice quale:
    “E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”.

    Fioretti, giaculatorie, rinunce… Per la gioia attesa.
    Con tanta speranza che ci fa bello l’oggi, malgrado tutto.
    Anche in croce? Soprattutto in croce!

    Sangue e Acqua che scaturisci dal Cuore di Gesù, come sorgente di misericordia per noi, io confido in Te.