Modernismo: un Ricordo di Mons. Umberto Benigni. Cannarozzo.

3 Maggio 2021 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Antonello Cannarozzo, in un momento in cui si parla molto dell’influenza del modernismo e dei modernisti nella Chiesa attuale, ci offre un ricordo di mons. Umberto Benigni, che della lotta al modernismo fece lo scopo della sua vita. Buona lettura. 

§§§

Mons. Benigni: lo strenuo difensore della Chiesa contro il veleno modernista

 

Antonello Cannarozzo

 

Nel 28 febbraio del 1934 si erano addensate nuvole di pioggia su Roma fin dal primo mattino e fu sotto questo cielo invernale che da una modesta casa in via Arno, allora periferia nord della città, uscì, in quelle ore, il feretro di mons. Umberto Benigni, colui che un tempo non lontano era stato tra le persone più influenti del Vaticano per la sua intransigenza nella difesa della Dottrina cattolica contro l’ideologia modernista.

Una vita di grande impegno morale e culturale che lo vide esposto su più fronti nella difesa della Fede, ma alla fine della sua vita, come vedremo avanti, cadde in disgrazia presso quegli ambienti cattolici che aveva strenuamente difeso, tanto da essere colpito da una implacabile “damnatio memoriae” ancora in vita e che dura ancora oggi a quasi novant’anni dalla morte.

Fu in questo clima che nel suo ultimo viaggio venne accompagnato solo dai suoi amici più intimi, mentre per la Chiesa erano presenti, a titolo personale, due sacerdoti: padre Saubat, suo confessore, e padre Jeoffroid.

La cerimonia funebre, assai modesta, si svolse nella vicina chiesa di Santa Maria Addolorata e da lì, dopo la funzione religiosa, la salma venne trasportata al cimitero di Perugia, sua città natale.

Per chi lo conobbe, fu un uomo onesto, senza alcun compromesso e né tanto meno il minimo interesse personale nella salvaguardia della Fede, mentre, per i suoi detrattori, il Monsignore, come era ormai definito, fu solo un bieco inquisitore, un erede di Torquemada che attraverso la calunnia, la menzogna e l’inganno aveva distrutto la vita a tanti bravi (sic) sacerdoti.

Gli ultimi anni della sua vita, dopo la sua emarginazione, dovette affrontare altre durissime battaglie questa volta contro una salute sempre più compromessa per una esistenza che non aveva mai conosciuto riposo e per la sua estrema povertà materiale.

Tutto accettò, per chi lo conobbe in quei giorni, senza mai lamentarsi, ma, anzi, offrendo a Dio tutte le sue sofferenze nel profondo del cuore per la salvezza della Chiesa e per il papa.

 

La vocazione sacerdotale e il giornalismo

 

Umberto Benigni nacque il 30 marzo del 1862, come accennato, a Perugia, un anno dopo la proclamazione del Regno d’Italia, da una famiglia dai profondi sentimenti cattolici.

Ancora giovanissimo, rispondendo alla chiamata del Signore, entrò in seminario segnalandosi subito come alunno modello e ricevendo gli ordini sacerdotali ad appena ventidue anni, nel 1884.

Quasi come una folgorazione, nonostante i già gravosi impegni del suo stato ecclesiale, si dedicò al giornalismo, considerato come un valido strumento di propaganda cattolica contro le nascenti eresie della pseudo teologia modernista che si stavano affermando sempre più in quegli anni.

Venne assunto, ancora poco più che trentenne, presso il giornale cattolico Monitore Umbro, uscendone ben presto per fondare un suo periodico, La Rassegna sociale, ispirato alla enciclica allora da poco promulgata, la Rerum Novarum di Leone XIII.

Il giornale, per la sua competenza e ricchezza di argomenti ebbe subito grande credito presso i lettori tanto da poter continuare le pubblicazioni ancora per altri venti anni, fino al 1912.

Ormai la sua carriera era decollata e sembrava non fermarsi più, tanto che nel 1893 divenne anche redattore capo dell’allora prestigioso Eco d’Italia, quotidiano di Genova e due anni dopo veniva nominato addetto alla Biblioteca Vaticana.

Nonostante questi molteplici impegni ed una vita già convulsa, trovò anche il tempo di scrivere un saggio in tedesco, ‘Getreidepolitik der Päpste’, dedicato alla politica agraria dei papi e, in proposito, ricordiamo che era anche un raffinato poliglotta, conosceva correttamente francese, inglese, tedesco e spagnolo oltre, ovviamente, il latino ed il greco antico.

Nel 1900 divenne direttore della Voce della verità, facendone subito un caposaldo dell’intransigenza cattolica, idea che non abbandonerà mai lungo tutta la sua vita e dal 1902 curò la pubblicazione di Miscellanea di storia e cultura ecclesiastica, il primo periodico italiano consacrato alla storia della Chiesa.

La pubblicazione durò solo cinque anni, ma fu ugualmente importante perché mise le basi per la sua futura monumentale Storia Sociale della Chiesa, in sette volumi che si interruppe solo con la sua morte avvenuta nel 1934, arrivando a pubblicare fino all’età medioevale.

Una curiosità in merito proprio a questa alla rivista; per la prima volta, nel gennaio del 1904, veniva usato il termine “modernismo”, ad indicare la già citata pseudo-teologia che tante rovine stava creando in quegli anni alla struttura della Chiesa e i cui frutti, purtroppo, durano dolorosamente ancora oggi.

 

Al servizio di Leone XIII

 

Gli incarichi che ricoprì in questo periodo furono molteplici.

Solo per farne un accenno, nel novembre 1902 venne nominato membro della Commissione storico-liturgica istituita da Leone XIII, presso la Congregazione dei Riti e, contemporaneamente, insegnò presso il prestigioso seminario di Propaganda Fide a Roma, dando il suo contributo dottrinale anche presso altre università e seminari della capitale, come l’Apollinare, il Collegio Urbaniana, il Seminario Vaticano maggiore, l’Accademia dei Nobili ecclesiastici e per questi ultimi scrisse e pubblicò le lezioni che aveva tenute sotto il titolo Manuale di stile diplomatico, usato con profitto da tante generazioni di diplomatici della Santa Sede.

Per questo suo impegno di docente, fu definito in tutti i seminari dove aveva insegnato, un ottimo professore, ma anche assai temuto per la sua severità tanto da essere definito dai suoi stessi allievi come ‘Monsignor Maligni’ perché era assai rigoroso nelle materie ecclesiastiche e non faceva sconti a nessuno, mettendo al primo posto la cultura che, per futuri sacerdoti, doveva essere l’arma dialettica per difendere le Verità rivelate della Chiesa.

Con l’incarico avuto da Leone XIII nel 1902, la sua vita, se mai ce ne fosse stato bisogno, fu certamente ancora più frenetica e piena di impegni gravosi.

Fondamentale, per il suo impegno al servizio del papa, fu in quegli anni la pubblicazione, già citata, dell’enciclica Rerum Novarum che portava l’attenzione e l’amore della Chiesa verso un Cristianesimo sociale.

Per comprendere la genesi di questa storica enciclica, ricordiamo che erano gli anni in cui iniziavano in tutta Europa i primi movimenti operai di matrice socialista, permeati da una violenta ideologia anticlericale che trovava spesso il suo humus proprio in quelle dottrine eretiche tanto avversate allora dalla Chiesa.

La Rerum Novarum fu la decisa risposta a questi movimenti che non solo non risolvevano i veri problemi dei lavoratori, ma mettevano in grave pericolo la stessa società cristiana.

L’enciclica fu l’impegno della Chiesa verso gli sfruttati, le ingiustizie sociali ed il valore del lavoro, ma rimanendo sempre legata con risolutezza alla Dottrina cattolica di sempre e senza mai alcun minimo pur compromesso verso la mentalità del mondo.

Forte dei suoi ideali ed anche della protezione pontificia, divenne, in quegli anni, un instancabile “Defensor Ecclesiae” ed uno dei maggiori avversari delle falsità moderniste, combattendo anche contro l’allora nascente Partito Popolare, futura Democrazia Cristiana, che dietro gli ideali cristiani aveva intrapreso una deriva riformista volta ad unire due pensieri agli antipodi, il cristianesimo ed il socialismo.

Un idea perniciosa che si stava diffondendo negli ambienti cattolici europei, insieme al liberalismo.

Per questi motivi, come contraltare, difese e sostenne, forse senza lungimiranza e prudenza politica, i movimenti più nazionalisti e controrivoluzionari che sorgevano allora in Europa, come risposta ai movimenti di ispirazione marxista.

Tra questi, certamente, il francese Action Française di Charles Maurras, al quale dette il suo incondizionato appoggio, ma fu una scelta che negli anni dovette pagare assai cara.

 

L’elezione di S. Pio X

 

Nel frattempo c’erano stati, importanti cambiamenti in Vaticano.

Nel 1904, alla morte di Leone XIII, era salito al Soglio pontificio, Giuseppe Sarto con il nome di Pio X, riconosciuto santo nel 1954 da Pio XII, e passato alla storia come tra i più intransigenti nemici di ogni forma di sovversione e di attacco alla Dottrina cattolica.

A questa battaglia ideale del papa non poteva certo mancare, ancora una volta, il contributo dell’inflessibile Monsignore che ben presto ne divenne, come per il suo predecessore, il più affidato confidente, tanto che non pochi videro la sua mano nella estensione della enciclica Pascendi dominici gregis, pubblicata l’8 settembre 1907, dove venivano condannati senza alcun appello il modernismo insieme ai suoi frutti avvelenati che avrebbero corrotto la Chiesa se non fossero stati  combattuti con fermezza.

Il 28 agosto del 1906 venne nominato Domestico di papa Pio X per il quale dovette trasferirsi in Vaticano e, tra i tanti incarichi, organizzò anche una moderna Sala Stampa per i giornalisti che allora mancava.

Per invogliare soprattutto i quotidiani laici a dare correttamente le notizie delle vicende ecclesiastiche, il nostro ebbe l’idea di riunire quotidianamente i giornalisti accreditati (anticipando ciò che oggi si chiama briefing.Ndr) proponendo esaurienti informazioni sugli avvenimenti della Santa Sede; in questo modo, il giorno seguente, le notizie sarebbero state pubblicate su tutti i giornali e, soprattutto, senza manipolazioni.

La strategia risultò vincente permettendo di predisporre la stampa, specialmente quella laica, alla futura pubblicazione dell’enciclica Pascendi per neutralizzare nei fatti le sicure campagne denigratorie della fazione modernista.

Per accerchiare, se così possiamo dire, l’avversario, ideò anche un agenzia di stampa, Corrispondenza di Roma, che iniziò le pubblicazioni il 23 maggio del 1907, compresa l’edizione francese.

L’agenzia conteneva notizie raccolte in tutto il mondo cattolico, grazie ai vari corrispondenti, suoi fidati amici, con il compito di segnalare tutte le infiltrazioni di idee sovversive denunciate come un ‘cancro contro la Fede’,

Nonostante i successi e la benevolenza di Pio X, l’iniziativa giornalistica di Benigni veniva considerata con sospetto dalla Segreteria di Stato, che dichiarò apertamente in più occasioni che questo foglio non era né ufficiale e né tanto meno rappresentava la politica vaticana.

Fu una scelta lungimirante da parte della Santa Sede, la pubblicazione, infatti, non tardò a suscitare forti polemiche, attraverso i suoi articoli pungenti, ma sempre ben informati, negli ambienti cattolici e nelle cancellerie europee, come la durissima reazione, tra l’altro, del governo della III° Repubblica francese di ispirazione massonica, già ai ferri corti con la diplomazia della Santa Sede.

L’agenzia con queste dure critiche non ebbe certo vita facile, tanto che lo stesso Bugnini, avvertendo il pericolo di una sua chiusura forzata, come poi avvenne nel 1912, aprì una seconda agenzia d’informazioni, l’A.I.R., Agenzia Internazionale Roma, col bollettino quotidiano in francese Rome et le monde e il settimanale Quaderni romani, che usciva anche questo in edizione francese.

Il suo vero impegno rimaneva, però, la battaglia contro ogni eresia che lo condusse ad un onere ancora maggiore quando nel 1909 decise di lasciare la sua comoda casa in Vaticano per trasferirsi in via del Corso, sempre a Roma, e dividendo la sua abitazione con la redazione, allora ancora in pieno sviluppo, dell’agenzia Corrispondenza Romana.

Nonostante le critiche di cui era oggetto, i rapporti con Pio X erano ottimi, anche se alcuni affermavano il contrario per indebolire la sua figura agli occhi dei cattolici, ma le voci furono ben presto dissipate quando, nel 1911, il papa creò proprio per lui l’ottava carica di Protonotario Apostolico Partecipante, il più alto titolo prelatizio, sino ad allora limitato a soli sette membri.

Era certo un grande riconoscimento all’opera svolta dal Monsignore, ma nello stesso, conoscendo bene le strategie vaticane, comprese anche che era il classico “Promoveatur ut amoveatur”. Con questo alto incarico, infatti, sarebbe stato escluso da una possibile nomina episcopale e di fatto dal vero potere ecclesiastico, ma, nello stesso tempo, aveva l’incoraggiamento del papa in persona a continuare la strada già intrapresa.

Papa Sarto aveva bisogno di un Benigni in attività, come era poi la sua natura, e non certo un funzionario, anche se importante, dietro una scrivania.

 

Nasce il Sodalitium Pianum

 

Nella nuova casa in via del Corso, oltre alla testata di Corrispondenze Romane, ben presto organizzò anche la “Casa san Pietro” che divenne sede delle sue attività e dove nacque la più importante iniziativa per la difesa della Chiesa, il Sodalitium Pianum, un progetto avviato ben cinque secoli prima da un altro grande papa fedele alla Dottrina come S. Pio V e ripreso con vigore da Benigni.

Il Sodalitium Pianuum, secondo il progetto iniziale, doveva diventare una sorta di istituto secolare, al servizio del papa e della Santa Sede, per contrastare le infiltrazioni pericolose, non solo del modernismo, ma anche della Massoneria, che si andavano ramificando nella società e nella cultura dell’epoca, soprattutto all’interno del mondo cattolico.

L’organizzazione, definita segreta negli ambienti ad essa ostili, era invece ben nota alla Curia, nei suoi scopi e nella sua formazione con un segretario e alcuni assistenti che organizzavano a loro volta la struttura nelle varie nazioni dove risiedevano attraverso una serie di circoli, le Conferenze di S. Pietro.

Il nostro Monsignore pianificò, grazie a personali ed importanti relazioni, sia in Italia e sia all’estero, una vera e propria rete privata costituita da censori, incaricati di segnalare tutti quei neo-teologi in odore di modernismo, laici o religiosi, sospettati di diffondere dottrine dichiaratamente eretiche e, una volta completato un dossier, tutto veniva convogliato verso Roma per eventuali denunce o chiarimenti e, se necessario,l’incartamento poteva arrivare fino al Santo Uffizio, allora non ancora aperto al “dialogo” e né tanto meno alla Chiesa in “uscita”.

In breve il Pianuum era diventato una vera macchina da guerra culturale e investigativa arrivando ad avere un centinaio di collaboratori, nel periodo di massima popolarità, tra le firme più prestigiose della erudizione cattolica del tempo e, ovviamente, osteggiato con preoccupazione dai modernisti.

Per i suoi nemici, infatti, il Pianum era qualcosa più vicino ad uno Stato di polizia che non alla carità cristiana, dove la delazione (sempre suffragata da documenti. Ndr) era all’ordine del giorno, in sostanza, una cellula di segretezza fuori da ogni legittimità ecclesiastica, una vera e propria centrale di spionaggio che nulla aveva da invidiare all’altra sua nemica più agguerrita, la Massoneria, in merito alla segretezza dei suoi componenti.

In realtà la struttura del Pianum era interamente a conoscenza del papa e se all’esterno manteneva un pur minimo di riservatezza ciò era dovuto a doversi confrontare con persone ed ambienti non sempre trasparenti.

In questo periodo accadde qualcosa però di veramente grave all’interno proprio dell’organizzazione del Pianum, l’assistente di Benigni, il sacerdote Giovanni Verdesi, definito sino al 1911 da tutti il suo braccio destro, proprio in quell’anno ebbe una conversione nientemeno verso la chiesa Metodista ed abbandonò per sempre sia la talare che, ovviamente, l’impegno del Pianum.

Una scelta che colpì profondamente Benigni, ma l’amarezza di questo fatto non fermarono certo le sue battaglie.

 

I suoi nemici

 

Tra coloro che lo accusavano di scavalcare la volontà addirittura del papa, abbiamo anche il potente card. Merry del Val, segretario di Stato di Pio X, che si oppose sempre ad ogni riconoscimento ufficiale del Pianum da parte della Chiesa e la sua contestazione fu sempre assai esplicita rimanendo sempre sospettoso del le tante iniziative di Benigni e per questo motivo che il nostro chiese ed ottenne, di non dipendere più dalla Segreteria di Stato della Santa Sede, come era nel progetto iniziale. Una separazione che doveva contribuire, di lì a poco tempo, anche alla fine di questa esperienza come vedremo avanti.

A togliere ogni dubbio sull’ operato del Pianum nei confronti del papa, fu il card Pietro Gasparri, successore di del Val, affermò onestamente in più occasioni che Pio X non solo sapeva tutto, ma approvava anche i vari interventi, sostenendo l’iniziativa finanziariamente e promuovendo personalmente anche alcuni dei collaboratori dell’iniziativa.

n questa battaglia ideale, Benigni aveva anche il sostegno di molti importanti ambienti ecclesiastici comeil cardinale Gaetano De Lai, uomo forte della Curia,  che con una lettera del 25 febbraio 1913, lo informava di aver mostrato al papa il programma del Pianum. 

L’idea dell’associazione aveva ottenuto il suo plauso e, concludeva la missiva, “Il Pontefice approva e benedice quest’iniziativa, riservandosi a suo tempo di esaminare gli Statuti e di approvarli nelle debite forme pel tramite di questa Sacra Congregazione Concistoriale”.

Fatta questa doverosa puntualizzazione sull’opera del sacerdote, per il nostro Monsignore si addensavano le nubi che di lì a poco lo avrebbero delegittimizzato.

Morto san Pio X saliva al Trono di san Pietro, nel 1914, il card. Giacomo Della Chiesa con il nome di Benedetto XV ed in breve avvenne ciò che molti si aspettavano: il nostro passò dal grande potere all’emarginazione pressoché totale.

Una situazione che permise finalmente ai suoi avversari di rialzare la testa e di accusarlo, non più velatamente, di aver organizzato il Pianum come un opera nefasta, fomentando sospetti e denunce tra il clero con la maldicenza, la calunnia e gravi insinuazioni senza alcuna carità cristiana, insomma, una visione assai lontana dallo spirito della Chiesa, tanto che lo stesso nuovo papa condannò senza appello l’espressione di ‘cattolici integrali’ e disapprovando pubblicamente l’atteggiamento di coloro, tra cui Benigni, anche se non venne mai citato il suo nome, che si erigevano a difensori della Dottrina senza alcuna approvazione ecclesiastica.

Fu un duro colpo per il dinamico Monsignore.

Ormai i tempi erano cambiati e dopo alti e bassi il Pianum venne abolito definitivamente nel 1921, anche se, per il card. Yves Congar, punta di diamante del modernismo post conciliare, l’organizzazione rimase attiva almeno fino al 1946.

Pur allontanato dal potere vaticano, Benigni non era certo uomo da stare fermo, continuava, per quanto poteva, la sua battaglia per l’ortodossia, cominciando a muoversi su tanti fronti anche politici.

Proprio in questo ambito, numerosi amici e collaboratori gli suggerirono sempre di tenere un profilo legato alle questioni prettamente dottrinali della Chiesa e mai lasciarsi coinvolgere in tematiche di carattere pubblico mischiandosi addirittura in questioni di interessi di partito con il rischio di coinvolgere, anche se indirettamente, la stessa autorità della Chiesa.

Un consiglio che si rilevò vero, ma inascoltato.

Chi scrive ha per l’opera svolta da mons. Benigni in difesa dell’ortodossia della Chiesa, una grande ammirazione, ma questo non può esimere dal criticare per onestà alcuni suoi abbagli politici e culturali, tra cui la vicinanza che lo vedeva, nel primo dopoguerra, non solo vicino al nascente partito Fascista, ma, addirittura, divulgatore di un colpevole antisemitismo portato avanti attraverso le riviste a lui più vicine come: L’AraldoL’Unità Cattolica, Fede e Cultura e fu proprio attraverso quest’ultima rivista che fece stampare a fascicoli uno dei più controversi casi editoriali del secolo scorso, i Protocolli dei Savi di Sion.

Se questa non è certo una pagina edificante per Benigni, bisogna ricordare non per giustificare, ma per comprendere, che l’antisemitismo era una visione politica e culturale presente in tutto il mondo occidentale di quegli anni e senza alcuna distinzione, anche tra i Paesi di provata democrazia.

Una macchia certamente grave, ma che non toglie nulla, per onestà, al merito di tutto il lavoro svolto in difesa della Chiesa contro l’opera distruggitrice del modernismo.

Comunque, la sua scelta ‘politica’ non lo aiutò certo nel suo impegno in difesa della Chiesa, anzi, proprio le sue posizione anche politiche, lo videro scontrarsi con altri potentati ecclesiastici che non potevano accettare in alcun modo queste sue iniziative a rischio proprio di compromettere l’ideale della Chiesa che difendeva, non ultimi, in questo ostracismo, furono i Gesuiti, attraverso la loro rivista Civiltà Cattolica, allora ancora una prestigiosa rivista cattolica.

 

Gli ultimi anni di mons Benigni

 

Il suo testamento spirituale lo possiamo ritrovare scritto – almeno secondo noi – molti anni prima, già nel 1911, nello stesso programma del Pianum dove al primo articolo si legge: “Noi siamo Cattolici-Romani integrali. Come l’indica questa parola, il Cattolico-Romano integrale accetta integralmente la dottrina, la disciplina, le direzioni della Santa Sede e tutte le legittime conseguenze per l’individuo e la società. Esso è papalino, clericale, antimodernista, antiliberale, anti settario. Egli è dunque integralmente contro-rivoluzionario, perché avversario non solamente della Rivoluzione giacobina e del Radicalismo settario, ma ugualmente del liberalismo religioso e sociale”.

Il prete di mille battaglie in difesa della Chiesa, moriva il 27 febbraio 1934 a Roma, da vero “cattolico integrale”, al di là di come la potesse pensare il nuovo papa.

L’uomo, il sacerdote, il difensore della Fede con i suoi limiti, come tutti del resto, seppe però leggere con grande acume i “segni dei tempi”, non certo nella vaga e vuota visione post conciliare, ma con la certezza di chi conosceva bene gli accadimenti intorno a lui e in tante occasioni cercò di avvertire, inascoltato, chi aveva l’autorità per fermare il declino o meglio la rovina che avrebbe colpito di lì a breve la stessa Chiesa se non si combatteva con fermezza questa mala pianta del modernismo.

Una profezia che si avverò puntualmente trent’anni dalla sua scomparsa con il Concilio Vaticano II.

Una tragedia che, purtroppo, Umberto Benigni non ebbe né il tempo, né le forze e né i mezzi sufficienti per porvi rimedio.

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2 commenti

  • Iginio ha detto:

    A parte il divertente lapsus a un certo punto con Bugnini al posto di Benigni, c’è da dire che il Partito Popolare nacque nel 1919, non ai tempi di Leone XIII, quando invece nacque un gruppo che si definì Democrazia Cristiana ma NON era l’antenata di quella che nacque nel 1943.
    L’accusa che il Partito Popolare fosse cedevole verso i socialisti era molto diffusa ma infondata, dato che i militanti popolari subirono spesso le violenze dei socialisti e che comunque non proposero mai un’alleanza col partito socialista.
    Il punto cruciale è un altro. Oltre all’aspetto sgradevole di porsi come perfetti e di accusare gli altri non appena mostrino una qualche presunta debolezza – atteggiamento non certo cristiano -, c’è da dire che diversi accusati di modernismo poi in fin dei conti non lo erano o erano tutt’al più anime inquiete in cerca di nuove ragioni per credere. Ben diverso è invece il caso di chi non crede ma simula ipocritamente. Questo tipo di personaggi, però, non si trovava solo tra i modernisti.
    Infine: se è stolto pretendere di adeguare la fede al “mondo moderno”, alla “storia presente”, al “progresso”, al “soggetto”, al “chi sono io per giudicare”; è anche vero che non si risponde a queste sciocchezze con sciocchezze di segno opposto, ossia puntando il dito, sputando sentenze, accusando tutto e tutti al di fuori di noi, vagheggiando presunti imperi cattolicissimi asburgici, gridando ogni volta al complotto.

  • Giorgio ha detto:

    Ecco un’altro dei Grandi della Fede sconosciuto ai più! A me per primo! Sia lode a Dio!