Peter Kwasniewski: Proprietà Privata e Chiesa. Non è un Diritto Assoluto.

13 Febbraio 2021 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Carissimi Stilumcuriali, siamo lieti di offrire alla vostra attenzione questo articolo del dott. Peter Kwasniewski, che ben conoscete, su un tema che è stato molto dibattuto anche sul nostro sito, e cioè ciò che la Chiesa dice della proprietà privata. E ancora una volta ringraziamo il dott. Carlo Schena per il paziente e prezioso lavoro di traduzione. Buona lettura.

 

§§§

Venga il suo regno: La Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica

Parte IV – La proprietà privata è un diritto assoluto? Non secondo la Chiesa

 

Questo articolo è apparso per la prima volta nell’edizione cartacea di luglio 2020 di Catholic Family e ripreso il 4 agosto 2020 dal sito online della medesima testata.

 

Parte IV: La proprietà privata è un diritto assoluto? Non secondo la Chiesa

 

Abbiamo un diritto assoluto a possedere i beni di nostra proprietà? Detto in un altro modo, esiste un limite all’utilizzo o un controllo sull’utilizzo dei nostri beni personali? In un’ottica puramente individualistica, non sembrerebbe esserci alcun limite. In un’economia (più o meno) libera, sono libero di lavorare, guadagnare e comprare cose a mio piacimento. Posso accumulare per me stesso terreni, case e vestiti, attività commerciali e azioni, gadget tecnologici di ogni tipo e nessuno mi fermerà, con l’unica condizione di pagare le tasse e non commettere reati.

 

Ma è un’altra la prospettiva con cui dobbiamo guardare la proprietà. In primo luogo, si deve considerare lo scopo sociale della proprietà privata, e i doveri che ha ogni cittadino nei confronti della città o della comunità di cui fa parte. Noi uomini non siamo monadi isolate, ma animali sociali che dipendono l’uno dall’altro e che sono tenuti, per senso di giustizia, a prendersi cura l’uno dell’altro – almeno nella misura di non privare volontariamente gli altri di ciò di cui hanno bisogno per vivere. In secondo luogo, dobbiamo considerare lo scopo ultimo dei beni terreni, che è il raggiungimento del nostro fine ultimo in Cielo. Un cattivo uso della proprietà, ivi incluso un accumulare ricchezze in modo ingiustificato, è un impedimento alla virtù, alla santità e alla salvezza, come insegnano tutti i Padri e Dottori della Chiesa.

 

Destinazione Universale o Uso Comune

 

La dottrina che esaminerò in questa sezione viene spesso definita “destinazione (o scopo) universale dei beni”, che alcuni preferiscono chiamare “uso comune dei beni”. Entrambe le espressioni devono essere intese correttamente, altrimenti si rischia di cadere facilmente in errore, e in particolare nell’errore del socialismo, così tristemente diffuso nella nostra era post-cristiana dal momento che opera come un sostituto “laico” della carità propria delle istituzioni e delle abitudini cristiane, che vanno sempre più perdendosi. Questa dottrina è esposta principalmente nelle encicliche sociali che vanno dalla Rerum Novarum di Leone XIII (RN, 1891) alla Centesimus Annus di Giovanni Paolo II (CA,1991). Come sempre, le mie citazioni dei papi più recenti non sono da intendersi come un approvazione generale di tutto ciò che hanno detto e fatto; piuttosto, in linea con l’ortodossa ermeneutica proposta da Mons. Lefebvre, riconosco il valore dell’insegnamento di questi papi ogni volta che si mostra in manifesta continuità con la Tradizione. Non c’è bisogno di buttare il bambino con l’acqua sporca.

 

“Nel piano della creazione […] i beni della terra sono anzitutto preordinati al dignitoso sostentamento di tutti gli esseri umani”, scrive Giovanni XXIII nella Mater et Magistra (MM, 1961) § 107. Secondo Paolo VI, il comando di Dio: “Riempite la terra, e rendetevela soggetta” (Gen. 1:28)

 

“ci insegna che la creazione intera è per l’uomo, cui è demandato il compito d’applicare il suo sforzo intelligente nel metterla in valore e, col suo lavoro, portarla a compimento, per così dire, sottomettendola al suo servizio. Se la terra è fatta per fornire a ciascuno i mezzi della sua sussistenza e gli strumenti del suo progresso, ogni uomo ha dunque il diritto di trovarvi ciò che gli è necessario. Il recente concilio l’ha ricordato: “Dio ha destinato la terra e tutto ciò che contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, dimodoché i beni della creazione devono equamente affluire nelle mani di tutti, secondo la regola della giustizia, ch’è inseparabile dalla carità”. (Populorum Progressio [PP, 1967] 22, citando Gaudium et Spes 69; cfr. MM 29-30)

 

Giovanni Paolo II approfondisce questo punto:

 

“La prima origine di tutto ciò che è bene è l’atto stesso di Dio che ha creato la terra e l’uomo, ed all’uomo ha dato la terra perché la domini col suo lavoro e ne goda i frutti (cfr. Gn 1,28-29). Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno. È qui la radice dell’universale destinazione dei beni della terra”. (CA 31).

 

Il “principio dell’uso comune dei beni o, parlando in un altro modo ancora più semplice, [il] diritto alla vita ed alla sussistenza” (Laborem Exercens [LE, 1981] 18) può essere anche definito, in un certo senso, il “primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale” (LE 19; cfr. LE 14) e “il principio tipico della dottrina sociale cristiana” (Sollicitudo Rei Socialis, SRS , [1987] 42). È il principio “primo” in senso materiale: se gli uomini non sono messi in grado di vivere, non possono fornire alcun contributo come cittadini delle città terrena o della città celeste, e non possono ricevere alcun beneficio dalla loro appartenenza alla società umana o alla società divina, la Chiesa.

 

Come si spiega allora l’insistenza della Chiesa sulla necessità e sulla inviolabilità della proprietà privata? Il fatto che Dio abbia “dato la terra a uso e godimento di tutto il genere umano, non si oppone per nulla al diritto della privata proprietà”, scrive Leone XIII,

 

“poiché quel dono egli lo fece a tutti, non perché ognuno ne avesse un comune e promiscuo dominio, bensì in quanto non assegnò nessuna parte del suolo determinatamente ad alcuno, lasciando ciò all’industria degli uomini e al diritto speciale dei popoli. La terra, per altro, sebbene divisa tra i privati, resta nondimeno a servizio e beneficio di tutti” (RN 7).

 

Sviluppando questa dottrina di Leone XIII, Pio XI spiega:

 

“il diritto [alla proprietà privata] viene largito agli uomini dalla natura, cioè dal Creatore stesso, sia perché gli individui possano provvedere a sé e alla famiglia, sia perché, grazie a tale istituto, i beni del Creatore, essendo destinati a tutta l’umana famiglia, servano veramente a questo fine; il che in nessun modo si potrebbe ottenere senza l’osservanza di un ordine certo e determinato”. (Quadragesimo Anno [QA, 1931] 45)

 

Il discorso di Pio XI richiama i punti fondamentali dell’insegnamento di Leone XIII. La prassi di ogni epoca ha accettato la proprietà privata come conforme alla natura umana e mezzo per la pace e la tranquillità sociale (cfr. RN 8). Della abolizione della proprietà auspicata dal socialismo, i primi a soffrirne sarebbero gli stessi lavoratori (cfr. RN 3); il suo sogno di uguaglianza sarebbe in realtà un livellamento di tutti alla stessa miseria e degrado (cfr. RN 12). La socializzazione deruberebbe dei loro beni i possessori legittimi e distorcerebbe le funzioni dello Stato, creando confusione nella comunità (cfr. RN 3). La “inviolabilità del diritto di proprietà è indispensabile per la soluzione pratica ed efficace della questione operaia. Pertanto le leggi devono favorire questo diritto, e fare in modo che cresca il più possibile il numero dei proprietari” (RN 35).

 

Pio XII insiste particolarmente su quest’ultimo punto:

 

“La dignità della persona umana esige […] normalmente come fondamento naturale per vivere il diritto all’uso dei beni della terra; a cui risponde l’obbligo fondamentale di accordare una proprietà privata, possibilmente a tutti (Messaggio di Natale 1942).

 

La “nobiltà morale del lavoro” richiede non solo “un salario giusto, sufficiente alle necessità dell’operaio e della famiglia”, ma anche “la conservazione ed il perfezionamento di un ordine sociale, che renda possibile una sicura, se pur modesta proprietà privata a tutti i ceti del popolo” (ibid.).

 

La distribuzione della proprietà: quando è adeguata, e quando non lo è?

L’insegnamento della Chiesa sottolinea la differenza tra distribuzioni di proprietà soddisfacenti e non soddisfacenti. In altre parole, non ogni distribuzione della ricchezza è conforme alla legge naturale e divina, ma solo quella che permette a tutti i cittadini di condurre un’esistenza dignitosa. L’obiettivo verso il quale dovrebbe tendere la società, sotto la guida del governo, è l’estensione della proprietà a tutti i consociati (cfr. QA 58), un’equa divisione della ricchezza che purtroppo non si riscontra nelle nazioni industrializzate (cfr. QA 59-60). Un’economia si può considerare ben ordinata solo quando tutti i membri della società dispongono dei beni necessari per la vita e il benessere (cfr. QA 75). Giovanni XXIII, con un’affermazione completamente contraria alla mentalità capitalista contemporanea, nota che: “la ricchezza economica di un popolo non è data soltanto dall’abbondanza complessiva dei beni, ma anche e più ancora dalla loro reale ed efficace ridistribuzione secondo giustizia” (MM 61): e tale redistribuzione è reale ed efficace perché diffusa,  non accentrata nelle mani di pochi. “Non basta affermare il carattere naturale del diritto di proprietà privata anche sui beni produttivi; ma ne va pure insistentemente propugnata l’effettiva diffusione fra tutte le classi sociali” (MM 100). Quindi Paolo VI può dichiarare:

 

“Tutti gli altri diritti, di qualunque genere, ivi compresi quelli della proprietà e del libero commercio, sono subordinati ad essa [cioè alla destinazione universale dei beni]: non devono quindi intralciare, bensì, al contrario, facilitarne la realizzazione, ed è un dovere sociale grave e urgente restituirli alla loro finalità originaria”. (PP 22)

 

Il diritto alla proprietà privata è, senza dubbio, “fondamentale per l’autonomia e lo sviluppo della persona”. Al contempo, “la proprietà dei beni non è un diritto assoluto, ma porta inscritti nella sua natura di diritto umano i propri limiti” (CA 30, corsivo aggiunto). “Il dominio accordato dal Creatore all’uomo non è un potere assoluto, né si può parlare di libertà di «usare e abusare», o di disporre delle cose come meglio aggrada” (SRS 34; cfr. RN 15).

 

Può apparire fin sorprendente quanto afferma il Doctor Angelicus, San Tommaso: “l’uomo non deve possedere i beni esterni come propri, bensì come comuni, in modo che facilmente li comunichi all’altrui necessità” (citato da Leone XIII in RN 19). Leone XIII spiega:

 

“Chiunque ha ricevuto dalla munificenza di Dio [abbondanza] maggiore di beni, sia esteriori e corporali sia spirituali, a questo fine li ha ricevuti[:] di servirsene al perfezionamento proprio, e nel medesimo tempo come ministro della divina provvidenza a vantaggio altrui”. (RN 19)

 

A proposito del dovere del ricco nei confronti del povero, Paolo VI cita un altro grande Padre della Chiesa, sant’Ambrogio: “Non è del tuo avere […] che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene. Poiché è quel che è dato in comune per l’uso di tutti, ciò che tu ti annetti. La terra è data a tutti, e non solamente ai ricchi”; in altre parole, commenta il papa, “la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario”, perché “il diritto di proprietà non deve mai esercitarsi a detrimento [del bene] comune” (PP 23).

 

Secondo Giovanni Paolo II, sulla proprietà privata “grava «un’ipoteca sociale», cioè vi si riconosce, come qualità intrinseca, una funzione sociale, fondata e giustificata precisamente sul principio della destinazione universale dei beni” (SRS 42); se ostacola questo obiettivo, la proprietà privata “non ha nessuna giustificazione e costituisce un abuso al cospetto di Dio e degli uomini” (CA 43). Pio XI si riferisce a questo insegnamento nei termini di una “doppia specie di proprietà [cioè di una natura duplice della proprietà, NdT], detta individuale e sociale, secondo che riguarda gli individui o spetta al bene comune” (QA 45; cfr. MM 108). Dal momento che i cittadini sono realmente parte di un insieme sociale e che la loro proprietà esercita una funzione sociale, i proprietari devono guardare al di là del proprio vantaggio personale per il bene della comunità e, per parte sua, l’autorità pubblica “specificare, considerata la vera necessità del bene comune e tenendo sempre innanzi agli occhi la legge naturale e divina, che cosa sia lecito ai possidenti e che cosa no, nell’uso dei propri beni” ( QA 49).

 

Tutto ciò che l’uomo usa per lavorare, che controlla e che possiede è sempre anzitutto un dono del Creatore, da utilizzare secondo il piano del Creatore (cfr. LE 12). Lavorando, un lavoratore partecipa di una duplice eredità: quella delle risorse della natura e quella delle creazioni umane. Facendone uso, egli dichiara e pretende di trarne un beneficio. Così, “la tradizione cristiana non ha mai sostenuto questo diritto [cioè il diritto di proprietà] come un qualcosa di assoluto ed intoccabile. Al contrario, essa l’ha sempre inteso nel più vasto contesto del comune diritto di tutti ad usare i beni dell’intera creazione: il diritto della proprietà privata come subordinato al diritto dell’uso comune, alla destinazione universale dei beni” (LE 14). Il capitale è ordinato al bene dei lavoratori in modo così intrinseco che non è concepibile una giustificazione per il possesso dei mezzi di produzione al di fuori dei benefici sociali che essi conferiscono (cfr. LE 14). “Come la persona realizza pienamente se stessa nel libero dono di sé, così la proprietà si giustifica moralmente nel creare, nei modi e nei tempi dovuti, occasioni di lavoro e crescita umana per tutti” (CA 43).

 

Verità Esigenti, Costi Morali

Non possono non esserci dei costi morali se vogliamo accettare queste verità esigenti – soprattutto per chi è assuefatto al canto delle sirene del “capitalismo del libero mercato”. Se prendessimo sul serio quello che la legge naturale richiede in termini di generosità, di equa distribuzione, di giusto salario e di mentalità orientata al bene comune (piuttosto che mirante alla costante espansione e arricchimento), il risultato implicherebbe senza dubbio “il sacrificio delle posizioni di rendita e di potere, di cui le economie più sviluppate si avvantaggiano”; ciò si realizzerà “soprattutto cambiando gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società” (CA 52, 58). Lo scopo che Dio ha dato alla creazione (cfr. CA 37) è il bene di ogni singolo uomo, non un qualsiasi uso arbitrario o un illimitato accumulo di ricchezze. Un’economia che favorisce strutturalmente un divario sempre più ampio tra i ricchi e tutti gli altri rappresenta un tradimento di questo scopo originario.

 

“Ma allora gli affari, l’incentivo del profitto, lo spirito di impresa, la creazione di ricchezza e tutti quegli altri aspetti positivi? Dovremmo disfarcene per un paradiso dei lavoratori a pianificazione Statale, che non potrà che finire come un incubo dal sapore sovietico?” No, quello che dice la Chiesa non è affatto questo.

 

Per Giovanni Paolo II, non c’è un conflitto tra la destinazione universale dei beni e una imprenditorialità redditizia, a condizione che l’impresa cerchi di fare il bene dei dipendenti, attraverso politiche aziendali eque, e dei clienti, attraverso prodotti utili, ben fatti e moralmente accettabili, invece di mirare ad aumentare i profitti sfruttando i lavoratori o fornendo prodotti inutili, scadenti o immorali (cfr. CA 32–43). Un’impresa o un’economia di mercato si può giudicare moralmente buona o cattiva a seconda che promuova o meno, all’atto pratico, la dignità dei lavoratori, condizioni di lavoro accettabili, una distribuzione sempre più ampia di proprietà che vale davvero la pena avere (principalmente, terreni o altri beni immobiliari), un senso di responsabilità morale e una capacità di autodisciplina (che si dimostra, ad esempio, definendo di un rapporto ragionevole tra gli stipendi più alti e quelli più bassi). Un fulgido esempio può essere la Mondragon Corporation in Spagna, fondata nel 1956 da p. José María Arizmendiarrieta secondo i principi della Dottrina Sociale della Chiesa, e ancora oggi fiorente: una cooperativa di lavoratori in cui il talento e la longevità di servizio sono ricompensati da maggiori opportunità in termini di proprietà, gestione e prestazioni sociali. Questa impresa è redditizia e competitiva.

 

Risultati del genere possono aversi solo nell’ambito di un “forte quadro giuridico” e sotto la costante vigilanza di statisti animati dall’amore per il bene comune (ad es. CA 36, 40, 42, e passim); e, inutile aggiungerlo, solo quando gli stessi cristiani vivono come testimoni del Vangelo, fecondi in opere di giustizia e di carità. Quindi possiamo ben vedere due delle ragioni per cui oggi la destinazione universale dei beni è negata sia in teoria che in pratica: (1) la debolezza dei governi, spinti qua e là da lobby e interessi monetari, e (2) la relativa debolezza della testimonianza cristiana nel moderno occidente.

 

Conclusione

Bisogna guardarsi da due comuni malintesi.

 

Primo, la destinazione universale dei beni non implica – anzi, ripudia fermamente – tutte le forme di socialismo o comunismo, perché questi sistemi sono incapaci di assicurare la seppur minima equa distribuzione dei beni terreni, e men che meno il paradiso terrestre promesso dai rivoluzionari. La dignità umana richiede la consapevolezza della propria responsabilità come lavoratore, un incentivo al lavoro e una ragionevole speranza di stabilità per sé e per la propria famiglia. Un minimo di proprietà – un tetto sopra la testa, cibo e vestiti sufficienti – consente di essere liberi per ciò che conta veramente nella vita: il tempo passato con la famiglia e gli amici, il riposo e lo svago festivo, il raccoglimento, l’adorazione.

 

Secondo, e contrariamente alle caricature dipinte dagli oppositori del distributismo, ciò che la Chiesa propone esclude uno scenario statalista in cui i funzionari del governo prendono il controllo di vasti appezzamenti di terra o di ingenti somme di denaro e li ridistribuiscono secondo l’arbitrio della amministrazione statale. Un’iniziativa del genere finirebbe con ogni probabilità per sostituire semplicemente una plutocrazia con un’altra. Nella maggior parte dei casi, la distribuzione della proprietà non è responsabilità del governo. Piuttosto, lo Stato deve elaborare politiche, leggi e incentivi che promuovano e proteggano un ordine sociale in cui il maggior numero possibile di cittadini divengano proprietari stabili di beni immobili, azionisti o soci in affari.

 

Per ulteriori letture su questo argomento consiglierei: E. Cahill, The Framework of a Christian State(1932), pp. 35–46, 129–55 e 294–311; Hilaire Belloc, The Servile State (1912); Rupert Ederer, Economics As If God Mattered: A Century of Papal Teaching (1995); Emile Guerry. The Social Dottrine of the Church (1961), pp. 83–97 e passim; William J. McDonald, The Social Value of Property According to St. Thomas Aquinas (1939); Garrick Small, “Contemporary Problems in Property in the Light of the Economic Thought of St. Thomas Aquinas”, in Proceedings of the International Congress on Christian Humanism in the Third Millennium: The Perspective of Thomas Aquinas (2005), 2: 843–55; Thomas Storck, Foundations of a Catholic Political Order (1998; disponibile su www.thomasstorck.org), specialmente pp. 43–86.

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12 commenti

  • Enzo ha detto:

    Condivido le conclusione dell’articolo, ma credo che inizialmente ci sia poco chiarezza tra i concetti di ‘proprietà’, ‘produzione di ricchezza’ e ‘distribuzione di ricchezza’, che anche se collegate tra loro costituiscono problematiche separate.
    Per non dilungarmi, vorrei solo far riflettere su alcuni punti:
    1. “la terra è stata donata da Dio a tutti gli uomini”.
    Si, come la salvezza e la vita eterna: ma come mai non tutti la otterranno? Non dovrebbe essere un diritto di tutti? …
    Di per se la proprietà non è una ricchezza ma un costo, con la potenzialità (non garantita) di produrre un reddito (o una perdita);
    2. “lavorerai con il sudore della tua fronte…”
    la produzione della ricchezza richiede fatica ed impegno, capacità e tempo (e per i cristiani anche fini e mezzi leciti): per questo occorre garantire il diritto sui frutti a chi li produce (non si può lasciare che tutti si sentano in diritto di disporre dei beni della terra -il raccolto- che altri nei mesi precedenti si sono impegnati a coltivare).
    Per questo gli usi e costumi (le leggi umane) si basano sull’equilibrio dei diritti e dei doveri. A questo punto:
    3. La distribuzione delle ricchezza può avvenire in base a criteri cristiani di amore e carità o con altri criteri; ad esempio quello socialista (che non considera la ‘produzione della ricchezza’ ma solo la ‘proprietà’ dei beni e la ‘distribuzione della ricchezza’).
    Per questo Churchill dichiarò al parlamento britannico che: ‘il capitalismo non distribuisce equamente la ricchezza ma il socialismo (ed il comunismo) distribuisce equamente la povertà’.

    • stilumcuriale emerito ha detto:

      Ci sono molte persone, per altri versi e in altri campi coltissime, che non sanno nulla di economia ma pretendono di parlarne (come i preti e i teologi). Ci sono però anche dei ragionieri che non capiscono perchè in un bilancio aziendale le perdite vadano messe all’attivo e il capitale sociale al passivo (esperienza personale, noti bene). O sindaci come quello che in consiglio comunale disse :- abbiamo due milioni di deficit, cominciamo a spendere quelli-.

      • Don Ettore Barbieri ha detto:

        Immagino che lei, nella sua lunga vita, abbia conosciuto tutti i preti e i teologi del mondo, per poter parlare con questa sicurezza. E come le scrissi un’altra volta, senza ottenere alcuna risposta, anche Don Sturzo, ad esempio, era ignorante di economia? Non penso che Luigi Einaudi, che lo ha fatto senatore a vita, lo pensasse.
        Ironia a parte, lo sa che nell”Opus Dei prima di cominciare il percorso in seminario occorre aver conseguito una laurea civile? E immagino che come c’è chi studia Medicina o Giurisprudenza vi sia anche chi studia Economia: perciò, mi sembrano del tutto fuori luogo queste generalizzazioni da bar dello sport.
        Se poi lei intende dire che la Chiesa non può dare una valutazione morale dei vari sistemi economici esistenti, le ricordo che esiste, dai tempi di Leone XIII, una Dottrina sociale. E anche la Rerum novarum fece scandalo, perché si accusò il papa di essere diventato socialista.

        • Alexis ha detto:

          No Don Ettore. Non intendeva limitare le competenze della Chiesa, ma dare degli ignoranti ai preti. Tipico atteggiamento di questo signore, che ritiene di essere un genio e gli altri tutti deficienti. Un monumento di vanagloria.

          • stilumcuriale emerito ha detto:

            Genio? No ho soltanto avuto una educazione migliore della sua e non me ne faccio nè un merito nè un vanto.

        • stilumcuriale emerito ha detto:

          Anche ammesso che don Sturzo sapesse qualcosa di economia, una rondine non fa primavera.

          • Don Ettore Barbieri ha detto:

            Vedo che evita di rispondere nel merito, anche se il mio intervento mi sembra abbastanza chiaro. Io le ho parlato di un prete fatto senatore a vita da un economista di fama internazionale nonché presidente della Repubblica (forse l’unico dignitoso che abbiamo avuto) e lei mi sa dire solo che una rondine non fa primavera.. io non contesto il fatto che molti preti dovrebbero avere una migliore formazione sotto l’aspetto economico (tra l’altro lo sostiene proprio Einaudi in “Prediche inutili”). Le ho contestato il tono apodittico con cui si esprime. Lei avrà anche 90 anni o più, non lo so, ma non sa tutto e non ha conosciuto tutti. Perciò, glielo ripeto, eviti le generalizzazioni da bar. E le ho fatto, non a caso, l’esempio dell’Opus Dei, che non mi pare manchi di serietà nella formazione culturale dei propri preti.

        • stilumcuriale emerito ha detto:

          Forse un uomo come lei non sarebbe nemmeno all’altezza di fare il sagrestano. Finge di non capire per trovare il modo di offendere e umiliare gli altri. Per sua regola sappia che io so di non sapere, ho sempre avuto rispetto di coloro che sanno meno di me, scrivo qui solo per condividere piccoli frammenti di una lunga e vasta esperienza. Non ho libri da vendere e prima di offendere vada a leggere quello che dice il suo Papa a proposito dell’esperienza dei vecchi.

          • Don Ettore Barbieri ha detto:

            Io non ho offeso nessuno. Ho soltanto fatto delle osservazioni. Mi pare che sia lei ad offendere me in maniera piuttosto pesante e scendendo ad un livello personale a cui io ho accuratamente evitato di abbassarmi. Pazienza.

  • Enrico Nippo ha detto:

    “Comunismo spietato in basso, capitalismo altrettanto schiacciante in alto, per lorsignori: la variante neo feudale è che non possiederà nulla la stragrande maggioranza dell’umanità, ma la proprietà privata – non più dei “mezzi di produzione” ma di tutto, proprio tutto quello che esiste al mondo – beni, servizi, tecnologie, denaro- resterà in capo a una minoranza dal potere ferreo. Un medioevo postmoderno privo della spiritualità e dell’altezza morale dell’era di mezzo. In alto, un pugno di imperatori – i padroni universali – coadiuvati da varie caste di feudatari, vassalli, valvassori e valvassini, in basso tutti noi, i servi della gleba a cui somministrare un’esistenza animale”.

    Per l’articolo completo:
    https://www.ricognizioni.it/agenda-2030-non-avrai-nulla-e-sarai-felice/

  • giovanni ha detto:

    La proprieta’ privata e’ argomento spinosissimo e drammaticamente divisivo. La via sulla quale ci si incammina in apparenza sembra buona, attesa la necessita’ di condividere quello che c’e con chi non ha nulla. Il problema e’ che le vie umane sono lastricate di buoni propositi finiti nel peggiore dei modi. Inutile citare i tanti episodi della storia. Spero ardentemente di sbagliarmi ma questa strada portera’ ad una caotica guerra fra poveri. I padroni del mondo mai e poi mai condivideranno i propri beni con gli altri e anzi stanno aumentando le loro proprieta’ Ho l’impressione che utilizzino le massime del Vangelo manipolandole e spingendole oltre ogni limite di ragionevolezza. Come a dire / questo vuole il vostro Dio, ebbene noi ve lo faremo fare volenti o nolenti.

  • Marco Matteucci ha detto:

    PROVE TECNICHE DI GREAT RESET!

    https://reginadelcielo.com/