Lo Strano Caso dell’Eredità di Giuseppe Razzinghi. Una Favola.

1 Marzo 2021 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Carissimi Stilumcuriali, un nostro affezionato lettore ci manda una piccola, insolita favola. I riferimenti sono abbastanza espliciti per chi sia un poco addentro a certe questioni e riassumono un panorama di posizioni in merito a vicende facilmente intuibili. A Voi cogliere il significato, la dinamica e soprattutto la “morale” della vicenda.

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Lo strano caso dell’eredità di Giuseppe Razzinghi

 

C’era una volta un buon padre di famiglia di nome Giuseppe  Razzinghi che era un grande sapiente e un fine letterato. Divenuto anziano e ammalatosi, scrisse un testamento per dividere equamente tra i suoi cinque figli  il proprio ricco patrimonio.

Quando il vecchio Giuseppe stava ormai per morire, il suo quartogenito, di nome Giorgio, particolarmente avido e iniquo, trafugò il testamento, lo stracciò e ne riscrisse un altro completamente a proprio favore falsificando la firma del padre. Poi, versò delle gocce di cianuro nel suo bicchiere d’acqua sul comodino e attese.

Giuseppe morì poco dopo e, quando il notaio lesse il testamento, gli altri fratelli, Raimondo, Carlo, Nicola  e Mino, detto Minuto, rimasero attoniti e costernati, mentre Giorgio gongolava soddisfatto incamerando il patrimonio di famiglia.

Tuttavia, i fratelli diseredati non riuscivano a mettersi d’accordo sul da farsi.

Raimondo, il primogenito, un dotto letterato come il padre, non si capacitava, era pieno di dubbi e telefonava continuamente a Giorgio per chiedergli spiegazioni sulla questione, ma il fratello non gli rispondeva nemmeno.

Il secondogenito, Carlo , colto anche lui, ma più reattivo, cominciò a criticare il padre defunto, accusandolo di essere  stato un genitore ingiusto che aveva voluto rovinare i propri figli per divertimento. Il suo risentimento si appuntava anche sul nonno e sul bisnonno: per Carlo  nessuno degli antenati, fino almeno al trisavolo, avrebbe potuto dirsi degno di chiamarsi Razzinghi.

Il terzo figlio, di nome Nicola, di carattere più mistico e religioso, era disperato, ma restò in silenzio, invitando i fratelli a pregare Dio affinché Giorgio si ravvedesse, o addirittura (meno piamente) che morisse, in modo che tutto il patrimonio potesse tornare nuovamente in famiglia.

Il quinto figlio, Mino, detto Minuto, era appena un ragazzetto, ma raccolse in paese alcune dicerie interessanti: all’osteria, un tale Daniele Goffredi, molto pettegolo,  si era fatto sfuggire di bocca come, vari anni prima, avesse aiutato Giorgio e elaborare un piano per falsificare il testamento paterno a proprio favore.

Minuto, incuriosito, andò a controllare la carta del testamento e notò dei grossolani errori di grammatica nel testo, impensabili per un letterato come il padre. Probabilmente, anche le formule del lascito non erano corrette. Il giovanetto fu colpito anche da uno strano odore di mandorle amare emanato dal bicchiere in cui beveva il padre: forse il vecchio Giuseppe era stato costretto a lasciare anzitempo questo mondo.

Così, Minuto, che amava molto il genitore e non concepiva come egli avesse potuto diseredarlo,  cominciò a esplicitare i propri dubbi ai fratelli Raimondo, Carlo  e Nicola, invitandoli a chiamare un avvocato: bisognava assolutamente impugnare il testamento, chiedere una perizia grafologica e un’altra scientifica sull’acqua del bicchiere. Forse non sarebbe stato necessario arrivare in fondo alla questione: Giorgio, una volta sotto accusa, temendo la galera, sarebbe fuggito lasciando case e proprietà.

Il caso si sarebbe potuto quindi sciogliere come neve al sole e ogni cosa sarebbe tornata facilmente a posto, in una famiglia purificata da presenze insidiose.

Ma Raimondo, Carlo e Nicola, presi dalle loro idee, non davano retta a Minuto  perché egli, il più piccolo dei fratelli, era solo un ragazzo e sicuramente la questione dell’eredità doveva essere ben più complessa, non certo risolvibile con un paio di perizie.

Da parte sua Minuto, aveva un carattere non facile: visto che i fratelli non lo ascoltavano, si arrabbiava, diventava rosso e più si sgolava per spiegare le proprie ragioni, meno i fratelli gli davano retta.

E così, mentre il ragazzo strillava inutilmente, Raimondo continuava a telefonare a Giorgio, Carlo  continuava a recriminare contro il padre morto e Nicola  si sprofondava ancor più nella preghiera e nel misticismo.

Siccome Minuto  era troppo giovane per rivolgersi da solo alle Autorità, rodendosi il fegato, tagliò i ponti coi fratelli maggiori. Andava a sfogarsi in piazza, accusando pubblicamente Giorgio di essere un falsario e sperando nell’aiuto dei compaesani. Ma era dura risvegliare le coscienze del popolo, e a pochi interessava la faccenda dell’eredità Razzinghi.

Nel frattempo, Giorgio sogghignava alle spalle dei fratelli, dilapidando al gioco tutte le sostanze di famiglia.

Così passarono gli anni: il fratello falsario non rispose mai ai dubbi di Raimondo, né gli antenati maledetti da Carlo, silenti nelle loro tombe, poterono aiutarlo, né  Dio fece mai il lavoro al posto di Nicola. Minuto rimase da solo a urlare nel deserto, impotente.

L’unica “vittoria” per i diseredati fu che Giorgio alla fine, ridotto sul lastrico dalla sua vita dissoluta, si sparò.

Ma il patrimonio era ormai andato disperso e la famiglia Razzinghi divisa e distrutta per sempre.

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10 commenti

  • Midivertounpo' ha detto:

    Conosco una favola simile, però leggermente diversa. Si narra infatti che a Goffredo Danieli scappò detto non solo di aver aiutato Giorgio a elaborare un piano per falsificare il testamento paterno a proprio favore, ma anche che in realtà Giorgio non era un figlio legittimo e nemmeno naturale, ma uno fatto adottare dalla sua furbissima madre aiutata in questo da un conciliabolo di imbroglioni pronti a tutto, pur di raggiungere i loro inconfessabili scopi.
    Quanto ai cosiddetti fratelli, tranne Raimondo e Carlo somiglianti nel carattere , Nicola si distingueva molto per la sua passione per cerchi e botti e il più giovane, Mino, nonostante le sue bizzarrie e irrequietezze, amava il padre con un tale sviscerato affetto, da andarsene a gridarlo di qua e di là forse in maniera così esagerata, da essere alla fine cacciato, sbeffeggiato e deriso. Il resto della favola, a parte l’Umberto(?) che non compare mai, prosegue più o meno uguale, tranne nel finale, quando Giorgio in realtà non si spara, ma viene tolto di mezzo per mano di un provvidenziale intervento celeste. Della sua sorte nell’altro mondo però, non se ne dà alcuna notizia.

  • Maria Michela Petti ha detto:

    Racconto realistico. Oggettivamente reale il finale che prefigura lo scenario di un futuro drammaticamente segnato da colpevole negligenza di protagonisti e comprimari di una storia scaduta a operazione di propaganda, nel succedersi di giorni, mesi e anni colorati da promesse ingannevoli.
    Parabola dei conflitti familiari che da sempre costellano la storia dell’umanità ed esplodono per l’ estrema morbosità nei casi in cui soggetti instabili non si limitano a privare il padre dei beni materiali, ma arrivano ad eliminarlo per affermare la propria personalità. Dramma ancora più grave quando le conseguenze di simili azioni investono le sorti di un’intera comunità, mettendo a nudo inadempienze e omissioni a vario titolo.
    Così nello “strano caso Razzinghi” che, a onore del vero, qualche segnale di turbamento lo ha lanciato, senza che sia stato colto da chi avrebbe dovuto e potuto. Perché? Per godere, forse, con Giorgio dell’eredità conquistata? Chi gli ha fornito il veleno o lo ha aiutato nel procurarselo? Un notaio che all’apertura del testamento non nota qualche “stranezza” non è, quanto meno, incompetente? A meno che… E: non è piuttosto l’omertà a favorire la rete di complicità? in un ambito che, con qualsiasi occhio lo voglia guardare, resta comunque molto limitato…in ogni senso, anche nel trascurare “dicerie interessanti”, quando fa comodo però.
    Così come tornano utili per un determinato scopo le ripetute invettive contro pettegolezzi e maldicenze. Messaggi in codice pro domo sua o una delle “nevrosi” (userei un altro termine, ma non sono specialista in psichiatria) di cui rallegrarsi e da “accarezzare”, curandole con una tazza di mate; cura in effetti alla portata di tutti e a basso costo?
    Questo argomento, non nuovo, viene ripreso nel libro del giornalista-medico argentino in dirittura di arrivo nelle librerie, mentre già se ne annuncia un altro su: vizi e virtù, a cura di don Pozza che imperversa con pubblicazioni e su varie emittenti televisive riproponendo conversazioni con Bergoglio. Il quale, al suo connazionale, ha confessato, tra l’altro: «soffro di una nevrosi ansiosa, voler fare tutto e subito» conquistando con tale confidenza titoloni di stampa, a livello planetario.
    Sul papa regnante tuttologo e tuttofare credo siano rimasti in pochi a nutrire dubbi.
    Qualche perplessità a me resta sul fatto che un medico rilanci a sua firma opinioni e consigli fuorvianti e pericolosi per la salute pubblica e particolarmente di soggetti nevrotici che potrebbero essere indotti a seguire i suoi consigli e a non farsi curare dagli specialisti.

  • Marco M ha detto:

    Alla fine l’Autore cita Umberto al posto di Nicola. Lapsus calami, certamente, ma anche, altrettanto sicuramente, Freudiano. E qui la cosa diventa intrigante: chi si nasconde dietro il nome di Umberto? Tutti gli altri sono facilmente identificabili, compreso il pettegolo Daniele.

  • silvio esposito ha detto:

    Un po’ difficile da capire, potete spiegarmela la favola per favore? Grazie.

    • MARIO ha detto:

      I personaggi sono 7 in totale. Per cui secondo me è la favola di Biancaneve e i Sette Nani, in versione post-modern.

  • Antonio ha detto:

    Il patrimonio dei Razzinghi in realtà era stato dilapidato dal padre e dal nonno di Giuseppe, che avevano trasformato l’azienda di famiglia in un allevamento di cavolaie: Giuseppe aveva pensato che forse era stato un errore e forse era meglio ritornare a produrre ruote dentate che forse servivano a qualcosa, aveva anche lasciato istruzioni agli eredi perché ci pensassero loro, ma alla sua morte il testimone era passato a Giorgio che aveva detto be’, siccome il bisnonno e il nonno hanno deciso per le cavolaie, e babbo alla fine le ha lasciate dove stavano, tanto vale continuare con le cavolate.

  • Enrico Nippo ha detto:

    Giuseppe Razzinghi? E’ per caso colui che ha detto:

    “lasciati prendere per mano dal bambino di Betlemme, non temere, fidati di lui, la forza vivificante della sua luce ti incoraggia ad impegnarti nell’edificazione di un Nuovo Ordine Mondiale …”?

    O colui che ha scritto:

    “La globalizzazione ha certo bisogno di autorità, in quanto pone il problema di un bene comune globale che necessita di essere perseguito … C’è una urgente necessità morale di una nuova solidarietà, specialmente nei rapporti tra i Paesi in via di sviluppo e quelli industrializzati. Le società tecnologicamente avanzate possono e devono ridurre il proprio consumo energetico domestico, attraverso un’evoluzione sia dei metodi di che attraverso una maggiore sensibilità ecologica tra i loro cittadini”?.

    Insomma il Giuseppe che ha aperto la strada al quartogenito Giorgio, specialista in mondialismo ecoteologico?

    • Gianfranco ha detto:

      Eh, ahimé, troppi errori ha commesso il pur grande Ratzinger!
      Ma almeno, a mio avviso, gli si deve la presunzione di buona fede.

  • Tonino T. ha detto:

    Finché un giorno arrivò un amico di Giuseppe Ratzingi che mostrò una copia del testamento originale che gli era stato confidato nel caso in cui uno dei figli lo avesse tradito, così i figli si riunirono e ottennero un piccolo terreno rimasto, in cui però vi era nascosto un tesoro che trovarono e che superava più di quanto avesse sperperato il figlio traditore. Riacquistarono proprietà perdute fecerero del bene e vissero in prosperità peril resto dei loro giorni lasciando in eredità ai loro figli ad altre persone per bene, ma prima l’uno ringraziò e benedì il padre e l’amico, l”altro pregò ancora e ringraziò, e Minuto e l’altro fratello …

  • Tonino T. ha detto:

    Finché un giorno arrivò un amico di Giuseppe Ratzingi che mostrò una copia del testamento originale che gli era stato confidato nel caso in cui uno dei figli lo avesse tradito, così i figli si riunirono e ottennero un piccolo terreno rimasto, in cui però vi era nascosto un tesoro che superava più di quanto avesse sperperato il figlio traditore. Riacquistarono proprietà perdute fecerero del bene e vissero in prosperità peril resto dei loro giorni lasciando in eredità ai loro figli ad altre persone per bene, ma prima l’uno ringraziò e benedì il padre e l’amico, l”altro pregò ancora e ringraziò, e Minuto e l’altro fratello …