Salmo 26 e Padre Nostro: Tentare non gli Va Proprio Giù…Investigatore Biblico.

10 Ottobre 2023 Pubblicato da 22 Commenti

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, offriamo alla vostra attenzione questo articolo di Investigatore Biblico, che ringraziamo per la cortesia. Buona lettura e diffusione.

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Indizio n.153 Bibbia CEI 2008: “Il Salmo 26 e il Padre Nostro: stesso verbo in greco. Il verbo ‘tentare’ non piace e viene sostituito con ‘mettere alla prova’. Sempre meglio del fantasioso ‘non abbandonarci’. E il criterio di traduzione quale sarebbe?” di INVESTIGATORE BIBLICO

Studiando il Salmo 26, ho trovato un particolare molto interessante, trascurato sia nella Bibbia CEI 74 che nella 2008. Lo approfondirò per quello che posso in questo articolo, sebbene sarebbero necessarie ulteriori indagini.

Il versetto in esame è Salmo 26,2 .

Mettiamo a confronto le diverse traduzioni.

CEI 74: “Scrutami, Signore, e mettimi alla prova, raffinami al fuoco il cuore e la mente” (Salmo 26,2)

CEI 2008: “Scrutami, Signore, e mettimi alla prova, raffinami al fuoco il cuore e la mente” (Salmo 26,2)

VULGATA e NUOVA VULGATA: “Proba me, Domine, et tenta me; ure renes meos et cor meum” (Salmo 26,2) 

TESTO MASORETICO: “Bechanèni, Adonaj, wenassèni…” (Salmo 26,2)

LXX: “Dokimasòn me, Kùrie, kaì peìrason me” (Salmo 26,2) 

Il termine ebraico “wenassèni” deriva da “nasah” che significa “provare”, ma anche “tentare”.

Il termine greco “peìrason” deriva da “peìrazo”: è lo stesso termine che si trova in Matteo 4,1-11; Marco 1,12-13; Luca 4,1-13 (le tentazioni di Gesù).

In questo caso sia Cei 74 che 2008 hanno tradotto con “tentazione” e non con “mettere alla prova”.

Eppure, seguendo le traduzioni antecedenti, (LXX e le due Vulgate), la traduzione corretta sarebbe: “Scrutami Signore e tentami”.

In questo caso, per totale onestà intellettuale, la Cei 74 pecca, a mio parere, come la 2008, di ‘eccesso di prudenza’.

Il Re Davide dice chiaramente ed esplicitamente al Signore: “tentami”, e probabilmente i traduttori hanno preferito ammorbidire la questione con il più educato ‘mettere alla prova’.

Questo eccesso di prudenza ci riporta, in parallelo, ad una questione che abbiamo già affrontato, del resto. Quella che più ha urtato i più: la nuova traduzione del Padre Nostro.

Indizio n.7 Bibbia CEI 2008: “La nuova errata traduzione del Padre Nostro in Matteo 6,13a” di INVESTIGATORE BIBLICO – Investigatore Biblico (wordpress.com

Guarda caso anche nel passo del Padre Nostro compare il termine “peìrazo”, sopra citato.

Nella fattispecie, per ribadire un concetto già trattato, l’errata traduzione sta in quel “non abbandonarci”, che esce completamente dal seminato, a differenza di un molto più corretto, sebbene non del tutto, ‘metterci alla prova’ (che sarebbe stato un cambiamento nettamente migliore, seppure totalmente inutile, rispetto alla traduzione di sempre)

Tornando al Salmo, lo scandalo sarebbe che Dio non può “indurre” in tentazione nessuno. Qui parte il dibattito teologico. Tuttavia, se il testo originale dice “non ci indurre”, lasciamo l’antica traduzione in pace, mi verrebbe da dire.

Nel Salmo 26 è proprio il Re Davide a chiedere al Signore di essere tentato.

Re Davide (Santo che si ricorda il 29 Dicembre) ben sapeva quello che chiedeva.

Conosciamo Davide come Re, guerriero, cantore, ma poco come mistico.

I Salmi ne evidenziano questo aspetto.

Per quanto mi riguarda, figuriamoci se chiedo al Signore di mandarmi una “tentazione”. Ne ho già abbastanza…

Ma certamente nel Padre Nostro chiedo al Signore di “non indurmi in tentazione”, perché non sono un Santo come Re Davide e altri.

Andiamo, allora, a porci la domanda cruciale: cosa vi è di scandaloso nel pensare che Dio possa indurre in tentazione? La tentazione non è altro che una prova come un’altra.

Nel Vangelo delle tentazioni (sopra citato) Gesù “fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato da Satana”. E’ lo Spirito che conduce Gesù nel deserto per essere “tentato”.

Parallelamente, la Parola di San Giacomo, usata da chi giustifica il nuovo Padre Nostro, non è per nulla in contraddizione con la vecchia traduzione del Padre Nostro!

Infatti, in Giacomo 1,13-15 leggiamo:

Nessuno, quando è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male. 14Ciascuno piuttosto è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce; 15poi la concupiscenza concepisce e genera il peccato, e il peccato, quand’è consumato, produce la morte”.

Cosa intende dire San Giacomo?

Di certo Dio non può volere il nostro male, perché Dio è il bene assoluto, e il male proviene esclusivamente dal demonio.

Ma se Dio permette al demonio di tentarmi, è perché vuole la mia conversione e la mia santità.

Dio “permette” che io sia tentato e lo fa per un mio bene maggiore, perché mi vuole santo. In quella tentazione io posso restare attaccato a Lui. Perché senza di Lui cado continuamente.

Il discorso può essere ancor più approfondito.

Penso di aver toccato i punti essenziali.

Per questo argomento, i lettori che volessero pubblicare un proprio contributo o ampliamento della riflessione, mi scrivano in privato alla consueta mail.

Investigatore Biblico

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22 commenti

  • Mimma ha detto:

    Ad Adamo ed Eva nulla mancava.
    Ma furono persuasi da Satana che in realtà erano stati ingannati da Dio perché…non li aveva fatti come Lui !
    Erano divini, ma non erano la copia conforme di Dio !!!
    Li aveva limitati nella conoscenza del bene e del male e aveva osato chiedere di riservare a se stesso il segreto della vita .
    Intollerabili limiti per i due, che avevano bellezza fisica perfetta, sanita assoluta, scienza infusa, sovranita totale sul creato e immortalità .
    Ecco.
    Mi sembra la rappresentazione icastica di ciò che chiamiamo concupiscenza .
    Essenza del diavolo, figlia dell’invidia e madre dell’odio, la concupiscenza ha soppiantato l’innocenza e avviatocalla colpa.
    Da quando l’uomo, la creatura prediletta dal Creatore, ha preferito fidarsi di Satana invece che del Padre Eterno, le prove sono aumentate…
    Sono in realtà prove d’amore.
    Se non comprendiamo che Dio è Amore, le sbaglieremo tutte.
    Quale amante non mette alla prova l’amato?
    In mille modi lo fa, per avere la certezza di essere ricambiato.
    Se è pure geloso, prepara piccole trappole, spia, controlla, inventa situazioni…
    L’amore è esigente.
    L’amore è dramma.
    L’amore è follia.
    C’è un amore più folle di quello di un ragazzo trentenne , il più bello, il più buono, il più innocente tra tutti i figli d’uomo che si è lasciato calpestare, sputare , schiaffeggiare , flagellare e infine crocifiggere per amore di luridi amati ?
    Non esiste mistero più grande di questo.
    Chiacchierare delle ” prove ” del Dio Amore come si blatera sugli esami dei propri figli é davvero becero.
    Solo questi ignoranti modernisti hanno potuto permettersi di correggere il Maestro e le Scritture…

    • Adriana 1 ha detto:

      Quindi il Dio “geloso” dell’A.T. creava il “dramma” ed era “folle” come un giovanotto alle “armi”…ma non certo “prime”.

  • Adriana 1 ha detto:

    essseni

  • Stefano ha detto:

    Anche se in ritardo colgo l’occasione per sollecitare l’investigatore sull’inversione del vangelo proclamato domenica 1 ottobre, dove il figlio che fece la volontà del padre non è il primo, come appunto riportato nell’ultima versione del Vangelo, ma l’ultimo, come sempre proclamato dalla Chiesa e nei sui testi precedenti e che infatti lega l’ultima frase dei pubblicani e prostitute che passeranno avanti.
    Questa inversione si trova nella Bibbia del Diodati ( il lettore sopra si troverà a casa), protestante. Forse qualche traduttore sta brigando nella nuova chiesa per uniformarci a loro.
    Vegliamo. Non accadrà.

    • Lorenzino ha detto:

      Stia pure tranquillo, Stefano, non c’è alcun complotto, non c’è nessuno che sta brigando. Mentre veglia per proteggere la Chiesa Cattolica dalla paventata assimilazione ai Protestanti, può approfittarne per consultare qualche libro e apprenderà che l’inversione dei due figli non si trova solo nel Diodati, ma anche in san Girolamo (v. Vulgata Clementina) e nel testo greco del Novum Testamentum graece et latine Nestle-Aland, oltre che nelle Paoline68, nell’Einaudi, nella Bibbia del 1946 del domenicano Marco Sales e persino nella cattolicissima Ricciotti, consigliata in più di un’occasione dal nostro Investigatore biblico. La Chiesa non ha “sempre proclamato” la versione di Cei74, ha iniziato a farlo appunto nel 1974. La differenza nelle versioni è dovuta a differenze negli antichi manoscritti greci: la maggioranza degli studiosi ritiene più attendibili quelli che riportano la versione da Lei ascoltata domenica 1 ottobre 🙂

  • OCCHI APERTI! ha detto:

    Nippo carissimo, lei la fa breve; io la faccio semplice semplice e più concreta possibile: a pochi anni volevo imparare a nuotare e sbarazzarmi dei braccioli. Mio padre me li tolse e mi disse di nuotare verso di lui, ove non toccavo. Affondai e annaspai sino a bere e farmi entrare acqua dal naso…tanto che sentivo un gran bruciore alle narici! Ma le mani del papà mi acchiapparono al momento giusto per rinfrancarmi e darmi stabilità…non prima di avermi fatto bere un pò di salatissima acqua…
    Del mio papà buono mi fidavo. Mi voleva bene e voleva imparassi a nuotare, con tutti gli inconvenienti del caso.
    Certo il mio papà si occupava di noi, suoi figlioletti, che gli stavamo sempre accanto per imparare tante cose ma papà era sempre pronto ad aiutare anche bimbi di altri padri e madri…bimbi che non erano del “recinto” di casa…Per un papà buono la norma!

    Che dire dunque del nostro Padre che sta nei Cieli? Come dubitare della Sua bontà, delle Sue intenzioni, del Suo agire?

    A volte riusciamo a non giudicare le persone ma mi chiedo come mai non sappiamo trattenerci dal giudicare Dio!

    Un fraterno saluto!

    • Enrico Nippo ha detto:

      Gentilissimo Fratello,

      il suo commento non trova in me alcuna obiezione poiché riguarda il suo percorso.

      Riguardo a me, anch’io ho il mio percorso che mi presenta perplessità emergenti dalla mia (come la sua) libera facoltà di riflettere.

      Ora, le perplessità non costituiscono un giudizio nei confronti di Dio bensì sono il risultato della ricerca spirituale. Potrò essere passibile di anatema, ma non posso sempre accontentarmi di risposte preconfezionate che, lo affermo senza remore, non hanno il potere di incidere positivamente su di me e, infine, annichiliscono la mia vitalità interiore.

      Spero vorrà comprendere.

      E’ sempre un piacere interloquire con lei.

  • Stilobate ha detto:

    Necessaria premessa: ritengo che «non abbandonarci alla tentazione» sia una traduzione disgraziata e ogni volta che mi tocca sentirla mi viene l’orticaria. Dico «sentirla», perché il Pater noster lo recito nella vecchia forma italiana, in latino oppure in greco (con la cosiddetta pronuncia bizantina, che è quella in uso nella Chiesa ortodossa greca nonché quella in cui fu con ogni probabilità pensato e scritto il Nuovo Testamento greco). Aggiungo che non meno urticanti, anche solo perché inutili, trovo le continue operazioni di maquillage cui vengono sottoposte dall’estro creativo di biblisti e liturgisti d’ufficio le sacre Scritture e i testi liturgici. Ritengo inoltre che tali interventi siano in gran parte finalizzati non a rendere più perspicuo e fedele in lingua italiana il dettato scritturale, ma ad alterarne gradualmente il senso per porlo in asse con una nuova, e a mio avviso distorta (quando non apostatica), visione del Cristianesimo. Ciò non mi impedisce di esaminare caso per caso gli aggiornamenti non richiesti, allo scopo di verificace se ve ne siano di pertinenti e quali eventualmente lo siano e quali no. È la differenza che passa fra un approccio ideologico e un approccio «pulito» (confido che anche il nostro Investigatore biblico proceda secondo tale spirito). Ma veniamo a noi. §§§§§§§§§§§§

    Il verbo greco πειράζω (peirázō) è uno dei derivativi del sostantivo πεîρα (peîra), che significa «prova», «cimento», «esperienza» e si riconduce alla radice indoeuropea *per, legata al concetto di «attraversare», «passare» (noi, del resto, diciamo ancora «quel poveretto ha ne ha passate di tutti i colori» oppure «Ulisse ha attraversato molte prove», ecc.). Dunque rendere πειράζω con «metto alla prova» è corretto. Ma anche renderlo con «tento», intenso nel senso di «saggio», è corretto. §§§§§§§§§§§§

    Nel Padre nostro non troviamo però il verbo, ma un altro sostantivo, πειρασμός (peirasmós), già attestato nel greco della Septuaginta. Questo sostantivo maschile ricorre poche volte nei Vangeli, principalmente in due contesti: quello del Padre nostro e quello in cui Gesù esorta i discepoli a pregare per non «cadere in tentazione». Dunque lo troviamo in Mt 6:13 e Mt 26:41, in Mc 14:38, in Lc 11:4, Lc 22:40 e Lc 22:46. Oltre a ciò lo incontriamo, al genitivo, nella parabola del seminatore, ovvero in Lc 8:13 «questi al momento credono e al momento della tentazione si allontantano»; e al plurale nell’interessante passo di Lc 22:28, in cui nientemento che Gesù stesso dice «voi siete coloro che hanno perseverato con me nelle mie tentazioni [πειρασμοῖς, tentationibus]». Non compare nel Vangelo di Giovanni, ma è presente in Ap 3:10 «poiché hai custodito la mia parola di costanza, anch’io custodirò te dall’ora della prova che sta per venire sulla terra intera per saggiare gli abitanti della terra», passo di notevole interesse perché poco appresso al nostro sostantivo ricorre il verbo πειράζω (che ho reso qui con «saggiare»), il che ci offre qualche elemento in più. §§§§§§§§§§§§

    Negli Atti degli apostoli troviamo il sostantivo al plurale, in At 20:19 «servendo il Signore con ogni umiltà e lacrime e le tentazioni [πειρασμῶν, tentationibus] occorsemi per le insidie dei Giudei», passo che getta qualche ulteriore lume sul senso da conferire alla tentatio della Vulgata (particolarmente al plurale). §§§§§§§§§§§§

    Πειρασμός compare anche nelle Lettere. In Gc 1:2 «considerate tutto una gioia, fratelli miei, quando vi imbattete in molteplici tentazioni, sapendo che la riprova della vostra fede produce sopportazione», dove «riprova» o «comprova» ovvero «mezzo di prova» è δοκίμιον (dokímion), e in Gc 1:12, «beato l’uomo che sopporta la tentazione»; in 2Cor 10:13 «nessuna tentazione vi ha presi, se non umana», e nell’assai interessante citazione del Salmo 95 di Eb 3:8 «non indurite i vostri cuori come nell’esasperazione,/nel giorno della tentazione nel deserto,/dove i vostri padri mi tentarono mettendomi alla prova», assai interessante perché poco dopo il sostantivo non solo troviamo, ancora una volta, il verbo πειράζω, ma incontriamo anche un altro sostantivo per esprimere il concetto di «prova», δοκιμασία (dokimasía), derivativo del verbo δοκιμάζω (dokimázō), che vale «metto alla prova», «saggio», «sperimento»; in 1Pt 1:6 «perciò gioite un po’, se ora è necessario soffrire in molteplici tentazioni [πειρασμοῖς, tentationibus]» e in 2Pt 2:9 «il Signore sa liberare i pii dalla tentazione», che riprende non solo il sostantivo, ma anche il verbo del Padre nostro, ῥύομαι (rhýomai), «liberare», «salvare». §§§§§§§§§§§§

    Alla luce di tutto ciò possiamo escludere categoricamente che il πειρασμός del Padre nostro possa essere tradotto con «tentazione»? E possiamo gridare allo scandalo qualora venga tradotto con «prova»? Risposta è negativa sia alla prima che alla seconda domanda. Alla prima perché si tratta solo di chiarire quale senso vada attribuito a «tentazione» e a «non indurci in tentazione», cioè di comprendere che non si sta in alcun modo alludendo a una divinità da tener calma perché si diverte a tender trappole; alla seconda perché tutti i passi neotestamentari che abbiamo visto sono perfettamente compatibili con una simile traduzione, e alcuni, anzi, risultano in tal modo più perspicui (provate a effettuare voi stessi l’operazione). §§§§§§§§§§§§

    Spero che queste semplici considerazioni possano essere di aiuto a qualcuno. In ogni caso, mando saluti e benedizioni a tutti voi, a partire dal padrone di casa e dall’Investigatore.

    • OCCHI APERTI! ha detto:

      Eccellente ed edificante intervento. Ringrazio di cuore, carissimo Stilobate!

      Benedizioni e grazie a lei!

      Fraternamente.

      • Stilobate ha detto:

        La ringrazio, gentile Occhi aperti. Non ho dimenticato le proficue interlocuzioni avurte con lei in queste pagine. Purtroppo ho sempre meno tempo per intervenire nel blog, anche se di quando in quando lo visito per seguire i post e leggere i commenti (che però sembrano scarseggiare). La saluto anche io fraternamente.

  • Adriana 1 ha detto:

    Caro Enrico,
    ma tu che cosa pretendi da Dio? La soavità proustiana con cui Gilberte ama Albertine? Una particolare e individuale benevolenza paterna? O,
    almeno, una solida lealtà sportiva?
    Guarda che è sempre Lui, Quello antico che è stato incorporato nella Tradizione Cristiana; ma non è che, per far piacere alle nuove generazioni di fedeli, si sia umiliato al punto da cambiare faccia, da mascherarsi come un attore di varie “varietà”, per desiderio di ricevere gli applausi del Suo nuovo pubblico…
    E’ vero che, alle insistenze di Ezechiele, mostrò un attimo di resipiscenza- alquanto limitata- al pensiero di come aveva coartato gli antenati di Ezechiele e- insieme- tutti gli Israeliti precedenti al profeta. Non pentimento, ma constatazione oggettiva che quella usata non era più una prassi utile da riservare agli esiliati “civilizzati” di Babilonia:
    ” IO stesso poi diedi loro decreti non buoni e leggi per le quali non potevano vivere; li contaminai con le loro offerte per colpirli duramente facendo passare per il fuoco ogni loro primogenito affinchè riconoscessero che IO sono Yahwè. ( Ezechiele:29-25 ) ( N.B.: si tratta di primogeniti di 8 giorni ).
    Del resto il “Suo” popolo eseguiva i “Suoi” ordini:
    ” gettando i cadaveri ( dei nemici ) davanti ai loro idoli ”
    ( Ez: 6 ). Ricordi come Egli abbia conversato diplomaticamente con l’Avversario ( o pubblico ministero ) lasciando ” nella mano di Lui “il suo fedele Giobbe…? E ora, tu, frutto di uno spirito raffinato e sostanzialmente ellenizzante, vorresti fare le “pulci” al Tetragramma ( “Dio degli eserciti” e
    “Individuo di guerra “)? Una bella impresa.

    • Enrico Nippo ha detto:

      Adriana carissima,

      che debbo dirti? se non ricordo male affermai in commenti passati che, come tutti, ho la facoltà di riflettere che, evidentemente, è un dono del Creatore.
      Questa facoltà o è libera o non è, e siccome nessuno vorrà negare che sia libera, liberamente me ne servo.

      Pe quanto mi riguarda, essa fa parte del percorso, della ricerca, del procedere verso l’Assoluto che, sempre a mio parere, è cosa tanto affascinante quanto ardua.

      Ritengo (anatema!?) che pensare con la propria testa e senza trovare mai risposte definitive sia l’ideale per procedere verso l’Assoluto, ove, intuisco, non esistono domande e risposte.

      Di ciò mi assumo la responsabilità, anche perché, come si dice, “chi non risica non rosica”, e, per dirla tutta, il pellegrinaggio “in sicurezza” (oggi tutto ha da farsi “in sicurezza”) ammazzerebbe il mio entusiasmo ed il mio coraggio.

      E Dio? Giudicherà Lui, al momento opportuno, se sono stato un’uomo che Lo ha cercato con cuore sincero oppure un satiro meritevole di scendere ancor di più la scala animalesca.

      N.B. Io cerco Dio, che non si riduce a quello che si dice di Dio.

      • Adriana 1 ha detto:

        Caro Enrico,
        apprezzo il N.B.: rischioso, ma indispensabile per chi ” non è diventato una statua, né sta lì piantato, rigido, ottuso, impietrito come una colonna”… per chi “ha cuore…conosce la paura, ma soggioga la paura”, per chi “guarda nel baratro ma con orgoglio”…per chi “con artigli d’aquila aggranfia il baratro” -con coraggio-. (Nietzsche, “Così parlò Zarathustra”. )

        • Enrico Nippo ha detto:

          🙏

          Preciso che non ho nulla da obiettare nei confronti di chi vuol procedere “in sicurezza”: se quella è la sua strada, nessuno può mettere bocca.

          A patto che chi cammina “in sicurezza” non pretenda di giudicare e condannare chi sente di dover tentare di volare.

          Unicuique suum: questa la massima che TUTTI si dovrebbe tener presente.

  • Prov ha detto:

    Ah, molto, molto interessante questo contributo alla traduzione.
    Come sempre, in questi casi è obbligatorio a scanso di pericolosi equivoci, ammetto e proclamo fin da subito d’essere un ignorante. Almeno dal punto di vista tecnico di sicuro, sul resto spero non ci riscontrino conferme attendibili…

    Ciò non impedisce l’azzardo di esporre il mio punto di vista.

    Re David ‘chiese’ lui di essere tentato. E San Giacomo ammoniva, giustamente e sacrosantamente, che nessuno si azzardasse a dire (nemmeno pensare, direi) che fosse invece Dio a tentare. Mi pare di poter cogliere una bella differenza!

    Nel ‘vecchio’ Padre Nostro eravamo ancora noi a chiedere di non essere indotti alla tentazione. Più o meno il contrario di quello che chiede Re David ma sempre nella medesima ottica del dialogo, molto, ma molto confidente, tra una creatura e il suo Creatore. La creatura fa quel che può… e non è difficile pensare che in questo rapporto diretto assolutamente atipico e inusuale gli manchi il modo e la giusta parola per rivolgersi come dovrebbe al suo (e nostro) Dio. Il Signore ha semplificato la questione adeguandosi al nostro linguaggiio. D’altra parte ricordava certamente la richiesta di David e sapeva bene anche molti altri hanno buona memoria.

    Messa così potrei superare il leggero turbamento che da sempre (la prima volta ero un bambino di prima media) mi procura (o procurava, a questo punto), l’espressione in esame. Senza saperlo ragiona o come San Giacomo, ma il Padre Nostro non dice quello! Se è così (o almeno se non scritto castronerie insostenibili) per me sarebbe un grande conforto.

  • Lorenzino ha detto:

    Il nostro anonimo Investigatore sostiene che sia sbagliata la traduzione “mettimi alla prova” e vorrebbe cambiarla con “tentami”. Peccato che sia solo lui, da quel che ci risulta finora, a pensarla così. Preso atto che il verbo ebraico נָסָה (nasah) e le sue traduzioni nella LXX (πειράζω, peirázo, dal Nostro erroneamente accentato peìrazo) e nella Vulgata (“tento”, che sta per “tempto”) possono significare sia “mettere alla prova” che “tentare” (anche se il dizionario Reymond non cita “tentare”, lo fa però Schökel), tutte le Bibbie che abbiamo consultato, dal 1600 ad oggi, non hanno mai proposto di inserire il verbo “tentare” nella traduzione del versetto in oggetto, bensì:

    Diodati: sperimentami

    Martini: ponimi alla prova (concetto ribadito in nota: io ti prego a provarmi, provami tu)

    Ricciotti: sperimentami

    P. Marco Sales O.P. : saggiami

    Concordata: fa esperienza di me

    Jérusalem: éprouve-moi

    Tob: soumets-moi à l’épreuve

    Tilc: mettimi alla prova, giudicami, esamina la mia mente e il mio cuore

    Paoline 1968: scrutami

    Nuova Riveduta: mettimi alla prova

    Einaudi: provami

    Una ventina di Bibbie in lingua inglese, antiche e moderne, reperibili in rete, usano i verbi “to prove, test, try, examine”, mai “to tempt” (Try può voler dire “tentare”, ma nel senso di “provare, tentare di far qualcosa”, non “indurre in tentazione”)

    Dunque, abbiamo un gran numero di traduttori che, nel corso dei secoli, hanno sempre compiuto una scelta diversa da quella perorata dal nostro detective: possibile che sia arrivato lui bello fresco, a capire ciò che nessun altro aveva mai capito prima? Lo riteniamo poco plausibile.

    Lo stesso verbo peirázo, presente negli episodi delle tentazioni di Gesù nel deserto e che il Nostro amabile investigatore fa notare essere tradotto dalle due Cei 74-08 con “tentare”, è reso con “mettere alla prova” dal più che competente monaco di Bose Luigi D’Ayala Valva nella Bibbia Einaudi, che richiama in nota Deuteronomio 8,2 ed Ebrei 2,18: due versetti, in cui compaiono i verbi נָסָה (nasah) e πειράζω (peirázo), che entrambe le Cei 74-08 traducono con “mettere alla prova”: “Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova” (Dt 8,2); “per essere stato messo alla prova e aver sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” (Eb 2,18).

    Il Nostro sostiene poi che nel versetto del Salmo in oggetto e nel Padre Nostro (non indurci in tentazione) compaia lo “stesso verbo”, peirázo: in realtà, nel Padre Nostro non c’è un verbo, ma un sostantivo in caso accusativo, πειρασμόν (peirasmón, da πειρασμός), che può significare sia “prova” che “tentazione”, dunque tradurre il versetto del Pater con “non metterci alla prova” non è affatto meno corretto di “non indurci in tentazione” (“Non lasciarci entrare nella prova”, traduce ottimamente D’Ayala Valva). Riguardo al “non abbandonarci alla tentazione”, che tanto scandalizza il Nostro, è vero che non è una traduzione fedele al testo greco ma un’interpretazione, tuttavia già Diodati nel 1641 usava in nota quell’espressione per commentare il versetto del Pater (“dacci la luce, la guardia, e ‘l sostegno del tuo Spirito; e non privarcene giammai, per darci in poter del diavolo ed abbandonarci a’ suoi maladetti inducimenti”), quindi non si può certo dire che la scelta di Cei08 sia una novità inedita.

    • La Signora di tutti i popoli ha detto:

      Credo gent.le Lorenzino che non bisognerebbe fare troppo il processo alle intenzioni e che l’Investigatore Biblico non abbia affatto detto che la volontà divina o il suo modus essendi è il “tentare”, giacchè sarebbe trasformare in male il Sommo Bene che è Dio. Col dovuto rispetto, mi sembra che il suo post va oltre il dichiarato e interpreta opinioni non espresse.
      Molto sapiente e concreta, cioè che non va a leggere ciò che non è stato scritto, è l’opinione dello Stilobate con la sua precisazione necessaria: ” […] si tratta solo di chiarire quale senso vada attribuito a «tentazione» e a «non indurci in tentazione», cioè di comprendere che non si sta in alcun modo alludendo a una divinità da tener calma perché si diverte a tender trappole.”

      Direi per concludere che col buon vecchio greco scolastico, una bibbia in greco e il Rocci a portata di mano sono il modo più bello per leggere la Parola e anche per resistere consapevolmente alle derive lessicali bergogliane e, come in questo caso, ringrazio voi e Dio per la sapienza donata a tanti bravi e attenti estimatori della Bibbia.

  • Enrico Nippo ha detto:

    Breve intervento.

    I tentatori sono due: il Diavolo e la Concupiscenza.

    Quindi il Diavolo è cosa diversa dalla Concupiscenza (nel passo citato san Giacomo non nomina il Diavolo).

    Quindi la Concupiscenza è di origine umana e non diabolica.

    Dio “permette” che l’uomo sia tentato dal Diavolo e/o dalla Concupiscenza.

    Con “permette”, che un’ iper sottilissima linea distingue (se la distingue) dal “vuole”, si mette la faccenda a posto e via in archivio.

    Perciò Dio, “permettendo” la tentazione omette un soccorso preventivo: sta prima a guardare cosa fa l’uomo, e siccome quest’ultimo è un coacervo di debolezze (e Dio lo sa), prima o poi lo coglie in flagrante e gli dice: adesso che sei in braghe di tela chiedimi soccorso, e se del caso, te lo concedo, ovviamente a tempo e luogo secondo la mia volontà.

    Si potrebbe dire: Dio non fornisce ciambelle di salvataggio quando la nave salpa, ma la getta soltanto ad alcuni di quelli che, a disastro avvenuto (affondata la nave), stanno per affogare e urlano a squarciagola “a me! a me! una ciambella a me!”, ovviamente “permettendo” che altri disperati affoghino.

    O no?

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