San Paolo. Breve Storia Ragionata della Sua Vita, Opere, e Predicazione.

25 Gennaio 2022 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, un amico fedele del nostro blog ci regala, in occasione della festa del patrono dei giornalisti, che si celebrava per,  questo bellissimo articolo su San Paolo, e la fase nascente del cristianesimo. Buona lettura e condivisione.

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GLI ALBORI DEL CRISTIANESIMO

 

La conversione di San Paolo e la sua grande opera offrono l’opportunità di approfondire da un punto di vista cronologico i primi passi del cristianesimo. L’incarnazione del Verbo ha dato inizio alla misteriosa realtà umana e soprannaturale della Chiesa. Non è un’istituzione tra le tante: per comprenderne la realtà, che per sua natura non resta confinata nel saeculum, è utile conoscere le circostanze che avviarono l’annuncio della salvezza e la cura apostolica delle anime.

 

Una parentesi è opportuna per porre l’attenzione su una caratteristica curiosa degli Atti degli Apostoli, per come si articolano cronologicamente i 28 capitoli del testo.

Dal capitolo 1 al capitolo 11 vengono coperti gli anni dalla Pasqua di Cristo a prima che Erode Agrippa I diventi re e perseguiti i primi cristiani.

 

Per una serie di motivi la Pasqua di Nostro Signore Gesù Cristo avvenne sicuramente nell’aprile del 33.

Erode Agrippa iniziò a regnare in Giudea dal 41 d.C.

 

Quindi negli Atti i primi undici capitoli riguardano 8 anni (precisamente dal 33 al 41 d.C.).

 

Dal capitolo 13 sono descritti i viaggi di Paolo, il primo dei quali fu antecedente al Concilio di Gerusalemme, che secondo la quasi totalità dei commentatori si tenne nel 49 d.C. Sono già stati forniti gli argomenti per datare il primo viaggio di Paolo nel 47/48 d.C. 

 

Negli Atti non si trova traccia della morte di Giacomo il minore (62 d.C.) ne’ di quella di Pietro e Paolo (tra il 64 e il 67 d.C., probabilmente non insieme): è evidente e anche logico che Luca abbia scritto gli Atti prima che avvenissero queste uccisioni così importanti per i cristiani.

Pertanto si contano sedici capitoli (da 13 a 28) riguardanti circa 14 anni di storia (dal 47 al 61 d.C.)

 

Tra queste due ampie sezioni rimane il solo capitolo 12 per coprire l’intervallo dal 41 al 47 d.C. Quindi un unico capitolo per 6 o 7 anni.

 

In un contesto molto ordinato e ricco di dettagli, c’è questo capitolo stranamente sbrigativo, che riporta telegraficamente della morte di Giacomo il maggiore e di quella di Erode Agrippa.

Non vi si trova nemmeno notizia della “dormizione” di Maria o della redazione dei vangeli, ragionevolmente avvenuti proprio in quegli anni e non ci sono tracce di altri significativi spostamenti degli apostoli o delle carestie in quegli anni…  

 

DALLA CONVERSIONE DI SAULO AL CONCILIO DI GERUSALEMME

 

Non risulta che Saulo abbia avuto relazioni dirette con Gesù durante gli anni della sua vita pubblica, conclusasi con l’ascensione nel maggio del 33 d.C.

La conversione del giovane fariseo è narrata tre volte negli Atti, ai capitoli 9, 22 e 26.

 

Il fatto avviene lungo la strada che da Gerusalemme va a Damasco (circa 200 km), verso mezzogiorno, dopo il martirio di Santo Stefano, con Saulo che approvava i lapidatori. Avversario dei seguaci di Gesù, considerati una setta di eretici, secondo gli ordini del sinedrio il giovane Saulo ricercava chi stava diffondendo la fede in Gesù per metterli in catene.

 

La lettera ai Galati fornisce molti riferimenti cronologici della vita di Saulo. Dopo essere stato battezzato da Anania dovette fuggire da Damasco, che a quei tempi era soggetta al re nabateo Areta, il quale nel 36 d.C. sconfisse Erode Antipa, reo di aver abbandonato la moglie, la sorella di Areta, per mettersi con Erodiade, moglie del fratello di Antipa, Filippo.

Flavio Giuseppe situa la morte di Filippo nel ventesimo anno di regno di Tiberio, nel 34 d.C., quindi a cinque anni dagli esordi di Giovanni il Battista, vittima del fastidio di Erodiade per il giudizio sul suo adulterio.

 

Nel 36 a Tiberio giunse notizia dell’attacco di Areta che sbaragliò l’esercito di Erode in Perea. Flavio Giuseppe riporta che a non pochi il fatto parve una punizione divina per l’uccisione di Giovanni il Battista.

Tiberio ordinò a Lucio Vitellio, governatore della Siria dal 35 al 39, di sferrare un attacco punitivo per questa aggressione a un alleato di Roma.

 

Vitellio, mentre era a Gerusalemme dove si era recato per onorare la festa di pasqua (quell’anno cadde dal 20 al 27 marzo giuliano), fu raggiunto dalla notizia della morte di Tiberio, avvenuta il 16 marzo del 37.

Vitellio evitò allora che le sue due legioni marciassero verso Petra. Tacito (Annali VI, 38,5) attesta che l’imperatore inviò Vitellio come governatore della Siria nel 35. Tra i suoi primi provvedimenti la rimozione di Pilato e la sostituzione del sommo sacerdote Caifa, coinvolto con Pilato nella condanna di Gesù e nell’esecuzione (illegale per Roma) di Santo Stefano.

Il sommo sacerdote succeduto a Caifa fu Gionata, per un breve periodo. Già nel 37 d.C. gli subentrò Teofilo che resse l’incarico per cinque anni.

Non è certo che si tratti di lui, ma è un fatto che gli scritti di San Luca siano indirizzati a un illustre personaggio con quel nome.

 

Il successore di Tiberio fu Caligola: le cose per i primi cristiani peggiorano e c’è la dispersione degli apostoli.

Dopo tre anni trascorsi in Arabia, Saulo ritornò a Gerusalemme nel 37 d.C. incontrandovi -tra gli apostoli- soltanto Pietro e Giacomo il minore, che resse la comunità cristiana di Gerusalemme per circa trent’anni. Poi Saulo si recò a Tarso da dove fu chiamato ad Antiochia, luogo in cui per la prima volta i credenti in Gesù furono detti cristiani.

 

All’inizio del 41 d.C. a Roma muore Caligola e gli succede Claudio. Dal 41 al 44 Roma restituisce alla Giudea l’autonomia sotto il governo di Erode Agrippa I, il quale fa costruire un muro attorno alla zona un tempo esterna alla città, proprio dove ci sono il Calvario ed il santo sepolcro.

Durante il regno di Agrippa, Giacomo il maggiore (il fratello di Giovanni l’evangelista) subisce il martirio, probabilmente nel 42, mentre Pietro scampa miracolosamente e proprio allora si rifugia a Roma.

 

Nel 41 d.C. Saulo è protagonista di una straordinaria esperienza della quale parla al capitolo 12 della seconda lettera ai Corinti (questa datazione è desunta dal reputare l’epistola scritta da Efeso nel 54-55 d.C.).

 

Trascorsi alcuni anni dei quali non abbiamo informazioni, nel 47 d.C. Saulo torna a Gerusalemme dopo 14 anni dalla sua conversione e a 11 anni dall’ultima volta che ci era stato. Lo fa per portare aiuti alla popolazione stremata da una carestia della quale abbiamo notizie certe dagli storici e che colpì la Giudea quando il procuratore romano era Tiberio Alessandro. Dopo la morte di Erode Agrippa (44 d.C.) la Giudea era infatti ridiventata completamente soggetta a Roma.

 

La già ricordata terribile carestia si aggiungeva a quella accaduta pochi anni prima sotto Cuspio Fado, procuratore dal 44 al 46 d.C.

Nel quarto consolato di Claudio (ovvero nel 47), la carestia raggiunse l’apice.

Non va dimenticato che c’era stata anche la profezia di Agabo, nei primi anni 40 (Atti 11,27-28).

Da Flavio Giuseppe sappiamo che la regina Elena di Adiabene (sovrapponibile all’attuale area ad est di Aleppo fino a Mosul) inviò aiuti comprati di tasca sua, in grano; anche Saulo si attivò per soccorrere i fratelli affamati di Gerusalemme. Flavio Giuseppe ricorda l’arrivo di fichi secchi da Cipro e in quel mentre Saulo era a Cipro, nota per l’abbondanza di fichi.

Dalla fine del 47 al 48 d.C. Saulo compì il primo viaggio missionario giungendo nella regione detta Galazia.

Poco dopo scriverà ai Galati una lettera veemente, piena di fervore per la confusione in una comunità da lui appena fondata, prima dei chiarimenti che saranno presto necessari con gli apostoli sulla questione dei circoncisi.

La lettera ha delle evidenti affinità con l’epistola di Giacomo il minore.

 

Questa è anche l’epoca in cui Saulo comincia a firmarsi con il nome latino, Paolo.

 

La controversia di Antiochia è riferita nel capitolo 15 degli Atti. Vi fece seguito il concilio di Gerusalemme, tenutosi nel 49 d.C.  Ad Antiochia, dove era tornato nel 48, Paolo ha un aspro scontro con alcuni apostoli circa il comportamento da tenere verso i pagani convertitisi al cristianesimo.

C’è bisogno di confrontarsi: a Gerusalemme Paolo difende con forza la sua idea di un vangelo da annunciare anche ai non Ebrei, cosa che sta già facendo da anni. A motivo dell’anno in cui si tenne l’assemblea di Gerusalemme alcuni studiosi datano la lettera ai Galati immediatamente prima.

L’inizio della lettera ai Galati (“così poco tempo e già cambiate idea…”) e gli argomenti trattati (cronologia paolina che inizia nel 34 e giunge al 47 d.C. e la questione delle radici ebraiche del cristianesimo) lo confermerebbero.

 

Il confronto tra la lettera ai Galati, la lettera di Giacomo e i passi degli Atti degli apostoli che introducono al concilio di Gerusalemme, suggerisce la contemporaneità degli eventi che determinarono la scrittura e gli argomenti dei tre testi: il rapporto tra la fede e le opere, la discendenza di Abramo, i frutti dello spirito contrapposti allo spirito di contesa, mentre crescono i rischi di una controversia dalla polemica particolarmente accesa e lacerante.

 

San Giacomo si rivolge alle tribù disperse. Il richiamo principale della sua lettera mette in guardia dall’ira verbale e dal contrasto polemico, specialmente in ambito religioso. Cerca di mettere in chiaro il rapporto tra fede e opere, che a quel tempo generava fraintendimenti che potevano misconoscere una doverosa valenza delle opere. La legge tuttavia mantiene la sua importanza in ogni punto: “poiché chiunque osservi tutta la legge, ma la trasgredisca anche in un punto solo, diventa colpevole di tutto; infatti colui che ha detto: non commettere adulterio, ha detto anche: non uccidere”…  Al contempo sentenzia che “come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta”.

 

San Giacomo tenta una composizione con gli argomenti della lettera ai Galati: i frutti dello Spirito Santo, riprova dello stato di grazia raggiunto per la fede: “se avete nel vostro cuore gelosia amara e spirito di contesa, non vantatevi e non mentite contro la verità. Non è questa la sapienza che viene dall’alto: è terrena, carnale, diabolica; poiché dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. La sapienza che viene dall’alto invece è anzitutto pura; poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia… Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra! … Non sapete che amare il mondo è odiare Dio?”

 

San Paolo in quel mentre scrive ai Galati così: “Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri! Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste… Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è legge… Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri”.

 

Entrambe le lettere rimandano ad Abramo, che stabilì l’alleanza con Dio e introdusse la circoncisione, l’argomento caldo.

In Giacomo leggiamo: “Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull’altare? Vedi che la fede cooperava con le opere di lui, e che per le opere quella fede divenne perfetta e si compì la Scrittura che dice…  Vedete che l’uomo viene giustificato in base alle opere e non soltanto in base alla fede”.

 

Mentre in Galati troviamo: “Fu così che Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia. Sappiate dunque che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede. E la Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificato i pagani per la fede, preannunziò ad Abramo questo lieto annunzio: In te saranno benedette tutte le genti… poiché sta scritto: Maledetto chiunque non rimane fedele a tutte le cose scritte nel libro della legge per praticarle… Ora la legge non si basa sulla fede; al contrario dice che chi praticherà queste cose, vivrà per esse. Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno, perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede”…

 

La lettera di Giacomo tratta il problema della fede e delle opere durante un contrasto interno alla comunità.

Non vi si trova traccia del problema dei “falsi dottori” che qualche anno dopo suscitarono la maggior preoccupazione pastorale, generata dal dilagare delle dottrine gnostiche o di smodate attese sulla parusia, a riprova che la lettera è di qualche anno precedente.

 

Nel 49 d.C. la Chiesa fu assistita dallo Spirito Santo, trovando pace e armonia di fronte a rischiose polarizzazioni.

 

 

DAL CONCILIO DI GERUSALEMME ALL’ARRESTO DI PAOLO E DUE ANNI DI DETENZIONE

 

Dopo il concilio di Gerusalemme l’attività apostolica di San Paolo riparte di slancio.

 

Dall’estate dell’anno 49 alla fine del 51, Paolo compie il suo secondo viaggio, come descritto dettagliatamente negli Atti degli Apostoli.

Entra in Europa, va ad Atene, poi a Corinto.

 

La datazione del soggiorno di San Paolo a Corinto è certa e si fonda sulla presenza di Aquila e Priscilla (Atti 18,2) espulsi da Roma nel 50 d.C. (anno del decreto di Claudio) e su San Paolo portato davanti al fratello di Seneca, Junius Gallius Annaneus (Gallione), Atti 18,12.

 

Questo personaggio rappresentò l’autorità romana in Acaia dal 1/7/51 al 30/6/52 d.C. (è un dato certo, estrapolabile da iscrizioni a Delfi, scoperte nel 1905, datate con riferimenti al regno di Claudio), al cui cospetto Paolo comparve un anno e mezzo dopo essere giunto a Corinto, al termine di una serie di tappe che avevano impiegato al minimo altri 6 mesi.

 

Da Corinto San Paolo invia le due lettere ai Tessalonicesi, perciò databili nel 50-51 d.C.

 

Dal capitolo 16 degli Atti (siamo nel 50 d.C., visto che Paolo fu a Corinto nel 51, data certa per il riferimento al proconsole Gallione), Luca (l’autore degli Atti e del terzo vangelo) scrive raccontandosi nel testo in prima persona: non più come storico, bensì come cronista.

Fino al 49 d.C. Luca scriveva da storico e, caso davvero strano, gli anni più vicini alla sua solitamente accurata ricerca, appaiono proprio i meno trattati e dettagliati.

Resta un mistero il perché.

Una parentesi è opportuna per porre l’attenzione su una caratteristica curiosa degli Atti degli Apostoli, per come si articolano cronologicamente i 28 capitoli del testo.

Dal capitolo 1 al capitolo 11 vengono coperti gli anni dalla Pasqua di Cristo a prima che Erode Agrippa I diventi re e perseguiti i primi cristiani.

 

Per una serie di motivi la Pasqua di Nostro Signore Gesù Cristo avvenne sicuramente nell’aprile del 33.

Erode Agrippa iniziò a regnare in Giudea dal 41 d.C.

 

Quindi negli Atti i primi undici capitoli riguardano 8 anni (precisamente dal 33 al 41 d.C.).

 

Dal capitolo 13 sono descritti i viaggi di Paolo, il primo dei quali fu antecedente al Concilio di Gerusalemme, che secondo la quasi totalità dei commentatori si tenne nel 49 d.C. Sono già stati forniti gli argomenti per datare il primo viaggio di Paolo nel 47/48 d.C. 

 

Negli Atti non si trova traccia della morte di Giacomo il minore (62 d.C.) ne’ di quella di Pietro e Paolo (tra il 64 e il 67 d.C., probabilmente non insieme): è evidente e anche logico che Luca abbia scritto gli Atti prima che avvenissero queste uccisioni così importanti per i cristiani.

Pertanto si contano sedici capitoli (da 13 a 28) riguardanti circa 14 anni di storia (dal 47 al 61 d.C.)

 

Tra queste due ampie sezioni rimane il solo capitolo 12 per coprire l’intervallo dal 41 al 47 d.C. Quindi un unico capitolo per 6 o 7 anni.

 

In un contesto molto ordinato e ricco di dettagli, c’è questo capitolo stranamente sbrigativo, che riporta telegraficamente della morte di Giacomo il maggiore e di quella di Erode Agrippa.

Non vi si trova nemmeno notizia della “dormizione” di Maria o della redazione dei vangeli, ragionevolmente avvenuti proprio in quegli anni e non ci sono tracce di altri significativi spostamenti degli apostoli o delle carestie in quegli anni…  

Alla fine del 51, San Paolo torna a Gerusalemme e poi si reca ad Antiochia dove sosta. Nell’anno 52 Paolo riparte per il suo terzo viaggio. Dopo varie vicende giunge ad Efeso, nei primi mesi del 53. Vi rimarrà per almeno due anni.  Alla fine del 55 deve tuttavia cambiare aria a causa dei tumulti sollevati in città dai costruttori di statue della dea Artemide.

Nel frattempo a Gerusalemme termina la stagione di Cumano come procuratore, contestato dagli Ebrei per non poche efferatezze e scaricato da Claudio, che nel 52 d.C. invia al suo posto Felice, il fratello di Pallante, un influentissimo liberto della Roma imperiale che condizionerà anche il regno di Nerone.

Claudio nel mentre conferisce ad Agrippa II la tetrarchia di Filippo con la Batanea, la Traconitide e la tetrarchia di Abila, togliendogli la Calcide su cui già governava a Gerusalemme.

Il sommo sacerdote all’epoca è Anania di Nebedeo, già in carica e coinvolto nei tragici fatti (Flavio Giuseppe riferisce di ventimila morti a Gerusalemme) avvenuti sotto Cumano: manterrà il ruolo fino al 58 d.C. salvo il breve intermezzo di Gionata, che verrà descritto in seguito.  Anania venne inviato a Roma da Quadrato (divenuto il legato imperiale in Siria), con Cumano, a rendere conto a Claudio dell’accaduto.

 

Da Efeso Paolo scrive le due lettere ai Corinti, databili al 54 o 55 d.C.

Nel 54 a Roma muore Claudio e ad ottobre gli subentra Nerone.

In quegli anni circolava già l’Evangelion: la buona notizia scritta. Riguardo a quello di Luca ne troviamo traccia nella seconda lettera ai Corinti (8,16-18): “con lui abbiamo inviato anche il fratello che ha lode in tutte le chiese a motivo del vangelo”.

Non è certo, ma non è nemmeno assurdo: si può pensare a Luca e al suo vangelo.

La seconda lettera ai Corinti è scritta poco dopo i tumulti di Efeso. Se Luca è già “famoso” come scrittore del vangelo nel 55 d.C., è presumibile che il suo scritto circolasse già da qualche anno. Lo stesso Luca attesta di non essere stato il primo a scrivere un vangelo: il periodo “giusto” per la comparsa dei vangeli di Matteo, di Marco e poi di Luca è pertanto proprio quello degli anni quaranta del primo secolo.

 

Superato nuovamente il Bosforo, Paolo entra in Macedonia dove rimane 3 mesi. Sverna in Grecia poi nell’anno 56 d.C. (Atti 20,3) torna indietro passando dalla Macedonia. In primavera salpa da Filippi (Atti 20,6) per essere a Gerusalemme in tempo per la pentecoste nell’anno 56, passando per Mileto dove tiene il famoso discorso.

Come attribuire con tanta sicurezza la data del 56 per l’arrivo di Paolo a Gerusalemme? Sappiamo da Flavio Giuseppe che nel primo anno di regno di Nerone (il 54-55 d.C.) ci fu una ridistribuzione di territori in Palestina in seguito a vicende ereditarie tra i vari dignitari. Agrippa II mise le mani anche sulla Galilea.

Il procuratore romano Felice era alle prese con ruberie di predoni e impostori vari, tra i quali un egiziano che si diceva il messia, che fece proseliti e dopo una serie di delitti commessi dal suo gruppo scomparve nel nulla.

Felice comandò l’uccisione di molti agitatori, altri ne catturò, alcuni inviandoli a Roma. Felice si lamentò anche con Gionata, divenuto sommo sacerdote proprio in quel periodo, chiedendo di raccomandare maggior ordine al suo popolo.

Alla fine Felice si stancò di lui e decise di farlo eliminare corrompendo un amico traditore (Doras) del sommo sacerdote Gionata e ricorrendo proprio ai predoni per il lavoro sporco. Flavio Giuseppe riporta che i predoni si mescolarono a chi era in pellegrinaggio a Gerusalemme e penetrarono nel tempio, uccidendo il sommo sacerdote e altre persone in una serie di regolamenti di conti a catena, comunque prezzolati.

Siamo nei primi mesi del 56 ed ecco così spiegato il perché, all’arrivo di Paolo a Gerusalemme (At 21,37), c’è chi gli chiede se non sia lui l’egiziano sobillatore!

Si spiega anche come mai Paolo non fosse al corrente di chi fosse il sommo sacerdote.

 

Paolo viene arrestato e per evitare guai peggiori a Gerusalemme, viene portato a Cesarea dove resta imprigionato per due anni, dall’inizio dell’estate del 56 all’estate del 58 d.C.  Lo sviluppo degli eventi legati alla cattura di Paolo è descritto con estrema precisione nei capitoli 22, 23 e 24 degli Atti.

Uno dei più importanti personaggi in scena è sicuramente Anania, il sommo sacerdote che presenzia all’arresto di Paolo ad opera di Felice (Atti 23).

Dopo la morte violenta di Gionata, liti e scontri perdurarono, insieme al discredito per l’autorità del sommo sacerdote. Anania, figlio di quell’Anna che da molti decenni rappresentava la famiglia guida del sinedrio (ebbe a che fare anche con Gesù) è una presenza ingombrante, che vantava già prima di Gionata un decennio nel ruolo.

E’ davvero improbabile che Luca abbia sbagliato il nome addirittura del sommo sacerdote, “in diretta”, proprio in una descrizione così abbondante di particolari (tre capitoli dedicati a pochi giorni).

Paolo, che aveva inveito contro Anania senza saperlo sommo sacerdote, accortosi del ruolo che ha (At 23,5), si scusa con lui.

Anania Nebedeo avrebbe esercitato il ruolo ad interim dopo l’assassinio di Gionata e prima della nomina del giovane e inesperto successore, Ismaele ben Fabi.

Infatti nel difficile contesto Felice aveva preteso maggior ordine: nel 58 Agrippa II assegnò il sommo sacerdozio a Ismael ben Fabi, poco più di un ragazzo.

Dal punto di vista di Roma, sempre nel 58, Nerone stanco del caos e dell’incapacità di Felice che aveva scontentato tutti, decide di sostituirlo con Porcio Festo ed è lui, appena giunto, a inviare Paolo a Roma, come richiesto, essendosi subito interessato del suo caso.

Esistono delle monete fatte coniare da Festo datate il quinto anno di Nerone (58-59): in genere i procuratori romani entravano in carica sul finire della primavera.

Il conio della moneta era un modo per informare del nuovo reggente in carica.

A quest’epoca risale la lettera ai Romani: Paolo aveva già espresso il desiderio di recarsi nella città imperiale.

DALL’INVIO DI PAOLO A ROMA AL MARTIRIO

 

Il viaggio di Paolo verso Roma è segnato da avventurosi accadimenti nell’inverno a cavallo tra gli anni 58 e 59 d.C.  Partì all’inizio dell’autunno (Atti 21,9), quando è più pericoloso -specialmente allora- navigare in mare aperto. Il naufragio che ne seguirà lo testimonia.

A Roma Paolo resta sotto custodia militare per due anni, poi viene liberato.

Durante la detenzione a Roma (dall’inizio del 59 a tutto il 60) Paolo inviò le sue lettere a Efesini, Colossesi, Filippesi ed Ebrei.

Anche le lettere a Filemone, Timoteo e Tito sono della stessa epoca ed è possibile, brevemente, riconoscerne il perché.

 

Nella lettera agli Ebrei non c’è menzione dell’uccisione di Giacomo il minore, che avvenne nel 62 d.C.

Il finale della lettera agli Ebrei è tipicamente paolino, simile a quello coevo ai Filippesi.

La lettera precede il martirio di Giacomo e sappiamo anche che l’autore sta in Italia: facile pensare a Paolo agli arresti domiciliari a Roma (Eb 13,9).

Ai Filippesi, Paolo e Timoteo scrivono dagli arresti a Roma (nel 59 d.C.): ai cristiani di Filippi Paolo comunica che spera in una prossima liberazione di Timoteo (Fil 1,1; 2,19; 2,23-24), mentre agli Ebrei 13,23 dice che Timoteo è libero!

La prima lettera di San Pietro, con forti assonanze alle lettere ai Colossesi ed agli Efesini, la suggerisce contemporanea a motivo dei temi in essa trattati.

La lettera ai Colossesi è particolarmente interessante in senso cronologico: Paolo scrive ai Colossesi una splendida catechesi, ma senza alcun cenno al devastante terremoto abbattutosi sulla loro città, secondo Tacito (Annales) nel settimo anno di regno di Nerone (60-61 d.C.).

Paolo giunse a Roma nei primi mesi del 59 d.C. e quindi in tempo per scrivere prima del terremoto.

Nella lettera ai Colossesi c’è un esplicito riferimento anche alle altre due città che sarebbero poi state distrutte (Laodicea e Gerapoli) nel medesimo istante. Anche nella lettera agli Efesini, sempre del periodo della prigionia a Roma, c’è un riferimento a Laodicea, senza notizia della catastrofe.

Questo indizio spinge inoltre a ipotizzare una composizione di Apocalisse di gran lunga anteriore a quella solitamente considerata (quindi prima del 60). Tra le sette città alle cui chiese è rivolto un messaggio c’è anche Laodicea, ancora senza menzione del sisma.

Il prologo del vangelo di Giovanni è teso a rintuzzare in particolare le derive gnostiche, quali i nicolaiti e gli ebioniti. Si tratta di alcune sette già attive anche a Gerusalemme, come già detto a proposito del pullularvi di visionari e sedicenti messia che coinvolsero Paolo all’arrivo in città.

Nella lettera ai Colossesi c’è un passaggio che ricorda molto il prologo del vangelo di Giovanni (Col 1,13-20 e 2,9-11). Sembra proprio che Paolo lo conoscesse quando inviò la lettera scritta dalla prigione a Roma. Inoltre nel vangelo giovanneo si parla al presente della piscina presso la Porta delle pecore (Gerusalemme non è stata ancora distrutta). Questi particolari attestano la stesura del vangelo di Giovanni al più tardi attorno al 60 d.C. quando i vangeli sinottici c’erano già tutti.

Se il tempio di Gerusalemme fosse stato già distrutto, sarebbe stato un argomento da spendere nel dibattito… Invece niente di tutto ciò.

La questione scottante, quasi assillante, è il vacillare della fede perché Gesù non torna; intanto il tempio di Gerusalemme sta raggiungendo fasti mai visti, nel proliferare di sette gnostiche e di nugoli di falsi profeti.

E’ quasi martellante la denuncia dei “falsi dottori”: caratterizza quasi tutte le lettere cattoliche scritte in un ristretto numero d’anni, tra il 57 e il 61 d.C.

Le lettere alle sette chiese dell’Apocalisse trattano l’argomento dei falsi profeti; così le altre di diversi autori, comprese le prime due di San Giovanni, raccomandando di non lasciarsi sedurre dagli anticristi.

Questa emergenza costituisce la preoccupazione più sentita anche della seconda lettera di Pietro e della lettera di Giuda, molto simili; contraddistingue anche la seconda lettera a Timoteo, scritta a Timoteo libero, quando Paolo è ancora agli arresti e solo Luca è con lui, Tito in Dalmazia e Tichico partito per Efeso.

Induce a ritenere le lettere a Timoteo scritte al più tardi nel 60 d.C. Quella a Tito invece presuppone Paolo già tornato in libertà, avendo dato appuntamento a Nicopoli (Epiro), dove Paolo voleva passare l’inverno (probabilmente quello a cavallo tra il 60 e il 61).

Tito è un altro discepolo di lunga data di Paolo: lo troviamo citato nella lettera ai Galati (Gal 2,1-3) a Gerusalemme nel 49 dopo l’incidente di Antiochia e ripetutamente nella seconda lettera ai Corinti ai quali Paolo l’aveva inviato nel 55 d.C.

 

Gli scritti di questi anni si fanno eco per alcuni dettagli, evidentemente di attualità e significativi sotto il profilo storico, geografico e culturale, come ad esempio la spada a doppio taglio (Apocalisse ed Ebrei), presente anche in Efesini 6,17.

Comune a molte lettere è un gran parlare di angeli, in Ebrei, 1 Pietro (3,22 e 4,7), Efesini (cap. 1,2,3 e 6) e Colossesi. C’è il tema delle genealogie, con ovvio riferimento ai vangeli di Matteo e Luca e alle discussioni che possono aver suscitato: lo leggiamo nella lettera a Tito (Ti 3,9) e in quella a Timoteo (1Tim 1,4). Fa capire come fervesse il dibattito.

 

Nella terza lettera di San Giovanni è citato Gaio, già menzionato in 1 Corinti e Atti (cap. 19 e 20), rimandando a una familiarità nota dell’autore con la zona di Efeso (l’isola di Patmos vi si affaccia), in anni assai prossimi a quando vi risiedette San Paolo.

 

La lettera di Giuda, fratello di Giacomo il minore, non menziona la morte del cosiddetto “fratello del Signore”. Nemmeno le due lettere di Pietro accennano al martirio di suo fratello Andrea: un indizio che dovevano essere ancora vivi anche se si percepisce l’approssimarsi di una drammatica svolta che in breve farà strage di gran parte degli Apostoli.

Luca termina il racconto dei fatti riportati negli Atti degli apostoli alla fine dell’anno 60, ricordando che nel periodo della libertà vigilata a Roma, Paolo poté ricevere chiunque andasse a visitarlo, senza ostacolo (At 28,30-31).

A nemmeno trent’anni dalla Pasqua in cui il Cristo ha dato sé stesso per la nostra salvezza, la lettura attenta dei testi fa apprezzare numerosi e buoni indizi sull’esistenza di tutti gli scritti che compongono il Nuovo Testamento.

Su quanto accaduto in seguito abbiamo pochi riferimenti dagli scritti apostolici, ma ci possono aiutare gli storici.

Giuseppe Flavio racconta che Giacomo il minore fu ucciso a Gerusalemme nel 62 d.C.

Di Andrea martire a Patrasso dopo il 60 d.C. si parla nella tradizione degli Ortodossi: il codice muratoriano (documento della fine del II secolo) riferisce che Giovanni scrisse il vangelo aiutato da Andrea apostolo, accreditando l’ipotesi cronologica qui avanzata.

 

A Roma nel 61 d.C. ci fu il matrimonio tra Nerone e Poppea, dopo una relazione iniziata nel 58 d.C. e accompagnata da una serie di tragici risvolti per la prima moglie Ottavia e per la madre Agrippina (uccisa nel 59) da parte di un Nerone sempre più vizioso (inaugurò le corse dei cavalli sul colle Vaticano) e crudele (allontanati o eliminati Burro e Seneca, che erano stati i suoi più fidati consiglieri). Poppea, con forti simpatie per i culti orientali, non mancò di influenzare Nerone sul da farsi a Gerusalemme.

 

Nel contesto di questi provvedimenti è noto che Ismaele fu trattenuto nell’Urbe come ostaggio.

Il giovane Ismaele ben Fabi fu sommo sacerdote dal 58 al 61 d.C. in un periodo di grande disordine, faziosità, messianismo, angeologie, profetismo e ingiustizie, in cui i più esperti marpioni come Anania sapevano come manipolare pur non detenendo formalmente il potere. Certi passaggi storici paiono ripetersi similmente, a distanza di secoli.

Come accennato, Ismaele ben Fabi fu trattenuto a Roma dove era andato a perorare i buoni uffici di Nerone per alcune spiacevoli faccende riguardanti il tempio. Agrippa II aveva fatto costruire delle torri sul suo palazzo, quello degli Asmonei prospiciente l’area sacra del tempio e da quell’altezza poteva osservare i sacerdoti in servizio, suscitandone la protesta.

Con Ismaele in ostaggio a Roma, Agrippa affidò il sommo sacerdozio a Giuseppe Kabi. Proprio allora Festo, il procuratore romano, muore improvvisamente. Prima che giungesse Albino a sostituirlo, Agrippa ripropose il sadduceo Anania nel ruolo di sommo sacerdote.  Venne immediatamente preso di mira Giacomo il minore, che muore lapidato, come già visto, nel 62 d.C.

 

In città non tutti furono d’accordo e pregarono Agrippa di far desistere Anania da altre efferatezze, mentre Albino fece precedere l’arrivo a Gerusalemme da sdegnosi commenti sul comportamento di Anania.

Agrippa decise di deporre Anania dopo soli tre mesi, facendogli succedere un sommo sacerdote di nome Gesù, figlio di Damneo, il quale mantenne l’incarico brevemente, per meno di un anno.

 

Nel 64 a Gerusalemme Gessio Floro prende il posto di Albino. Terminano anche i lavori del tempio, iniziati da Erode il grande nel 17 a.C.

Intanto, nell’estate del 64, Roma brucia.

 

Dopo essere tornato libero, Paolo viaggia per qualche tempo in varie parti dell’area mediterranea.

Non è noto quando sia avvenuto il suo martirio, probabilmente dopo l’incendio di Roma (luglio del 64 d.C.) e la morte violenta di Poppea incinta (nel 65: lasciò il posto a Statilia Messalina) e prima della morte di Nerone nel giugno del 68 d.C.

In quegli stessi anni il martirio toccò anche a San Pietro e a numerosissimi altri cristiani, mandati a farsi sbranare dai leoni in uno spettacolo per gli spettatori del Colosseo.

 

Dal 66 in Giudea scoppia la guerra che porterà le legioni di Roma a perpetrare un tremendo massacro a Gerusalemme e la distruzione del tempio nel 70: Gesù lo aveva predetto e gli evangelisti non l’hanno scritto a cose avvenute.

L’annuncio del Verbo incarnato e del suo sacrificio redentore è consegnato alle generazioni future.

Il preziosissimo sangue (1 Pt 2,25) che ci guarisce dalla nostra condizione perduta lavando il peccato (il sangue dell’Agnello immolato vincitore potente: Cristo risorto da morte), dopo il suo primo annuncio diventa tradizione ecclesiale, rorida del sangue dei martiri.

Il vino nuovo, che la Madre ottenne che fosse servito alla fine della festa di nozze di Cana, caratterizza il memoriale eucaristico in vista delle nozze definitive dell’Agnello che ci attendono.

Con l’Apostolo delle genti “anche noi, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, sforziamoci con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,1).

 

Primo viaggio

 

san paolo viaggi 1

 

 

Secondo viaggio

 

san paolo viaggi 2

Terzo viaggio

 

Quarto viaggio

 

***

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4 commenti

  • Alessandro ha detto:

    Apprezzo sinceramente lo sforzo dell’autore nel raccogliere le informazioni ed il contesto relativi alla biografia di San Paolo. Tuttavia, vedo qualche imprecisione di date, qualche errore nell’onomastica, e soprattutto un po’ di confusione nel sistematizzare il tutto (un brano molto lungo è ripetuto due volte, all’inizio e a metà articolo). Suggerirei una ripulitura e magari qualche schema o linea temporale grafica che aiutino il lettore.
    Grazie comunque per questo lavoro.

  • Iginio ha detto:

    Tutto bene, ma all’epoca del martirio di Pietro, Paolo e martiri romani il Colosseo non esisteva ancora. Non furono martirizzati lì.
    Inoltre da parecchio tempo si dice che la lettera agli Ebrei non la scrisse san Paolo. Per me andrebbe bene anche che l’abbia scritta san Paolo, ma occorre essere precisi e chiarire i termini della questione, senza svicolare.

    • Dionigi Areopagita ha detto:

      In realtà, la non autenticità di Ebrei è stata messa in discussione fin dall’inizio, perché lo stile è davvero differente da quello Paolino. I padri già ne parlavano (allo stesso modo in cui discutevano, per esempio, sull’autentcità dell’Apocalisse, che in oriente non è mai stato apprezzato). E’ forse l’unica composizione del Nuovo Testamento che un pagano colto non avrebbe deriso, essendo scritta bene.

      • Iginio ha detto:

        Come sarebbe, che in Oriente il libro dell’Apocalisse non è apprezzato? Ma se Patmos è sede di un imponente monastero e una meta di pellegrinaggio da secoli!