Porfiri: la Liturgia è per la Gloria di Dio, ha un Valore Oggettivo. E Doveri.

28 Luglio 2021 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il M° Aurelio Porfiri ci offre questa riflessione sulla liturgia, i suoi diritti ma anche i doveri che essa richiama al fedele. E sul suo valore oggettivo. Buona lettura.

 

Il valore oggettivo della liturgia

 

Noi viviamo in un tempo in cui c’è una predominanza del soggetto, un tempo,in cui sembra che la prigione del cogito cartesiano non dia nessuna possibilità di fuggire. In realtà, anche il soggetto ha conosciuto una crisi nel pensiero moderno e contemporaneo, ma esso ritorna spesso e volentieri ed orienta il modo in cui vediamo il mondo.

Questo ci accade anche per la liturgia, che abbiamo imparato a vedere a partire da noi stessi, dal modo in cui la liturgia ci fa sentire, e non a partire dalla liturgia stessa, la sua dimensione oggettiva.

Cominciamo col dire che la liturgia a noi richiama dei doveri, prima che dei diritti. Prima di dichiarare come essa ci fa sentire dobbiamo considerare a quali responsabilità ci richiama. Lo esprimeva bene Pio XII nella Mediator Dei: “Il dovere fondamentale dell’uomo è certamente quello di orientare verso Dio se stesso e la propria vita. «A Lui, difatti, dobbiamo principalmente unirci, e indefettibile principio, al quale deve anche costantemente rivolgersi la nostra scelta come ad ultimo fine, che perdiamo peccando anche per negligenza e che dobbiamo riconquistare per la fede credendo in Lui» (San Tommaso, Summa Theol., 2.a 2.æ, q. 81, a. 1).

Ora, l’uomo si volge ordinatamente a Dio quando ne riconosce la suprema maestà e il supremo magistero, quando accetta con sottomissione le verità divinamente rivelate, quando ne osserva religiosamente le leggi, quando fa convergere verso di Lui tutta la sua attività, quando per dirla in breve presta, mediante le virtù della religione, il debito culto all’unico e vero Dio”.

Ecco che questo culto dovuto ci introduce nella classica definizione della liturgia, che è in primis per la gloria di Dio e come conseguenza per la santificazione dei fedeli. Non ci santifichiamo arrampicandoci su noi stessi. Più avanti Pio XII precisa: “La sacra Liturgia è pertanto il culto pubblico che il nostro Redentore rende al Padre, come Capo della Chiesa, ed è il culto che la società dei fedeli rende al suo Capo e, per mezzo di Lui, all’Eterno Padre: è, per dirla in breve, il culto integrale del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra”.

Sempre nella Mediator Dei viene precisata questa idea del valore oggettivo della liturgia: “Nelle celebrazioni liturgiche, e in particolare nell’augusto Sacrificio dell’altare, si continua senza dubbio l’opera della nostra Redenzione e se ne applicano i frutti. Cristo opera la nostra salvezza ogni giorno nei Sacramenti e nel suo Sacrificio, e, per loro mezzo, continuamente purifica e consacra a Dio il genere umano. Essi, dunque, hanno una virtù oggettiva con la quale, di fatto, fanno partecipi le nostre anime della vita divina di Gesù Cristo. Essi, dunque, hanno, non per nostra ma per divina virtù, l’efficacia di collegare la pietà delle membra con la pietà del Capo, e di renderla, in certo modo, un’azione di tutta la comunità”. Ecco, soltanto con uno sguardo di questo tipo, rispettando il valore oggettivo della liturgia, possiamo beneficiare dei profondi benefici che essa offre.

Don Enrico Finotti (Dogma e Liturgia in Liturgia Culmen et Fons) esprime bene questo concetto quando asserisce: “Il dogma «Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica», a cui asseriamo nella professione di fede, si esprime nella celebrazione liturgica proprio nel momento in cui tutti insieme con un cuor solo e un’unica voce lodiamo e supplichiamo il Signore in intima comunione col «noi» della Chiesa. Questo fatto esige che la liturgia sia oggettiva, ossia che i contenuti, le forme e gli intenti dei riti e delle preci siano in tutto conformi al pensiero di Colui che è il soggetto stesso della liturgia: Cristo indissolubilmente unito alla Chiesa sua sposa. La legge dell’oggettività è basilare nella liturgia ed essa deve assicurare che tutto sia conforme al dogma della fede, il quale non è altro che il pensiero stesso del Signore così come egli ce lo ha rivelato.

Infatti, appena lo si dovesse sostituire con un contenuto diverso, soggettivo e conforme a ideologie o sensibilità private, la liturgia perderebbe immediatamente la sua forza in quanto non potrebbe più presentarsi al Padre in nome di Cristo, né essere tramite di quella grazia divina che solo nella conformità e fedeltà a Cristo ci viene elargita dal Padre nella potenza dello Spirito Santo. Da questo principio si comprende bene quanto sia rischioso e talvolta iniquo ogni tentativo di sovversione dell’oggettività liturgica, in quanto rivela la pretesa di accedere a Dio, senza la mediazione di Cristo e senza la umile sottomissione al suo pensiero: «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14, 6).

Infatti, idee peregrine e gusti privati oscurano quella nobile verità e quella mirabile arte che risplendono nel dogma riflesso nelle preci liturgiche e nessun fedele deve subire l’ingiustizia di dover ratificare suo malgrado testi e riti i cui contenuti fossero alieni dall’oggettivo pensiero di Cristo e difformi dalla fede sempre professata dalla Chiesa. La sostituzione del vero soggetto della liturgia è un pericolo ricorrente, che si palesa ogni volta che si accredita la propria sensibilità religiosa o ideologica contro il dogma della fede con una presuntuosa interpretazione soggettiva del culto divino inteso più come espressione psicologica della nostra esperienza che neanche quale deve essere: il riflesso fedele ed integro del pensiero e delle leggi stabilite dal Signore”. Il pensiero qui espresso da don Finotti, in linea con quanto la Chiesa ha sempre insegnato, ci aiuta a capire di più e meglio come la liturgia non sia qualcosa che riguarda noi ma ci riguarda solo in quanto riguarda Lui.

In tempi intrisi di soggettivismo di ritorno, ecco che la liturgia si è ridotta ad un corto circuito fra chi celebra e chi partecipa. Al centro è stata messa “l’assemblea”, che in realtà non è protagonista della liturgia. Se al centro è l’assemblea non siamo più ad una celebrazione della gloria di Dio, ma ad un autocelebrazione che lascia il tempo che trova. Ecco perché si sentì l’esigenza di un’arte dedicata alla liturgia, arte sacra, di una musica sacra; non sacre nel senso di sacralizzare i repertori, ma nel senso di dedicata e separata per il culto di Dio, non inquinata eccessivamente da quello che è fuori dal Tempio, da quello che è profano.

Ecco perché quando si parla della liturgia bisogna partire dal suo valore oggettivo, più che da noi. Se questo valore è ben stabilito, non potremo dubitare che anche gli effetti sui fedeli saranno ricchi di abbondanti grazie spirituali. Benedetto XVI parlando ai vescovi svizzeri nel 2006 diceva: “Io credo che a seguito di tutto ciò man mano diventi chiaro che la Liturgia non è un’“auto-manifestazione” della comunità la quale, come si dice, in essa entra in scena, ma è invece l’uscire della comunità dal semplice “essere-se-stessi” e l’accedere al grande banchetto dei poveri, l’entrare nella grande comunità vivente, nella quale Dio stesso ci nutre. Questo carattere universale della Liturgia deve entrare nuovamente nella consapevolezza di tutti. Nell’Eucarestia riceviamo una cosa che noi non possiamo fare, ma entriamo invece in qualcosa di più grande che diventa nostro, proprio quando ci consegniamo a questa cosa più grande cercando di celebrare la Liturgia veramente come Liturgia della Chiesa”.

Ritengo che partendo da questo, diventa chiaro un po’ tutto il resto e si illumina la comprensione verso ciò che la liturgia ci chiede, prima di pretendere quello che ci concede.

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2 commenti

  • Michele ha detto:

    Parole sacrosante, M° Porfiri. Il dramma degli ultimi decenni è che parte del clero ha volgarizzato a tal punto la redazione soggettiva dello “spettacolo” che il punto di riferimento per le celebrazioni non sono i documenti da lei citati (suppongo che molti ne ignorino l’esistenza o ne provino orticaria al sentirli ancora citare; documenti addirittura di Pio XII, orrore!), ma un polpettone dozzinale come il film “Sister Act”.
    Conta ed ha valore il successo ai botteghini o la percentuale di ascolto, che influenza un gregge ormai quasi abbandonato a sé stesso da decenni e privo degli anticorpi che un tempo difendevano la fede dei semplici. Molti pastori seguono a ruota per il timore di non assecondare i gusti effimeri imposti da chi controlla i mass media ed ecco servita la decadenza.

  • ex : ha detto:

    «Benedetto XVI parlando ai vescovi svizzeri nel 2006 diceva: “Io credo che a seguito di tutto ciò man mano diventi chiaro che la Liturgia non è un’“auto-manifestazione” della comunità la quale, come si dice, in essa entra in scena, ma è invece l’uscire della comunità dal semplice “essere-se-stessi” e l’accedere al grande banchetto dei poveri, l’entrare nella grande comunità vivente, nella quale Dio stesso ci nutre. […] Nell’Eucarestia riceviamo una cosa che noi non possiamo fare, ma entriamo invece in qualcosa di più grande che diventa nostro, proprio quando ci consegniamo a questa cosa più grande cercando di celebrare la Liturgia veramente come Liturgia della Chiesa»

    Parole un po’ più forti di Ratzinger si leggono qui:

    «La liturgia non è uno show, uno spettacolo che abbisogni di registi geniali e di attori di talento. La liturgia non vive di sorprese “simpatiche”, di trovate “accattivanti”, ma di ripetizioni solenni. Non deve esprimere l’attualità ed il suo effimero, ma il mistero del sacro. Molti hanno pensato e detto che la liturgia debba essere “fatta” da tutta la comunità, per essere davvero sua. È una visione che ha condotto a misurare il “successo” in termini di efficacia spettacolare, di intrattenimento. In questo modo è andato però disperso il proprium liturgico che non deriva da ciò che noi facciamo, ma dal fatto che qui accade Qualcosa che noi tutti insieme non possiamo proprio fare. Nella liturgia opera una forza, un potere che nemmeno la Chiesa tutta intera può conferirsi: ciò che vi si manifesta è l’assolutamente Altro che, attraverso la comunità (che non è dunque padrona ma serva, mero strumento) giunge sino a noi» (Cardinale Ratzinger in: Messori, Rapporto sulla fede, Edizioni Paoline 1985, Cap. VIII, pag. 130)».