Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. Marco Reggiani.

2 Settembre 2023 Pubblicato da 23 Commenti

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, tramite il prof. Giovanni Lazzaretti, che ringraziamo di cuore, portiamo alla vostra attenzione queste riflessioni di Marco Reggiani. Buona lettura e condivisione.

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Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi

L’annuncio del Vangelo è un annuncio di vera libertà

Ringrazio i sacerdoti che ci hanno accompagnato nelle riflessioni.
Quello che abbiamo scelto quest’anno è un tema allo stesso tempo decisivo e molto complesso, che intercetta le questioni fondamentali della nostra fede e della nostra vita, e ci costringe a confrontarle con il clima culturale che la nostra società ci sta offrendo – oserei dire imponendo – in questi anni. Non occorre essere osservatori particolarmente acuti per verificare lo stato dell’arte del cristianesimo, almeno nel nostro mondo occidentale. Possiamo fare nostre le parole del profeta Daniele, relative agli ebrei in esilio:

Lasciati alle spalle i fasti di una passata grandezza, anche noi abbiamo bisogno di profeti, che ci ricordino non tanto che siamo diventati un popolo numericamente insignificante, questo lo vediamo, quanto che la rinascita può avvenire soltanto nel riconoscimento dei propri peccati, e nel desiderio e nella gioia di una conversione vera ed entusiasta. Questo hanno fatto e fanno i sacerdoti per noi e questo chiediamo loro di continuare a fare.

L’intervento di oggi giunge alla fine di tre giorni di intense riflessioni: non ho la pretesa di aggiungere nulla a quanto detto, semmai di ordinare alcuni pensieri e suggestioni, e tracciare a grandi linee i temi che cercheremo di sviluppare nel corso del nostro anno associativo. Ovviamente molte delle cose che dirò oggi le avrete già sentite in questi tre giorni: questo dovrebbe da una parte alleggerire il mio intervento e dall’altra essere conferma del cammino comune. Per esigenze di ordine e maggiore chiarezza divido il mio intervento in paragrafi, ma risulterà chiaro che vi sono intrecci e collegamenti significativi.

Parlando di verità e di libertà il mondo che cosa ha da offrire? Ratzinger mette in evidenza che “nella coscienza dell’umanità di oggi la libertà appare largamente come il bene più alto”1. In apparenza il valore della libertà non solo è universalmente riconosciuto, ma, almeno nel mondo occidentale,

gli uomini tendono a considerarlo come un bene definitivamente conquistato: mancano, è vero, alcune questioni da “risolvere” o perfezionare (eutanasia, aborto, matrimoni egualitari …), per le quali però si ritiene che sia soltanto una questione di tempo.
Il tema della verità gode di minore fortuna e mette in un certo senso a disagio, perché c’è più di un sospetto che chi detiene – o pensa di detenere – la verità la possa imporla ad altri, limitandone conseguentemente la libertà.

Vediamo sinteticamente se le cose stanno così, partendo dal tema della verità, che interpella direttamente il ruolo della ragione.

a) Sfiducia nella ragione

Nonostante i proclami quasi quotidiani e un po’ stucchevoli sulle capacità dell’uomo, sul progresso della scienza e le possibilità della tecnologia, sulle previsioni di un futuro luminoso, mi pare vi sia una vittima certa rimasta sul campo di battaglia dell’attuale dibattito culturale, ed è proprio la ragione. Se l’unica verità affermabile è che non esiste una verità, ma che esistono tante verità quante sono gli uomini, a cosa serve la ragione? Soltanto a “misurare”, quantificare, contare: è una ragione a mezzo servizio, che anche in questi giorni non sta dando un grande spettacolo di sé. Se è vero che questa ragione “scientifica” ci porta alla verità, è mai possibile che gli scienziati – che sono i nuovi sacerdoti di questa religione – si lancino anatemi e scomuniche come i vescovi dei primi secoli, e che non siano mai d’accordo su nulla? È l’estate più calda negli ultimi n-mila anni, oppure no? Domanda semplice, risposta dubbia. Il riscaldamento globale è “colpa” dell’uomo, oppure l’andamento è ciclico ed indipendente dal suo operato? Servono le auto elettriche o no? E il nucleare? Potrei continuare… Facendo un’approssimazione un po’ grossolana: la debolezza del pensiero moderno è stata riassunta e condensata nel termine “relativismo” che è come un virus della ragione (per il quale non esiste vaccino), che ogni tanto riemerge come un torrente carsico. Al liceo l’abbiamo incontrato per la prima volta in Protagora e nel suo “l’uomo è misura di tutte le cose”. Ma a pensarci bene tutto è iniziato con la tentazione di Adamo ed Eva. Da allora è tracciato un bivio di fronte al quale l’uomo fino alla fine dei tempi dovrà fermarsi e decidere da che parte andare: o la verità mi è affidata come un dono e io la devo umilmente ricercare e accogliere, oppure sono io, (io uomo, io società, io società/democrazia) che in qualche la determino e la definisco (da una parte l’adaequatio della scolastica, dall’altra il Cogito di Cartesio).

La debolezza della ragione moderna è testimoniata anche da un altro fatto: lo scollamento che è avvenuto rispetto alla fede, al termine di un lungo processo che affonda le radici già nella tarda

scolastica e che è poi esploso definitivamente con l’illuminismo (questa “nefasta separazione” tra fede e ragione è stata evidenziata e denunciata molto bene da Fides et Ratio: se avremo modo quest’anno approfondiremo il tema, nel 25° anniversario della sua promulgazione). Siamo abituati, nel sentire comune, a mettere la ragione in un cassetto (magari quello più comodo, quello che usiamo più spesso) e la fede in un altro, nascosto, da aprire solo in caso di necessità, o magari quando non c’è nessuno. La fede come fatto privato, che non deve influire sull’ordinario scorrere delle giornate e non deve influire nel dibattito culturale. Ha fatto scalpore il Tweet di un collaboratore di Papa Francesco che scrisse “La teologia non è matematica. 2+2 in teologia può fare 5 perché ha a che fare con Dio e la storia”. Ora, è chiaro che condensare in un Tweet (allora erano ancora di 140 caratteri) un pensiero teologico è molto problematico, e, come spesso accade, una volta lanciato un post nessuno riesce a prevedere quale possa essere il suo corso e quali le sue conseguenze nell’etere. La percezione, alla lettura dei commenti, è che sia stato interpretato nella direzione della possibilità che possano coesistere due verità, diverse e indipendenti: una di fede e una di ragione.

Rispetto a una ragione così debole qual è la reazione dell’uomo moderno?
Siccome Dio è stato nel migliore dei casi ricacciato nel suo cielo, tocca all’uomo rimediare ai suoi errori. Lo fa secondo due prospettive.
Da una parte il riconoscimento dei limiti dell’umana natura porta a volerlo “migliorare”. Si parla letteralmente di “human enhancement” (potenziamento umano) e di “gene editing” (modifica con una tecnica di copia-incolla di parte di un patrimonio genetico considerato malato o perfettibile). Queste tecniche – che per qualcuno rappresentano una splendida possibilità per guarire malattie altrimenti incurabili – sono per altri la porta d’accesso a interventi eugenetici. È questo il motivo di critica di molti centri di Bioetica, non solo di ispirazione cristiana, che finora hanno rallentato o bloccato l’applicazione di queste tecniche. È già stata autorizzata invece la possibilità di una connessione neuronale tra chip e cervello. Non sfugge in questo caso una sorta di delirio di onnipotenza, che percorre tutta la storia dell’uomo, dai progenitori in poi.
Seconda via. Se l’uomo è così imperfetto, le macchine possono rimediare alla sua imperfezione. Gunther Anders, filosofo tedesco, sposato anche se per pochi anni con Hannah Arendt, ha scritto negli anni Cinquanta un libro dal titolo significativo: L’uomo è antiquato. Egli riflette sulla condizione dell’anima umana in rapporto alle macchine al tempo della seconda rivoluzione industriale. Mi ha colpito quando l’ho letto, perché è vero che parla di macchinari che nulla hanno a che vedere con la potenza delle moderne tecnologie, ma appunto per questo la posizione dell’uomo oggi appare se possibile ancor più drammatica. Tra i fondatori del movimento anti-nucleare, egli sostiene (io

sospendo il giudizio ma l’idea mi sembra quanto meno da tenere in considerazione) che “la critica della tecnica sia diventata ormai una questione di coraggio civile”2.
Egli parla di “vergogna” dell’uomo, una vergogna che deriva dal profondo senso di subalternità che egli patisce nei confronti delle macchine. Proviamo a tenere sullo sfondo i progressi della tecnologia moderna (AI in particolare) e leggiamo cosa scrive: “il nostro corpo di oggi è quello di ieri, ancora oggi il corpo dei nostri genitori, ancora oggi il corpo dei nostri antenati; il corpo del costruttore di razzi non è praticamente diverso da quello del troglodita. È morfologicamente costante; nel linguaggio della morale: non-libero, refrattario e ottuso; dal punto di vista delle macchine: conservativo, non-progressivo, antiquato, non-modificabile, un peso morto nell’ascesa delle macchine … Egli, la creatura viva, è rigido e mancante di libertà; le «cose morte» invece sono dinamiche e libere; perché egli, in quanto prodotto della natura, nato da donna, corpo, è troppo dichiaratamente determinato per poter partecipare ai cambiamenti del mondo dei suoi prodotti, che varia ogni giorno ed è privo di qualsiasi autodeterminazione”3. L’accusa implicita è, ancora una volta: se Dio ha creato un l’uomo imperfetto allora non è Dio, quindi abbiamo bisogno di un altro dio. Scrive infatti: “l’uomo odierno non prende nemmeno in considerazione la possibilità di rassegnarsi una volta per sempre alla propria inferiorità e arretratezza e di accettare l’ottusità del proprio corpo. Dunque deve intraprendere qualche cosa. Il suo sogno, va da sé, sarebbe di diventare uguale alle sue divinità: agli apparecchi, o meglio di essere compartecipe – in certo modo consustanziale – della loro natura”4. E ancora: “l’operazione di addestramento del lavoratore, consiste nel fare di sé stesso un organo della macchina, nel lasciarsi incorporare nell’andatura della macchina”5. Il massimo della vergogna, quasi dello scandalo, è quando l’uomo commette un errore, per la sua inettitudine interrompe la catena e la macchina è costretta a fermarsi.

b) Illusione della libertà

Papa Francesco nella catechesi – bellissima – sulla lettera ai Galati ha detto: “La libertà è un tesoro che si apprezza soltanto quando la si perde. Per molti di noi, abituati a vivere nella libertà, spesso appare più come un diritto acquisito che come un dono e un’eredità da custodire. Quanti fraintendimenti intorno al tema della libertà, e quante visioni differenti si sono scontrate nel corso dei secoli” (6 ottobre 2021).

Credo sia giusto chiedersi: è vero che ci siamo abituati a vivere nella libertà, o non piuttosto a forme più sottili di schiavitù?
Apparentemente, sembra si sia realizzato il sogno di libertà di Marx: “fare oggi questo, domani quello, al mattino andare a caccia, al pomeriggio a pescare, a sera dedicarsi all’allevamento del bestiame, dopo la cena discutere di quanto al momento avrò voglia”. È una citazione riportata da J. Ratzinger, che così continua: “la mentalità media irriflessa intende con libertà il diritto e la possibilità di fare tutto ciò che si desidera in un determinato momento e di non dover fare quello che non si vuole”6. In questa prospettiva ogni norma eteronoma, ogni tipo di decalogo è una limitazione alla propria libertà e alla propria realizzazione, ma anche ogni legame umano è da considerare “a rischio” nella misura in cui limita il mio ben-essere personale.

Quindi la prima questione: è questa un’idea corretta di libertà?
Ma ne segue immediatamente un’altra altrettanto importante. Ammesso che sia questa un’idea valida di libertà, l’uomo moderno è davvero libero in questo modo oppure è soggetto a qualche subdola schiavitù? Proverei a verificarlo in due prospettive, strettamente collegate tra loro: la tecnologia dell’informazione e l’informazione di massa.
Alla fine del 1700 Jeremy Bentham ideò una prigione ideale chiamata Panopticon, una costruzione composta da una colonna centrale (nella quale stazionava il guardiano) e da una costruzione circolare nella quale sono disposte le celle dei prigionieri, separate da spessi muri, con due finestre: una verso l’esterno per prendere luce e una verso il guardiano. I prigionieri non possono comunicare tra loro, nemmeno guardarsi, e quindi non possono ad es. progettare insieme una rivolta. È sufficiente un solo guardiano per controllare tutti. Il primo tentativo di realizzazione fallì (o forse dimostrò tutta la sua efficacia…) in quanto i detenuti svilupparono malattie mentali: schizofrenia e dissociazione mentale. Opportunamente adattato l’esperimento proseguì, ad es. Bentham lo applicò agli operai della sua fabbrica. Ancora oggi, se pensiamo alla postazione di certi call center e alla disposizione di certi uffici ritroviamo in filigrana qualcosa dell’idea originaria. Ma c’è di più. Zygmunt Bauman ha scritto un libro a quattro mani con David Lyon, esperto di sicurezza, dal titolo “Sesto Potere” (che è il potere della sorveglianza). A partire dall’11 settembre 2001 è aumentata esponenzialmente la richiesta e l’offerta di sicurezza, per i singoli, per le società, per gli stati. Una prima considerazione, amara, è che tale processo ha provocato una progressiva erosione della privacy, senza un guadagno concreto in termini di sicurezza, almeno di quella percepita, tanto che egli stesso afferma: “Siamo più protetti dall’insicurezza di qualsiasi generazione passata; ma nessuna generazione pre-elettronica ha mai fatto esperienza di un tale senso di insicurezza ogni giorno (e ogni notte)”7. Ai fini di quanto stiamo dicendo è però interessante un’altra sua considerazione.

Il nostro stesso desiderio di sicurezza ci ha portato a fornire, volontariamente, un enorme volume di dati personali nei modi più disparati: social network, acquisti con care di credito, ricerche in internet, mappe on line, ecc. Il mondo dell’economia e del marketing ha partecipato a piene mani a questa fiera dell’informazione. Risultato, sostiene Bauman, siamo noi stessi a costruire il nostro Panopticon virtuale nel quale siamo imprigionati: “L’equipaggiamento necessario per l’assemblaggio del mini- Panopticon fai da te, è reperibile in commercio. Acquistarlo, assemblarlo e farlo funzionare è responsabilità degli aspiranti detenuti”8 i quali, “come le lumache si portano dietro la casa, devono portare sul loro corpo i propri Panopticon personali”9. La visibilità diviene una trappola: una trappola che noi stessi aiutiamo a costruire per sollevare i nostri carcerieri dalla loro fatica. Il dovere di ciascuno, indotto dal database marketing, è di “trasformare sé stessi in una merce vendibile”10, nell’illusione di contare, quando al contrario si è contati, ed attirati a fare sempre nuovi acquisti11: gli uomini diventano “promotori di merci e al tempo stesso le merci che promuovono”12. The Social Dilemma lo ha illustrato con una frase fulminante: Se una cosa è gratis, il prodotto sei tu.

Ci chiediamo: siamo veramente liberi di comperare quello che vogliamo? Gunther Anders parla di “costrizione al consumo”13 ed evidenzia non senza ironia che non è un grande indice di libertà chiamare certi prodotti di consumo “musts”, ossia merci d’obbligo. Siamo veramente liberi di andare dove davvero desideriamo, di mangiare e bere ciò che ci piace, di leggere quello che ci interessa? Siamo davvero sicuri – e qui passiamo al secondo grande tema che è quello dell’informazione di massa – di saper selezionare le informazioni e separare il loglio dal grano, la verità dalla finzione? Alcuni psicologi hanno condotto un esperimento. Immaginate una stanza come questa, con tante persone che parlano. A un certo punto una persona esce e prima che rientri ci accordiamo su una cosa non vera, ad esempio sul fatto che quel tendone laggiù non è rosso come lo vediamo ma è giallo. La persona che era uscita rientra, noi continuiamo a parlare e poi io comincio a chiedere il colore del tendone, e voi, d’accordo con me, mi rispondete che è giallo. Prima uno, poi due, poi innumerevoli altri, tra cui anche qualcuno di autorevole e degno di stima. E poi lo chiedo alla persona che era uscita. E questa ha due possibilità: o affermare quella che per lei è una verità evidente, o conformarsi a quanto hanno detto altri. L’esperimento ha mostrato che i 3/4 delle persone si adeguano a quanto pensa la massa. L’esperimento ha tanto più probabilità di successo quanto più io sarò abile a mescolare verità e finzione. Allora: abbiamo delle convinzioni nostre, o indotte?

Non è che ci troviamo anche noi, come ha descritto Platone, in una caverna oscura (o in Matrix, che riprende questo concetto in chiave moderna), dove non vediamo la realtà per quello che è, ma delle semplici ombre di simulacri che qualche regista oscuro muove alle nostre spalle? E ancora: chi ha questo potere? Baumann afferma che non più gli stati, anzi: “al livello più alto, dello Stato-nazione, la capacità di agire si avvicina ormai pericolosamente all’impotenza, e ciò si deve al fatto che il potere, un tempo avvinto in uno stretto abbraccio alla politica statale, evapora ormai nello “spazio dei flussi”, extraterritoriale e globale”14. Mons. Camisasca ha detto qualcosa di simile in un’intervista di qualche tempo fa parlando di un “totalitarismo culturale-finanziario che oggi sta apparentemente vincendo”. Mi sembra un punto decisivo per i cristiani che si vogliono impegnare o che semplicemente sono appassionati di politica.

La sfiducia nella ragione e la concezione illusoria della libertà incidono pesantemente sulla concezione dell’amore, per cui a me sembra lecito parlare di

c) Corruzione del concetto di amore

Se la verità non mi è data come un dono da riconoscere e accogliere, nemmeno la verità biologica e genetica, se sono io a giudicare chi sono, indipendentemente da chi e dal perché mi ha fatto, allora mi si apre uno sconfinato campo di possibilità in cui posso decidere io che cosa è l’amore, che cosa è la famiglia, che cosa è un figlio e con quali tecniche ottenerlo, o acquistarlo, che cosa è un padre, una madre, quando inizia la vita, quando finisce ecc. Decido io che cosa è un matrimonio e quali sono e quanto durano i legami di cui è composto. Decido io se sono maschio o femmina, e se mi sento nel corpo sbagliato (cioè se Dio mi ha dato un corpo sbagliato) oggi posso correggere Dio. Tanto la sessualità è altro dall’amore. Il motto del recente “RePride” di Reggio Emilia sintetizza molto bene questa corrente di pensiero, che ormai non è più solo una corrente ma un mare intero in movimento: “l’amore non ha sesso”.

Di fronte a tutto questo cosa ci aspetta? Cosa abbiamo da offrire al mondo noi cristiani?

Prima di tutto una certezza, che proviene dalla Scrittura e che può lasciare perplessi noi, come i discepoli che la ascoltarono per la prima volta la vigilia della passione: “Adesso credete? Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo; ma io non solo, perché il Padre è con me. Vi ho detto questo perché abbiate pace con me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!” (Gv 16,31-33). È venuto Colui che, senza saperlo, il genio di Platone aveva profetizzato, Colui che ha voluto liberare gli uomini dalla caverna e per questo è stato ucciso: “la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta” (Gv 1,5) Questa certezza mi offre lo spunto per una considerazione. Sono appena rientrato dal Madagascar, e quindi sono ancora un po’ disorientato dall’esperienza straordinaria che ho vissuto, non ho ancora avuto il tempo di razionalizzare il tutto. Ma una cosa mi sembra corretto affermarla. È vero che è terminata la civiltà cristiana, intesa come quell’insieme di strutture, di clima culturale, di eventi, che armonicamente parlavano all’uomo e lo indirizzavano a Dio. È però iniziata una nuova era, nella quale la Parola di Dio cade sul terreno buono e germoglia oasi di grazia. Ciascuno di noi ne fa esperienza: lo abbiamo visto a Manakara, nella Parrocchia di don Luca, lo abbiamo visto nella Cantine e nella Ferme dove don Simone accoglie bimbi e famiglie, lo abbiamo visto nel villaggio di don Pedro ad Antanarivo, costruito sopra una discarica per salvare i più poveri tra i poveri, nelle Case della carità, nell’ospedale di Ampasimanjeva. E senza andare tanto lontano, lo vediamo nelle nostre parrocchie, lo vediamo nei giovani, nelle famiglie, lo vediamo in tanti movimenti, in tante piccole o gradi realtà che la provvidenza ci fa incontrare ogni giorno, se teniamo aperti gli occhi.

Lui ha già vinto, quella che stiamo vivendo non è la più cupa svolta della storia, ve ne sono state altre e ve ne saranno ancora. “Abbiate coraggio”: è il nostro tempo, sono le nostre sfide, è il momento in cui dar fondo ai talenti che ci sono stati affidati attraverso don Pietro, per la Chiesa e per il mondo. Più passa il tempo, più il suo lascito è attuale.

La Verità ci è data in dono: è una Persona, è allo stesso tempo Parola (Logos) e Verità.
La Rivelazione non solo ci parla di Lui, ma ci comunica Lui. Dobbiamo sempre riscoprire il valore della Parola di Dio, vero antidoto al caotico flusso di informazioni che ogni giorno ci travolge. La Parola di Dio ha bisogno di tempo, di silenzio, di un terreno buono, non possiamo accontentarci di leggere un meme del Vangelo alla mattina e via, come facciamo con tutte le altre notizie.
Anche in queto caso non scopriamo nulla di nuovo, non è che oggi sia più difficile di ieri. Ricordo che il prof. Enrico Medi, grande fisico e astrofisico che tra le altre cose commentò l’allunaggio dell’Apollo 11, eccezionale oratore, una sera durante una conferenza aveva davanti degli studenti universitari. Erano i primi anni della televisione nelle case e lui era molto preoccupato perché la TV li distraeva dallo studio e dalla meditazione. E a un certo punto, quasi urlando – era un marchigiano molto focoso e appassionato – come per sfidarli dice: “forse siete capaci di leggere, o di studiare, per un’ora, ma non siete capaci di prendere una frase del Vangelo e di morirci sopra per un’ora!”. Ciascuno lo faccia a suo modo: lasciare che la Parola di Dio scavi nei cuori. Per farlo abbiamo bisogno di pace, di silenzio, di fermarci, e quindi dobbiamo lottare contro la confusione, il continuo rumore di fondo, l’agitazione permanente. Bernanos, in tempi ben diversi dai nostri, già poteva scrivere: “non si capisce assolutamente niente della civiltà moderna, se non si ammette dapprincipio che essa è una cospirazione universale contro ogni forma di vita interiore”15. Chissà cosa scriverebbe oggi! Ci accostiamo con questo spirito alla Parola con grande umiltà per poterla offrire a chi incontriamo, prima di tutto con la nostra vita, come diceva san Francesco: “Predicate sempre il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole”.

Secondo punto: non ci possiamo rassegnare alla innaturale separazione avvenuta tra fede e ragione. Nei luoghi dove siamo, nelle scuole, al lavoro, coi giovani, coi figli, abbiamo il dovere di mostrare la ragionevolezza della nostra fede, “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15). Potrà essere difficile, sembrerà di lottare coi mulini a vento, ma d’altra parte abbiamo fiducia nelle parole che ci ha lasciato Giovanni Paolo II nella Fides et Ratio: “La fede e la ragione sono come due ali con le quali lo spirito si innalza verso la contemplazione della verità”. Il Papa la chiama “diaconia della verità”, ed è quindi un servizio che va sottratto a ogni tentazione di sopraffazione, di imposizione, di costrizione, perché, come diceva Pascal, “la verità fuori della carità non è Dio” (Pensieri, 342). È un lavoro umile e paziente che ci deve vedere impegnati sia come singoli che come Movimento: mostrare la credibilità della fede da una parte, e ampliare lo spettro di azione dell’intelletto alla luce della Rivelazione. Soprattutto in un ambito che a noi è molto caro, vale a dire quello del matrimonio e della famiglia e della vita.

Infine, ultimo compito, che però è il primo in ordine di importanza e che mi ricollega a quanto detto all’inizio del mio intervento: la nostra conversione. Senza questa, sono soltanto parole. I sacerdoti ne hanno parlato diffusamente nelle loro meditazioni per cui non mi dilungo. Faccio mie alcune riflessioni che ho trovato un piccolo libro di un giovane filosofo francese, Jean de Saint-Cheron, dal titolo Chi crede non è un borghese. Anch’egli parte con una riflessione un po’ amara non tanto sulla situazione della società, quanto sui cristiani stessi: “nel cuore stesso del cristianesimo occidentale si è diffusa una tristezza ancora maggiore, quella di non voler essere santi”16. Cioè egli punta il dito

contro l’imborghesimento dei cristiani, i quali però hanno una grande opportunità perché “la conversione è un lavoro da uomini liberi. Siamo liberi di lasciarci riscattare, di lasciarci resuscitare”17. E gli altri? La sua risposta è fulminante: “I buoni cristiani si fanno con i buoni atei”18. Purtroppo i buoni atei non sono molti, perché anche l’ateismo moderno sembra essersi corrotto in quanto “somiglia sempre meno a un ateismo consapevole o militante, e sempre più a un’anestesia dell’anima”. Vengono in mente le vite di tanti grandi santi convertiti, e viene in mente per contrasto il brano dell’Apocalisse: “poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca” (Ap 3,16).

Se siamo qui è perché il Signore ci ha chiamato, di nuovo, a una conversione che, come ci hanno richiamato i sacerdoti nelle loro meditazioni, è sempre un richiamo di Dio alla nostra vocazione originaria: uomo, diventa ciò che sei! Donna, diventa ciò che sei! Famiglia, comunità diventa ciò che sei! È il suo progetto su di noi che dobbiamo sempre riscoprire e realizzare, non il nostro progetto. È un compito e una Responsabilità: “vivere l’essere come risposta, come risposta a ciò che siamo in verità”19.

Lo spirito dei consigli evangelici ci guidi a scelte coraggiose: povertà, castità e obbedienza non sono una stoica rinuncia alle nostre passioni, ma liberarsi della zavorra per amare di più, Dio nei fratelli e i fratelli in Dio.
Non mi attacco ai beni, perché mi servono per amare di più; non mi attacco alla mia volontà, perché voglio compiere la volontà di Dio; voglio guardare l’altro con sguardo puro, e attraverso l’altro vedere Dio.

Concludo, ma davvero oggi più che mai la conclusione non può che essere un inizio, quasi l’intestazione di un cammino.
Parola (Logos), Verità e Amore sono una Persona, che si comunica a noi. San Paolo lo ha capito bene e si riferisce alla libertà dicendo: sono incatenato, crocifisso alla mia libertà. “non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).

***

1 J. Ratzinger, Libertà e verità, Studi Cattolici, 430, dicembre 2006.

2 G. Anders, L’uomo è antiquato, Bollati Boringhieri, Torino 2022, p. 13. 3 Ibidem, p.40-41.
4 Ibidem, p. 42-43.
5 Ibidem, p. 90.

6 J. Ratzinger, Libertà e verità, Studi Cattolici, 430, dicembre 2006.

7 Z. Bauman, Sesto potere, Laterza, Bari 2014, p. 95. 8 Ibidem, p. 61.
9 Ibidem, p. 46.
10 Ibidem, p. 19.

11 Cfr. Ibidem, p. 41.
12 Ibidem, p. 17.
13 G. Anders, L’uomo è antiquato, p. 12.

7 Z. Bauman, Sesto potere, Laterza, Bari 2014, p. 95. 8 Ibidem, p. 61.
9 Ibidem, p. 46.
10 Ibidem, p. 19.

11 Cfr. Ibidem, p. 41.
12 Ibidem, p. 17.
13 G. Anders, L’uomo è antiquato, p. 12.

14 Z. Bauman, Sesto potere, Laterza, Bari 2014, p. 101.

15 G. Bernanos, La Francia contro i robot, cit. in Jean de Saint-Cheron, Chi crede non è un borghese, LEV, p. 134.
16 Jean de Saint-Cheron, Chi crede non è un borghese, LEV, p. 23. Il riferimento è alla famosa frase di Leon Bloy: “non vi è che una tristezza, quella di non essere santi”.

17 Ibidem p. 43.
18 Ibidem p. 174.
19 Ratzinger, Libertà e verità, Studi Cattolici, 430, dicembre 2006.

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23 commenti

  • Adriana 1 ha detto:

    ” Attraverso la Verità offriamo la libertà “. Ottimo.
    Cominciamo con l’offrirla a Julian Assange.

  • Adriana 1 ha detto:

    Bene…cominciamo con l’offrire ai Cristiani Jean Assange “libero”.

  • cattolico ha detto:

    dono di chi? parola di quale dio? io ne conosco solo uno fatto crocifiggere da ponzio pilato

  • Enrico Nippo ha detto:

    “Papa Francesco nella catechesi – bellissima – sulla lettera ai Galati ha detto: “La libertà è un tesoro che si apprezza soltanto quando la si perde. Per molti di noi, abituati a vivere nella libertà, spesso appare più come un diritto acquisito che come un dono e un’eredità da custodire. Quanti fraintendimenti intorno al tema della libertà, e quante visioni differenti si sono scontrate nel corso dei secoli” (6 ottobre 2021)”.

    Questo passo non mancherà di suscitare le ire di molti puristi. L’eretico, non cattolico e massone Bergoglio autore di una catechesi “bellissima”?

    Scrive ancora Marco Reggiani: “La Verità ci è data in dono … dobbiamo sempre riscoprire il valore della Parola di Dio”: questo è un vero e proprio koan: una Verità che è ognora da riscoprire non è una Verità posseduta ipso facto, ciò dovrebbe indurre ad abbassare le penne e a guardarsi dal tranciare giudizi temerari.

    Infatti, prosegue Reggiani: “la Parola di Dio ha bisogno di tempo, di silenzio, di un terreno buono, non possiamo accontentarci di leggere un meme del Vangelo alla mattina e via, come facciamo con tutte le altre notizie”.

    Insomma, di strada da fare ce n’è tanta, tantissima. La Verità è tutt’altro che acquisita. Quindi si è tutt’altro che liberi.

    Siamo sempre lì: CHI può affermare senza arrossire: ‘Io sono nella Verità’?

    • Riccardo ha detto:

      Il modo migliore per impostare male il discorso, riducendo tutto a chiacchiere. A furia di mettere da parte la verità siamo arrivati ad insegnare ai bambini il transessualismo, e se uno osa fiatare si ritrova contro una mandria che urla all’attacco fascista contro la propria “libertà”. Le libertà si pestano i piedi tra loro, è un dato di fatto, e così crolla la civiltà e ogni possibile cultura.

      Il tutto in nome del ciarlare continuo e infinito su tutto. Anche la libertà è diventata solo una parola a cui ognuno dà il senso che vuole.

    • miserere mei ha detto:

      Caro Enrico,
      non sono certo io a poterlo dire senza arrossire.
      Intendo il dirlo di idee mie.
      Sono peraltro certissimo, graniticamente, non per merito mio e nemmeno per mio sforzo, che il Signore Gesù Cristo è l’unico Salvatore dell’uomo; che è veramente uomo è veramente Dio e che la sua mamma, la beata sempre vergine Maria, da creatura umana è madre di Dio, assunta in cielo in anima e corpo.
      L’unicità di questa rivelazione, necessaria per tutti, è priva di ogni relativismo interpretativo, Verità pura, quanto è pura la Madonna e quanto è La Verità Gesù stesso.
      Ci rivela Dio come Padre e con lo Spirito santo c’è lo rivela Uno e Trino.
      Non sono io ad avere in tasca questa verità, ma è La Verità a tenermi nella sua tasca!
      Tanto basta a illuminare la storia e il tempo in cui mi è dato di viverci su questa terra.
      Conseguenza: chi insegna altrimenti, inclusa la relativizzazione di questi e altri dogmi di fede per ingraziarsi il mondo, non è nel vero, anche se avesse le migliori intenzioni.
      Immagino già la critica: come essere certi che ad esempio una certa linea pastorale, teoricamente in nome di Cristo, non è quella giusta? Come essere certi di non dover obbedire ad un’autorita’ spirituale gerarchicamente superiore?
      Risposta: per grazia. Per grazia sono certissimo di quanto detto sopra, per grazia si tirano certe conclusioni nel caso citato sotto.
      E come porsi con chi la pensa diversamente? Esattamente come dice Gesù circa la correzione fraterna. Se, avvertiti, non ascoltano, prega per loro, amali, ma sappi che sono nell’errore.
      C’è il rischio di prendere solenni cantonate?
      Sì: sempre con la superbia, ma mai con l’umiltà.
      Chi l’ha detto?
      Chi è morto in croce per dire la Verità senza che fosse il mondo a cambiargliela in qualcosa di meno esigente e scomodo.
      Non ha perso? Non è stato vinto?
      È risorto. Solo Lui l’ha fatto. E tornerà. Presto. L’ha detto La Verità.

      • Enrico Nippo ha detto:

        Vorrà perdonare la mia pignoleria.

        Non ho i numeri per mettere in dubbio quel che lei afferma: “per grazia, sono certissimo …”, ma deve concedermi che “per grazia” si può essere “certissimi” anche di altro. Voglio dire che la grazia è un mistero, e nessuno fra gli umani può pensare di esserne l’esclusivo beneficiario, neanche chi sa a memoria il Catechismo. Anzi!

        Non ho difficoltà a confessare che non so affatto se quel che dico e scrivo è suggerito dalla grazia, per la semplice ragione che lo sa … la grazia.

        La “certezza” è pericolosa. Può generare l’illusione di essere, dopotutto, fra i migliori.

        • miserere mei ha detto:

          Perdoni la franchezza, ma il rischio di essere relativi a se stessi non volendosi abbandonare all’Assoluto è ben peggiore di quello di sentirsi migliori sapendosi chiamati a una comunione da figli… È Dio ad essersi rivelato in Cristo, la grazia è di crederlo senza riserve… altrimenti Gesù potrebbe non essere necessario ma allora entriamo in un altro ambito, che dal mio punto di vista è pericolosissimo. Sfocia in una dittatura, del relativismo. C’è stato chi ci ha avvertito. E c’è chi interpreta l’opposto dell’avvertimento. Ma è tutto compreso nel prezzo (la croce). Nel silenzio lo di può addirittura respirare. Beninteso un silenzio abitato, non il sottovuoto spinto .

          • Enrico Nippo ha detto:

            Le sue stimolanti affermazioni mi … stimolamo a piacevolmente interloquire.

            Quando lei parla della “grazia di credere”, tiene conto che la grazia è un dono di Dio? Di chi non ha questo dono che ne facciamo? Gli tappiamo la bocca e gli prenotiamo l’inferno?

            Lei parla poi del “ rischio di essere relativi a se stessi non volendosi abbandonare all’Assoluto”. Non potrei essere più d’accordo visto che in quanto Matto i miei seppur modesti articoli scaturiscono proprio dalla convinzione che occorra cercare, abbandonandovisi, all’Assoluto.

            Infine, a proposito di “rischi”, mi lasci sottolineare che non esiste una via spirituale “comoda” ed esente da pericoli. Il rischio, materiale e spirituale, accompagna l’uomo giorno e notte per tutta la vita.

            Un cordiale saluto

    • luca antonio ha detto:

      Quell’omelia “bellissima” ?, …mah…la solita brodaglia bergogliana, confusa e indigeribile, mette, come sempre, insieme verità, come questa : ” Il richiamo, dunque, è anzitutto quello di rimanere in Gesù, fonte della verità che ci fa liberi.” , loda i semplici “Quanta gente che non ha studiato, neppure sa leggere e scrivere ma ha capito bene il messaggio di Cristo, ha questa saggezza che li fa liberi. È la saggezza di Cristo che è entrata tramite lo Spirito Santo con il battesimo. “, per poi però concludere che quella Verità mi dovrebbe inquietare (e perchè di grazia ?- ; io sono uno di quegli spiriti semplici e posso testimoniare che aveva ragione sant’Agostino e che il mio cuore non ha avuto pace sino a quando non ha riposato in Lui ), e che quegli spiriti semplici sbagliano poichè “… mai si inquietano: vivono sempre uguali, non c’è movimento nel loro cuore, manca l’inquietudine.”
      Loda l’inquietudine che , ma il Nostro proprio non lo capisce e non lo capirà mai, , è nemica assoluta della contemplazione, unico contatto autentico con Dio che ci è concesso in questa vita.
      Omelia anfibologica, capziosa, contraddittoria, come quasi tutto quello che dice;
      l’ossessivo richiamo allo Spirito, qui come in innumerevoli altri interventi, risulta essere sempre funzionale a un lasciarsi furbescamente libere le mani per riorientare il suo pensiero e il suo comportamento verso obiettivi puramente politici.
      Non me ne voglia caro Matto, ma di un papa del genere, nutriente come un sedano, non ho mai saputo cosa farmene.
      Un caro saluto.

      • il Matto ha detto:

        Gentile Luca Antonio,

        veramente “bellissima” non l’ho definita io ma Marco Reggiani. Il mio commento delle 11,56 inizia citando una frase di Reggiani.

        • luca antonio ha detto:

          Ha ragione, avrei dovuto rispondere a Reggiani e non a lei, caro Matto, ma sarebbe stato esporre un parere senza contraddittorio.
          Lei mi è simpatico davvero e una punzecchiatina ogni tanto mi piace dargliela !.
          Vive cordialità .

      • Adriana 1 ha detto:

        Caro Luca Antonio,
        da una statistica dell’anno scorso ( oggi le percentuali saranno ancora più alte ):
        In Italia circa il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni è analfabeta funzionale. Vuol dire che non sa né leggere né scrivere?
        No, vuol dire che si tratta di persone che non sono in possesso delle abilità necessarie a comprendere appieno e ad usare le informazioni quotidiane che abbiamo quotidianamente attorno.
        A livello globale i giovani e gli adulti che possono esser definiti tali sono 775 milioni…
        Fenomeno che si amplifica quando si parla di etica, di morale o di religione.
        Quanto a Bergoglio c’è solo da scegliere: o egli fa parte della allegra brigata degli analfabeti funzionali, oppure ne approfitta perchè è ben conscio della loro insipienza.
        Quanto al funzionamento dell’anima, quale da lui descritta, mi pare sia come quello della pietra Elitropia che fa sì “che ciascun uomo NON sia veduto dove NON è” …e Calandrino ci casca.

        • luca antonio ha detto:

          “Quanto al funzionamento dell’anima, quale da lui descritta, mi pare sia come quello della pietra Elitropia che fa sì “che ciascun uomo NON sia veduto dove NON è” …e Calandrino ci casca.”
          Bellissima Adriana , questa gliela rubo.

  • nuccioviglietti ha detto:

    Ma… no molti bipedi idioti in grado reggere conoscenza verità… e tantomeno apprezzare possesso libertà!…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/

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