La Vita come Milizia e la Comunità di Destino. Matteo Castagna.

21 Ottobre 2023 Pubblicato da Lascia il tuo commento

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Matteo Castagna, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione queste riflessioni su un autore francese del secolo scorso, Gustave Thibon. Buona lettura e condivisione.

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di Matteo Castagna

 
Nel marzo del 1969 apparve un saggio sulla rivista Permanences (n. 58) dal titolo: “La comunità di destino, principio vitale delle società”. Il filosofo e scrittore francese Gustave Thibon (1903-2001) ne era l’autore. Molti potrebbero immedesimarsi nel suo classico aforisma, soprattutto gli adulti che hanno sete di verità in un mondo che non piace, oppure nei bambini che trovano posto nella scuola parentale: “Non sono un autodidatta, perché i libri sono dei maestri. Ma, se ho detto che a scuola il ragazzo impara spesso a manifestare ciò che non è e a diventare ciò che intimamente è, io non ho avuto questa grazia o questa disgrazia e mi sono formato a contatto diretto di libri e di testimoni viventi senza passare per i canali della scuola e dell’università”.
 

Thibon sostiene il primato del concetto di gerarchia, ovvero la necessità di difendere l’ineguaglianza, costituisce la base concettuale secondo cui una società si mantiene salda nel tempo solo a patto di non sgretolare la sua struttura. Questo è ciò che Thibon chiama «comunità di destino». Quella condizione, sostiene Thibon, perdura solo se contrasta la denatalità, se rafforza i legami interni fino a eliminare le pratiche di conflitto sociale. Nella «comunità di destino», precisa Thibon, sta la condizione salvifica per consentire alla vera destra di vincere sempre, a mani basse. Quella condizione si chiama: identità d’origine.

Particolare attenzione hanno i cosiddetti “abbandonati”, costituiti dal grido di dolore del piccolo borghese arrabbiato. Si tratta di una personalità che popola i quartieri popolari delle città industriali, o le profonde aree delle campagne, e che costituisce il popolo delle periferie. La comunità di destino è costituita da due forme: a) La comunità di somiglianza. Esiste comunanza tra lavoratori dello stesso settore, sia che vivano in Italia o in Francia e per aziende diverse. Costoro appartengono, quindi, alla stessa classe sociale e conducono, più o meno, lo stesso stile di vita. I loro destini si assomigliano. b) La comunità di interdipendenza o di solidarietà reciproca. I lavoratori che si trovano a stretto contatto non vivono più solo uno come l’altro, ma l’uno per mezzo dell’altro: i loro destini non sono più solo simili ma anche solidali.

Questa comunità di destino tra esseri che, attraverso la loro diversità di situazione e di vocazione, rimangono strettamente dipendenti, conferisce ai raggruppamenti umani il loro carattere organico. La famiglia è la comunità organica per eccellenza. Ogni società rimane sana e vitale nella misura in cui si rende affine alla famiglia: non è un caso che il termine “padrone” derivi da padre, non per caso il re era chiamato padre del popolo e la Chiesa è chiamata madre dei fedeli (la comunione dei santi all’interno della Chiesa è la più alta forma di comunità di destino…)

La comunità di destino muore – dice Thibon – quando si cancellano le ineguaglianze tra gli uomini, che essendo tutti diversi devono essere liberi di vivere diversamente nella comunità di destino in cui si trovano, la quale crea la coerenza e la continuità del corpo sociale, collegando tra loro individui, funzioni e classi e con ciò si oppone al livellamento egualitario, tipico del pensiero di sinistra. La rinascita di una struttura sociale ferma ed elastica ad un tempo, ordinata e decentralizzata, la quale faccia rifiorire tra gli uomini il sentimento della loro comunità di destino, è, oggi, l’unica via di salvezza dal Pensiero unico, dalla solitudine, dall’emarginazione sociale e dal collettivismo materialista e ateo dei globalisti.

La vita deve essere operosa, energica, fino al sacrificio. La vita è milizia, battaglia contro le potenze del male, mondane e spirituali. La mèta è un invito alla buona battaglia e una minaccia per i pigri e i traditori. “Non sarà coronato se non chi avrà regolarmente combattuto” (Ef. V, 11; II Tim. IV, 8).

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