Lo stato interiore di non belligeranza. Il Matto.

15 Settembre 2023 Pubblicato da 31 Commenti

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il nostro Matto offre alla vostra attenzione queste riflessioni che prendono spunto da un episodio evangelico famosissimo, il ferimento, da parte di Pietro, di uno dei servi del sommo sacerdote durante l’arresto di Gesù. Buona lettura e condivisione.

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LO STATO INTERIORE DI NON BELLIGERANZA

 

«Allora quelli che erano con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: “Signore, dobbiamo colpire con la spada?”. E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio destro.  Ma Gesù intervenne dicendo: “Lasciate! Basta così!”. E, toccandogli l’orecchio, lo guarì».

Luca

 

*

«Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: “Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?».

Giovanni

*

«Allora Gesù gli disse: “Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada”».

Matteo

 

*

 

«L’odio verso sé stessi e l’amore verso i nemici è il principio e la fine del Cristianesimo».

Giovanni Papini

 

* * * * *

 

Non so cosa che ne pensiate voi, gentili Lettrici e Lettori. Per quel che mi riguarda, non posso che ammettere di trovarmi di fronte al precetto del Cristo: «AMATE I VOSTRI NEMICI», lontano le mille miglia dalle mie possibilità di metterlo in pratica, tanto che se non verrà in mio soccorso un’ILLUMINAZIONE, resterò al palo. Dico un’illuminazione diretta, senza mediazioni esegetiche, fossero pure le più sante e raffinate, che in decine di anni ho ascoltato e letto a vagoni restando al buio. Un buio che attende.

«Dalla mia oscurità nacque una luce che mi rischiarò il cammino».
Khalil Gibran

 

Proprio così: le parole non sono ciò che dicono, comunicano per allusione, e se non verrò illuminato nessuna spiegazione potrà introdurmi alla conoscenza profonda, vera, celestiale del precetto, ossia alla sua incarnazione. Lo può soltanto un’illuminazione. Percepisco nettamente che non mi basta credere: non posso essere ciò in cui credo ma che non ho realizzato e perciò non conosco: intendo una realizzazione che mi permetta di essere ed agire di conseguenza poiché trasfigurato nel precetto dall’illuminazione, grazie alla quale le parole si sciolgono per circolare nel sangue e diventare vita.

 

Il brano evangelico intero, che propongo qui appresso, è per me sconvolgente ed impenetrabile.

* * * * * * *

«In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Dà a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro.
Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto.

Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; perché egli è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro.

Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio».

 

 

* * * * * * *

Quindi Gesù viene a proporre un rovesciamento, alla lettera, del comportamento umano comune, scontato, sensato, ragionevole, cioè l’amare quelli che ci amano, che invece è una facile abitudine e perciò inutile all’acquisizione di un merito celeste. E già: anche i peccatori fanno lo stesso! Non è terribile? E scusate se insisto: avete inquadrato bene la faccenda? Dice che fanno così anche i peccatori!!! Quindi non è che si è meno peccatori perché si ama chi ci ama! E neppure facciamo qualcosa di meritevole!!! C’è perciò di mezzo, almeno a me così sembra, un’illusione gigantesca!!! Forse l’illusione che ha condotto il Cattolicesimo sull’orlo del baratro?

 

Poi la bruciante scudisciata: AMARE I PROPRI NEMICI!!! La sequela è spaventosa: fare del bene a chi ci odia! benedire chi ci maledice! pregare per chi ci maltratta! porgere l’altra guancia e chi ci da una sberla! lasciare pure il cappotto a chi ci toglie la giacca! Per non dire del resto.

 

«Perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio». E quale sarebbe questa soprannaturale “misura” di giudizio che si dovrebbe adottare? Dice che ci verrà applicata la medesima misura con cui avremo misurato. Non è spaventevole? Si è davvero consapevoli di che misura si adotta nel giudicare? Ma qual è la misura ideale, cioè celeste? No, non me lo spiegate: nessuna parola umana lo può. E non lo può nemmeno il Catechismo. Mi ci vuole l’illuminazione.

A proposito di “nemici da amare”, poi, mi trovo del tutto impantanato a proposito del combatterli. E sì, perche il nemico va combattuto … amandolo!!! Una follia!!! Se non si ama il nemico, il combatterlo non è lecito!!!  Occorre combattere amando e amare combattendo!!!

Veramente beato chi ha avuto la grazia di subire lo stravolgimento mortale e perciò illuminante (poiché se il vecchio non muore il nuovo non può nascere) di quanto dice Cristo a chi vuol essere suo discepolo, che ha da attendere alla morte del proprio ego affinché dal suo cuore prorompa l’amore per i nemici, i quali, se li si ama … non sono più “nemici”! Cristo guarisce l’orecchio di Malco che certamente non era un “amico”!

 

Mi vien da sospettare che per realizzare ciò che chiede Cristo occorra una trasumanazione che non è alla portata del “capire” umano, ed ammesso che vi sia un essere umano disposto a mettere decisamente in gioco la propria vita “normale”, di cui, tanto per rendere la cosa più facile, Cristo dice: «chi ama la propria vita la perderà». Per questo mi vien perfino da considerare il Cristianesimo come religione di élite e non di massa.

 

Ultra ostico per me: non amare la propria vita ed amare i nemici!!! Oddio!!! “Amore”, “amare”: queste parole iper abusate mi fanno venire il voltastomaco! E se non bastasse c’è pure un’altra legnata: «Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratelloè un bugiardo». Dove «fratello», evidentemente, non si riferisce ad uno di quelli che ci amano e che, senza merito, amiamo a nostra volta. Che il «fratello» sia allora il nemico? Dunque non soltanto il “fratello nella fede”? Il nemico che, amato, lo si scopre fratello? È l’Amore che seda i conflitti? Sconvolgente!!! Chi ama non ha nemici!!! Mi sa che è proprio così!!! Sì: è l’Amore il protagonista, il pacificatore. È scritto anche nel Dhammapada (I detti del Buddha):

 

«L’odio non può sconfiggere l’odio,

solo esser pronti all’amore lo può.

Questa è la legge eterna.

Chi è litigioso dimentica

che moriremo tutti;

non ci sono litigi

per il saggio che riflette sulla morte».

 

Essere pronti all’amore: “capisco” le parole, ma come faccio ad incarnare tale prontezza senza un’illuminazione che sciolga le parole e le faccia scorrere nelle mie vene?

 

Ma … cos’è l’Amore? Cosa indica questa parola di cui tutti si riempiono la bocca e declinano secondo le voglie illusorie del proprio ego? Prego cortesemente di astenersi dalle solite risposte preconfezionate e tolte dall’apposita casella in cui, visto l’andazzo, ammuffiscono da secoli: le conosco, ma per me sono parole morte e non saprei che farmene. La Somma Teologica? Che ci faccio? Pura erudizione ingannatrice. Mi ci vuole l’illuminazione, proprio com’è successo all’Aquinate che la Somma nenache l’ha terminata! Sì!!! Dopo l’illuminazione ha lasciato perdere di ammucchiare “paglia”!!!

 

«Qualunque cosa io dica dell’amore a titolo di commento e di esposizione,

quando arrivo all’amore, me ne vergogno. Anche se la spiegazione con la lingua è chiara, questo amore che è senza lingua è ancora più chiaro». 

Gialal-ad-din Rumi

L’Amore più chiaro è senza lingua! La lingua spiega soltanto, allude ma non illumina. Ci vuole l’illuminazione che la scioglie e la fa scorrere col sangue nelle vene.

 

E se considero che a quasi settantacinque primavere mi ritrovo come un ebete sull’orlo di questo abisso d’incomprensione ed incapacità poiché privo d’illuminazione, non posso che rimanerne stupito: che io sia l’unico  non illuminato fra i battezzati e cresimati? Dev’essere proprio così, visto che ormai sono “il Matto”: altro che lo pseudonimo adottato da un eccentrico per fare il “figo”!

 

Per ora, da ebete, una sola chiarezza ho potuto acquisire: l’estinzione interiore dell’odio, del livore, del disprezzo, del risentimento, dell’albagia e del giudizio temerario, per la realizzazione dello STATO INTERIORE DI NON BELLIGERANZA, è l’obiettivo primario del  Guerriero, cioè del Cristiano (e di ogni Uomo Spirituale e Fratello a qualunque latitudine e longitudine si trovi).

 

Ma se mi guardo dentro, mi accorgo che tale stato è tutt’altro che realizzato e che ciò mi resta impossibile senza un’illuminazione.

 

Insomma: può fare la guerra soltanto chi l’ha bandita dal proprio cuore! Può infliggere (eventualmente) la morte soltanto chi è già morto, ovvero, cristianamente (e non solo), chi ha crocifisso il proprio ego, la cui radice è il soggettivismo conflittuale che nessun dogma e nessuna dottrina saputi e creduti a menadito, facilmente scadenti nel più infiocchettato e farisaico bigottismo, possono estirpare. Non per nulla, dopo aver intinto la penna nel curaro, Papini scrive:

 

«Se i cristiani credessero effettivamente a Cristo farebbero il più delle volte il contrario di ciò che fanno e sarebbero l’opposto di quel che sono in quasi tutte le ore della vita cioè superbi, avidi, avari, vendicativi, violenti, carnali e bestiali».

 

«Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: “Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?” E Gesù gli rispose: “Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette”».

Matteo

 

«Va’ e lava tutto l’odio dal tuo cuore

sette volte con l’acqua

Poi potrai essere nostro compagno

e bere il vino dell’amore».

Gialal-ad-din Rumi

 

Soltanto chi è morto a se stesso e al mondo, soltanto chi PER ILLUMINAZIONE ha realizzato lo STATO INTERIORE DI NON BELLIGERANZA, può «vendere il mantello e comprare una spada», entrando così a far parte della Nobile Schiera dei Guerrieri che bevono il Vino dell’Amore: «Mes amis de la Table Ronde, dites moi si ce vin est bon».

 

Intanto, per quanto mi riguarda, non essendo illuminato dall’Amore circa cosa sia l’Amore, non posso bere di tale vino e non posso sedermi alla Tavola Rotonda, intorno alla quale, senza potervisi accostare, schiamazzano le orde dilaganti degli amatori d’ogni specie.

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31 commenti

  • unaopinione ha detto:

    Ma qualcosa in piú mi è venuta in mente che mi fa propendere che in quanto scritto il 16.9 ci sia la soluzione (e che in mi pare che combaci con le convinzioni de “Il Matto” perché lui stesso scrive: “è il compito principale, ovvero la realizzazione dello stato interiore di non belligeranza che era esattamente quello di Cristo (e che io non ho realizzato).” Per questo si voglia considerare il seguente scritto come un piccolo approfondimento di quanto scritto precedentemente.
    E mi servo di due esempi.
    Il primo: Santa Faustina Kowalska.
    Nel breviario che si recita, Gesú dice a Suor Faustina (IX Stazione): “Sappi che l´ostacolo piú grande alla santità è lo scoraggiamento e l´inquietudine ingiustificata, che ti toglie la possibilità di esercitarsi nelle virtú“. E come risponde a parole Suor Faustina? Cosí (nel diario): “ O Gesú disteso sulla croce, ti supplico, concedimi la grazia di adempiere fedelmente la santissima volontà del Padre Tuo, sempre, ovunque ed in tutto …”. E in cosa consiste questo “adempimento”? «O mio Gesù, Tu non dai la ricompensa per il successo dell’opera, ma per la volontà sincera e per la fatica sostenuta (“di adempiere la Tua volontá” – mia nota); per questo sono pienamente tranquilla, anche se tutte le mie iniziative ed i miei sforzi venissero annullati o non fossero mai realizzati. Se avrò fatto tutto ciò che è in mio potere, il resto non è affar mio» (Stazione V).
    Dunque … suor Faustina è diventata Santa perché ha saputo superare lo scoraggiamento e l´inquietudine ingiustificata attraverso la capacitá prima di capire quale sia la volontá di Dio Padre e poi adempiendola, concretamente e sinceramente facendo quel che puó in tale direzione; e se non raggiunge il risultato si sente comunque “tranquilla”.
    Il secondo: Gesú stesso.
    Infatti Gesú, come riferito dall´evangelista Luca, dice sul monte degli ulivi in un momento di sconforto: “«Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc 22, 42) e poi “In preda all’angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra (Lc 22, 44). Quindi la Sua natura di uomo, per un fugace attimo, si fa viva (“Padre, se vuoi …), subito peró sopraffatta dallo spirito che gli comanda di rimanere fedele alla missione (Tuttavia … sia fatta … la tua volonta”). Ed ecco peró che nell´occasione del taglio dell´orecchio Gesú, ormai risoluto nella volontà di fare in tutto e per tutto la volontà del Padre, rimprovera Pietro (che non capisce perché cosí facendo impedisce a Gesú di bere un “calice” datogli dal Padre). E per finire, Gesú dice sulla Croce: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno». (Lc 23,34) (ma non per quelli che lo hanno mandato sulla Croce – mia nota).
    Ora, voglio dire … in tutti e tre gli esempi (Gesú, Suor Faustina ed anche dell´imperatore Carlo di Asburgo) si trova, tra altre somiglianze, quella che ognuno di Loro conforma (dopo tanta preghiera, riflessione, ecc.) il proprio comportamento a quella della volontà di Dio. E in tutti e tre i casi le Persone di cui sto parlando raggiungono, qualora sono certi di star adempiendo alla Sua volontà, uno stato di “santa tranquillitá” (dicendola alla Suor Faustina) … insomma … è come se tutti e tre dicessero di sé: “Siamo degli agnelli sacrificati totalmente per la gloria di Dio. Come avviene per ognuno di Noi lo decide Lui”.
    Ecco …. qui mi pare di poter dire che laddove c´è una persona che si chiede costantemente e con fervore quale sia la volontà di Dio e cerca di realizzarla attraverso il proprio comportamento, lá c´è una fortissima volontà di raggiungere la santitá. E se è finalmente consapevole di averla individuata e di star facendo tutto quello che è nelle sue possibilità di admpierla, ha raggiunto lo stato di santità piena.
    In linea di massima io vedo la questione cosí.
    E l´ultima domanda che mi faccio è: ma “Il Matto”, che vuole tanto raggiungere il suo “stato di non belligeranza”, si sta forse chiedendo come si diventa santi?
    Naturalmente qualcuno potrebbe obiettare: “Ma anche Giuda Iscariota pensava di fare (e ha fatto in realtà) la volontà di Dio quando ha tradito Gesú!”. Corretto. La differenza sta nel fatto che in questo caso Giuda sapeva che stava agendo per fare del male … e comunque … qualcuno la volontà di Dio sulla terra la deve fare: se Giuda, dopo il tradimento, avesse chiesto un sincero perdono a Dio, lo avrebbe certamente ottenuto (parole della Madonna nel libro “Il poema dell´Uomo-Dio).
    Per cui, a mio avviso … porgere l´altra guancia (e qui mi riferisco ad un qualcosa che dovrá avvenire nel futuro … quello che è giá successo rientra in quello che è stata la “volontá di Dio” – e qua agisce principalmente il perdono da parte della vittima per non essere risucchiata nella spirale dell´odio e la richiesta a Dio del sincero perdono da parte dell´autore) si riferisce a quando si sa che si deve adempiere ad un determinato compito (esempio è il martirio di Gesú) o quando non si puó sfuggire ad un determinato destino (esempio di uno schiavo che rischia di ricevere un secondo ceffone dal padrone) … non alla situazione in cui p.e., essendo noi persone libere, ci si trova di fronte ad un gruppo di veri criminali sofisticatamente organizzati che per il proprio tornaconto ed usando dei mezzi non consentiti (quali il ricatto, minaccia, menzogna, ecc.) ed anche subliminali (i MSM), ti costringono ad un determinato comportamento dicendo una prima volta: “Porgici il tuo braccio per la punturina … per il bene della collettivitá” e poi una seconda volta, ed una terza, ecc.
    Mia opinione.
    Nota: ho terminato il mio post del 16.9. scrivendo: “… le contraddizioni letterali rimangono”. Ebbene ho scritto una grossa bugia (inavvertitamente, è chiaro). In realtà siamo noi a non sapere mettere nel giusto contesto le parole di Dio per ricavarne il significato che Questi voleva che noi comprendessimo.

    • unaopinione ha detto:

      Precisazione: laddove ho scritto “(ma non per quelli che lo hanno mandato sulla Croce …), mi riferisco a quelli che, pagando a Giuda i trenta denari, sapevano di star mandando il Figlio di Dio sulla Croce e non al “perdonali”.

  • unaopinione ha detto:

    Gli scritti del “Il Matto” sono veramente ostici per me (non li capisco completamente non avendo io una minima preparazione filosofica) per cui mi limito a cercare di dare un contributo sparando quasi alla cieca (ma a volte pur si indovina, o no?).

    Credo che la soluzione (o meglio la via verso la soluzione) ce lo dia questo passo di Giovanni: «Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: “Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?». (Gv). « … E, toccandogli l’orecchio, lo guarì». (Lc) – Che forse “Il Matto” giá sa qual´è la soluzione e ha voluto testare i lettori di SC?

    Mi spiego:
    quasi nessuno sapeva quale destino aspettasse Gesú di lí a poche ore. Gesú fino a quel momento aveva sempre parlato per accenni a chi lo ascoltava, mai facendo capire cosa volesse esattamente dire (p.es.: “ E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3, 14-15)). Solo Lui e Sua Madre (contrariamente a quanto afferma papa Francesco) sapevano esattamente cosa sarebbe successo … e forse anche Giovanni (ma credo che avesse solo il presentimento ma non di come). Tutti gli altri stavano nel buio totale … e la vicenda di Pietro lo dimostra.
    Infatti: se Gesú avesse detto nei giorni precedenti a tutti i propri apostoli quale sarebbe stato il suo destino e perché, Pietro sarebbe stato al corrente della situazione e non sarebbe per niente intervenuto (anzi … Gli avrebbe detto: “Scappiamo”). E se ció nonostante fosse intervenuto, allora Gesú (mi immagino) gli avrebbe detto qualcosa come: “Non vuoi forse che la volontà del Padre mio si compia? E cioè che io salga sulla Croce, come ti ho spiegato l´altro giorno che deve necessariamente avvenire?” (e non parlando di “calice” che ancora non fa capire, a chi è all´oscuro di quel che succederà nell´immediato futuro, cosa in realtà Gesú voglia dire). E nonostante Malco, che è un avversario, Lo stia per arrestare, guarendogli l´orecchio di fatto Gesú lo perdona perché sa che solo attraverso tale arresto, la volontà di Dio Padre si potrá compiere.
    Ecco … credo che Gesú quando parla di tutto quello che “Il Matto” elenca, parla per esteso del tratto del “Padre Nostro”in cui ogni volta noi stessi diciamo: “Sia fatta la tua volontá come in Cielo cosí in terra”.
    Io traduco quindi il tutto cosí: “Se hai beccato una sberla … allora è stata fatta la volontá di Dio … non ti agitare piú di tanto e perdona. Se ne hai beccate due, nonostante le precauzioni che hai preso, ad esempio allontanandoti, allora non ti agitare piú di tanto e perdona di nuovo e cosí via. Se poi l´aggressore proprio ti vuole uccidere (ed infatti le parole “fatti uccidere” non escono dalla bocca di Gesú), allora agisci di conseguenza (difendendoti solo per il necessario all´occorrenza). E soprattutto … anche se ti è successo qualcosa di grandemente negativo, devi rimanere sempre nello stato d´animo di perdonare perché quello che è successo è stata la volontà di Dio … alla punizione contro l´aggressore ci penserà Lui. Se invece ti vuoi vendicare (e quindi lo stato d´animo è in costante ebollizione), Dio non si sente piú chiamato a fare giustizia per te (o meglio … mi immagino che aspetterà di vedere come si svolgerà tutta la faccenda; e quindi: tanto piú perdoni tanto piú Dio si sentirá chiamato a fare giustizia per te) e la tua vita anziché procedere nella serenità di chi ha avuto una lezione dalla vita e ne fará tesoro nel futuro, a forza di pensare sempre alla vendetta, si rovinerà nella salute ma forse anche finanziariamente per sempre e sicuramente il tutto rovinerà anche la tua anima (come fa Dio ad accettare nel Suo Regno una persona che ha passato tutti i rimanenti anni della propria vita pensando alla vendetta? O meglio … che ad ogni affronto subíto pensa automaticamente alla vendetta?).
    E questa credo che era proprio una delle domande ricorrenti che si faceva il Beato imperatore Carlo d´Asburgo, di fronte alla perdita della sua dignitá di Imperatore e del suo intero impero:
    https://www.maurizioblondet.it/il-primo-aprile-il-transitus-del-santo-imperatore/
    Ecco … io prenderei proprio questa strada per spiegare il tutto (e mi rendo conto … le contraddizioni letterali rimangono).
    Mia opinione.

    • il Matto ha detto:

      Caro Unaopinione, la ringrazio del suo intervento che denota un notevole impegno nell’interloquire.

      Lei mi attribuisce delle qualità filosofiche immeritate. Ho riletto il mio articolo e non ho trovato alcunché di filosofico.

      Ho soltanto messo insieme delle considerazioni per illustrare quello che a mio avviso, è il compito principale, ovvero la realizzazione dello stato interiore di non belligeranza che era esattamente quello di Cristo (e che io non ho realizzato).

      Sono consapevole che l’argomento non riscuote la minima considerazione. I tempi difficili che viviamo spingono a proiettarsi sull’esteriorità che indubbiamente provoca sentimenti di rabbia e risentimento piuttosto che all’introspezione necessaria all’emendarsi da tali condizionamenti interiori.

      Un cordiale saluto.

    • miserere mei ha detto:

      La filosofia è l’amor di sapienza e ben si attaglia a queste belle riflessioni.
      Il Matto riesce sempre a suscitarne e gliene sono grato.
      Trovo molto appropriati gli spunti di Una Opinione e li rileggo in questa luce a beneficio del Matto, che a volte trovo più distante: c’è una novità nella vicenda dell’umano (dell’essere uomo) costituita dall’essere cristiano (di Cristo).
      La luce, le illuminazioni interiori cui tendere, sono il massimo (lo Spirito santo) solo alla luce di Cristo.
      Altrimenti, nel filosofare umano, possono prendere abbagli colossali.
      Il ragionare umano da qualche secolo sta producendo disastri, illuminati da luce elettrica ottenuta dall’acqua, dal vento, dal petrolio, dal sole o dall’atomo, ma comunque orientati (o orientabili) altrove dalla luce di Cristo.
      Ogni ragionare o filosofare che non si liberi dalla signoria del principe di questo mondo finirà con il considerare matto chi parla di amore per il nemico, perdono, mitezza e umiltà di cuore.
      Dio vince dalla croce assicurando in quella tenebra la garanzia della sfolgorante luce pasquale.
      Un mansueto agnello immolato sta ritto in piedi vittorioso, predicando umiltà e mitezza.
      Con la pazienza e la perseveranza, la mitezza è un dono della grazia e non dello studio, del sapere o dell’ingegno.
      Bisogna essere stolti agli occhi del mondo, nemmeno considerati filosofi da chi filosofeggia pensando soprattutto all’utilità e al progresso.
      Nella sapienza biblica la storia è spesso rappresentata dal mare, dalla liquidità.
      La Sapienza interviene tacitando le tempeste, camminando sopra l’acqua, o aprendovi una strada in mezzo al mare o prosciugando il fiume.
      Roba da matti. Appunto.
      Nella nostra storia succede se la mitezza e il perdono prendono il posto di (giustificati) sentimenti di rivalsa.
      Ma serve la luce della grazia.
      La pienezza della grazia in una ragazza…
      Roba da matti.
      Il Matto qui scrive spaziando a trecentosessanta gradi nelle multiformi espressioni della sapienza umana, quasi che la ragazza di cui sopra, nell’Incarnazione, non fosse stata la follia decisiva per Dio nell’operare la nostra Redenzione dalla croce, corredimendoci da madre.
      Roba da matti, anche per un santo degli Asburgo.
      Non trovate?
      Cristo è il solo che salva, dalla croce.

      • il Matto ha detto:

        Oso sospettare che il Manto della “ragazza” sia universale quanto il Verbo che ha concepito e partorito. Ora l’universalità, a mio modesto e matto parere, non può essere definita e sistematizzata per iscritto da alcuna mente umana, nemmeno la più ispirata.

        Il Verbo e la Ragazza sono immensi, cioè senza misura, senza limiti. Nessuna mente umana può penetrarne il Mistero che, senza dubbio, è immensamente oltre ogni dottrina definita.

        Voglia sopportare pazientemente, gentile Miserere, le eresie di un matto.
        D’altra parte, non si può pretendere che un matto sia “ortodosso” al 100%. 😅

  • Adriana 1 ha detto:

    Può servire?…
    ” Se Dio è come il fuoco, che io sia bruciato.
    Se Dio è come l’acqua, che io anneghi in essa.
    Se Dio è come l’aria, che io voli in essa.
    Se Dio è come la terra, che io scavi la mia vita finchè non
    abbia raggiunto il centro ” (L. de Wohl, ” L’ultimo crociato)
    ( Nota a pie’ di pagina: non trovi ci sia un qualcosa di strano in quel Dio che si conforma alla misura di giudizio umana
    per giudicare l’uomo? ).

    • Adriana 1 ha detto:

      Però, se ti può consolare…: ” Chi non è arrabbiato quando c’è motivo di rabbia, è immorale. Perchè la rabbia guarda al bene della giustizia, e se riesci a vivere in mezzo all’ingiustizia senza rabbia, sei immorale oltre che ingiusto”.
      ( San Tommaso d’Aquino ( Verità sull’Inferno ).
      Quindi, ecco che i padri domenicani divennero “monarcomachi” autorizzando moralmente la eliminazione, anche violenta, del tiranno o dei tiranni.
      Sereni dentro verso se stessi, ma terribili fuori, contro il nemico del bene comune, pratico e spirituale.

      • il Matto ha detto:

        “Vivere in mezzo all’ingiustizia senza rabbia”. Perr esempio come il Buddha?

        Ma poi “rabbia”: già la sola parola fa paura: lat. RABIES, impeto violento, violento trasporto di collera (etimo.it).

        Spero che nessun umano se ne esca con la “santa ira” …

        Ce n’è da meditare … meditare … meditare …

        • Adriana 1 ha detto:

          Un diverso punto di vista:
          Otochi, buddista, cercò di frenare con la ragione la furia del capo mongolo che stava assediando Lahore. Costui, rabbioso, gli ingiunse di spostarsi dalla porta della città, puntando contro di lui la spada con cui gli avrebbe trafitto il ventre. ” Allora vuoi che vinca io ” disse, sereno, Otoshi,
          ” perchè tu ti illudi di penetrare il mio ventre con la spada, ma, mentre lo fai, sono le mie viscere che la catturano “. Sorpreso e commosso, il mongolo si ritirò.

          • il Matto ha detto:

            Ah, questi buddhisti! C’è da imparare anche da loro!

            Forse già la conosci la storiella zen che propongo anche a favore degli altri gentili lettori e commentatori.

            Da notare come si ribadisca – evangelicamente – e come nel caso del capo mongolo, che la spada è meglio rimanga nel fodero!

            Un guerriero dell’antico Giappone, un possente samurai, decise di approfondire la propria formazione spirituale. Si recò dal maestro zen Hakuin, un celebre monaco buddista che viveva da eremita sulle montagne.

            Quando l’ebbe trovato gli chiese: “Insegnami cosa sono il paradiso e l’inferno!”

            Il vecchio monaco alzò lentamente lo sguardo verso il samurai esaminandolo da capo a piedi.

            “Insegnare qualcosa a te” – ridacchiò – “Devi essere molto stupido se pensi che io possa insegnare qualcosa ad uno come te. Ma guardati: hai la barba lunga e puzzi, sembri un mendicante!”

            Sentendo quelle parole, il samurai si infuriò e divenne rosso dalla collera, sguainò la spada per tagliere la testa al monaco insolente. Ma il maestro Hakuin rimase tranquillo a guardarlo e con pacatezza disse: “Quello che stai vivendo in questo momento è l’inferno!”.

            Il samurai, imbarazzato, ripose la spada nel fodero.

            Comprese che il maestro aveva appena rischiato la vita per insegnargli qualcosa. Allora gli occhi si riempirono di lacrime ed egli si inchinò scusandosi.

            Il maestro lo guardò e gli disse: “Quello che stai provando ora è il paradiso!”.

    • il Matto ha detto:

      Serve, serve, eccome!

      Un Crociato che non parla del “nemico” bensì della sua Cerca del Santo Graal, cioè di quel “centro” o Quintessenza in cui e da cui i Quattro Elementi. Insomma il Cuore del Cristo al centro della Croce.

      Faccio notare il carattere apofatico del tutto. Non si raggiunge il centro se non si abbandona la periferia.

      “Non trovi ci sia un qualcosa di strano in quel Dio che si conforma alla misura di giudizio umana
      per giudicare l’uomo?”: elucidami.

      • Adriana 1 ha detto:

        L’hai scritto anche tu che il problema del “commisurare” divino è qualche cosa di terribile… Sul metro di come gli umani giudicano ( per lo più gli altri ), di come pensano e agiscono, il premio o la punizione divina si modella, si adatta…
        Una frase che appare detta per far paura, ma, sondandone il significato riposto, potrebbe indicare l’autocoscienza umana, capace così di beatificare l’individuo (in vita), come di dannarlo. Insomma: avremmo la divinità dentro di noi, senza bisogno di attendere e temere quei fulmini celesti che, per esempio, incenerirono gli sprovveduti figli di Aronne, unicamente animati dalla “buona intenzione ” di bruciare devotamente un po’ di incenso all’Arca del Signore.

        • il Matto ha detto:

          Non “avremmo” bensì abbiamo la divinità dentro di noi.
          La nostra anima, o, se vuoi, il nostro io puro, è di creazione divina ed il Soffio di Dio la fa essere attimo per attimo. Siamo davvero dèi decaduti.

          Il fatto è che l’oro dell’io puro è ricoperto dalla patina di piombo dell’io fittizio che dal giorno della nostra nascita si è andato accumulando, ossia un coacervo di sensualità-intellettualità-passione col quale ci identifichiamo e dal quale dipendiamo.
          Liberare l’oro dal piombo …

          • Adriana 1 ha detto:

            “…il Soffio di Dio la fa essere attimo per attimo “… c’è un po’ dell’ “occasionalismo” di Malebranche in questa definizione.
            Gli Stoici possedevano già il concetto della divinità dell’anima, o nell’anima…Se ne trova forse traccia nell’A.T.? O,
            piuttosto, la si trova nella cultura dell’antica Grecia e nel successivo Ellenismo? E di esso Paolo e Giovanni non sono, forse, due splendidi, tardi esempi? Quante sorgenti sono confluite nell’alveo del Cattolicesimo…

          • il Matto ha detto:

            “Quante sorgenti sono confluite nell’alveo del Cattolicesimo…”.

            E infatti il Cattolicesimo non costituisce una “novità”, ma – parola di Dio – un compimento.

            Si può pensare ad una statua perfettamente compiuta di cui non si può eliminare qualcosa, e meno che mai aggiungere qualcosa.

            “Attimo per attimo”: nessuno può negare, almeno per deduzione se non per illuminazione, che ogni pensiero, ogni parola e ogni azione non possono darsi che nell’attimo presente, cioè ADESSO.

            Soltanto adesso posso scrivere ciò che sto scrivendo e soltanto adesso tu lo puoi leggere.
            Cristo parlava adesso. Ogni evento accade adesso.

            Non si scappa. Ogni obiezione a questa VERITÀ è fuffa.

            Chiaro che una visione, cioè un occhio del genere ti cambia la vita.

            “La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso”. Infine, è tutto qui.

          • Adriana 1 ha detto:

            Si può anche pensare che il “momento” sia sempre stato e sempre sarà…come affermano molti studiosi delle particelle sub-atomiche, autentici teologi metafisici del nostro tempo. Ma il “compimento” è frutto esclusivo della limitata visione umana.

        • il Matto ha detto:

          “Si può anche pensare …”
          Tu mi stuzzichi. 😊

          Pensare è oggettivare una sovrastruttura astratta e di un’estrema complessità che “riempie” l’attimo presente e distrae il pensatore. Perciò si oggettivano anche il “passato” e il “futuro” su cui il pensatore si affanna a … fare che? Il passato e il futuro esistono finché li si pensa.

          Ma c’è uno stato di consapevolezza – adesso! – anteriore al pensiero, dunque anche allo studio oggettivante delle particelle sub-atomiche.

          • Adriana 1 ha detto:

            ” Anteriore al pensiero “…qui mi pare di sentire un’eco della
            pre-intuizione o pre-illuminazione individuata
            nel VijinanaBahirava, che- forse- è della medesima natura
            ( capovolta ) del misterioso e buio abisso interiore.
            Né ci sarebbe da meravigliarcene, noi “microcosmi” viventi in un macrocosmo capace di abbracciare sia la materia ( o energia o forza) chiara sia quella oscura.

          • il Matto ha detto:

            Il casino in cui si ritrova l’umanità (ovviamente “progredendo” nei secoli verso il “meglio”) è dovuto al pensiero, che ormai è diventato un motivo (incasinante) di vita. Sembra che se non si pensa e non di parla, anzi, che non si strapensa e non si straparla, non si viva, o, meglio, non ci si senta vivi. “Penso dunque sono” è la grande fregatura.

            Invece: sono dunque penso, penso perché sono, e, al vertice: non penso dunque sono.

            La constatazione è di una semplicità (che non significa facilità) estrema: il pensiero nasce dal silenzio, transita, e ritorna al silenzio, quest’ultimo lo spauracchio perfino dei nostrani addetti ai lavori dello spirito. L’abitudine allo strapensare e straparlare vede il silenzio come un assassino dell’essere, del vivere, quando invece è tutto il contrario.

            Un pensiero ed una parola – colti o ignoranti che siano – inconsapevoli della propria relatività, costituiscono un flagello.

            Perciò, qui mi fermo, smetto di pensare, cioè di distrarmi, e ritorno all’essere.

            Ciao e buona domenica.

      • Adriana 1 ha detto:

        Matto,
        sì, la conoscevo…ma sta sempre bene rileggerla e rimeditarla: ” repetita iuvant “.

  • Giampiero ha detto:

    I passi menzionati ci pongono tutti di fronte a un abisso. Solo lo Spirito Santo può far svanire quel senso di vertigine che ci assale nel momento in cui oltre a leggerli ci mettiamo un po’ a riflettere. Troppo “contro natura”, ma una natura corrotta e deteriorata dall’ humus che ci ospita dal primo istante della nostra esistenza. Ci richiedono quasi un salto al di là della propria ombra. Impossibile con le sole nostre forze ma, come sappiamo, nulla è impossibile a Dio ( vedi ad es. la testimonianza di un padre Kolbe).
    Dopo quanto detto però va anche detto che i passi del N.T. passati in rassegna trovano certo loro “correttivo”, per dir così, in altri passi non meno espliciti dello stesso N.T. e nella prassi concreta della prima comunità cristiana. Insomma, siamo chiamati a una sintesi armonica tra detti e prassi apparentemente contraddittori. A quell’ et et, tanto raccomandato da un Vittorio Messori, che avrebbe contraddistinto la prospettiva cattolica rispetto alle altre.

  • miserere mei ha detto:

    I più reticenti a concepire la dottrina della Grazia divina sono costretti ad arrendersi di fronte alla necessità dell’illuminazione.

    Lo sforzo umano, il volli fortissimamente volli, non può giungere a certe vette. Può pensarle, può desiderarle (oserei dire: deve), ma senza la Grazia non le toccherà.

    La Grazia è l’azione dello Spirito Santo, la cui illuminazione interiore è tutt’altro dall’acume e dall’ingegno. Sant’Agostino era sicuramente molto intelligente, ma la Grazia gli mostrò il bambino che vuotava il mare per far capire che non sarebbe stato il suo intelletto a comprendere l’Infinito.

    Restano lo sforzo e la capacità (anche di amare il nemico), ma la Grazia è un’altra cosa. Si esprima in luce e calore, silenzio, profumo e gusto interiori ed esteriori… Una pace e una gioia che non ci si può dare da soli e nemmeno in compagnia di altri come noi.

    Perciò o Signore infondi in noi il tuo Spirito, perché tutto ciò che agiamo abbia da te inizio, sia da te condotto e in te trovi compimento, tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen

    Pregare è importante, perché ci fa piccoli e solo chi è piccolo può sperimentare la Grazia. L’ha rivelato Dio.
    Maria, piena di Grazia, è corredentrice. Ha amato anche chi ha crocifisso Gesù. Ama noi, peccatori.
    Ma ci chiama alla santità, per conoscere la gioia di quelli come lei, che è la sempre beata e tutte le generazioni chiameranno beata, anche oggi che la ricordiamo addolorata.

    • il Matto ha detto:

      “La Grazia è l’azione dello Spirito Santo, la cui illuminazione interiore è tutt’altro dall’acume e dall’ingegno”.

      Per quanto mi riguarda, lei con me sfonda una porta aperta: la via apofatica è quella che trascende l’acume e l’ingegno.

      Inoltre, lei conferma quanto ho affermato: mi ci vuole l’illuminazione di cui ancora non posso fruire.

      Grazie.

  • Chiara ha detto:

    Ammesso e non concesso che qualcuno, particolarmente illuminato, riesca ad annichilire se stesso per amare i propri nemici ( difficilissimo ma forse non impossibile), resta la domanda:ma fino a che punto è lecito e giusto? Posso io evitare ogni aspro confronto con il nemico per sequela Christi se il mio comportamento non belligerante può mettere a rischio e pericolo la vita di chi mi sta vicino? In concreto ad esemplificazione: fino a che punto è lecito farci invadere da chi si è dichiarato nostro nemico ed ha come obiettivo la scomparsa della nostra fede e la sua sostituzione con una falsa religione che sostiene una condizione umana di sottomissione davanti ad un Dio che non è certo Trinitario?

    • il Matto ha detto:

      Gentile Chiara,

      non ho parlato di “comportamento” non belligerante, che infine combacia con il pacifismo, bensì di “stato interiore” di non belligeranza che è tutt’altra cosa altra cosa e dal quale è ispirato (dovrebbe essere ispirato) il comportamento. In altri termini, se non procede dal contemplare, l’agire – perciò anche il combattere – è un puro agitarsi.

      Per respingere il “dichiarato nostro nemico” occorre, da Cristiani, avere il Cuore del Cristo che guarisce l’orecchio di Malco, altrimenti vien fuori l’odio che non promette nulla di buono.

      Combattere avendo il cuore in pace: non è così scontato, anzi.

      Grazie per il contributo.

  • Cristina ha detto:

    Ho conosciuto persone buone ed intelligenti che non sono Cristiani per quelle parole di Gesù,impossibili,sovrumane.Secondo me,non bisogna pensarci perché non ci arriveremo mai da soli.Ci vuole un’illuminazione come quella di San Paolo e l’illuminazione è “amare”, perché non si ama per uno sforzo di volontà ma per grazia.

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