CIVITELLA DEL TRONTO, L’ESTREMO EROISMO DEI SOLDATI BORBONICI.

26 Novembre 2020 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, l’amico e collega Antonello Cannarozzo  ci ha inviato questo ricordo di un episodio di fedeltà e di eroismo da parte dei soldati borbonici, una difesa senza speranza per il proprio onore e per il loro re. Buona lettura. La fortezza di Civitella è uno dei luoghi più visitati della regione. 

§§§ 

Una storia di fedeltà al proprio Re ed alla Patria napoletana

Civitella del Tronto, l’ultimo eroismo dei soldati borbonici

Antonello Cannarozzo

 

La mattina del 17 marzo del 1861, in una Torino in festa, la sala del trono di Palazzo Carignano era già gremita da tutta la nobiltà sabauda, dagli uomini che avevano combattuto per l’unità d’Italia, dai notabili locali e dal corpo diplomatico per assistere alla nascita del nuovo Stato italiano anche se per la sua completezza mancavano ancora la Roma di Pio IX e il Veneto austro-ungarico.

Ciò nonostante, venne proclamato solennemente il Regno di Italia con il decreto n° 4671, dell’ancora Regno di Sardegna, con il quale si confermava, tra l’altro, che: “Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi Successori il titolo di Re d’Italia. Ordiniamo che la presente, munita del Sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta degli atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato “.

Un grande giorno, dunque, di quelli da passare alla storia e con la soddisfazione di chi aveva combattuto per un’Italia unita ed indipendente.

Peccato che a rovinare la festa ci fosse, nella allora sperduta provincia del teramano, a 652 km da Torino, un paese di poche centinaia di anime, Civitella del Tronto, ma che diventerà un vero incubo per il nascente Stato italiano.

La proclamazione dell’Unità d’Italia si era potuta celebrare, infatti, dopo la fine del Regno Borbonico che aveva dato al piccolo Piemonte le grandi e ricche province meridionali.

La retorica patriottica vuole che il regno di Francesco II cadde con l’intervento dei Mille di Garibaldi e per la inefficienza e corruzione dell’esercito borbonico; tutto vero ma solo in parte, perché, anche se ormai dimenticati, ci furono molti atti di vero eroismo da parte dei soldati meridionali in nome del loro Re e della loro patria, come accadde, ad esempio, per la resistenza di Messina o come vedremo poi di Gaeta. Ma fu soprattutto Civitella del Tronto con la sua Fortezza rinascimentale a creare maggiori problemi al governo piemontese.

Vediamo allora di quest’ultimo avvenimento risorgimentale le fasi più rilevanti.

Inizialmente, da parte dei comandanti e dello stesso Cavour, si pensò che doveva essere una passeggiata per il neo esercito unitario conquistare Civitella e la sua fortezza, ed invece divenne un vero supplizio durato ben 8 mesi trasformando questo piccolo paese nel teatro dell’ultima battaglia tra l’esercito borbonico e quello sabaudo.

Tutto cominciò il 10 settembre del 1860 quando, dopo la rivolta “spontanea” nel teramano fu dichiarato decaduto di fatto il governo legittimo borbonico e ne fu nominato uno provvisorio.

Davanti a questa nuova condizione e per non aggravare la situazione già critica dell’esercito napoletano, il comandante militare della provincia abruzzese esortò i suoi soldati a schierarsi al fianco del nuovo governo e ad arrendersi poi ai vincitori piemontesi.

Questa scelta fu ritenuta da molti militari un atto di vigliaccheria e l’anziano generale di fanteria Luigi Ascione, comandante del forte, con il maggiore Domenico Solinas ed il capitano dei Cacciatori, Giovanni Raffaele Tiscar, rifiutò di arrendersi e, nel contempo, decise di vendere cara la pelle asserragliandosi con i propri uomini nella fortezza di Civitella del Tronto.

Il drappello all’interno del forte era composto da circa 650 uomini, tra cui anche molti volontari fedeli alla corona borbonica, avendo a disposizione venti vecchi cannoni, tre obici, due mortai, un pezzo di antiquariato, una colubrina rinascimentale di bronzo a canna lunga e sottile, oltre ai fucili dei soldati, ma con scarse munizioni.

Dopo il primo entusiasmo per la scelta di continuare a combattere, ben presto arrivarono notizie sempre più sconfortanti per i soldati del re Francesco II.

Cadevano infatti, in poco più di un mese, una dopo l’altra importanti piazze militari come quella di Pescara e di Ancona, oppure la rivolta anti sabauda, tra le tante, della popolazione di Campli, sedata poi nel sangue dai “liberatori” italiani.

Tutte queste notizie non rincuoravano certo gli animi della truppa assediata, ma ciò nonostante riuscirono ad organizzare alla meglio le proprie difese in attesa dei primi scontri a fuoco con l’esercito piemontese, un evento atteso ormai da un giorno all’altro.

E lo scontro arrivò la mattina del 26 ottobre quando furono sparati i primi colpi contro il paese come avvertimento; ma l’assedio vero si ebbe solo dal 9 novembre con l’occupazione militare delle località di Ripe, Piane, Fucignano e Passo per isolare maggiormente gli assediati.

Ormai, era cosa fatta per i comandi piemontesi, ancora pochi giorni, avevano già comunicato a Torino, e ci sarebbe stata una sicura resa pacifica da parte delle truppe borboniche e così anche l’ultima bandiera del Re di Napoli sarebbe stata ammainata per sempre.

Ma non avevano fatto i conti con la fermezza ed il coraggio degli ultimi epigoni di quello che era stato chiamato ironicamente “l’esercito di Franceschiello”.

Il comandante Ascione rifiutò di arrendersi ai ripetuti inviti e minacce degli assalitori che per risposta cominciarono un potente cannoneggiamento con altrettanti assalti, ma tutto fu inutile.

I soldati borbonici resistevano ad oltranza.

Ciò che doveva essere una passeggiata si stava dimostrando un vero e proprio percorso ad ostacoli.

Era passato quasi un mese e mezzo dal primo cannoneggiamento contro il forte e tutto era rimasto come prima.

Se, dunque, la situazione era grave per gli assediati i cui mezzi di difesa andavano assottigliandosi ogni giorno di più, non meno tranquillo era lo stato d’animo dei sabaudi nel campo avverso; tanto che, per rinforzare la truppa d’assalto furono tolti gli insediamenti militari nelle montagne circostanti creando una forza d’urto di alcune migliaia di soldati ben armati e addestrati. Ma tutto fu ancora inutile e arriviamo così al 6 dicembre senza un nulla di fatto.

Torino non poteva permettersi una tale brutta figura agli occhi delle cancellerie straniere che guardavano alla nascente Italia con qualche entusiasmo, ma ancora con molti dubbi.

Per sovvertire le sorti dell’assedio arrivò il generale Ferdinando Pinelli insieme a diverse compagnie e ad una sezione di artiglieria di una decina di nuovi cannoni con i quali, poco dopo il suo insediamento, ordinò ai suoi uomini di cominciare un forte bombardamento, sicuro della prossima imminente caduta di Civitella, ma la situazione si dimostrò anche per lui impossibile: gli uomini fedeli ai Borboni non cedevano.

Dopo un ulteriore invito ad arrendersi caduto nel vuoto, i soldati di Pinelli ricominciarono allora nuovi e più violenti bombardamenti e a lanciarsi con assalti senza sosta verso la rocca, ma ciò nonostante venivano immancabilmente respinti.

Ormai la situazione militare non cambiava, era in perfetto stallo, ed anche a livello diplomatico la situazione era assai imbarazzante, infatti sventolava ancora la bandiera dei Borboni sul futuro Regno d’Italia, nonostante gli sforzi degli assedianti piemontesi.

Non solo, le popolazioni intorno a Civitella cominciavano a parteggiare apertamente per gli assediati e questo costrinse i “liberatori” ad emettere durissimi bandi contro le popolazioni civili, ma di tale violenza da suscitare lo sdegno degli stessi piemontesi, tanto da sollevare Pinelli dall’incarico di sedare l’insurrezione sostituendolo col generale Luigi Mezzacapo.

Intanto era già passato un altro mese e ancora nulla di fatto, la fortezza teramana rimaneva un vero ed unico baluardo delle residue speranze borboniche, sapendo benissimo che, al di là dei facili entusiasmi, la situazione era sempre più grave per gli abitanti del forte tanto che il generale Ascione firmò un armistizio di otto giorni nei quali si sarebbe deciso il da farsi.

L’anziano militare cercava di prendere tempo con la scusa di attendere ordini dal suo comando ormai fatiscente, ma Pinelli che rimasto ancora il comandate dell’operazione contro il forte, era pressato quotidianamente da Cavour che gli chiedeva di chiudere al più presto la faccenda a qualsiasi costo, giacché di lì a poche settimane ci sarebbe stata la proclamazione del Regno d’Italia davanti al mondo ed una macchia come Civitella non era ammissibile.

Così continuarono i bombardamenti ancora più violenti di prima, ma senza ulteriori cambiamenti tra i due schieramenti; solo all’interno della fortezza, molto repentinamente, c’era stato un mutamento di responsabilità, Giovine venne nominato sul campo colonnello e posto al comando della cittadella militare mettendo da parte il gen. Ascione al quale venivano imputati alcuni errori nella conduzione dell’assedio, ma ciò nonostante gli accadimenti ormai stavano precipitando.

Il 13 febbraio 1861 cadde dopo una eroica resistenza anche l’ultima roccaforte borbonica nel Sud, Gaeta, che aveva visto dagli spalti della locale fortezza combattere anche la famiglia reale fino all’ultimo giorno prima della resa, per rifugiarsi poi a Roma sotto la protezione di Papa Pio IX.

La situazione a questo punto si fece drammatica all’interno del forte con dissidi tra chi, come il neo comandante Giovine, vista l’impossibilità di resistere, voleva accettare una resa immediata e quelli che volevano continuare a combattere per l’onore militare capeggiati dal sergente di artiglieria Domenico Messinelli.

Prevalse ampiamente quest’ultimo e l’assedio continuò suscitando anche l’ammirazione della stampa straniera e soprattutto, dall’esilio romano anche quello della famiglia reale dei Borboni, tanto che in più occasioni la regina Sofia esclamò: “Piuttosto che stare qui, amerei morire negli Abruzzi in mezzo a quei bravi combattenti”.

Ma l’entusiasmo e l’eroismo non potevano certo cambiare le sorti della battaglia, tanto che 15 febbraio Mezzacapo, grazie a nuovi e moderni cannoni, appena arrivati da Torino, cominciò un altro duro ed ancora più feroce bombardamento che distrusse in parte la potente fortezza.

Ormai era sicuro che di lì a pochi giorni sarebbe entrato nel pase da trionfatore.

Nonostante il cumulo di macerie, gli scarsi approvvigionamenti e l’avvicinarsi anche lo spettro della fame, i soldati resistevano in maniera sbalorditiva.

Ma la situazione ormai andava chiusa subito, ancora pochi giorni e il 17 marzo Vittorio Emanuele sarebbe stato incoronato Re d’Italia e per quel giorno la Fortezza di Civitella del Tronto doveva essere presa ad ogni costo.

Venne allora rinforzato il presidio con l’arrivo di altri 3.379 soldati, 167 ufficiali e altri venti nuovi cannoni.

Nessuno, all’interno della fortezza, si faceva alcuna illusione; ciò nonostante veniva ribadito da tutti i resistenti era il giuramento: “prima il dovere e l’onore militare”; così, con questo spirito, quando si presentò al forte in quelle stesse ore il generale borbonico Della Rocca recando un messaggio di re Francesco II con l’ordine della resa, non accettarono l’ordine perché nessuno di loro conosceva la vera firma del re. Forse fu una scusa, in questo modo però continuarono nella difesa sempre più strenua.

Il 20 marzo, a tre giorni dalla proclamazione del Regno d’Italia, divenne per Civitella il giorno del giudizio.

I piemontesi, fin dalle prime luci dell’alba, iniziarono terrificanti bombardamenti tanto che alla fine furono contati 7.860 proiettili pari a 6.500 kg di polvere da sparo.

Ormai, senza munizioni e con tanti feriti allo stremo delle forze, alle ore 11 di quello stesso giorno il maggiore Raffaele Tiscar, vice-comandante del Forte, firmava la capitolazione congiuntamente al ten. col. Pallavicini per la parte sabauda.

Due ore dopo, in spregio ad ogni “onore militare”, veniva fucilato senza processo dai vincitori e con una accusa ridicola, il tenente Messinelli insieme al pari grado Zopito per aver disobbedito, loro soldati borbonici, alla resa ordinata dal generale borbonico Della Rocca e condannato da parte degli italiani che non c’entravano nulla; ma questa non fu l’unica azione deplorevole, scrive Giorgio Cucentrentoli nel suo libro ‘La difesa della Fedelissima Civitella del Tronto’: “A calci e pugni vengono tratti fuori il tenente Messinelli e Zopito di Bonaventura, rei di trasgredire le “leggi di guerra” con una prolungata difesa».

La sentenza è la fucilazione: anche per padre Zilli. (Cappellano militare borbonico. Ndr) L’esecuzione è sommaria: si fucila alla schiena come si usa per i traditori. Zopito di Bonaventura, il “Generale di Franceschielle”, si reca incontro alla morte da valoroso con la sua coccarda rossa borbonica sul petto. Il plotone dei bersaglieri è con l’armi puntate. Padre Zilli da Campotosto si asciuga la fronte con una pezzuola, che poi ripone con cura nella manica del saio; guarda in alto come per cercare Dio. Aveva chiesto al Maggiore Finazzi una grazia, quella di poter essere seppellito nella sua chiesa. “No, aveva replicato Finazzi, “i briganti devono essere seppelliti sul luogo!”

Tutto era oramai finito.

Per la Porta Napoli entrarono nella fortezza i bersaglieri a passo di carica insieme alla fanfara per fare festa all’evento, ma qualcosa mandò di traverso i festeggiamenti.

Sul punto più alto della rocca sventolava ancora la bandiera dei Borboni, un piccolo gruppo di irriducibili, infatti, fedeli a Messinelli mantenevano ancora salda la resistenza, ma fu, ovviamente, tutto inutile.

In breve, anche con la complicità di alcuni traditori, il generale Mezzacapo riuscì ad entrare nella rocca superiore conquistandola definitivamente.

Gli eroici 291 difensori di Civitella del Tronto vennero catturati e lo stesso giorno venne ammainata per sempre la bandiera borbonica e issato finalmente il tricolore con lo stemma sabaudo, ma la cerimonia avvenne tra un mucchio di rovine ancora fumanti perché per dare dimostrazione di forza del nuovo Stato venne abbattuta e rasa al suolo quasi per intero questo gioiello di architettura militare del rinascimento che, per quasi un secolo, rimasero, a futura memoria, cumuli di rovine su una terra bruciata.

A conclusione di questo scritto vogliamo ricordare ciò che scrisse Carlo Alianello nel suo libro L’Alfiere del 1942 che illustre assai bene quei giorni della fine del Regno delle Due Sicilie: “Altri combattono e muoiono per una conquista, una terra, un’idea di gloria, per un convincimento magari o un ideale, ma noi moriamo per una cosa di cuore: la bellezza. Qui non c’è vanità, non c’è successo, non c’è ambizione. Noi moriamo per essere uomini ancora –. Uomini che la violenza e l’illusione non li piega e che sentono la fedeltà, l’onore, la bandiera e la Monarchia, perché son padroni di sé e servitori di Dio”.

§§§

 

(Credit a countryhouseabruzzo.com)




 

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15 commenti

  • Gaetano2 ha detto:

    Ecco cosa ne pensava Dostojevskji.

    «(…) in tutto il secolo vi sono state intelligenze diplomatiche assai astute, intriganti, con la pretesa della più reale comprensione delle cose e intanto nessuno di essi ha visto mai niente oltre la punta del proprio naso e degli interessi correnti (tra l’altro i più superficiali ed erronei). (…) Prendete per esempio il conte di Cavour – non è un’intelligenza, non è un diplomatico? Io prendo come esempio lui perché ne è già riconosciuta la genialità ed è già morto. Ma che cosa non ha fatto, guardate un po’; oh sì, ha raggiunto quel che voleva, ha riunito l’Italia e che ne è risultato: per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi quella papale.

    I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano.

    La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava questo significato mondiale. Ammettiamo pure che questa idea mondiale, alla fine, si era logorata, stremata e esaurita (ma è stato proprio così?) ma che cosa è venuto al suo posto, per che cosa possiamo congratularci con l’Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia del conte di Cavour? È sorto un piccolo regno unito di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, cedendola al più logoro principio borghese – la trentesima ripetizione di questo principio dal tempo della prima rivoluzione francese – un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale (cioè non l’unità mondiale di una volta) e per di più pieno di debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di second’ordine.

    Ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di Cavour!».

  • nipass39 ha detto:

    E c’è ancora chi, per ricordare le guerre dei Savoia contro il Regno delle Due Sicilie, lo Stato Pontificio e i vari Ducati e Granducati della penisola, ha la sfacciataggine di definirle “guerre di liberazione” e non già “guerre di sopraffazione e di conquista”, come in effetti furono!
    E infatti, “liberazione” da chi? Dai propri legittimi governanti? Da quei governanti che, per realizzare l’unità d’Italia, accarezzavano anche l’idea di una confederazione?
    E, d’altronde, che cosa era il Regno di Sardegna, se non una monarchia che traeva le sue origini, la sua cultura e la sua stessa lingua da un territorio d’oltralpe? E che riuscì a conquistare la penisola italiana con l’aiuto dei massoni e degli inglesi?

  • Gaetano2 ha detto:

    “Cattolico e monarchico, per convinzione e per affetto, scrivo per dar gloria a Dio e per rendere testimonianza alla verità in mezzo al presente trionfo della menzogna. Romano, gemo per la ruina di Roma cristiana, scopo supremo della rivoluzione. Italiano, arrossisco che l’unità d’Italia sia il frutto di tanti delitti. Raccolgo memorie e lo faccio, per quanto è possibile, colla calma del filosofo cristiano, che con documenti alla mano presenta ai posteri il mostro più orrendo, che uscisse dalle mani dei figli degli uomini a’ danni dei figliuoli di Dio…”

    Su internet si trova il testo completo:
    Paolo Mencacci,
    Storia della Rivoluzione Italiana

    Cercate anche le considerazioni di Dostoevskij… Se riesco le posto io stesso.

  • Iginio ha detto:

    Nel XVII secolo (1634) vicino Genova fu iniziata la costruzione del Santuario di Oregina con l’intendimento di edificare una copia il più fedele possibile alla Santa Casa di Loreto.
    Nella notte tra il 9 e il 10 dicembre del 1746, mentre in città infervoravano i combattimenti antiaustriaci, il padre guardiano del Santuario, padre Candido Giusso, trascorreva le ore in preghiera. Ad un certo punto decise di affacciarsi alla finestra e stupito vide tra le nuvole la figura della Madonna con ai piedi un serpente. Un po’ più in basso notò anche la figura di Santa Caterina, inginocchiata, con le mani giunte, in supplichevole atteggiamento.

    Nella giornata seguente, il 10 dicembre vi fu la vittoria sul nemico da parte dei genovesi e contemporaneamente si sparse la notizia dell’apparizione.
    Il Senato genovese ascoltò la testimonianza del padre Candido Giusso e ritenne di conseguenza che fosse stata l’intercessione di Maria, supplicata da Santa Caterina, ad aver salvato Genova.
    Per ringraziare Maria, le Autorità cittadine fecero dunque voto di recarsi ogni anno, il 10 dicembre, in pellegrinaggio al Santuario.

    Da quel momento ogni anno il Senato genovese si recò al Santuario per l’espletamento del voto fino al 1810, anno in cui le truppe di Napoleone diedero seguito ad un atto di soppressione generale degli ordini religiosi che travolse anche il Santuario di Oregina che venne chiuso.
    Malgrado ciò, nel 1813 l’insistenza dei fedeli portò alla riapertura del Santuario stesso, alla cui custodia venne posto un sacerdote. Due anni dopo, quando la Repubblica di Genova entrò a far parte del Regno di Sardegna sotto i Savoia, il Santuario ritornò al suo splendore, di nuovo sotto la custodia dei Padri Minori Osservanti.
    Nel 1847, per commemorare i 101 anni dell’apparizione e la conseguente vittoria del popolo genovese sull’oppressore austriaco, i più importanti patrioti decisero l’organizzazione di un corteo senza precedenti.

    La processione che partiva dall’Acquasola passando per il centro, via Balbi e salendo fino al Santuario era composta da circa 30.000 persone, fra cui il Giovane Mameli.
    Durante questa processione fu sventolato il tricolore e sul piazzale antistante la Chiesa fu cantato per la prima volta quello che sarebbe diventato l’Inno italiano.
    Negli anni seguenti il Santuario continuò a ricoprire una posizione preminente quale simbolo dell’identità nazionale. La data del 10 dicembre diventerà dunque sinonimo di italianità.

    • Filippo ha detto:

      Dice bene Igino. Nel 1810 le truppe napoleoniche soppressero gli ordini religiosi e molti conventi caddero in rovina. Caduto Napoleone quegli insediamenti vennero restituiti ai rispettivi governi che furono liberi di disporne a loro piacimento.
      Nelle valli del cuneese ad esempio è stata ristrutturata di recente la Reggia di Val casotto che però fu costruita su di un precedente insediamento monastico. Sul retro della reggia c’è una cosiddetta zona archeologica che non è altro che qualche vestigia del monastero precedente.
      Devo però aggiungere che i monaci dovevano essere degli eccezionali costruttori perché la cosiddetta reggia è posta su di un potente bastione di una eccezionale imponenza. E quel bastione non è stato certo costruito dai Savoia , ma è preesistente al loro arrivo.

  • paolo deotto ha detto:

    Parlando di Civitella del Tronto mi sembra doveroso ricordare l’infaticabile amico prof. Pucci Cipriani, giornalista, scrittore ed editore, che ogni anno organizza, proprio a Civitella, il raduno-convegno della Tradizione. La sua rivista on-line, “Soldati del Re”, diretta da lui e da un altro caro amico, l’avv. Ascanio Ruschi, è ricca e interessante. https://soldatidelre.it/

  • giorgio rapanelli ha detto:

    Era il 1971 quando visitai la fortezza di Civitella del Tronto. Si entrava alla spicciolata e si vedeva ciò che era stato lasciato dal bombardamento e dalla resa dei Borbonici. Ci sono ritornato recentemente e ho trovato la fortezza restaurata completamente, con la famosa bombarda cinquecentesca usata dagli assediati la cui “volata arrivava fino al mare”. Pulita e restaurata la vecchia fortezza ha perduto quella impressione di morte che aveva prima del restauro. Leggevo, camminando tra le rovine cinquanta anni fa, la storia dell’assedio da un opuscolo acquistato in una edicola del sottostante paese. Tutto era rimasto come lo avevano lasciato i Piemontesi. Sembrava di vedere ciò che era avvenuto nelle varie parti della fortezza durante i giorni della Resistenza borbonica e nell’ultimo assalto, quando i Piemontesi scalarono le mura cinquecentesche. Lo scritto indicava ove fu fucilato padre Zilli e come fu visto dopo morto dai testimoni d’allora… Avevo sempre visto i Borboni come un regime non amato dai sudditi e i Mille e la conquista dei Savoia come una liberazione delle genti del Sud. Cominciai a pensare che la Storia che avevo studiato non aveva detto tutta la verità. Anche la Storia della città di Corridonia, che prima si chiamava Pausula, mentre il nome originale era Montolmo, era stata falsata. Nei libri di Storia del Ventennio era scritto che lo Sforza aveva conquistato la città, data poi a sacco ai suoi mercenari, malgrado l’eroica difesa dei suoi cittadini. Poi si è scoperto che la fazione ghibellina di Montolmo, in contrasto con l’altra guelfa, aveva preso accordi con lo Sforza, e fingendo di combattere, gli aveva permesso di entrare in città. Solo che lo Sforza tradì gli accordi e, dovendo pagare i suoi mercenari, dette loro il permesso di rubare, saccheggiare, taglieggiare e violentare. Una brutta pagina della Storia dello Sforza, duca di Milano.
    Tornando a Civitella, mentre passeggiavo nelle case distrutte e sugli spalti diroccati, pieno di commozione, cominciai ad avere dubbi sui Savoia e sull’unità d’Italia. Negli anni successivi si sentì tra molti il desiderio di rivedere la Storia. Le truppe giacobine liberatrici delle popolazioni italiche in nome della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità, contrastate dagli Insorgenti popolani armat,i altro non fecero che una guerra di conquista, di crimini e di ruberie. Dopo la conquista di Macerata, furono assassinati oltre 300 cittadini inermi, mentre agli usci delle case dei giacobini maceratesi era stata messo un soldato francese che ne impediva il saccheggio. Saccheggiarono pure le chiese e le campagne di Montolmo. Per me Napoleone fu un gran ladrone, che fece guerre fino alla sua disfatta.
    Civitella del Tronto dimostra che quei difensori combatterono e morirono sotto la bandiera con i “gigli” dei Borboni. E’ giusto il revisionismo in atto. Pure sulla Resistenza. Mentre ci furono bande armate, organizzate militarmente, a combattere repubblichini e tedeschi pure sui nostri monti Sibillini, nella mia città c’erano partigiani armati che vivacchiavano sulle spalle dei contadini, con qualche omicidio che nulla aveva a che vedere con la lotta della Resistenza. Infatti, l’unico fatto d’arme avvenuto e registrato dal CLN fu l’uccisione di una sentinella tedesca nel costruendo campo di aviazione nella vallata del fiume Chienti. Dopo l liberazione da parte dei polacchi la città si riempì di partigiani combattenti. Molti dei quali fino al giorno prima erano con la “cimice” fascista all’occhiello…
    La Resistenza della fortezza di Civitella del Tronto assediata, mentre molti borbonici si adattavano al nuovo regime savoiardo, mi pensare alla Chiesa cattolica odierna ed alla sua situazione interna. Anche all’epoca della calata francese dei giacobini e poi dei Savoia ci furono parecchi del clero che se ne stettero buoni, o che si adattarono ai nuovi regimi. Come sta avvenedo oggi. Mi sembra che la vera Chiesa sia oggi assediata come la fortezza di Civitella del Tronto. Riusciremo ad essere fedeli anche noi fino all’assalto finale dei satanisti cha stanno colonizzando l’italia, l’Europa e il mondo occidentale?

  • Enrico Nippo ha detto:

    W il Re! Il GIA’ italianissimo Re “Franceschiello”, ovviamente. Come GIA’ italianissimi erano il comandante Luigi Ascione, il maggiore Domenico Solinas, il capitano Giovanni Raffaele Tiscar, i tenenti Messinelli e Zopito e padre Zilli.

    L’ “unità d’Italia” (e la vediamo, oggi, quanto l ‘Italia sia “unita”), è stata una forzatura perpetrata dalla massoneria garibaldina di concerto con i Savoia e i vari Cavour e Mazzini.

    Il brano di Carlo Alianello che conclude il bell’articolo di Cannarozzo è di indubbio sapore samuraico: morire per la bellezza, serbando il proprio onore e al servizio del Signore.

    Oggi, cuori del genere ce li sogniamo!!!

  • Iginio ha detto:

    Premesso che a riesumare questa storia di Civitella è un certo Di Giovine che, pur essendo meridionale di origine, vive a Bologna – e quindi è un tipico frutto dell’unità d’Italia.
    E premesso che il paese di Civitella era pro-unione e quindi non ebbe a che fare con la resistenza della fortezza.
    Premesso anche che in Abruzzo negli anni seguenti vi furono fenomeni di brigantaggio che si richiamavano ai Borboni, ma che il brigantaggio era un fenomeno endemico dell’Italia meridionale ed era stato combattuto anche dai Borboni, pensate un po’.
    Premesso che il cattolicesimo italiano postunitario NON FU LEGITTIMISTA, checché credano i pliniani.
    Premesso che non comprendo come faccia De Mattei a dire che per tutto l’Ottocento vi fu un complotto anticattolico citando come prova una frase di Leone XIII – come se una citazione di seconda mano fosse una prova – e poi trattando Leone XIII da babbeo perché, realisticamente, aveva detto che i cattolici francesi dovevano allinearsi alle istituzioni repubblicane lasciando perdere le velleità restauratrici della monarchia. O ubbidisci a un papa sempre o no, non è che puoi tirarlo per la giacca come fanno quelli di sinistra quando fa loro comodo.
    Detto quanto sopra.
    A Gaeta, la tanto celebrata Gaeta, vi fu un assedio anche quando gli austriaci scesero nel 1815 a cacciare Murat e la guarnigione murattiana resistette fino allo stremo. Che facciamo? Tifiamo per Murat dato che i suoi soldati resistettero fino all’ultimo?
    Il valore militare non ha a che fare con la causa per cui si batte.
    Alianello fu un bravo scrittore ma come storico non ebbe una gran consapevolezza. La sua è una visione mitica, non storica. A guidare l’esercito italiano alla vittoria nel 1918 fu un napoletano. E tanto basti. I problemi dell’Italia (e dell’Abruzzo) di oggi sono ben altri.

    • Zuzz ha detto:

      Ed è un discendente di emigranti abruzzesi che, in questi giorni convulsi sta cercando di far mettere radici alla pace in Mediooriente. E con un bel cognome romano…

  • angelo ha detto:

    Splendidi saldati, questi dell'”esercito di Fanceschiello”! Onore a loro e ai loro epigoni “Italiani del sud” che si sacrificarono con pari onore sulle fronti dell’est contro l’impero Austroungarico, per l’onore della loro nuova Patria.

  • Natoieri ha detto:

    l’unità d’Italia fu possibile grazie a l’apoggio che i malfattori Cavour, Mazzini, Garibaldi ricevettero da tre altri malfattori. Il principe protestante Bismarck nonchè i massoni Palmerston e Napoleone III. Specialmente Bismarck fece prova di un senso della storiamolto ristretto e tipicamente protestante appogiando i massoni contro PIO IX e creando in seguito la triplice alleanza. Sciabolino ne diede la prova separandosi da tale alleanza per schierarsi da parte dell’intesa

    • Anonimo verace ha detto:

      Da qualche parte, nella Bibbia, sta scritto che l’uomo progetta, architetta e dispone, ma quella che si compie è la volontà di Dio.
      Altre volte Igino ha affermato che il popolo italiano desiderava l’unità d’Italia. Se a compierla furono i piemontesi non sarà forse perché la libertà religiosa concessa da Carlo Alberto, prima della sua abdicazione fosse gradito lassù?

      • Michele ha detto:

        Gli italiani hanno sempre desiderato l’unità della loro patria ma ci sono tanti modi di ottenerla e di amministrarla, un esempio fra i tanti: si sarebbe potuto fare uno stato federale che valorizzasse le tante diversità culturali, giuridiche e amministrative (lo stato pontificio non era amministrato malaccio rispetto ai tanto celebrati stati protestanti se si considera la ricchezza prodotta in tutti gli ambiti, compreso quello giuridico-penale la cui storia e divulgazione abbiamo consegnato a registi marxisti, Luigi Magni tra i tanti, mossi dai loro pregiudizi); si scelse uno stato (etico) centralizzato sul modello napoleonico che disprezzava le diversità e la cattolicità degli italiani.

        Mettere sullo stesso piano le aspirazioni di unità di Manzoni e Rosmini con Cavour, Mazzini & Co non è corretto; che poi Dio scriva dritto sulle nostre righe storte e tragga il bene dal male non giustifica i disegni laicisti e anticattolici che andavano contro lo stesso popolo che i lorsignori volevano “rifare” perché considerato culturalmente inferiore (lombroso di quale sottocultura è figlio? non certo della dottrina e cultura cattolica: razzismo ed eugenetica hanno a che fare col servo arbitrio di lutero o col libero arbitrio della dottrina cattolica?).
        Che jella non aver avuto le eresie “riformatrici” di quel brav’uomo di lutero! Nei paesi protestanti sì che si rispetta la dignità dell’uomo e dei semplici in particolare!

        Riguardo alla libertà religiosa: proibire la divulgazione e la lettura delle encicliche, depredare i beni che la Chiesa usava per la promozione umana, considerare il (loro) stato etico come fonte del bene o del male, concepire la Chiesa come organo dello stato (libera Chiesa in libero stato anziché libera Chiesa e libero stato, se si vuole dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio)…
        Che bella la libertà religiosa! oggigiorno ne abbiamo esperienza ancora più concreta.
        Chissà come siamo arrivati a questa situazione.