Iam non dico vos servos, […]; vos autem dixi amicos. Caliari, una Meditazione.

27 Maggio 2021 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Carissimi Stilumcuriali, vi offriamo questa riflessione pronunciata da Gian Pietro Caliari in occasione di un ritiro compiuto da un gruppo di ragazzi e delle loro famiglie. Buona lettura.

§§§

 

Santuario della Madonna di Valverde – Rezzato

23 maggio 2021

Incontro con le famiglie e i ragazzi 

Giovanni 15, 12-20 

Iam non dico vos servos, […]; vos autem dixi amicos

 Intervento di Gian Pietro Caliari

Care Mamme e cari Papà,

Carissimi amici,

siamo oggi insieme in questo Santuario mariano e in questo bel mese di maggio, che la nostra santa tradizione Cattolica  da sempre dedica alla Santa Vergine Maria, la dolce Madre del nostro amato e buon Gesù.

Oggi, in questo solenne giorno della Pentecoste, siamo qui sull’esempio di quei primi discepoli di Cristo Gesù, che dopo il ritorno al Padre del loro Divino Maestro nell’Ascensione “tornarono a Gerusalemme dal monte chiamato dell’Uliveto […] e tutti perseveravano concordi nella preghiera, con le donne, e con Maria, madre di Gesù” (Atti degli Apostoli 1, 12-14).

E, oggi, risuona ancora per noi tutti la potente parola di Gesù, mentre si congedava da coloro che amò fino alla fine: “Non vi chiamo più servi […] ma vi ho chiamato amici!” (Giovanni 15, 15).

Per questo la Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo – nelle liturgie dell’Oriente Cristiano – a più riprese si rivolge a Cristo Gesù chiamandolo “l’amico degli uomini”.

Sono queste le parole che il celebrante recita accostandosi all’altare per offrire il Sacrificio Eucaristico: “O Signore, amico degli uomini, fa risplendere nei nostri cuori la pura luce della tua divina conoscenza, e apri gli occhi della nostra mente all’intelligenza dei tuoi insegnamenti evangelici”.

E l’assemblea risponde cantando: Ὅτι ἀγαθὸς καὶ φιλάνθρωπος Θεὸς: Così tu sei Dio, buono e amico degli uomini!” (Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo).

“Non vi chiamo più servi […] ma vi ho chiamato amici!” (Giovanni 15, 15).

Si! Sono proprio queste le meravigliose parole che Gesù rivolge ai suoi discepoli, nel momento stesso in cui egli sa e comunica ai suoi che l’ora è giunta.

“Così parlò Gesù. Quindi, alzati gli occhi al cielo, disse: “Πάτερ, ἐλήλυθεν ἡ ὥρα· δόξασόν σου τὸν υἱόν, ⸀ἵνα ὁ ⸀υἱὸς δοξάσῃ σέ” – Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te” (Giovanni 17, 1).

È questa l’ὥρα τῆς δόξης, è l’ora della glorificazione! La glorificazione di Colui che  “pur essendo di natura divina […] spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; […] umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Filippesi 2, 6-8).

È “l’ora di Cristo”!  È l’ora suprema della sua Amicizia, offerta agli uomini come “amico degli uomini”.

È “l’ora di Cristo”! L’ora in cui Gesù rivolge l’eterna chiamata alla salvezza: “rimanete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore”

È “l’ora di Cristo”! L’ora della gioia compiuta e perfetta: “Questo vi ho detto, perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”.

È “l’ora di Cristo”! L’ora in cui la glorificazione si compie nel dono totale dell’Amicizia e dell’Amore, perché: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”.

È “l’ora di Cristo”, ma è anche e insieme l’ora tremenda del giudizio!

È l’ora che definitivamente separa chi crede da chi rifiuta l’amicizia di Dio in Cristo Gesù, suo unico Figlio.

È l’ora decisiva della scelta definitiva quella di “rimanere nell’amore” di Colui che ci ha amati “come il Padre ha amato lui”, e di osservare i suoi comandamenti come lui “ha osservato i comandamenti del Padre ed è rimasto nel suo amore”.

È l’ora di una scelta radicale fra la piena gioia che Gesù dona ai suoi e che proviene dal conoscere tutto ciò che lui ha udito dal Padre, e l’odio, invece, che il mondo sempre – ieri, oggi, e domani – riversa abbondante contro la Verità di Cristo e i suoi stessi amici:  “Io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia”.

È l’ora di scegliere fra la Verità di Cristo sull’uomo e sulla storia e la Menzogna del mondo, che sempre ci odia, perché prima di noi ha odiato lui: Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me”.

Ventisei volte il vangelo di Giovanni parla del giungere “dell’ora di Cristo”.

È  certo l’ora della passione e glorificazione di Gesù sulla Croce e nella Resurrezione (cfr. Giovanni 7, 30; 8, 20; 12, 23-27; 13, 1; 17, 1; 19, 27), quando Egli compie l’opera della redenzione dell’umanità e della sua restaurazione all’originale progetto creativo di Dio Padre.

È l’ora di nuove relazioni con Dio! L’ora di un nuovo culto, che dia perfetto compimento a quello dell’Antica Legge mosaica: “Viene l’ora, ed è adesso, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità(Giovanni 4, 23).

È l’ora in cui si manifesta la potenza vivificante di Cristo sulle opere di Satana e della morte: “In verità, in verità vi dico: viene l’ora, ed è adesso, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno. Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso” (Giovanni 5, 25-26).

Tutta la vita terrena di Gesù è stata orientata verso quest’ora, come Cristo stesso ci rivela nella sua preghiera al Padre nel giardino del Getzemani: “Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora” (Giovanni 12,27).

Ma è anche l’ora dei satanici nemici contro Colui che è “la Via, la Verità e la Vita” (Giovanni 14, 6): ”Questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre” – dice Gesù a – “coloro che gli eran venuti contro di lui, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani” (Luca 22, 52-53).

È l’ora in cui Satana entra in Giuda, è l’ora del traditore! “Gesù intinto allora il boccone, lo prende e lo dà a Giuda, figlio di Simone Iscariota. E, dopo il boccone, allora Satana entrò in Giuda” (Giovanni 13, 26-27).

È l’ora di chi rinnega l’amicizia tanto generosamente offerta. L’ora in cui Pietro interrogato da una serva, invece di confermare i suoi fratelli nella Fede – come gli aveva chiesto il Divino Maestro  -“cominciò a imprecare e a giurare: Non conosco quell’uomo! E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù: Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte” (Matteo 26, 74-75).

In quest’ora buia sembra che il potere erompente e debordante del Maligno non possa essere fermato da nessuno; e che la glorificazione del Figlio si trasformi in umana tragedia.

Quest’ora è, invece, nel suo culmine supremo l’ora di Cristo, l’ora del perfetto compimento della sua missione e della definitiva rivelazione di Dio all’uomo e dell’uomo all’uomo stesso: “Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Giovanni 13, 1).

L’ora di Cristo è, dunque, l’ora della suprema Amicizia e dell’Amore perfetto, che va “sino alla fine”, fino al dono supremo.

Nel suo sacrificio, Cristo infatti ci rivela e rinnova l’Amicizia di Dio per l’uomo e la sua stessa intima essenza. Si! “ὅτι ὁ θεὸς ἀγάπη ἐστίν; Dio è amore (1 Giovanni 4, 8)!

E, continua l’Apostolo Giovanni: “In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1 Giovanni 4, 9-10).

Si! Dio in Gesù non avrebbe potuto amarci più veramente, più profondamente, più intensamente e più appassionatamente!

Si! Il Dio di Gesù Cristo è veramente ἀγαθὸς καὶ φιλάνθρωπος, buono e amico dell’uomo!

Solo nel suo Amore e nella sua Amicizia possiamo, infatti, comprendere “quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità,  dell’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, e che ci ricolma di tutta la pienezza di Dio”, come scrive l’Apostolo Paolo nella sua Lettera agli Efesini (3, 18-19).

Proprio ora, adesso per noi, Gesù dice ancora una volta a noi: “Non vi chiamo più servi […] ma vi ho chiamato amici!” (Giovanni 15, 15).

Cari amici, oggi più che mai abbiamo noi tutti bisogno  dell’Amicizia e dell’Amore di Cristo!

Più che mai abbiamo bisogno di vera Amicizia e di vero Amore!

Si! Di vera Amicizia e di vero Amore abbiamo bisogno!

In questo folle tempo, in cui sembrano prendere forma e corpo le tenebrose previsioni di Aldous Huxley che nel lontano 1931, presentando al pubblico il suo romanzo The Brave New World,  scriveva:

“Ci sarà, in una delle prossime generazioni, un metodo farmacologico per far amare alle persone la loro condizione di servi e quindi produrre dittature, come dire, senza lacrime; una sorta di campo di concentramento indolore per intere società in cui le persone saranno private di fatto delle loro libertà, ma ne saranno piuttosto felici, in quanto verranno sviati dalla volontà di ribellarsi per mezzo della propaganda o del lavaggio del cervello, o del lavaggio del cervello potenziato con metodi farmacologici. E questa sembra essere la rivoluzione finale” (citato da David Livingstone, The History of a Dangerous Idea: Transhumanism, New York, 2015, p. 179).

Nel Nuovo Mondo di Huxley, infatti, Dio e la sua Croce sono banditi; la Storia è ignorata perché è “vecchia e barbara” e deve essere cancellata; anche la procreazione fra uomo e donna è vietata, perché i bambini sono prodotti in laboratorio e acquistati su domanda; i termini “padre e madre e genitore”, “fratello e sorella”, “amico e amica”  sono rigorosamente vietati e permessi solo come insulti; i ragazzi sono spinti fin dalla più tenera età a dare sfogo alle loro libidini sessuali per evitare lo sviluppo di emozioni forti e di attaccamento al compagno e abituati ad  avere una vita sessuale totalmente promiscua fin da piccoli.

In questo Nuovo Mondo transumano, annota Huxley: “la civiltà è sterilizzazione” (The Brave New World, p. 97); “una delle funzioni principali di un amico consiste nel subire i castighi che desidereremmo infliggere, ma non possiamo, ai nostri nemici” (p. 145) e “la civiltà non ha assolutamente bisogno di nobiltà e di eroismo. Queste cose sono sintomi d’insufficienza politica. (p. 194).

Nel Nuovo Mondo distopico di Huxley gli uomini vivono – e hanno l’unica garanzia di vivere – ma sono privati dell’unica vera realtà che veramente fa vivere: essere padre, essere madre, essere figlio, essere figlia, essere amico, essere amica ed esserlo con nobiltà ed eroismo!

Se nel  lontano 1932 questo romanzo poteva apparire come il frutto di una folle immaginazione creativa, noi abbiamo ben sperimentato e stiamo vedendo ancor più, giorno dopo giorno, – come leggiamo nella celebre opera del pittore spagnolo Francisco Goya – che “El sueño de la razón produce monstruos”.

Si! “Il sonno della ragione genera mostri!”.

Chi avrebbe pensato, solo qualche tempo fa, che gli uomini per paura di morire avrebbero smesso di vivere?

Che pur di “salvare la pelle” avremo ben volentieri sacrificato la vita?

Chi mai ci avrebbe detto che l’uomo del ventunesimo secolo sarebbe ridiventato “homo homini lupus”; l’uomo un lupo per l’uomo, da tenere a debito distanziamento sociale?

O che ad indefinitum ci saremo dovuti coprire il volto, persino all’aria aperta, nascondendo così – come scriveva il filosofo Emmanuel Levinas  – “l’assoluto che il nostro volto manifesta di noi all’altro”? (Totalité et Infini: essai sur l’extériorité, Parigi, 1961, p. 16).

Chi, solo dieci anni fa, avrebbe pensato che, in nome del politicamente corretto, la nostra vita quotidiana sarebbe stata dominata, in ogni occasione e con ogni mezzo, dall’assoluto relativismo intellettuale e morale, e  da un’imperante nichilismo esistenziale?

E che relativismo e nichilismo, come nel romanzo di Huxley, sarebbero diventati pensiero comune e, persino, il solo accettato e accettabile?

Scriveva papa Benedetto XVI nel 2004: “Negli ultimi tempi mi capita di notare sempre di più che il relativismoquanto più diventa la forma di pensiero generalmente accettatatende all’intolleranza, trasformandosi in un nuovo dogmatismo. Il politicamente corretto vorrebbe erigere il regno di un solo modo di pensare e parlare.  Il suo relativismo apparentemente lo innalza più in alto di tutte le grandi vette del pensiero finora raggiunte; soltanto così si dovrebbe ancora pensare e parlare se si vuole essere all’altezza del presente. Mentre la fedeltà ai valori tradizionali e alle conoscenze che li sostengono viene bollata come intolleranza e lo standard relativistico viene elevato a obbligo. Il relativismo comincia a prendere piede come una sorta di nuova «confessione», che pone limiti alle convinzioni religiose e cerca di sottoporle tutte al super-dogma del relativismo” (J. RATZINGER, “Lettera a Marcello Pera”, in M. PERA – J. RATZINGER, Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, Islam, Milano, 2004, pp. 116-117).

Ma Benedetto XVI era anche conscio delle drammatiche e tragiche conseguenze del relativismo: “Il relativismo diffuso, secondo il quale tutto si equivale e non esiste alcuna verità, né alcun punto di riferimento assoluto” – scriveva il Santo Padre – “non genera la vera libertà, ma instabilità, smarrimento, e  sterile conformismo alle mode del momento” (in: AAS, 102 [2010], p. 461).

Ben sappiamo che relativismo e nichilismo sono ormai penetrati profondamente anche nella Chiesa Cattolica, spesso ormai dimentica delle parole di Gesù: “ Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla!” (Giovanni 15, 5).

Già Paolo VI, incontrando l’8 settembre 1977 e confidandosi con il filosofo francese Jean Guitton affermava: «C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo della Chiesa, e ciò che è in questione è la fede. Capita ora che mi ripeta la frase oscura di Gesù nel Vangelo di san Luca: Quando il Figlio dellUomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla Terra?”.

E così continuava il Papa bresciano: “Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che allinterno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico allinterno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia” (Papa Paolo VI, 8 settembre 1977 – in: J. Guitton, Paolo VI segreto, Milano, 2002, pp. 152-153).

E lo stesso filosofo e accademico di Francia, Jean Guitton, scriveva che la sfida di ogni generazione di cattolici è sempre la stessa: “è il mondo che giudica il Vangelo o è il Vangelo che deve giudicare il mondo?”

E aggiungeva: Sarebbe ben più facile tacere  e rispettare in silenzio ciascuno le idee dell’altro. Si, sarebbe più facile, più gratificante. Ma è forse possibile? Chi crede che una verità esista, non ha forse il dovere di cercare di testimoniarla anche con le parole? Petulanti, guastafeste? Può ben darsi. Ma possiamo fare diversamente?” (Le Siècle qui sannonce, Paris, 1996, p. 37).

Solo il volto amico di Cristo, tuttavia, ci svela e ci comunica la verità e la pienezza dell’Amicizia e dell’Amore di Dio.

Senza quest’Amicizia e quest’Amore la stessa dignità e libertà dell’uomo vengono meno e sono dissolte nel relativismo e nel nichilismo del nostro tempo.

Care Mamme e Cari Papà,

Oggi, abbiamo ascoltato le testimonianze dei vostri amatissimi figli sul dono dell’amicizia che condividono insieme nel nostro piccolo ma magnifico gruppo.

Avendo l’onore e il privilegio di passare, ormai, tante ore e persino tante giornate con loro, osservandoli insieme mi sono spesso venute alla mente le parole che l’antico scrittore romano Marco Tullio Cicerone dedica all’amicizia nel suo De Amicitia:

“Sed hoc primum sentio, nisi in bonis amicitiam esse non posse” – “Ma questo innanzitutto credo, che lamicizia non vi può essere se non tra i buoni” (De Amicitia, 18).

E aggiungeva: “Infatti l’amicizia non è niente altro che un accordo su tutte le cose divine ed umane, con benevolenza ed affetto; di esse certo so che nulla di meglio è stato dato all’uomo da parte degli dei immortali” (Ibidem, 20).

Cari amici,

Ben al di là e ben superiormente di quanto potevano comprendere  dell’Amicizia antichi e saggi uomini, come il nostro Cicerone, domandiamoci: quale è, allora, l’amicizia che Cristo ci offre? e che amicizia aspetta da noi?

Lui che è “la Via, la Verità e la Vita”, Signore del tempo e della storia, ancor oggi ci offre la stessa e immutabile amicizia che offrì ai suoi due primi discepoli, ai quali Giovanni Battista aveva indicato Gesù: “Ecco l’Agnello di Dio!” (Giovanni 1, 35)

Ad Andrea e Giovanni che chiedevano: “Maestro, dove abiti?”; Gesù risposte semplicemente: “Venite e vedete!” (Giovanni 1, 38-39). E l’Evangelista, protagonista di quell’incontro, annota: “Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui” (Ibidem).

Gesù ripete anche a noi oggi: Venite e vedete! Lui un amico! E casa  a di un amico ci va e ci si ferma a lungo e volentieri, come fecero Andrea e Giovanni.

C’è un’amicizia più grande, c’è un amore più vero di Colui che da la sua vita per i propri amici?

Poche ore prima di essere eletto successore dell’Apostolo Pietro col nome di Benedetto XVI, il cardinal Joseph Ratzinger così si rivolgeva ai suoi colleghi cardinali: “Il Signore ci chiama amici, ci fa suoi amici, ci dona la sua amicizia. Il Signore definisce lamicizia in un duplice modo. Non ci sono segreti tra amici: Cristo ci dice tutto quanto ascolta dal Padre; ci dona la sua piena fiducia e, con la fiducia, anche la conoscenza. Ci rivela il suo volto, il suo cuore. Ci mostra la sua tenerezza per noi, il suo amore appassionato che va fino alla follia della croce. [..]  Affida il suo corpo, la Chiesa, a noi. Affida alle nostre deboli menti, alle nostre deboli mani la sua verità – il mistero del Dio Padre, Figlio e Spirito Santo; il mistero del Dio che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. Ci ha reso suoi amici – e noi come rispondiamo?”

“Il secondo elemento, con cui Gesù definisce lamicizia, è la comunione delle volontà. Idem velle – idem nolle”, era anche per i Romani la definizione di amicizia. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando”. Lamicizia con Cristo coincide con quanto esprime la terza domanda del Padre nostro: Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”. Nellora del Getsemani Gesù ha trasformato la nostra volontà umana ribelle in volontà conforme ed unita alla volontà divina. Ha sofferto tutto il dramma della nostra autonomia – e proprio portando la nostra volontà nelle mani di Dio, ci dona la vera libertà: Non come voglio io, ma come vuoi tu”. In questa comunione delle volontà si realizza la nostra redenzione: essere amici di Gesù, diventare amici di Dio. Quanto più amiamo Gesù, quanto più lo conosciamo, tanto più cresce la nostra vera libertà, cresce la gioia di essere redenti (dallomelia del cardinal Joseph Ratzinger nella Messa pro eligendo Pontifice del 18 aprile 2005).

Non vi chiamo più servi […] ma vi ho chiamato amici!” (Giovanni 15, 15).

Si! Grazie Gesù della tua amicizia! Perché non noi ma tu hai scelto noi!

Si! Grazie Gesù anche della nostra amicizia!

Si! Grazie Gesù, e che questa amicizia con Te, Via, Verità e Vita, porti frutto e frutto abbondante: e che questo frutto rimanga!

§§§




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4 commenti

  • Il Matto ha detto:

    Ringrazio Pignolo e : per i loro interventi.

    Occorre tenere presente che ci troviamo su un terreno traballante.

    Si potrebbe affermare che sonno e sogno essendo correlati, siano anche molto affini. Riguardo alla ragione, il sonno può assumere due significati: l’abbandono sconsiderato della ragione stessa oppure il suo superamento nella contemplazione.

    Riguardo al sogno: i sillogismi prodotti dalla ragione, per quanto rigorosi, costituiscono un’interpretazione, quindi una descrizione onirica (cioè non reale), con ciò collocandosi al di qua di ciò che descrivono e quindi nell’impossibilità di conoscere direttamente ciò che descrivono con irriducibile approssimazione. I sillogismi descrivono-sognano ciò che non conoscono direttamente.

    Unica eccezione, la descrizione di ciò che – prima – è conosciuto direttamente nella contemplazione, e che però resta anch’esso limitato all’ambito descrittivo, simbolico o metaforico che sia.

  • Il Matto ha detto:

    “Il sonno della ragione genera mostri” sì, ma è anche vero il contrario, e cioè che mostri (meno o per niente appariscenti) sono generati dall’eccesso della ragione, che immancabilmente sfocia nel razionalismo e nel dogmatismo. Per questo la ragione è una spada a doppio taglio: il taglio della ragione consapevole dei propri limiti e il taglio del razionalismo-dogmatismo che presume di dominare e perfino generare gli eventi.

    Occorrerebbe guardarsi dall’esasperare la fede e la ragione, dato che c’è un OLTRE che la fede non può che credere (poiché non lo può conoscere) e la ragione non può cogliere poiché fuori misura (se ragione vuol dire misura).

    Si dovrebbe sentire con possente chiarezza che la fede e la ragione sono, attimo per attimo, trascese (e giustificate) dall’OLTRE il cui “luogo” è per esse irraggiungibile. Un “luogo” ove i dati e i modi della fede e della ragione non servono più, poiché è il Luogo della Conoscenza, cioè dell’Essere, se conoscere significa essere.

    L’abitudine a credere e ragionare può costituire una gabbia, forse dalle sbarre d’oro, ma pur sempre sbarre.

    • Pignolo ha detto:

      Tutto bene, fino ALL’OLTRE. Oltre la ragione deve fermarsi perché quell’oltre la supera.
      Ripeto: il soprannaturale supera la ragione, non la contraddice. È la parola conoscenza che, nell’oltre non funziona più.

    • : ha detto:

      Il seguente articolo di Messori le dà sostanzialmente ragione, sottolineando che ciò avviene quando la “razionalità”, o “ragionevolezza”, cedono il posto al razionalismo. E lo fa partendo proprio dalla famosa frase di Goya nella quale – a detta di Messori, sostenuto da uno studio della “Civiltà Cattolica” – la traduzione più ragionevole della parola “sueño” non è quella propagandata (“sonno”), bensì “sogno”. il che fa assumere alla frase un significato addirittura opposto a quello normalmente spiegato.

      A parte le ragionevoli spiegazioni di Messori (e della Civiltà Cattolica), la rappresentazione di Goya – che è un’acquaforte – sembra giustificare tale interpretazione, dal momento che si vede come quei mostri fluttuanti intorno all’individuo dormiente sono chiaramente prodotti “mentre” dorme. E quindi si tratta di un sogno.

      L’articolo è il seguente:

      http://www.vittoriomessori.it/blog/2014/04/26/marzo-2005-il-timone-vivaio/
      al paragrafo «Il sogno della ragione».

      P.S. – Come detto, i vocabolari Spagnolo-Italiano dànno ambedue i significati. Comunque, per curiosità nel traduttore Google (ovviamente molto sintetico) ho inserito la parola “sonno” ed è venuta la traduzione “dormir”, con “sogno” invece è venuto fuori “sueño” (da notare anche come la parola spagnola assomigli nella pronuncia molto più a “sogno” che a “sonno”).