Versi sfolgoranti. Il Matto.

31 Agosto 2023 Pubblicato da 19 Commenti

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il nostro Matto offre alla vostra attenzione queste riflessioni sullo slancio verso il sovrannaturale. Buona lettura e condivisione.

§§§

 

VERSI SFOLGORANTI

Cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra.

Paolo

*

Oh, mio amato

Sentiero di Silenzio e Solitudine!

Non vedo davanti a me

che un invischiante orizzonte argilloso.

Ma se guardo sopra di me

vedo un magnetico, ineffabile Cielo puro.

il Matto

 

* * * * *

«C’è chi ama

col moto progredire,

io cerco il passo

che mi porti indietro.

E, quando cada nell’urna

questa polvere,

ritornare allo stato

donde mossi».

Henry Vaughan (1621-1695)

 

* * *

«L’alito primo d’una luce sacra

in me rifulge

come se oggi fosse

il primo grido, la prima giornata

della creazione

che ho dentro le ossa.

E se la carne cade ed è malata

nel mio spirito

ondeggiano forme d’una fiamma

che m’è stata donata

da un cielo acceso».

Girolamo Comi (1890-1968)

 

* * *

Quando dei versi poetici sfolgorano su di te, e con uno sprazzo della Luce da cui irradiano disincagliano la coscienza dal sua ordinarietà elevandola ad uno stato superiore, ti sembra inutile parlarne o scriverne e dilungarsi in commenti. Nessun verso e nessun commento può davvero giungere ad altri che non si trovino sulla tua lunghezza d’onda e che è la stessa di chi ha scritto i versi, ovvero a chi non si trovi sul tuo stesso sentiero, come fratello o sorella del Viaggio di Ritorno. Di fatto, il Momento Illuminante, che in sé non è condizionato da regole prestabilite e può scaturire quando e dove vuole, è di pertinenza squisitamente individuale. Perciò Joseph Conrad coglie nel segno:

 

«No, è impossibile, impossibile comunicare ad altri la sensazione viva di un momento qualsiasi della nostra esistenza, quel che ne costituisce la verità, il significato, la sua sottile e penetrante essenza. È impossibile. Si vive come si sogna: perfettamente soli».

 

Forse non sarà un caso – anzi, non è un caso! – che i versi di Vaughan prima e di Comi poi abbiano scosso estaticamente la mia coscienza nel giro di due giorni consecutivi, consolidando in me la certezza della  validità della Via Apofatica: «cerco il passo che mi porti indietro», scrive Vaughan; «come se oggi fosse il primo grido, la prima giornata della creazione», scrive Comi. In effetti l’Apofasi –  o Via negativa – è un percorso di purificazione, una conversione a U per regredire dal tempo e dallo spazio con i loro onirici contenuti complicanti e confusionari, verso l’Attimo della Creazione e forse addirittura oltre. Ovvero: un emanciparsi dalle complicazioni – inestricabili – del relativo per lasciarsi cogliere dalla semplicità dell’Assoluto. Dalle parole al Silenzio. Dall’agitazione alla Contemplazione. Dai molti all’Uno. «Ut unum sint».

 

«La via negativa della conoscenza di Dio è un procedimento ascendente del pensiero che elimina progressivamente dall’oggetto che vuole raggiungere ogni attribuzione positiva per arrivare, alla fine, a una specie di afferramento per suprema ignoranza di colui che non potrebbe essere un oggetto di conoscenza. Si può dire che è un’esperienza intellettuale di scacco del pensiero davanti all’al di là del concepibile. Di fatto la coscienza dello scacco dell’intelletto umano costituisce un elemento comune a tutto quel che possiamo chiamare apofasi o teologia negativa, sia che essa resti nei limiti dell’intellezione, constatando semplicemente l’inadeguatezza radicale tra il nostro pensiero e la realtà che vuole raggiungere, sia che voglia superare i limiti dell’intelletto, prestando all’ignoranza di ciò che Dio è nella sua natura inaccessibile il valore di una conoscenza mistica superiore all’intelletto, hyper noun» (Vladimir Lossky).

 

Ossia: «So che tutto ciò che so non è Dio, e che tutto ciò che io posso concepire non ha con Lui somiglianza» (Nicola Cusano).

Insomma, per fruire di un verso dantesco, l’Apofasi rende il Viandante «puro e disposto a salire le stelle». E mentre sale, lasciando in basso ogni zavorra mentale, sprazzi di Luce gli indicano la giusta direzione. E, a proposito di stelle, mi capitano davanti – non “per caso” – le parole di Oscar Wilde:

 

«Siamo tutti nati nel fango, ma alcuni di noi guardano verso le stelle».

 

E come non notare la corrispondenza fra «quando cade nell’urna questa polvere» del poeta gallese e «se la carne cade ed è malata» del poeta salentino? Non indicano forse l’emanciparsi definitivo, da parte della coscienza, della contingente e precaria terrestrità per assurgere alle «cose di lassù, che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo»? Eh sì, Paolo ci riferisce di una conoscenza superiore che non è a portata d’uomo e a cui il Libro sacro e le schiere dei suoi commentatori non possono che alludere.

 

A  questo punto lascio sfavillare altri versi dei due Nostri per chi, almeno in potenza, è sintonizzato sulla stessa lunghezza d’onda. Un’onda il cui lucente fluttuare costituisce la Corrente Verticale che libera la coscienza dalle orizzontali, agitate e invischianti onde terragne da cui “normalmente” ci si fa cullare e … travolgere.

 

«Il tempo non passa: traspare

in inni d’eterna semenza,

nei corpi e nell’iride densa

d’ogni stagione solare».

Comi

 

«Dicono che in Dio

sia oscurità profonda

che abbaglia, ma

gli uomini quaggiù

dicono che è tardi,

che il buio esiste

quando non si vede

con chiarezza.

Oh, cosa farei

per quella notte!

Dove io in Lui

potrei vivere

invisibile e inerme!».

Vaughan

 

«Satura d’una grazie solitaria

è la memoria d’ogni carne,

nessuna morte potrà mai disfarne

la persuasione originaria.

Ogni corpo, benché ospiti un dramma,

sa le sue forze e il suo destino,

come se l’ansia d’un insonne fiamma

ne sussidiasse il sacro ritorno».

Comi

 

Concludo con il consueto e per me irresisitibile riferimento filonipponico citando l’incipit di Icaro, una splendida composizione di Mishima, dal sapore decisamente mistico, ispirata dall’esperienza del volo con l’aereo supersonico F-104.

 

«Appartengo, fin dal principio, al cielo?

Se non v’appartengo, perché

mi ha fissato così, per un attimo,

con il suo sguardo infinitamente azzurro,

e mi ha attirato lassù, con la mia mente,

in alto, sempre più in alto,

e senza tregua mi seduce e mi trascina

verso altezze remote all’umano?

L’equilibrio severamente studiato,

il volo razionalmente calcolato,

nessuna anomalia sarebbe possibile;

perché dunque la brama di salire nel cielo

è così simile, in sé, alla follia?

Niente mi può appagare,

subito mi tedia qualsiasi novità terrestre.

Più in alto, più in alto, instabilmente

vengo trascinato sempre più vicino

al fulgore del sole».

 

Il magnetismo dell’infinito azzurro e del fulgore del sole: simboli possenti delle «cose di lassù» che, lucidamente intuisco, si trovano al compimento del percorso apofatico, laddove la mia ignoranza sarà perfetta e potrò ritrovare l’immortale Me nell’Eterno Sé.

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19 commenti

  • Adriana 1 ha detto:

    Domoarigato dozai masu.

  • MARIO ha detto:

    A proposito di “Sentieri di Silenzio e Solitudine…”
    probabilmente la Mongolia è preferibile al Giappone (ahimè)…
    seguendo l’intuito profetico di Papa Francesco:
    “La Mongolia… Credo che ci farà bene capire questo silenzio, così lungo, così grande.
    Ci aiuterà capire cosa significa, ma non intellettualmente: capirlo con i sensi.
    La Mongolia si capisce con i sensi.”
    Ciao.

    • il Matto ha detto:

      Ah … ma allora ci sei, dietro le quinte! 😊

      Per mio limite non capisco il nesso tra quanto ho esposto nel mio articolo e l’intuito profetico di Papa Francesco.

      Un saluto anche a te.

  • il Matto ha detto:

    A proposito di “cuore”, mi capita “per caso” quanto, sfolgorando, dice il patriarca zen Dogen:

    “La luna si riflette nell’acqua limpida del mio cuore.
    Anche le onde si calmano e tutto splende”.

    Mattamente, ce lo vedo proprio il Cristo che calma la tempesta, dato il Suo sommamente limpido Cuore!

    • stefano raimondo ha detto:

      E inoltre, non dimentichiamolo, il cuore rappresenta anche la frequenza, la regolarità.

      La periodicità, scandita da flussi e riflussi, sta all’opposto della monotonia tecnica. Il battito del cuore è contrapposto al ritmo del motore, la macchina è contrapposta alla poesia. (Jünger – Avvicinamenti)

  • Adriana 1 ha detto:

    no

  • il Matto ha detto:

    Preciso che nulla mi è più estraneo del dio dei filosofi come anche dei teologi. Sono entrambe divinità pensate e parlate, con tutti i limiti del pensiero e delle parole.

    Col Silenzio, che è semplice, si va oltre ogni filosofia e teologia le quali, esprimendosi in parole, si espandono in complicazione. Le parole disintegrano e complicano lo Spirito che è semplice, forse soltanto Luce e Suono.

    Chiaro che ciò risulta inconcepibile a chi (lo dico in senso lato) è abituato ad “appoggiarsi” continuamente al pensiero e alle parole.

    Non è la Verità ad essere nel pensiero e nelle parole, bensì sono il pensiero e le parole ad essere nella Verità, e ciò perché la Verità è “In Principio”, quindi infinitamente prima del pensiero e delle parole che la esprimono come possono.

    La Verità-in-Sé alberga nel Silenzio Primordiale nel quale il pensiero e le parole mai possono penetrare.

    Ovviamente parlo della mia personalissima esperienza, che non è l’unica possibile.

    Grazie per il contributo.

  • Adriana 1 ha detto:

    Ecco…stavo per aggiungere, io , i versi abbaglianti dell’
    ” Icaro ”
    di Mishima, ma mi avevi preceduto…
    Molte cose sarebbero da dire su questo argomento che è quello principale, unico, di vita e morte, di vita ed eternità…ed alcuni dubbi.
    Per esempio: come si può conciliare l’atteggiamento apofatico con la morale evangelica espressa nella parabola dei talenti?;
    Siamo certi che la Divinità “apprezzi” uno spirito che abbia fatto della propria mente una ” siliqua intatta “? Un vuoto apparentemente contrario alla natura umana come creata dalla medesima Divinità ?;
    Quel cielo che ti guarda dentro senza una tua possibilità di scampo, non ricorda forse “l’abisso chiama l’abisso “, interpretato però in senso minaccioso?;
    Il ritrarsi della mente e della logica umana non risulta ,
    alla fine dei conti, un atto di superbia in quanto orgoglioso tentativo di imitare lo ” Tzim tzum “, i “ritrarsi” di un Dio creatore?
    ” Ah, sì, che Tu sei terribile…” (Manzoni, Inni sacri, ” Il Natale “, non a caso incompiuto ).
    Anche l’uomo deve farsi “terribile” come la Divinità?
    Per il momento…sufficit.

    • il Matto ha detto:

      Ma Chère,

      i tuoi interventi sono sempre poderosi e mi inducono a dilungarmi … complicando la faccenda, come ho già scritto al gentile Miserere Mei.

      Per essere il più sintetico possibile: hai presente l’alchemico “solve et coagula”? Ecco l’apofasi corrisponde al “solve”, cui segue il “coagula” cioè il ritorno non solo alla mente e alla logica ma anche al fare che la vita terrena presenta (attimo per attimo). Quindi nessuna fuga dal mondo, anzi, ritorno nel mondo con energia rinnovata ed intenti volti al bene.

      Anche nell’apofasi hanno parte i talenti, tanto in “ascesa” (“solve”) quanto dopo essere “ridiscesi” (“coagula”). Mica siamo tutti uguali. Ognuno profonde la forza (i talenti) che ha e che deve far fruttare.

      Un altro accostamento: il “solve” concerne la Contemplazione, il “coagula” corrisponde all’Azione.

      Si tratta di due “componenti” complementari, ossia distinti ma inseparabili.

      Ma poi, occorre davvero insistere sull’importanza della Pratica del Silenzio quale cura allopatica della confusione, al chiasso, al caos che impesta il mondo? Mi sembra di parlare dell’acqua calda!

      Non voglio fare l’orientalista, ma qui in occidente c’è la presunzione di risolvere le faccende esclusivamente pensando e parlando, ciò che è smentito spietatamente dal casino planetario che impazza.

      E poi, non lo vedi che persino coloro che professano la stessa fede sono divisi in fazioni e si accapigliano tra di loro?

      • Adriana 1 ha detto:

        “pensando e parlando”…solo parlando…
        In conclusione: un Dio creatore c’è. Lui conosce noi, noi non conosciamo Lui ma speriamo per il meglio.
        E’ così?

  • il Matto ha detto:

    Preciso che nulla mi è più estraneo del dio dei filosofi ma anche dei teologi. Sono entrambe divinità pensate e e parlate.

    Col Silenzio si va oltre ogni filosofia e teologia che, inevitabilmente, sono espresse in parole.

    Ciò può apparire inconcepibile a chi (lo dico in senso lato) è abituato a sentirsi vivo in quanto pensa e parla.

    Non è la Verità ad essere nel pensiero e nelle parole, bensì sono il pensiero e le parole ad essere nella Verità.

    E la Verità alberga nel Silenzio Primordiale che il pensiero e le parole mai possono esaurire ed alla quale possono solo alludere.

    Ovviamente parlo della mia personalissima esperienza, che non è l’unica possibile.

    Grazie per il contributo.

  • stefano raimondo ha detto:

    Grazie Matto, i tuoi scritti come al solito mi risultano preziosi (non conoscevo Comi). Proprio in questo periodo affronto certe tematiche, anche per motivi “esistenziali”, ma cerco di farlo usando il cuore e non la mente: il Silenzio, a tale scopo, è strumento prezioso. Mai dimenticare che l’inesprimibile costituisce l’essenza di ciò che cerchiamo istintivamente, anche se un po’ confusamente; siamo inspiegabilmente attratti da qualcosa che ci porta all’elevazione. Occorre imparare a non voler capire, desistere dalla comprensione razionale, dobbiamo abituarci a sentire, semplicemente (ciò non significa abbandonarsi alla mera istintualità).

    Due giorni fa don Pablo (ICRSS) durante l’omelia ci diceva che La Verità di Cristo è semplice, e non va capita, dobbiamo aprire il cuore. Accennava proprio al Silenzio come condizione imprescindibile per una vera spiritualità (ovviamente ricordava che la stessa omelia significa poco e che il nucleo intuitivo della Messa è rappresentato dall’eucaristia).

    È proprio il caso di dire: beata ignoranza!

    • il Matto ha detto:

      Ciao e ben trovato!

      “Dobbiamo aprire il cuore”.

      Hai tirato in ballo una parola meravigliosa: “cuore”.

      E infatti Gesù dice: “Là dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore”. Non dice “cervello” ma “cuore”. Evidentemente i tesori cerebro-intellettuali Gli interessano assai di meno.

      Tra l’altro l’iconografia ci mostra il Sacro Cuore di Gesù e non il suo pur Sacro Cervello!

      Sennonché, i tesori cerebro-intellettuali , il sapere questo e quello, possono invadere il cuore e diventarne il tesoro, per giunta mescolandosi con altri tesori passionali impuri, con ciò la frittata essendo fatta.

      Ecco perché con il raccoglimento silenzioso si svuota la testa e così può alleggerirsi il cuore che può volgersi, super-cerebralmente, al Tesoro di “lassù”.

  • miserere mei ha detto:

    Il me e il sé (ma anche il te e pure il the) sono inscritti nella creatura.
    Applicati a Dio corrono il rischio di farne un “dio dei filosofi”. In questo senso la tensione all’oltre può assumere forme molto differenti e non necessariamente alternative.
    Se rimane agganciata ai sensi questa tensione può scivolare nel mondo, mentre se si svaluta la corporeità si scivola in un idealismo e in un sapere gnosticheggiante.
    La forza e la diversità del Dio cristiano, rivelato in Gesù Cristo, il Verbo fatto carne è di riuscire ad evitare tutte queste trappole, facendo della fede soprattutto una messa in pratica, che passa dalle opere senza fare a meno del corpo.
    Altrimenti cresceremo dei “cristiani gnostici” o dei “credenti general generici”, non genuinamente cristiani.

    La fede del cristiano non è un intellettualismo astratto e le cose di lassù non sono un empireo che raduna ogni desiderio di cielo e di eterno: la croce è carne e sangue!

    Se nulla della terra può appagare la sete di cielo, tuttavia il cielo del cristiano non è affatto disincarnato.
    Cristo è perciò unico e necessario. L’ascesi richiesta non è l’idea della fatica, ma il faticare, sudando e piangendo, ma anche il provare gioia e beatitudine.
    E’ un desiderio di acqua viva che viene appagato bevendola e desiderando berne ancora, da una fonte che non si secca mai.

    Nel mondo delle idee è facile finire a ragionare come il mondo, trovando spunti ugualmente validi per farlo.
    Quando c’è di mezzo un agire bisogna dirsi dei si e dei no, ci vogliono le taglie giuste e non le mezze misure.

    Al momento di incontrare veramente il Cielo ci sentiremo dire: conosco le tue opere (non solo le tue idee).

    Il riconoscersi ignoranti può essere umiltà se non diventa confusione… ma per non dire cose davvero sbagliate su Dio è bene stare a ciò che ci ha rivelato il Cristo, che sulla terra ci è venuto e non è scappato.

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