Caliari. Svegliati, O Uomo! Meditazione in Preparazione del Santo Natale.

20 Dicembre 2020 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Carissimi Stilumcuriali, Gian Pietro Caliari ci regala questa meditazione in preparazione dell’Avvento di Nostro Signore Gesù Cristo. Buona lettura, e buona domenica.

§§§

Ritiro in preparazione del Santo Natale

Domenica 20 dicembre 2020

(Luca 1, 26-38)

di Gian Pietro Caliari

 

Carissimi amici tutti,

 

“Svegliati, o uomo!”, così Sant’Agostino esortava i cristiani adunati nella cattedrale d’Ippona per il giorno del Santo Natale dell’anno 412.

 

Svegliatevi!, ripeterebbe oggi il grande Padre della Chiesa se fosse qui tra noi, piccolo gruppo di amici, piccolo gruppo di cattolici che, umilmente, si prepara a questo nuovo Natale di Salvezza.

 

Sì, un nuovo Natale di Salvezza, mentre il nostro tempo e il nostro mondo – e ahimè anche la nostra santa e amata Chiesa Cattolica – sembrano – come scriveva già Victor Hugo nel 1831 – in preda a “un’oscena, esuberante, rumorosa e sovversiva festa dei folli”, che tristemente si avvia a perdizione (Notre Dame de Paris, Libro I).

 

Sì, anche quest’anno in un mondo che sembra contorcersi nelle convulsioni di un Sabba demoniaco, il Natale di Cristo, il Natale del Redentore dell’uomo, centro del cosmo e della storia, il Santo Natale cristiano si compie come evocato con mirabile linguaggio dal Libro della Sapienza:

 

 

“Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio, portando, come spada affilata, il tuo ordine inesorabile” (Sapienza 18, 14-15).

 

Svegliati o uomo! Svegliati o donna!

 

Come abbiamo ascoltato all’inizio di questo momento di riflessione dalla voce stessa di Sant’Agostino:

 

”Per te Dio si è fatto uomo. Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà. Per te, ripeto, Dio si è fatto uomo.” (Sermo 185, in Natali Domini, PL 38, 997).

 

“Χαῖρε!” (kaìre!), fu invece l’amabile e angelico saluto a una donna di Nazareth di nome Maria; מִרְיָםMiryam, che in ebraico significa: amata da Dio!

 

Rallegrati, dunque, anche tu che sei da Dio amato!

 

Rallegrati, anche tu – che come Maria di Nazareth – vivi nell’odierna e planetaria Galilea, il cui nome – come nell’originario ebraico הגליל gélil ha-gòyim, significa terra di pagani; mondo di uomini e donne senza Dio e senza legge!

 

Eppure anche su questa terra desolata e che ha abbandonato il vero “Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe”, l’arcangelo Gabriele rende presente la שְׁכִינָה (Shekinah), la presenza stessa dell’Onnipotente, che per quarant’anni aveva accompagnato sotto una tenda il popolo d’Israele nel suo Esodo salvifico e che allora dimorava nel magnifico Tempio di Salomone.

 

Ecco, l’Onnipotenza si manifesta a Maria e non la chiama col suo  nome. Le conferisce, invece, un nome nuovo: “Χαῖρε, κεχαριτωμένη” (kaìre kekaritomène) “Rallegrati, colmata di grazia”.

 

Colei che era amata da Dio, ora è colmata della presenza stessa di Dio! “ὁ κύριος μετὰ ⸀σοῦ” (ò kùrios metà soù) Il Signore è con te!

 

Nel breve saluto di Gabriele: “Χαῖρε, κεχαριτωμένη, ὁ κύριος μετὰ σοῦ” (kaìre kekaritomène, ò kùrios metà soù), “Rallegrati Maria, colmata di grazia, Dio è con te!”; è già racchiuso tutto il Santissimo Mistero dell’Incarnazione e del ruolo unico, eccezionale e irripetibile, che Maria assume nel Mistero della Redenzione.

 

Di fronte “alla larghezza, alla lunghezza, all’’altezza e alla profondità” del mistero dell’Amore di Dio in Cristo, un Mistero – “che sorpassa ogni conoscenza” e che ci ricolma “di tutta la pienezza di Dio” (Efesini 3, 18-19) – l’Evangelista San Luca ci descrive la reazione di Maria con due verbi: “διεταράχθη καὶ διελογίζετο” (dieraràxfo kaì dielegìzeto), “fu turbata e si domandava” – dice la traduzione corrente.

 

In realtà, San Luca, che era di madrelingua greca, intendeva farci ben comprendere la qualità della reazione di Maria in rapporto alla qualità della fede stessa di questa giovane di Nazareth.

 

Dal primo verbo, διαταράσσω (diataràsso) all’aoristo passivo apprendiamo che Maria “rimase profondamente perplessa” – ecco la giusta traduzione – e dal secondo διελογίζετο (dielegìzeto) all’imperfetto medio riflessivo che Maria “rifletteva fra sé, o meglio “meditava fra sé”.

 

Altre due volte, l’Evangelista Luca nel suo Vangelo annota la reazione di Maria agli avvenimenti di cui era partecipe.

 

Dopo la visita dei pastori alla mangiatoia di Betlemme, mentre “tutti si stupirono delle cose che i pastori dicevano” a riguardo del bambino (cfr. Luca 2, 18), Luca annota che  “Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” “συμβάλλουσα ἐν τῇ καρδίᾳ αὐτῆς” (sunbàllousa èn tè carda autès) – traducendo letteralmente – mettendole insieme, componendole, riordinandole nel suo cuore  (Luca 2, 19).

 

E di nuovo, dopo il ritrovamento di Gesù al Tempio, quando l’Evangelista annota che Gesù “partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore” “διετήρει πάντα τὰ ῥήματα ⸀ταῦτα ἐν τῇ καρδίᾳ αὐτῆς” – (dieterei punta tà rèmata taùta èn tè kardìa) di nuovo letteralmente – Maria “tiene attentamente, continuamente, tutte queste cose udite nel suo cuore  (Luca 2, 51).

 

La fede di Maria – come ci è presentata nel celebre testo dell’Annunciazione – non è il frutto di una reazione infantile ed entusiastica!

 

La fede di Maria non è neppure una pia illusione né una facile e incosciente credulità!

 

La fede di Maria è quella di chi “medita interiormente”, di chi “compone e riordina nel suo cuore quanto avviene” e quanto vive.

 

è la fede di chi “tiene nel suo cuore attentamente e continuamente tutto ciò che ascolta”.

 

La fede di Maria è la beatitudine stessa che Gesù proclama: “Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!” (Luca 11, 28).

 

Maria medita per comprendere fino in fondo un divino disegno che  rende a Dio possibile ciò che è impossibile agli uomini.

 

Maria medita per poter essere partecipe di un piano provvidenziale che consente alla sua verginità di tale restare e permanere pur diventando essa stessa Madre di Colui che “sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo” (Luca 1, 31).

 

Maria riordina e attentamente conserva nel suo cuore tutto ciò che ascolta dalla voce della Potenza di Dio per essere disponibile a participare a un piano di Salvezza, in cui Colui che solo salva, Gesù, che nasce nella carne di un Figlio dell’Uomo, pur permanendo nella sua divina natura di Figlio dell’Altissimo.

 

Maria medita, riordina e conserva nel suo cuore quell’annuncio del Mistero Supremo dell’Amore salvifico che il vecchio Simeone “un uomo giusto e timorato di Dio” (Luca 2, 25) pronuncia accogliendo Gesù al Tempio di Gerusalemme per l’offerta del primogenito e la purificazione della madre, come prescritto dalla legge mosaica: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Luca 2, 34-35).

 

Maria vive così, in una dimensione di fede reale, profonda e conscia, il primo Avvento disponendosi a generare – per potenza dello Spirito Santo – “Colui che nascerà e che sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio; perché nulla è impossibile a Dio” (Luca 1, 36-37).

 

Commentando la fede meditativa di Maria, Sant’Agostino scrive: “Angelus nuntiat, virgo audit, credit, et concipit. Fides in mente, Christus in ventre” – “Un angelo porta l’annunzio, la Vergine ascolta, crede e concepisce. La fede nel cuore e Cristo nel grembo” (Sermo 196,  In Natali Domini, PL 38, 1019).

 

E in un’altro testo aggiunge: “Il Cristo è creduto e concepito mediante la fede. Prima si verifica la venuta della fede nel cuore della Vergine, e in seguito viene la fecondità nel seno della Madre” (Sermo 293, In Natali Johannis, PL 38, 1327).

 

Proprio in virtù di questa fede, Maria risponde all’Angelo con le celebri parole: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Luca 1, 39).

 

Il titolo ebraico di עֶבֶד יַהְוֶה; ebed Hashem ”servo di Dio” “o servo dell’Altissimo”  ricorre 27 volte in tutto l’Antico Testamento ed è riservato solo a tre personaggi.

 

A Mosè, che aveva guidato Israele fuori dall’Egitto e a cui era stata consegnata la Legge di Dio sul Sinai; a Giosuè, il diretto successore di Mosè, che condurrà Israele alla presa di possesso della terra promessa, dando così continuità e compimento alla promessa fatta da Dio ad Abramo (Gen 12,1; 28,13); e, infine, a Davide, il re a cui Dio ha promesso la stabilità della sua discendenza e del suo regno (2 Sam 7,12-16).

 

Il profeta Isaia, poi, profetizza nella persona del “servo di Dio” proprio Colui  “che è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità” (Isaia 53, 5); che “maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca (Isaia 53, 7) e “che è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori” (Isaia 53, 12).

 

Maria con il suo “sono la serva del Signore” non solo è associata ai

ai grandi personaggi del Vecchio Testamento che hanno collaborato con Dio nel portare a compimento il suo progetto di salvezza; ma, con questo titolo “la serva dell’Altissimo”, viene posta da Luca al vertice dell’intera storia d’Israele, che è storia di una promessa che trova in Maria e nel suo Figlio il definitivo  ed eterno compimento.

 

è Maria, infatti, che concepirà e partorirà: “L’Agnello di Dio che porta i peccati del mondo” (Giovanni 1, 29).

 

Carissimi amici,

 

In questo Santo Natale, lasciamo che la fede profonda e radicale di Maria scuota, interroghi e provochi anche la nostra fede per farla diventare veramente una Fede chiara e adulta!

 

In una celebre omelia l’allora cardinale Joseph Ratzinger diceva: “Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”

 

“Noi, invece, – continuava il grande teologo – abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. è questa fede adulta che dobbiamo maturare” (Missa pro eligendo summo Pontifice, 18 aprile 2005).

 

Care Mamme e cari Papà,

carissimi amici, socii et comites,

 

Certo, lo sappiamo, la fede è anzitutto un dono soprannaturale, un dono di Dio.

 

“Perché si possa prestare questa fede, è necessaria la grazia di Dio che previene e soccorre, e sono necessari gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità” (Vaticano II, Costituzione Dogmatica Dei Verbum, 5).

 

La fede è dono di Dio, ma è anche atto profondamente libero e umano.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica lo dice con chiarezza: «È impossibile credere senza la grazia e gli aiuti interiori dello Spirito Santo. Non è però meno vero che credere è un atto autenticamente umano. Non è contrario né alla libertà né all’intelligenza dell’uomo» (n. 154).

 

Anzi, le implica e le esalta, in una scommessa di vita che è come un esodo, cioè un uscire da se stessi, dalle proprie sicurezze, dai propri schemi mentali, per affidarsi all’azione di Dio che ci indica la sua strada per conseguire la vera libertà, la nostra identità umana, la gioia vera del cuore, la pace con tutti.

 

Credere è affidarsi in tutta libertà e con gioia al disegno provvidenziale di Dio sulla storia, come fece Maria di Nazaret.

 

La fede allora è un assenso con cui la nostra mente e il nostro cuore dicono il loro «sì» a Dio, confessando che Gesù è il Signore.

 

E questo «sì» trasforma la vita, le apre la strada verso una pienezza di significato, la rende così nuova, ricca di gioia e di speranza affidabile.

 

Più che mai, il nostro tempo richiede cristiani che siano stati afferrati da Cristo, che crescano nella fede grazie alla familiarità con la Sacra Scrittura e i Sacramenti.

 

Persone che siano quasi un libro aperto che narra l’esperienza della vita nuova nello Spirito, la presenza di quel Dio che ci sorregge nel cammino e ci apre alla vita che non avrà mai fine.

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4 commenti

  • Virginio ha detto:

    Diciamo la verità: la facilità con cui i poteri nascosti riescono a manipolare le coscienze, ha radici antiche e profonde.
    La religione, in special modo il messaggio evangelico nelle sue qualità più peculiari e nelle sue più distintive caratteristiche, si basa sullo sviluppo della coscienza; bisogna però notare, con un senso di vergogna e disonore per la Chiesa stessa, che è proprio nello sviluppo delle coscienze la sua più colpevole omissione. Prima ancora dell’illuminismo e prima del protestantesimo, la carriera ecclesiastica era già allora una semplice opzione rispetto alla carriera militare, a quella giudiziaria o a quella amministrativa: solo un modo diverso di fare carriera. La fede veniva trasmessa senza senza pensiero, la giustizia divina con premi e castighi come un doppione di quella terrena

  • Maria Michela Petti ha detto:

    Fin troppo frequentemente ci siamo ritrovati a riflettere sul “potere” della comunicazione – di cui il silenzio è parte integrante – e sulle sue ricadute nei processi socio-culturali, per cui preferisco non concentrare l’attenzione su quest’aspetto della questione, sul finire del periodo dell’Avvento, tempo privilegiato di attesa vigilante, come insegnato dalle Letture liturgiche che ci hanno accompagnato, per restare svegli o risvegliarci, pronti ad accogliere “la rivelazione del mistero…ora manifestato mediante le Scritture dei Profeti…[per giungere] all’obbedienza della fede” (Seconda Lettura di oggi. Rm 16, 25-27)
    Seguendo un filo logico, il Vangelo odierno ci ha presentato il modello di obbedienza da imitare: Maria che con il suo “sì” ha cooperato al piano di salvezza dell’umanità. Un “sì” preceduto da pochissime parole che esprimono umiltà e stupore. È la prima delle sole quattro volte in cui la “donna del silenzio” parla. A questa segue il momento della lode con il canto del Magnificat; poi il tenero, brevissimo, richiamo al Figlio rimasto nel Tempio che rivela la preoccupazione genitoriale, del tutto normale e comprensibile; ed infine l’altrettanto breve intercessione – esaudita – per i partecipanti al banchetto delle nozze di Cana. Anche in questo caso: sollecitudine per gli uomini che Le sarebbero stati affidati come figli, prima dell’ora del buio e del dolore di Madre, vissuta in assoluto silenzio.
    Alla Sua scuola dovremmo tutti accedere per imparare a capire quando e come parlare e quando tacere. Non per vigliaccheria o, peggio, per omertà; o perché – cosa ancora più grave – per aver permesso ai potenti di “comprare” il nostro silenzio così come “comprano” il rumore e umiliano la capacità intellettiva dei più sprovveduti con i mezzi di cui dispongono e di cui fanno un uso spregiudicato ed oppongono, invece troppo spesso, un silenzio sprezzante a lecite e rispettose domande.
    Secondo un proverbio tedesco, “il silenzio è un recinto attorno alla saggezza”. Poiché un recinto è protezione di uno spazio scoperto, non luogo di chiusura e arroccamento, dovremmo essere abili ad uscire per libera scelta, dopo aver preso le dovute precauzioni, e a non permettere che il nostro spazio sia saccheggiato da chi soprattutto dimostra segni evidenti di tendenza all’egemonia (…un’eufemismo).
    Kierkegaard ebbe a dire: «Se fossi un medico e mi venisse chiesto un consiglio, direi: Create il silenzio! Conducete gli uomini al silenzio!». Maria ha percorso la via del silenzio. Nessuno – oggi più che mai – sarebbe in grado di “creare” il silenzio veramente salutare per l’uomo contemporaneo.

  • antonio cafazzo ha detto:

    Tutto quanto ci scrive Caliari fa parte del Vero e del Dovrebbe-Essere. Ma qual’è la realtà attuale dell’homo sapiens e della Chiesa “sapiens”?
    Passi per l’uomo comune ormai ateo e al massimo rincitrullito da una “spiritualità” new-age ma cosa “predica” la cosiddetta Chiesa? Brodaglia, sciacquatura di Vangelo e UMANESIMO.
    E così – come ben dice il proverbio spagnolo “Como canta el abad así responde el sacristán” (Come canta l’abate così risponde il sacrestano) – il popolo se ne frega di Dio.
    In questo video – che spero sia comprensibile da tutti – un vero sacerdote (in Oklahoma) ci fa una ramanzina sulla nostra attuale MISERIA, sul nostro “linguaggio” moderno che -come si sa – è l’altoparlante del cuore.

  • stilumcuriale emerito ha detto:

    Meglio del discorsetto del Papa all’Angelus di questa mattina. Anche se, tutto sommato, non è male neanche quello.