Gian Pietro Caliari. L’Amicizia, e l’Esperimento Sociale che ci Hanno Imposto.

28 Febbraio 2022 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, Gian Pietro Caliari ci offre questa riflessione pronunciata ieri all’incontro con le Famiglie, sulla reale amicizia, e sul volto reale di ciò che abbiamo vissuto in questi due anni, e che stiamo ancora vivendo in termini di oppressione e menzogna istituzionalizzata. Buona lettura, e riflessione.

§§§

 

Eno di Brescia (Valsabbia)

Domenica 27 febbraio 2022

Incontro con le Famiglie

 

Confitebor tibi, quia mirabiliter plasmatus sum;

mirabilia opera tua, et anima mea cognoscit nimis.

 

Riflessione di Gian Pietro Caliari

         Care Mamme e Cari Papà,

         Carissimi amici, socii et comites!

“In quid amicum paras?”, si chiedeva Seneca scrivendo a Lucillo: “A che ti serve un amico?”

         E così argomentava il saggio filosofo latino: “Chi bada esclusivamente al proprio interesse e per questo si impegna in unamicizia, sbaglia di grosso. Finirà come ha cominciato.

         Chi è stato preso come amico soltanto per tornaconto, sarà gradito finché sarà utile. […] Il principio e la fine saranno inevitabilmente coerenti: chi ha cominciato a essere amico, perché gli conviene, cesserà anche di esserlo perché pure gli conviene” (Littera ad Lucillum I, 9).

         Sì, non si è amici per interesse e tornaconto, per qualcosa che può iniziare ma che senz’altro finirà, quando l’uno o l’altro verranno meno!

         E, allora? “Qui amicus vere esse potest?”, si chiedeva ancor prima Cicerone: “Chi può essere veramente amico?”

         La sua risposta, per quanto sintetica, ci appare, tuttavia, oltremodo attuale per la sua estrema saggezza e per la sua concretissima attualità: “hoc primum sentio, nisi in bonis amicitiam esse non potest”: “questo innanzitutto credo, che lamicizia non vi può essere se non tra i buoni”.

         L’amicizia, infatti, continua Cicerone: “non è niente altro che un accordo su tutte le cose, divine ed umane, con benevolenza ed affetto; di questa amicizia certo non so se, eccettuata la sapienza, sia stato dato nulla di meglio all’uomo da parte degli dei immortali” (Lelius De Amicitia, 18).

         Care Mamme e cari Papà,

ancora una volta ci troviamo insieme per testimoniare ma anche, e soprattutto, per sostenere e condividere quel dono dell’amicizia che unisce i vostri amati figli.

         Sì, amici, socii et comites – come non manchiamo di ripetere ormai da cinque anni – perché ricerchiamo e viviamo un’amicizia che non sia la mera conoscenza o, persino, calcolato opportunismo o tornaconto.

         Di questo tipo di, cosiddetta, amicizia per opportunismo o per tornaconto ne è pieno il mondo di chi si bea del semplice compiacimento sociale.

         Di questa cosiddetta amicizia ne è zeppa la rete dei social dove regna l’impero dei like e dei dislike o della nuova e assoluta censura – in nome di un presunto bene comune che è poi solo quello esclusivo dei magnati dei media.

 Di questa cosiddetta amicizia ne è ricolmo il mondo della politica e delle élite sociali e mediatiche, dove imperano l’opportunismo e il tornaconto.

    Questa cosiddetta amicizia iper-dialongante e ipocritamente misericordiosa  abbonda persino – ahinoi! – nella Santa Chiesa  dove le vanità del carrierismo, compiacente col pensiero corrente e dominante, hanno preso il posto dell’umile  e fedele sequela di Cristo, il solo che si è proclamato “mite e umile di cuore” (Matteo 11, 29).

         La vera amicizia, al contrario, ha un fine e obbiettivi comuni e condivisi: quest’amicizia, in verità, rende l’amicus, anche e prima di tutto, socius!

    Un’amicizia esigente, forte e coraggiosa, che non teme di “condividere” e, dunque, anche di rendere gli amici, infine, comites!

         Sì: “hoc primum sentio, nisi in bonis amicitiam esse non potest!”.

         Questo innanzitutto credo, questo mi sento di ribadire, con convinzione e con forza: che lamicizia non vi può essere se non tra i buoni!

         “Lamo­re, infatti,  col quale uno ama se stesso è forma e ra­dice dellamicizia: abbiamo amicizia per gli altri in quanto ci comportiamo con loro come verso noi stessi” (San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 24, a. 4).

         E, tuttavia, non qualsiasi amore si può chiamare amicizia!

         ”Non un amore qualsiasi ma soltanto quello accompagnato dalla benevolenza ha natura di amicizia: quando cioè amiamo uno così da volergli del bene. Anzi, per l’amici­zia non basta neppure la benevolenza ma si richiede lamore scambievole; poiché un amico è amico per lamico. E tale mutua benevolenza è fondata su qualche comunanza” (Ibidem, II-II, q. 23, a. 1).

         Lamicizia si basa, allora, essenzialmente su una benevola comu­nione e condivisione.

         L’amicizia – direbbe ancora Cicerone – è accordo su tutte le cose divine ed umane, con benevolenza ed affetto.

         Sì, l’amicizia è quel dono – forse solo superato dalla sapienza – per il quale ogni giorno l’amico dice all’amico: “Volo ut sis!” – voglio che Tu sia; e non “Volo ut sim”, voglio che Io sia!

         L’inimicizia, al contrario, è quell’aberrante egolatria e quel distruttivo egotismo, che ogni giorno si ripetono e ricordano all’altro: “Volo ut sim”, voglio che Io sia!

         Sì, in verità, la vera amicizia è, al contrario, quella magnifica concordia del cuore dell’amico col cuore dell’amico –  cor-cordi,  cuore a cuore – che ripete incessantemente e con benevola dolcezza: Volo ut sis!, Voglio che Tu sia! (cfr. Agostino d’Ippona, Confessiones,  VI, 7, 12).

         Di questa amicizia hanno radicalmente bisogno il mondo, la nostra Santa Chiesa di Dio e la nostra amata Patria se vorranno uscire dalla drammatica crisi di civiltà, che da ormai troppi anni si trascina sotto i nostri occhi e i cui esiti ci appaiono sempre più drammaticamente mortali.

         Carissimi amici,

all’inizio di questo incontro abbiamo recitato insieme il Salmo 138.

         In questo Salmo l’autore sacro, nel terzo secolo a. C., contempla con occhio d’avvero profetico e con parole senza dubbio divinamente ispirate il rapporto fra il Creatore e la creatura, fra il Divino e l’umano, fra Dio e l’uomo.

         Al culmine di questa intensa contemplazione, il salmista giunge – come abbiamo letto nel versetto 14 – a una straordinaria constatazione e  si esprime con una incredibile affermazione: “Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda”.

         Sì, di fronte alla radicale domanda di senso che ogni uomo, che ognuno di noi si pone – Chi sono? Che senso ha il mio esistere? Da dove vengo e soprattutto dove vado? – questo pio ebreo del terzo secolo a. C. non ha dubbi: “Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda”.

         Questa affermazione, nel testo originale ebraico, suona ancora più radicale e forse sconvolgente:

אֽוֹדְךָ֗ עַ֤ל כִּ֥י נוֹרָא֗וֹת נִ֫פְלֵ֥יתִי נִפְלָאִ֥ים

‘ō-wḏ-ḵā  ‘al kî  nō-w-rā-‘ō-wṯ  nip̄-lê-ṯî nip̄-lā-‘îm

         “Ti lodo ancor di più con timore: e meravigliosamente realizzato, meraviglioso io sono!”.

         Ma che poteva sapere a quel tempo – 2.300 anni fa!  – della meraviglia, meravigliosamente realizzata, che è l’uomo?

         Quest’uomo di 2.300 anni fa, sperso in un territorio per lo più desertico, poteva forse solo volgere lo sguardo in alto e contemplare la meraviglia di un cielo stellato o di una notte di luna piena.

         Affascinato dal cielo notturno, egli allora non poteva tuttavia sapere – come oggi sappiamo –  che sopra le nostre teste il cielo è abitato da un miliardo e ottocentoundici milioni, settecentonovemila settecentosettantuno – quasi due miliardi, dunque – di stelle e corpi celesti.

                 Egli neppure poteva sapere – come la ricerca biologica della seconda metà del secolo scorso ci ha permesso di conoscere – che un essere umano, dall’iniziale incontro di sole due invisibili cellule, in pochi mesi, diventa un insieme di 65 miliardi di cellule.

         Sì, guardiamoci un momento! Siamo fatti di 65 miliardi di cellule, vale a dire 35,2 volte in più del numero dei corpi celesti, che ruotano e si muovono sopra la nostra testa.

         Sappiamo oggi, e non lo sapeva certamente l’autore del Salmo, che ognuna di queste 65 miliardi di cellule contiene un DNA, che se dispiegato in lunghezza, misurerebbe 2 metri e che ognuno di questi due metri contiene una sequenza di 3 miliardi di nucleotidi.

          Se stendessimo, poi, l’intero DNA di ogni singolo individuo umano avremmo una sequenza pari a 130 miliardi di chilometri, vale a dire di 900 volte la distanza fra la terra e il sole.

        Il Salmista – a differenza nostra – non sapeva neppure che all’interno di ogni cellula esiste poi un minuscolo mitocondrio dalla lunghezza di 1,4 micrometri composto da due cellule e dotato a sua volta di un suo DNA – il genoma mitocondriale – che contiene 16.569 coppie di basi e possiede 37 geni codificanti e 13 proteine che fanno parte dei complessi enzimatici deputati alla fosforilazione ossidativa.

         Eppure, senza questa apparente minuscola componente – di sola origine femminile – l’intera cellula perirebbe immediatamente, perché il mitocondrio presiede a due funzioni vitali: trasformare il cibo in energia e fornire ossigeno alla cellula.

         Questa meraviglia, è descritta dal salmista – come leggiamo nel successivo versetto 15 – come “formata nel segreto, intessuta nelle profondità della terra”.

        Per meglio comprendere questo versetto, ancora una volta ci viene in aiuto il testo originale:

לֹא־נִכְחַ֥ד עָצְמִ֗י מִ֫מֶּ֥ךָּ אֲשֶׁר־עֻשֵּׂ֥יתִי בַסֵּ֑תֶר רֻ֝קַּ֗מְתִּיבְּֽתַחְתִּיּ֥וֹת אָֽרֶץ׃

 

lo-niḵ-ḥaḏ ‘ā-ṣə-mî, mim-me-kā ‘ă-šer-‘uś-śê-ṯî ḇas-sê-ṯer; ruq-qam-tî, bə-ṯaḥ-tî-yō-wṯ  ‘ā-reṣ.

         “Non era nascosta la mia cornice da te quando sono stato plasmato in segreto e abilmente ricamato nelle parti più basse della terra”.

         È questo l’unico passo della Bibbia che fa esplicito riferimento alla formazione della vita umana nel grembo materno: “nelle parti più basse della terra”, secondo il linguaggio biblico indica il ventre materno, e qui troviamo due simbologie potenti nel verbo originale ebraico.

         Quello del vasaio e dello scultore “che plasma in segreto”, così come quando all’inizio della creazione,  “Dio plasmò luomo con polvere del suolo” (Genesi 2, 7).

       C’è, poi, il simbolo del “tessitore” che crea l’uomo “abilmente ricamando”, e che evoca la delicatezza della pelle, della carne, dei nervi “ricamati” sullo scheletro osseo del nascituro.

                          Meraviglia, sì!,  È questa vita, che nel segreto del ventre materno – oggi sappiamo – in solo tre mesi misura circa 7 centimetri e pesa 73 grammi ma è già formata da miliardi di cellule, e che poi nei mesi restanti inverte drammaticamente il ritmo di crescita per “ricamare lo scheletro osseo” di vene, nervi, tessuti molli, capelli e ciglia.

         L’uomo, ogni nuovo uomo, è opera del vasaio e dello scultore dei primi novanta giorni, e poi del ricamatore nei restanti mesi, come afferma il salmista.

         Tant’è che, se il feto crescesse in peso e non in perfezione, allo stesso ritmo dei primi novanta giorni, al momento del parto peserebbe ben 1.360 chilogrammi.

         Non sapendo tutto questo, come – ci chiediamo oggi – poteva quell’oscuro personaggio di 2.300 anni fa dire di sé:

אֽוֹדְךָ֗ עַ֤ל כִּ֥י נוֹרָא֗וֹת נִ֫פְלֵ֥יתִי נִפְלָאִ֥ים

‘ō-wḏ-ḵā  ‘al kî  nō-w-rā-‘ō-wṯ  nip̄-lê-ṯî nip̄-lā-‘îm

“Ti lodo ancor di più con timore: e meravigliosamente realizzato, meraviglioso io sono!”?

         Egli pur all’oscuro di tante nozioni della scienza moderna aveva due certezze che superano ogni umana conoscenza.

        Egli sapeva che la vita umana – ogni vita umana! – non è un viaggio iniziato da un’ignoto punto di partenza e diretto a un capolinea sconosciuto.

        Egli percepiva che la vita umana e il suo eterno destino non erano quelli di un pacco abbandonato su un treno notturno che corre nella notte verso l’ignoto!

                 Come abbiamo letto: “Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti. Se prendo le ali dell’aurora per abitare all’estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra.” (Salmo 138, 7-11).

         Sì, proprio questo distingue l’uomo dagli animali: il suo pensiero!

         Sì, la sua infinità capacità di “pensare Dio”, questo distingue luomo dagli animali!

         “Non è la scienza a operare lenorme salto tra gli uomini e gli altri primati, ma la visione religiosa del mondo” (Benedetto XVI, Discorso, Università di Regensburg, 12 settembre 2006).

.

         L’uomo è sì homo faber, uomo che fa; è sì homo sapiens, uomo che apprende; ma luomo non può che essere, per essere uomo, prima di tutto e innanzi tutto un homo religiosus.

         Non è il cervello che rende grande l’uomo – anche gli altri primati lo hanno – ma il pensiero.

         È il pensiero che lo porta a comprendere la realtà del mondo, a comprendere lambiente in cui vive e a comprendere i comportamenti degli altri soggetti.

         È il pensiero, ancora una volta, che lo rende capace di Dio, perché “luomo porta in sé una sete di infinito, una nostalgia di eternità, una ricerca di bellezza, un desiderio di amore, un bisogno di luce e di verità, che lo spingono verso lAssoluto; luomo porta in sé il desiderio di Dio” (Benedetto XVI, Udienza Generale, 11 maggio 2011).

         Per questo credere fa conoscere, e conoscere fa credere, come magnificamente ha sintetizzato Sant’Agostino d’Ippona nel suo: “Credo ut intellegam, intelletto ut credam”.

         E quando il pensiero dell’uomo, giunge insieme a comprende e a credere, e diventa preghiera allora – come scriveva il filosofo Ludwig Wittgenstein – l’uomo scopre che il senso del mondo è fuori del mondo”.

         È nella preghiera, poi, aggiunge Sant’Agostino, che: Abbracciando Dio che è amore, abbracci Dio per amore” (De Trinitate VIII, 8, 12).

         Sì, il senso del mondo è fuori dal mondo!

         Sì, solo abbracciando Dio che è Amore, abbracci Dio per amore, e scopri il senso del mondo che è amore!

         L’Amore stesso di Dio!

         Sì, perché nell’Amore di Dio e in “Dio che è amore” – Deus Caritas est -, come ci ha detto il salmista in Lui; “nemmeno le tenebre sono oscure, e la notte è chiara come il giorno; in Lui le tenebre sono come luce” (Salmo 138, 12).

         Sì, “Dio è amore; e chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui “ (1 Giovanni 4, 16).

 

         Solo chi dimora in quest’Amore, in verità,  scopre la più vera, la più bella, la più nobile e la più entusiasmante delle amicizie.

         Da questo stesso Amore – che Gesù rivela come il vero volto del Padre – discende la Verità, la Beltà, la Nobiltà e l’Entusiasmo della nostra quotidiana amicizia che è un “Idem velle atque idem nolle” (Sallustio, De coniuratione Catilinae, XX, 4), “volere la stessa cosa e rifiutare la stessa cosa”, il diventare l’uno simile all’altro, che conduce alla comunanza del volere e del pensare.

         E questa pienezza di Amicizia e di Amore si può abbracciare in un solo modo: in ginocchio!

         In ginocchio, come l’atto più coraggioso, nobile e fiero che l’uomo possa fare quando quest’incontro diventa preghiera.

         Carissimi amici,

Alessandro Manzoni, riflettendo a distanza di tempo, sui fatti e misfatti che si svolsero durante la celebre peste di Milano del 1630, scrive nella sua celebre Storia della Colonna Infame: “Ma dalla storia, per quanto possa esser succinta, dun avvenimento complicato, dun gran male fatto senza ragione da uomini a uomini, devono necessariamente potersi ricavare osservazioni più generali, e dunutilità, se non così immediata, tuttavia, non meno reale” (Storia della Colonna Infame, Torino, 2010, p. 20).

         Che cosa, dunque, possiamo noi dire e apprendere d’una qualche utilità, se non così immediata, ma per questo non meno reale, di quanto abbiamo vissuto in questi due ultimi anni?

         Quella che abbiamo vissuto, in realtà, non è stata una crisi sanitaria!

         Non è stata né la peste di Tucidide né quella Antonina, non quella del Trecento e neppure quella del Manzoni!

         È stata ed è una crisi di civiltà, una peste del pensiero e una calamità dello spirito!

         È stata, prima di tutto e innanzi tutto, una crisi di civiltà, resa possibile dal vuoto spirituale, dal deserto esistenziale, dal nichilismo morale e dall’annientamento di quei supremi valori che rendono l’uomo, homo homini amicus: l’uomo amico dell’uomo!

         Un folle esperimento d’ingegneria sociale perseguito con arroganza e arbitrio, per tentare di sradicare le ultime e immarcescibili radici di una millenaria civiltà, che non è nata dal mercatismo – dove tutto e tutti sono vendibili e comprabili, purché il prezzo indicato dal loro QR code sia quello giusto! -; ma al contrario, una civiltà che è nata dal quel genio dei popoli che – Joseph De Maistre definiva – come “prima di tutto spirituale”: sì, “le génie des people est avant tout spirituel” (in: Patrice Gueniffey, Histoires de la Révolution et de l’Empire, Paris, 2013, pag.  377).

         La crisi è stata, poi, una peste del pensiero: l’ultimo e disperato colpo di coda di una morente canaglia politico-mediatica che non si arrende davanti all’idea che non siamo giunti alla fine del tempo, ma siamo allo soglie di un nuovo tempo; che non siamo giunti alla fine della Storia, ma siamo già in un nuovo tempo della Storia; che non siamo giunti alla fine del mondo; ma che il loro mondo è ormai già cadaverico.

         Il loro tempo è finito così come la loro ideologia individualista, dove conta solo il proprio io e le sue voglie.

         La loro storia è finita così come la loro sfrenata ideologia consumistica, dove l’uomo è ridotto a pure merce di scambio e di consumo.

         Il loro mondo è finito così come la loro nefasta ideologia progressista, segnata dal mito del progressismo tecnico-scientista che ha in così sommo disprezzo tutto ciò che è veramente umano – perché MenschlichesAllzumenschliches, “umano troppo umano”, come ebbe a scrivere Friedrich Wilhelm Nietzsche; così che essi, ora, nel loro agonico delirio vogliono, bramano e ambiscono di edificare il loro velleitario mondo trans-umano.

         La crisi è stata, infine, possibile perché quell’accozzaglia di canaglie politiche, mediatiche e, persino, religiose per troppo tempo,  per lunghi anni hanno sospinto quello che per loro doveva essere l’ineluttabile regresso della suprema dignità umana, inesorabilmente ancorata ai quei beni supremi che sono: il buono, il bello e il vero!

         Sì, in verità, senza Bontà, senza Bellezza e senza Verità l’uomo non è più uomo!

         Sì, in verità, senza Bontà, senza Bellezza e senza Verità l’umana amicizia viene meno e secondo delle mode l’uomo diventa homo homini lupus o anche homo homini virus!

         Sì, in verità, senza Bontà, senza Bellezza e senza Verità viene meno quel genio dei popoli che è innanzi tutto e prima di tutto un génie spirituel, un genio spirituale.

         “A peste, a fame et bello: libera nos Domine!”, così i nostri padri per secoli hanno invocato; ben sapendo che questa funesta trilogia – peste, fame e guerra – accompagna con macabro ritmo tutta l’umana vicenda.

         Essi, tuttavia, non si riferivano col termine peste, primariamente, a una specifica malattia del corpo ma a una ancor più esiziale pestilenza che è quella dello spirito e dell’anima; infatti, a quella invocazione ne seguiva subito un’altra ancor più drammatica nel suo linguaggio: “A morte perpetua: libera nos Domine”!

         La “mors perpetua”, la morte senza fine è quella di chi ha tragicamente, mortalmente, irrimediabilmente ed eternamente smarrito lo spirito e l’anima.

         All’alba dei Secolo dei Lumi che ha originato quella modernità – al cui tramonto definitivo noi stiamo assistendo – i novatori si proposero di sostituire Dio con la dea Ragione, essere supremo, anticipatrice della dea Scienza a cui oggi le élite dominanti si inginocchiano prone.

           La dea Ragione, essere supremo, tuttavia resse ben poco sul suo sacrilego altare au Champ-de-Mars di Parigi, così come la testa del suo paranoico inventore, Maximilien de Robespierre, resse ancor meno sul palco di Madame la guillotine, in Place de la Concorde, il  28 luglio 1794.

         La testa della della Dea così rotolò giù insieme a quella del suo inventore, in Place de la Concorde, il  28 luglio 1794.

         Con le loro teste cadde anche il Comitato di Salute Pubblica che Robespierre aveva presieduto negli anni chiamati, non a caso, il Regime del Terrore.

         Non potendo o non desiderando rivivere le sorti di tanto illustre predecessore,gli odierni Robespierre hanno trovato una nuova via maestra, per imporre – con eguale terrore con i medesimi comitati di pubblica salute – un obiettivo simile e apparentemente diverso ma  convergente: giungere alla “negazione dell’uomo” (cfr. C. S. Lewis, The Abolition of Man, Boston, 1943).

         Essi in questo tempo di una modernità morente, non potendo più negare Dio, vogliono – in realtà – negare l’uomo.

         Vorrebbero sradicare, per sempre, le radici stesse dell’uomo: la sua identità personale, famigliare, culturale, religiosa, nazionale e persino sessuale, in nome di una fluidità permanente; dal concepimento alla morte.

         Vorrebbero ergersi a prometeici padroni e decisori del destino dell’uomo dal suo concepimento fino alla sua morte, perché – come ormai ci siamo riabituati a sentire negli ultimi anni – ci sono vite Lebensunwertes Leben: vite non degne di essere vissute!

         Neppure più si vergognano di usare la stessa terminologia usata da Adolf Hitler nel programma  da lui voluto e chiamato Aktion T4; che dal 1939 al 1942 portò alla morte di quasi mezzo milione di cittadini tedeschi le cui vite, appunto, erano Lebensunwertes, indegne di essere vissute.

         Vorrebbero, infine, che l’uomo fosse ridotto a un codice numerico, persino a ricarica come nel sistema di Xi Jimping: dove una ricarica premia i fedeli al regime, mentre il blocco del codice punisce i reprobi o i dissidenti.

         Carissimi amici,

resto fiducioso ma fermamente e intellettualmente convinto che il loro diabolico piano ancora una volta fallirà. Anche questa volta, fallirà!

         Niente è infatti più forte e più vincente di quella Bontà, Beltà e Verità che entusiasticamente promana dall’uomo, che volgendosi al mistero di Dio che è insieme anche mistero dell’uomo, trova il veritiero coraggio di esclamare:

         “Ti lodo ancor di più con timore: e meravigliosamente realizzato, meraviglioso io sono!”.

§§§




SE PENSATE CHE

 STILUM CURIAE SIA UTILE

SE PENSATE CHE

SENZA STILUM CURIAE 

L’INFORMAZIONE NON SAREBBE LA STESSA

 AIUTATE STILUM CURIAE!

*

Chi desidera sostenere il lavoro di libera informazione, e di libera discussione e confronto costituito da Stilum Curiae, può farlo con una donazione su questo conto, intestato al sottoscritto:

IBAN:  IT24J0200805205000400690898

*

Oppure su PayPal, marco tosatti

*

La causale può essere: Donazione Stilum Curiae




Ecco il collegamento per il libro in italiano.

And here is the link to the book in English.

Y este es el enlace al libro en español


STILUM CURIAE HA UN CANALE SU TELEGRAM

 @marcotosatti

(su TELEGRAM c’è anche un gruppo Stilum Curiae…)

E ANCHE SU VK.COM

stilumcuriae

SU FACEBOOK

cercate

seguite

Marco Tosatti




SE PENSATE CHE

 STILUM CURIAE SIA UTILE

SE PENSATE CHE

SENZA STILUM CURIAE 

L’INFORMAZIONE NON SAREBBE LA STESSA

 AIUTATE STILUM CURIAE!

*

Chi desidera sostenere il lavoro di libera informazione, e di libera discussione e confronto costituito da Stilum Curiae, può farlo con una donazione su questo conto, intestato al sottoscritto:

IBAN:  IT24J0200805205000400690898

*

Oppure su PayPal, marco tosatti

*

La causale può essere: Donazione Stilum Curiae




Questo blog è il seguito naturale di San Pietro e Dintorni, presente su “La Stampa” fino a quando non fu troppo molesto.  Per chi fosse interessato al lavoro già svolto, ecco il link a San Pietro e Dintorni.

Se volete ricevere i nuovi articoli del blog, scrivete la vostra mail nella finestra a fianco.

L’articolo vi ha interessato? Condividetelo, se volete, sui social network, usando gli strumenti qui sotto

     

Condividi i miei articoli:

Libri Marco Tosatti

Tag: ,

Categoria:

4 commenti

  • Nuccio Viglietti ha detto:

    Di fronte certi articoli… no resta che silente ammirata contemplazione…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/

  • Enrico Nippo ha detto:

    Articolo di assoluto pregio.

    Soltanto un’osservazione, più che un obiezione.

    Il pensiero ha due facce come una moneta: per un verso può rendere grande l’uomo ma per l’altro verso può ridurlo addirittura allo stato sub-animalesco. Quindi, se si accetta il principio che sia il pensiero la dotazione più importante dell’uomo, bisogna accettarne anche le conseguenze conflittuali e tragiche. “Penso dunque sono”: la subordinazione dell’essere al pensiero ha il suo inevitabile sviluppo in direzioni antitetiche. Radicalmente diverso il “sono dunque penso”: il pensiero subordinato all’essere, che comporta un “ritorno” all’essere prima di concepire un qualsiasi pensiero, qui aprendosi un argomento di portata cosmica che, a mio avviso, supera le mille miglia qualsiasi discorso di carattere strettamente confessionale.

    Riguardo all’amicizia ho una domanda: essa può svilupparsi soltanto in ambito cristiano? Parafrasando: “fuori della Chiesa non c’è amicizia”? Ritengo che la risposta sia di basilare importanza, poiché ne va dei rapporti dell’homo religiosus cattolico con l’homo religiosus delle altre tradizioni. In altri termini: l’amicizia è integralista o ecumenica?

  • Pater Luis Eduardo Rodríguez Rodríguez ha detto:

    Gian Pietro, AMICO, pure tu sei una meraviglia. Ho letto adesso davanti il SANTISSIMO ESPOSTO NELL’ ADORAZIOE NOTTURNA. 2.00 DEL MATTINO. GRAZIE.

    NEL NOVENO ANNIVERSARIO DEL VOLO IN ELICOTTERO DEL UNICO PAPA BENEDETTO XVI DAL VATICANO FINO CASTELGANDOLFO.

    “La crisi è stata, poi, una peste del pensiero: l’ultimo e disperato colpo di coda di una morente canaglia politico-mediatica che non si arrende davanti all’idea che non siamo giunti alla fine del tempo, ma siamo allo soglie di un nuovo tempo; che non siamo giunti alla fine della Storia, ma siamo già in un nuovo tempo della Storia; che non siamo giunti alla fine del mondo; ma che il loro mondo è ormai già cadaverico.”

    ET EXPECTO TRIUMHUM CORDIS IMMACULATI MARIÆ.

  • Forum Coscienza Maschile ha detto:

    “questo innanzitutto credo, che l’amicizia non vi può essere se non tra i buoni”

    Bellissimo articolo da integrare con questo lucido testo di Matthew Fforde:
    https://www.coscienzamaschile.com/index.php/topic,24.0.html