Il castello del Re è sulla Cima del Monte. Una Meditazione del Matto.

13 Giugno 2021 Pubblicato da

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, settimane fa il nostro Matto mi aveva inviato questa bellissima riflessione che di sicuro colpirà anche voi; ma travolto come oramai avviene quotidianamente dagli eventi l’avevo completamente dimenticato. Me ne scuso con l’autore, e con voi, a cui era destinato. Buona lettura. 

§§§

IL CASTELLO DEL RE È SULLA CIMA DEL MONTE

 

«Allontanandosi dalle cose sensibili, l’anima potrà fissare il suo sguardo sulla Forma immutabile che dà forma a tutte le cose, e sulla Bellezza sempre uguale e in tutto uguale a se stessa, che lo spazio non divide né il tempo trasforma […] Se le anime accecate dalle lordure corporee hanno potuto, senza il soccorso delle discussioni filosofiche, rientrare in se stesse e guardare verso la loro patria, è perché Dio ha, nell’Incarnazione, abbassato fino al corpo umano l’autorità della Ragione divina».

Agostino, De vera religione 3,3 e 4,7).

Dopo l’opportuno incipit agostiniano – apofaticamente cattolico – e prima di procedere, sarà bene ricordare che non ci si salva in gruppo bensì individualmente. Varcata dal singolo la soglia fatale, la comunità religiosa terrena cessa la sua funzione orientativa, e ciascuno di coloro che ne faceva parte è chiamato a sostenere il suo proprio esame. Ed è da chi supera l’esame  individuale che prende a formarsi la Comunità Celeste. Di conseguenza, l’appartenenza alla comunità terrena non costituisce affatto una garanzia di salvezza, che invece occorre guadagnarsi per superare l’esame. Altro è la comunità terrena e altro è la Comunione dei Santi, ossia il Distillato Glorificato dell’umanità terrena. Quindi la Chiesa “fuori della quale non c’è salvezza” è la Comunione dei Santi, non la comunità terrena i cui singoli appartenenti debbono ancora superare l’esame. Avverte il poeta persiano Hakim Sanai (XII secolo), in sintonia perfetta con la visione cristiana:

«Nell’ultimo giorno – che questo ti sia chiaro –
la condizione di un uomo sarà inalterata:
qualunque cosa scelga gli sarà posta innanzi,
lì ritroverà ciò che ha preso qui.
I tessitori del mondo eterno
ti rileggeranno le tue opere.
Non esiste cambio, e neppure sostituzione:
e il male non può trasformarsi.
Nulla sarà dato gratis a nessuno;
ti vien dato ciò che è dovuto, nient’altro».

Sarebbe interessante, si osserva per inciso, indagare se la figura del santo sia appannaggio esclusivo della Chiesa cattolica o se, visto che lo Spirito soffia DOVE vuole – e DOVE Lo si lascia soffiare – ma non si sa da DOVE viene e DOVE va, tale figura sia contemplata anche da altre Tradizioni religiose, posto che come dice il Poeta in apertura del canto I del Paradiso:

«La gloria di colui che tutto move

per l’universo penetra, e risplende

in una parte più e meno altrove»,

 

e perciò non c’è angolo della terra e non c’essere umano che siano del tutto sottratti alla Gloria divina.

 

Squisitamente apofatico quel “DOVE” quale punto alfa e omega, ossia di auto-effusione e auto-assorbimento dello Spirito, del tutto fuori della portata della mente speculativa, per quanto eccelsa, e perciò non esauribile con alcun concetto e ancor meno con una formula verbale.

 

Vi è da evidenziare come la Chiesa cattolica, tetragona nella sua dottrina, nei suoi dogmi, nella sua teologia, nel suo diritto canonico, nei suoi documenti e, non da ultimi, nei suoi possedimenti materiali, possa far nascere nel fedele (si direbbe quasi in modo subliminale) una presunzione di certezza, esclusività e privilegio da cui si genera un altrettanto tetragono, duro giudizio verso gli “altri” che in un modo o nell’altro stanno o si pongono fuori dell’apparato, il quale, proprio perché si presenta tetragono, non lascia spazio ad “altro”.

La presunzione di certezza, esclusività e privilegio (il cui spigoloso simbolo è la “prima pietra” da scagliare) può indurre il fedele ad indurire il suo cuore, a mancare di carità e a tranciare giudizi temerari, avallati da citazioni scritturistiche, dottrinarie, dogmatiche, giuridico-canoniche, documentarie e teologiche che egli non ha verificato in tutto e per tutto prima di tutto su di sé (trattandosi perciò di una verifica che non finisce mai!) e che ha fatto germogliare in lui, appunto, una sorta di “esaltazione giudiziaria”: il fedele presuntuoso ed esaltato mette a confronto gli “altri” con le sue citazioni di comodo (il suo soggettivismo autoreferenziale condizionando la scelta della citazione), ma senza aver coinvolto prima di tutto se stesso in tale arduo confronto, dimenticando che anche per lui vi è una “porta stretta” attraverso cui passare, e che l’idropico, il gonfio d’acqua, figura del gonfio di sé, cioè del suo sapere presuntuoso e sprezzante, certamente non potrà passarvi.

Con la sua consistenza tetragona la Chiesa cattolica rivendica la proprietà della Verità tutta intera, e così anche il fedele si arroga il diritto di giudicare a destra e manca perché si sente dalla parte della Verità, quasi che il sentirsi nella Verità voglia dire automaticamenteesserci. Invece Friedrich Hölderlin osserva:

 

«Chi sente soltanto il profumo di un fiore, non lo conosce, e non lo conosce nemmeno chi lo coglie solo per farne materia di studio».

 

E, aggiungiamo, neanche ciò che è materia di fede lo si può davvero cogliere, poiché si crede proprio a ciò che non si conosce, la qualcosa, s’intende, non depaupera minimante la validità della fede, pur nei suoi limiti in quanto, come dice il Poeta sulle orme di Paolo, essa è: «sustanza di cose sperate/ e argomento delle non parventi»: si spera ciò che non si vede e quindi non si conosce, e del quale si assume la fede come prova (argomento) indiretta.

 

Ora, la Verità è Cristo, che essendo Dio, cioè l’Io Sono, non può essere esaurito da alcuna formula verbale o scritta per quanto da Lui ispirata e per quanto gli uomini l’abbiano interpretata, formulata, sistematizzata, schematizzata, cristallizzata, dogmatizzata.

Per essere rivelata, infatti, la Verità è stata necessariamente diluita e organizzata in una molteplicità di parole che, a ben guardare, non rende per niente agevole coglierne la trascendente unità (che coincide con il “dove” di cui sopra). E non sarà un caso che attraverso i secoli, diatribe e controversie siano fioccate in abbondanza, e tuttora fiocchino, vanificando l’unità della Chiesa. Diatribe e controversie che testimoniano come l’Unità della e nella Verità non sia mai stata mai colta su questa terra né potrà mai esserlo dati i limiti soggettivi e auto-referenziali da cui nessun essere umano (quindi nemmeno il prete, il vescovo e il papa) può dirsi esente.

Cristo-Verità – Io Sono – è infinitamente prima delle Sacre Scritture e di tutte le formule interpretative che ne sono derivate. E infatti, scrive ancora il Poeta nel canto IV del Paradiso:

«Per questo la Scrittura condiscende

a vostra facultate, e piedi e mano

attribuisce a Dio, ed altro intende».

 

Prima dei  Dieci Comandamenti dettati a Mosè c’è l’ineffabile Io Sono che li detta e che a Sua volta non può essere dettato, ossia organizzato-pietrificato in parole. Cristo-Verità è prima del Vangelo, del Catechismo e del Diritto canonico; è Vita in Sé e per Sé, è Luce in Sé e per Sé che precede infinitamente pensieri e parole. E persino “Vita” e “Luce” non cessano di essere parole definenti e non certamente Ciò che definiscono, se de-finire è circo-scrivere e quindi limitare. E questo “Ciò”, per rifarsi ad un Autore esotico, è Quello di cui dice il poeta giapponese Matsuo Basho (1644-1694):

 

«Non cercate di seguire le orme degli antichi saggi; cercate Ciò che essi hanno cercato».

 

Cristo-Verità è il “Ciò”, è il Sommo Arché la cui unicità è impossibile da rendere e cogliere esaurientemente attraverso la molteplicità delle parole; è LA Parola, IL Verbo che non può essere esaurito dalle parole, come il Creatore non può esaurirsi nelle creature. È il Pantocratore Organizzante che non può esaurirsi nell’organizzato, nel formalizzato, dunque nemmeno nelle Sue immagini, quantunque preziosissime ai fini della meditazione e della contemplazione (e sempre che siano immagini davvero sacre). Le Sacre Scritture e la relativa omiletica sono parole che certamente – e necessariamente – orientano verso la Parola; l’analisi che orienta verso la Sintesi; il molteplice che orienta verso il Mistero dell’Uno. Ma l’orientamento non è la Mèta, cioè la Verità in Sé, bensì è un volgersi ad Essa che richiede un incamminarsi, un ascendere al Castello dell’Unità Divina (il Castello del Santo Graal!), ciò esigendo un progressivo lasciarsi dietro (che non vuol dire rinnegare) l’organizzazione del molteplice giacché il Semplice, lo Spirito non può essere disarticolato nel molteplice, quindi anche le Sacre Scritture, la dottrina, i dogmi, il diritto canonico, i documenti, la teologia e, come dice Agostino, “le discussioni filosofiche”.

 

E l’ascendere al Castello del Re, lassù in cima alla montagna, esige anche l’alleggerirsi, fino a liberarsene, della pesante cappa delle scorie umane, cioè le “lordure corporee” secondo l’ipponate, fino a che, giunti alla Mèta, si possa indossare l’abito cerimoniale necessario per entrare nel Castello e partecipare al Banchetto del Re. E l’abito cerimoniale non è confezionato con le parole, bensì con la … nudità integrale dell’Anima, che si presenta al Re così come fu nel primo istante della sua creazione, ancora infante (da in  fari: che non ha l’uso della favella), pura da ogni scoria e lordura, compresa qualsivoglia struttura mentale.

 

Sì, per un inaudito capovolgimento di prospettiva, la nudità di cui si accorsero i Progenitori per la malizia diventa l’innocenza necessaria alla divinizzazione! E l’ignoranza diventa caparra della sapienza. Dice infatti, apofaticamente, Agostino nel De Ordine:

 

«Dio si conosce meglio nell’ignoranza. Melius scitur Deus, nesciendo».

 

E come il monte di terra si assottiglia man mano che si sale, così che la sua cima si smaterializza per sposarsi con il Cielo, così le parole sono materia che ha da sciogliersi in quanto barriera ostacolante l’ascesa. La Contemplazione Unitiva è immediata, quindi sovra-cogitativa, sovra-razionale, sovra-logica, sovra-discorsiva; le parole e i concetti hanno compiuto il loro necessario (e fatalmente accidentato) compito propedeutico, ma ora non servono più ed anzi costituiscono una mediazione ingombrante e perciò una zavorra.

 

Nell’incipit, Agostino dice: “allontanandosi dalle cose sensibili”, e le parole sono anch’esse cose sensibili che si generano a loro volta da cose sensibili. La “Forma immutabile” e “la Bellezza sempre uguale e in tutto uguale a se stessa” sono l’Invisibile Realtà Immediata (ancora una volta il “Dove” di cui sopra) e non parole, le quali possono soltanto, e molto approssimativamente, indicarle e mai esserle. In sintesi: abbandonare ogni vincolo formale, catafatico, ostacolante; abbandonare la catabasi per l’anabasi, cioè la discesa per la salita, la dispersione per il raccoglimento, la periferia per il centro, i raggi della ruota per il mozzo. La Parola GIÀ È, nella sua essenzialità ineffabile (nel suo “Dove”!) infinitamente pre-concettuale, pre-razionale, pre-logica e pre-discorsiva, e le parole che ne dicono questo e quello restano, per quanto raccolte in eccelsi ed ineccepibili sillogismi, irriducibilmente al Suo margine.

 

Facendo proprie le parole, particolarmente quelle delle Sacre Scritture, sorge facilmente l’illusione di possedere la Verità, mentre nel De Veritate Tommaso d’Aquino avverte:

«Tu non possiedi la Verità, ma è la Verità che possiede te».

Ora, la Verità è una e apofatica (ancora il “Dove”!), non imbrigliabile con parole e concetti. La Verità è lo Spirito supremamente libero di fronte al quale il composto umano, per essere redento e quindi trasfigurato in gloriosa unità, deve dapprima sparire. Il risorgere esige il morire.

Ed il composto umano è quello di mente e corpo che, anche secondo la disciplina zen vanno fatti cadere: shinjin datsuraku è l’assioma di fondo, cioè spogliarsi del proprio corpo e mente. Ovvero: lasciar cadere tutto ciò che si è, si sa e si ha, ovvero l’identità posticcia del koga, il piccolo io.

La Verità è il Cavallo che conduce il Cavaliere.

È dal cavallo che Galgano Guidotti di Chiusdino, avendone appunto abbandonato le briglie (vale e dire la volontà e la sapienza proprie), viene condotto a Montesiepi, dove pianta la Spada nella Roccia. Come dire che, per ripetere l’Aquinate, non è l’uomo che trova la Verità ma la Verità che trova l’uomo, se questi, s’intende, si lascia trovare rendendosene degno. E infatti, come dice il Poeta in Paradiso canto XXXI:

 

«ché la luce divina è penetrante
per l’universo secondo ch’è degno,
sì che nulla le puote essere ostante».

 

Lassù, in cima alla montagna, nel Castello del Re, il Consesso degli Eletti  e l’Io Sono dimorano nel Silenzio Primordiale. Essi gustano insieme l’Agape Celeste che è Comunione irriducibile a qualsiasi descrizione, compresa quella pur sublime di Dante:

 

«In forma dunque di candida rosa

mi si mostrava la milizia santa

che nel suo sangue Cristo fece sposa».

Qui sotto, in quanto devoto di san Galgano, forse non estraneo alla Cavalleria Templare, propongo otto minuti di benefico rilassamento dell’anima.

https://www.rainews.it/dl/rainews/media/San-Galgano-il-mistero-della-spada-nella-roccia-6ef6f737-84f4-4981-949f-a62dda5307f1.html

§§§

 




Ecco il collegamento per il libro in italiano.

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22 commenti

  • stefano raimondo ha detto:

    Viva la nescienza! E viva il matto! (Che saluto).

    Scritto suggestivo, che mi leggerò con calma.

    Solo due cose in superficie. Della sensibilità non è tutto da scartare, il mondo sensibile ci serve, almeno in un primo momento: il fiore profumato mi dà l’opportunità di scoprire che ho l’olfatto, l’olfatto è Mio ma se non ci fosse il fiore io non saprei di avere la capacità olfattiva, pertanto il mondo esterno risulta essere utile, anche se successivamente dobbiamo concentrarci più su noi stessi (come sappiamo, noi occidentali attribuiamo più importanza all’esterno e finiamo per dimenticare l’uomo, mentre gli orientali storicamente hanno ecceduto con l’introspezione). Riguardo la Chiesa Cattolica e il suo essere dogmatica. È inevitabile con il monoteismo: unico Dio = unica verità, e chi non riconosce questa verità è nell’errore e va debitamente rettificato… (dovremmo forse riscoprire l’indole pagana? Indole che ci introduce in un multiverso anziché in un universo, un approccio che comporta necessariamente l’accettazione della diversità).

  • Gianfranco ha detto:

    Una ridondante accozzaglia di splendidi frammenti. Lo pseudonimo dell’autore è calzante.
    …Apofaticamente parlando.

  • Non Metuens Verbum ha detto:

    E’ una bella meditazione, utile (forse molto utile) da richiamare ogni tanto alla propria coscienza, poiché come dice San Tommaso avere un abito virtuoso in potenza non vuol dire esercitarlo in atto incessantemente.

    Suggerirei all’autore di non diluirne il messaggio commentando i commenti dei lettori. Lasciamo che ognuno commenti a modo suo, e capisca o non capisca a modo suo.

  • Il Matto ha detto:

    Il fatto è che l’abitudine – radicatissima – a pensare e parlare induce ad avere in essi una piena fiducia, sicché insorge la necessità di dovercisi aggrappare pena cadere (così si crede) nel non essere.

    Si fa dei pensieri e delle parole un assoluto mentre invece sono un relativo, e, di conseguenza, un contraddittorio. Mentre invece solo nel Silenzio può esservi unione e pace.

    Finora nessun commentatore ha preso in considerazione l’episodio assai significativo di san Galgano che abbandona le briglie del pensiero proprio e della volontà propria, quindi mettendosi a tacere ed entrando nel Silenzio, condizione indispensabile per essere condotto dallo Spirito Santo.

    Con l’affermazione (catafasi) di questo e di quello si ritiene di possedere la verità che, invece, é “Forma immutabile e Bellezza sempre uguale e in tutto uguale a se stessa, che lo spazio non divide né il tempo trasforma”.

    Ora, non c’è niente di più disuguagliante, discriminante, dividente, calato nel tempo e nello spazio del pensare e parlare. E le prove di ciò sono all’ordine del giorno.

  • cattolico ha detto:

    signor matto,gli ordini che yhwh scrive sulle tavole e poi detta a moses sono 613. molti di essi sono copiati dal codice di hammurabi e dal libro dei morti egizio.la stele di hammurabi è alta più di due metri e contiene circa 220 leggi.le tavole di moses, scritte in geroglifico avrebbero dovuto essere alte almeno due metri e mezzo.con simpatia

    • Il Matto ha detto:

      La ringrazio per la simpatia.

      Le chiederei, però , di essere più esplicito. Non trovo (per mio limite) un collegamento con il mio scritto.

  • Il Matto ha detto:

    Il signor Marco mi permetterà di prendere spunto dalla sua ‘confessione’ nel presentare il mio articolo:

    “travolto come oramai avviene quotidianamente dagli eventi”, inconveniente che non riguarda solamente lui, essendo una peculiarità di questa nostra vita moderna e progredita che in un modo o nell’altro spinge nell’agitazione.

    Ebbene, in giapponese il termine ISOGASHII 忙しい indica esattamente il coinvolgimento mortale del cuore nel vortice delle incombenze quotidiane. Infatti, nell’ideogramma 忙 che significa occupato, impegnato, troviamo a sinistra il cuore 心 e a destra la distruzione 亡.

    Inoltre, l’iconografia mostra Isogashii come un mostro dalla pelle blu con orecchie flosce, naso grosso e una lingua enorme che gli esce dalla bocca. Si muove freneticamente, come se avesse un milione di cose da fare. Si nutre della irrequietezza delle persone. Gli esseri umani posseduti dagli isogashii diventano estremamente irrequieti e incapaci di rilassarsi, preda di un movimento continuo.

    Naturalmente, il rimedio c’è:

    trovare a tutti costi una ventina di minuti al giorno per FERMARSI CON IL CORPO E CON LA MENTE. 😊

  • giovanni ha detto:

    Una domanda/ senza i Dieci Comandamenti come si divide cio’ che bene da cio’ che e’ male? Ergo bene e male non esistono o no ? Quindi ognuno fa’ a modo suo. E allora che senso ha dire che alla fine ognuno viene giudicato per le proprie azioni. Non essendovi legge non vi e’ giudizio. Come fara’ Dio a giudicare se non ha posto la legge quale vincolo invalicabile? Le due cose si reggono vicendevolmente oppure si annullano a vicenda. Un inciso / il peccato di dei progenitori era la disubbidienza a Dio. Che infatti vieto’ loro, per mezzo della parola, prendere i frutti dell’albero della conoscenza nell’Eden. Mangiatili si accorsero della nudita’. Probabilmente per Lei cio’ e’ ad uso e consumo dei semplici. Insomma se ho ben capito degli scritti biblici e non ne’ facciamo un bel falo’ visto che ” la parola e’ barriera ostacolante l’ascesa ”. Comunque complimenti per questa tesi gnostica da manuale.

    • Il Matto ha detto:

      La ringrazio dei complimenti.

      Mi permetta soltanto di ricordarLe che a un certo punto scrivo che “le Sacre Scritture e la relativa omiletica sono parole che certamente – e necessariamente – orientano verso la Parola … ma l’orientamento non è la mèta”.

      Quindi nessun falò, ma anche nessun accontentarsi, per così dire, dei cartelli che indicano la direzione (e senza che chi si accontenta dei cartelli debba essere criticato!).

      “La Forma immutabile che dà forma a tutte le cose, e la Bellezza sempre uguale e in tutto uguale a se stessa, che lo spazio non divide né il tempo trasforma […]” di cui riferisce Agostino, si pongono oltre ciò che è scritto e ciò che è detto e oltre il bene e il male, quest’ultima dualità non potendo sussistere nell’Ineffabile Sintesi ove non ci sono né tempo né spazio.

  • Luca ha detto:

    In realtà è semplice, la chiave è stata data da Giovanni evangelista: il Logos (“Verbo” non rende) è il linguaggio con cui è stato formato l’universo, e Gesù Cristo è questo Logos, incarnatosi. Chi segue il Logos, anche senza conoscerlo, in qualche modo segue Cristo; e può farlo proprio perché il linguaggio del Logos è accessibile alla ragione umana, tanto quanto la gravità produceva i suoi effetti anche prima che fosse stata formulata in termini scientifici. Tuttavia, solo all’interno del Cristianesimo si può comprendere la pienezza del Logos divino. Di conseguenza le scritture Cristiane sono le più autentiche perché testimoniano questo avvenimento storico, mentre, per fare un esempio, le scorribande sanguinarie di un Maometto non ci dicono molto a riguardo, se non che perfino un barbaro violento e maniacale può arrivare a comprendere la necessità di Dio.
    Abbandonare la razionalità è andare contro il Logos, che è anche razionalità pura: per questo il mondo moderno è impazzito e non sa più cosa siano il bene e il male, il bello e il brutto, financo maschio e femmina. Confucio, che conosceva il Logos (i Cinesi lo chiamano Tao, gli indiani Dharma) non ha scritto testi irrazionali. Insensato, folle diventa chi volta le spalle al Logos e pretende di riplasmare l’universo stesso.

    • stilumcuriale emerito ha detto:

      E il Logos si è fatto sars (carne) . La corporeità dell’uomo è fondamentale in tutta la Rivelazione. L’uomo non è un’anima con un corpo, nè un corpo con un’anima. E’ un tutt’uno. Il Vangelo non dice che Cristo spirò, ma dice :et emisit spiritum. Nel momento in cui spirito e carne si separano l’uomo muore.

    • Il Matto ha detto:

      “Il Logos è accessibile alla ragione umana”: ragione (ratio) significa misura, ed il Logos non può essere misurato, cioè razionalizzato, se non, evidentemente, in maniera irriducibilmente limitata. la ragione resta sempre sul piano orizzontale, il Logos è verticale.

      “Il Logos non ha scritto testi irrazionali”: esatto, infatti ha scritto testi sovrarazionali. Non bisogna confondere il sovrarazionale con l’irrazionale. La ratio, la misura, il limite, mai può comprendere appieno l’Intelletto, il Senza Misura, l’Illimitato.

  • alessio ha detto:

    Sarebbe veramente da matti dire
    che Gesù ,vero Dio e vero uomo ,
    è venuto tra gli uomini non solo
    per salvargli l’anima , ma anche
    per donare tutto se stesso e
    tutto quello che ha
    nell’ ultimo giorno ;
    quindi non citerei u poeta
    arabo che parla della spilorceria
    di Dio .

    • Il Matto ha detto:

      Non vedo cosa c’entri la “spilorceria di Dio”.

      I versi del poeta persiano riecheggiano più che chiaramente i Novissimi: morte, giudizio, inferno, paradiso.

      “Non esiste cambio, e neppure sostituzione”: una volta di là il gioco è fatto e ognuno avrà ciò che merita secondo che ha “accumulato” in terra.

      • alessio ha detto:

        Semplicemente i musulmani
        non credono nel nostro paradiso
        ma nel premio , in quanto non
        credono che sulla croce è salito
        Dio.

  • ALESSANDRO O ha detto:

    Nel taoismo Zhuang-Zi diceva che le parole erano, per gli antichi, come case di paglia: buone per dimorarvi una notte, ma il giorno seguente bisognava abbandonarle. Credo anch’io che le parole siano un ostacolo, perché inducono all’organizzazione della mente razionale. In questo sta forse il limite del Cristianesimo come struttura di pensiero, che ha sempre visto, sin dalla Patristica, nella ragione una delle due “ali” (insieme alla Fede) per raggiungere Dio. Non dimentichiamo che lo stesso San Tommaso, dopo aver avuto la visione del cielo, desiderò ardentemente dare alle fiamme tutti i suoi scritti al grido di: “Nient’altro che paglia!” Zhuang-Zi, non potendo esimersi dallo scrivere e tuttavia stimando un peso la scrittura, elaborò le cosiddette “parole a coppa”, cioè parole vuote, le uniche degne di rappresentare il vuoto. Perchè il “Mu”, il vuoto, può anche essere indicato con le parole, purché siano parole che si auto-escludano, come appunto nei koan. E non si tratta soltanto di parole quando c’è di mezzo la verità. Tanto per citare una storia Zen, si narra che quando Joshu andò dal maestro Nansen a chiedergli come poteva afferrare la verità, Nansen si mise a quattro zampe: allora Joshu gli diede un calcio e se ne andò.

    • Luca ha detto:

      Non desiderò di bruciare i suoi scritti, anzi, pare che gli apparve Cristo e gliene confermò il valore; gli apparirono sì come inadeguati.
      Quello che lei definisce “limite” è in realtà un limite, semmai, del Cattolicesimo post-scisma Occidentale, del Tomismo Tridentino. Mi faccia un giro sul monte Athos, poi ne riparliamo.
      In ogni caso, la ragione è importante: il mondo moderno è impazzito proprio perché si crede razionale, ma non lo è. Una via completamente “apofatica” è monca. Il pensiero Cristiano autentico è completo perché abbraccia tutto, il misticismo come il sillogismo più freddo, il lavoro ben fatto come la contemplazione, etc.