L’UOMO MODERNO È “INCAPACE DELL’ATTO LITURGICO”?

12 Novembre 2020 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, siamo particolarmente onorati per questo contributo del dott. Kwasniewski, e naturalmente ringraziamo di cuore Carlo Schena per il prezioso lavoro di traduzione. Buona lettura. 

§§§

Sono lieto di estendere al blog del dott. Tosatti questo mio articolo, pubblicato in lingua originale il 12 ottobre 2020 su New Liturgical Movement. Questa analisi completa quella cominciata con l’articolo sulla presunta “maggiore accessibilità” del nuovo rito, già tradotto in italiano per il blog del dott. Tosatti.

 

L’uomo moderno è “incapace dell’atto liturgico”?

Peter Kwasniewski

Nel 1964, “quarantasei anni dopo la pubblicazione della sua opera fondamentale Lo Spirito della Liturgia, e subito dopo la promulgazione della Sacrosanctum Concilium, Romano Guardini elaborò, in una lettera ad un Congresso sulla Liturgia del 1964, una riflessione sulle sfide del Movimento Liturgico” [1]. Qui troviamo la nota affermazione per cui l’uomo moderno “non è più capace di un atto liturgico”:

 

“[Non è forse che] all’atto liturgico, e con esso in genere a ciò che si chiama “liturgia”, tanto legata alla storia – dell’antichità classica, o del Medioevo -, si debba interamente rinunciare per motivi di onestà? Ci si dovrebbe forse spingere, dibattendosi (durchringen), fino a capire che l’uomo dell’epoca industriale, della tecnica e delle strutture psicopedagogiche da essa condizionate, sia semplicemente non più capace dell’atto liturgico? E si dovrebbe, invece di parlare di rinnovamento, preferibilmente riflettere in qual modo i sacri misteri si debbano celebrare, affinché quest’uomo d’oggi possa collocarsi entro di essi con la sua verità?” [2]

 

Nella stessa lettera, Guardini afferma:

 

“si solleverà anche l’interrogativo se la liturgia in vigore contenga parti componenti che non possono più essere realizzate dall’uomo d’oggi. Mi ricordo d’un dialogo col grande pioniere del rinnovamento liturgico, il defunto abate Ildefons Herwegen di Maria Laach. Riallacciandomi a considerazioni precedenti, io ritenevo che un segno del passare del lavoro liturgico nel vivo, sarebbe stata la “crisi liturgica”, e l’abate Herwegen consentì pensosamente.” [3]

 

Per quanto lo stesso Guardini appena qualche anno dopo avrebbe liquidato le bozze del Consilium come “lavoro da idraulici”, non si può sottolineare abbastanza il danno che lui stesso causò con le osservazioni fatte nella lettera del 1964, che sembravano suggerire, come già avevano fatto molti altri semi-modernisti, che almeno dai tempi di Costantino, e certamente non più tardi del Medioevo, l’intera liturgia cristiana era ormai diventata irrilevante, inutile, inaccessibile, pronta per la discarica. Ciò che sorprende è che un teologo della statura di Guardini, così in sintonia con la “irrilevanza” e “inutilità” (propriamente intese) [4] della sacra liturgia, abbia potuto abbracciare questo tipo di relativismo cronologico.

Da un lato, possiamo anche simpatizzare fino a un certo punto con il ragionamento di Guardini: la riforma liturgica sembrava fondata sull’idea che se la liturgia così com’è “non funziona”, allora tutto ciò che dobbiamo fare è ridisegnarla – trovare un modello “che funzioni”: impacchettarlo, spedirlo e consegnarlo al popolo in attesa. In quest’ottica, i problemi stanno tutti dalla parte dei riti liturgici; non sono gli uomini che hanno bisogno di essere riformati, ma solo i riti.

E se invece il problema fosse nell’uomo? Se davvero lo giudicassimo incapace dell’atto liturgico, allora dovrebbe essere incapace di qualsiasi liturgia, che essa provenga dallo scriptorium di Gregorio Magno o dalla cattedra di Annibale Bugnini. Potrebbe, certo, essere capace di qualcos’altro – di uno studio biblico, di una mensa per i poveri, della visita ai carcerati o del volontariato per gli scout – ma la leitourgia, l’azione sacrificale dell’uno a favore dei molti [5], non avrà alcuna presa nel suo mondo individualistico. In quest’ottica, i liturgisti d’avanguardia hanno forse sottovalutato la sfida che li aspettava. Il punto è che non si tratta di “ritoccare” qualcosa per farlo “funzionare” meglio, né tanto meno di ammucchiare sempre più Sacra Scrittura così da poter spuntare la casella che dice “Leggere la Bibbia? – Fatto”. Perché il problema non sono la lettura o il testo, il canto o il rituale, ma è la modernità dell’uomo moderno, che gli impedisce di relazionarsi, cosmicamente, simbolicamente, asceticamente e misticamente, con quelle stesse realtà cui la Sacra Scrittura si riferisce, e senza le quali non può che mancare il proprio bersaglio.

 

Dall’altro lato, in difesa dell’uomo comune, ci si potrebbe chiedere: ma perché anzitutto dovremmo berci questa visione tedesca tipicamente pessimistica, che tanto ricorda il lamento di Wotan per l’ineluttabile crollo del Valhalla, il Götterdämmerung? Affermare che gli uomini moderni non possono essere liturgici nello stesso modo in cui lo sono stati tutti gli uomini prima di loro significa mettersi su una strada che porta alla disperazione: come se adesso l’uomo fosse una specie diversa che richiede una diversa religione, vale a dire un diverso sistema di segni ordinati al culto divino. Questa disperazione carsica era uno degli argomenti alla base del Novus Ordo. Essa portò alla convinzione che una celebrazione semplificata, abbreviata, comprensibile, comunitaria e in lingua volgare, sarebbe senz’altro piaciuta all’uomo moderno, che è incapace di rituali verticali, teocentrici, densamente simbolici, in un linguaggio arcaico. Ma ciò sembra essere fondamentalmente falso, e ha portato a un massiccio allontanamento dei fedeli dalla pratica religiosa, come pure alla sorprendente resilienza degli antichi riti, che si pensavano ormai obsoleti e inavvicinabili.


La verità davvero inevitabile non è il fatalismo di Guardini, ma un onesto riconoscimento delle esigenze della formazione umana. 
Proprio come non possiamo permetterci di smettere di insegnare a ogni nuova generazione come parlare, leggere, scrivere e pensare, così non possiamo smettere di immergerci in un rito dal carattere irriducibilmente rituale, perché è questa la logica, la grammatica e la retorica della religione rivelata, nell’Antico Testamento come nel Nuovo, e nella storia della Chiesa. Questo rito gode ​​di una base antropologica universale che ne rende sempre possibile l’apprendimento, ma dal momento che esso risulta piuttosto strano nell’orizzonte della modernità razionalistica, è oggi più capace, non meno capace, di metterci davanti alla trascendenza di Dio, che ci chiama fuori dalla nostra comfort zone, come Abramo fu chiamato fuori da Ur dei Caldei. Quando un fedele davvero percepisce la sensazione che attraverso la liturgia sta entrando nel regno del sacro, che quasi sta varcando la soglia del mondo del divino, solo allora le sue orecchie inizieranno ad aprirsi all’ascolto delle parole di Dio nella Scrittura. Il centro d’attenzione, il punto di partenza, deve trovarsi altrove rispetto alla Scrittura. Questo è esattamente il contrario di dove i riformatori, nella loro omotestualità (per così dire), volevano mettere l’accento.

Un altro modo di considerare questo aspetto è guardare alla ripetitività del rito antico, ovviamente assai disprezzata dai riformatori. Nel mio “Repetition is the Mother of a Great Many Things” (“La ripetizione è la madre di un gran numero di cose”, NdT) evidenzio il valore dell’uso frequente delle stesse pericopi e versetti della Sacra Scrittura (e di testi non-scritturali) nella liturgia tradizionale esattamente come metodo per farci entrare in una profonda familiarità con queste parole. Alla fine, queste parole, o comunque molte di esse, verranno memorizzate; esse arriveranno a vivere dentro di noi, dando forma alla nostra coscienza come fossero il pavimento, le pareti e il soffitto della nostra architettura interiore. L’unico modo per far sì che i cristiani di oggi prendano più sul serio la Sacra Scrittura sarebbe di prendere più sul serio la memoria, predicando e illustrando i vari modi in cui il nostro moderno stile di vita sta logorando o svuotando i nostri ricordi di ciò che è divino, riempiendoli invece di ciò che è secolare, profano e, alcune volte, diabolico. Ancora una volta, ciò di cui l’uomo moderno aveva ed ha bisogno è quello che gli donano i riti e le pratiche liturgiche tradizionali, non qualche nuova invenzione alla Guardini.

È anche vero, e sono il primo ad ammetterlo, che senza una catechesi, sia essa esterna alla liturgia o durante la predica, la maggior parte delle persone moderne non sarà in grado di cogliere a sufficienza il messaggio della liturgia per avere quella buona presa, quella buona base d’appoggio, necessarie per fare ulteriori progressi. In quest’ottica, semplicemente, non si può fare a meno di una corretta educazione. Una liturgia dignitosa e bella può fare un bene immenso alle anime, e realizzare perfino conversioni dall’ateismo o dal paganesimo; ma per la maggior parte delle persone, entrare in profondità all’interno di tutto quello che la liturgia ha da offrire richiederà quantomeno un certo investimento in termini di impegno, un lavoro lento e prolungato nel tempo. E così sempre è stato: c’è un motivo per cui San Benedetto parla dell’Opus Dei, del lavoro di Dio. Come sottolinea la Santa Regola, si tratta di un’opera che richiede ripetizione, studio e competenza, ma – come giustamente dice Guardini – è anche la partita di livello in assoluto più alto, perché non ha un motivo ulteriore, un fine per il quale sia soltanto un mezzo.

Torniamo al nostro punto di partenza. Secondo Guardini l’uomo moderno non è più in grado di compiere l’atto liturgico. Questa è stata presa come una verità indiscutibile da molti, nella fase successiva del Movimento Liturgico, e come il mandato per una sperimentazione illimitata, con l’obiettivo di dare alla liturgia gli strumenti necessari per suscitare o sollecitare la “corretta” partecipazione dei fedeli. Ironia della sorte, quello che è invece successo è che l’atto liturgico si è trasformato nel suo opposto: l’auto-celebrazione della comunità stessa. Con una strana svolta degli eventi, il cupo giudizio di Guardini non fu smentito dal Novus Ordo, ma proprio da esso inculcato: quello che era stato un rischio – perdere di vista il senso proprio della liturgia – divenne l’abitudine di perderlo di vista con disinvoltura. In breve, è stata soprattutto la liturgia riformata che ha reso gli uomini moderni, nella misura in cui ciò è umanamente possibile e divinamente permesso, incapaci di compiere l’atto liturgico.

 

(Traduzione a cura di Carlo Schena)

Note
[1] Introduzione tratta da Corpus Christi Watershed .

[2] “L’atto di culto e il compito attuale della Formazione liturgica”.

[3] Si veda Christopher Carstens, “Romano Guardini Was Careful What He Asked For: A Liturgical Crisis ” [“Romano Guardini sapeva bene quello che chiedeva: una crisi liturgica” NdT].

[4] Si veda p. Daniel Cardo, “At Prayer in the Fields of the Lord: The Playfulness of the Liturgy” [“In preghiera nei Campi del Signore: La Giocosità della Liturgia”, NdT]

[5] Si veda William Daniel, Christ the Liturgy (Brooklyn: Angelico Press, 2020), 1-39, a proposito del corretto significato del termine leitourgia.

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15 commenti

  • Rosaria ha detto:

    Mi scusi ma questa foto e’ l’ostensorio di Piccola Nazaret di Don Alessandro Maria Minutella !! dove la presa questa foto ? sapeva prima di prenderla chiederne il consenso?

    • Marco Tosatti ha detto:

      No, è una foto trovata sul web. Grazie per l’informazione, l’ho rimossa.

      • carlos ha detto:

        peccato l abbia rimosso. era bellissimo quell ostensorio. la cui immagine non credo sia proprieta’ privata. peccato

  • Enrico Nippo ha detto:

    Liturgia significa servizio pubblico, quindi l’autista che guida un mezzo pubblico compie un atto liturgico, cioè un atto pubblico. E poiché compie sempre i medesimi gesti secondo la tecnica della guida ed il codice stradale, compie un rito.
    Atto liturgico e rito coincidono.
    😉

  • IMMATURO IRRESPONSABILE ha detto:

    I neo-modernisti sono stati abili, molto più scaltri dei predecessori. Essi sono riusciti ad ingannare una massa di presbiteri, ingenui quanto entusiasti, che, in buona fede, furono indotti a pensare che il fantomatico “uomo moderno”, e piu’ specificamente il famigerato cristiano adulto richiedesse alla propria Chiesa di eliminare tutte le forme del rito non più significative nella modernità, perchè prodotte da una società “feudale” o “barocca”, o adirittura “paganeggiante”. In realtà dai fedeli non veniva nessuna richiesta di aggiornamento liturgico! Le chiese erano piene, e i seminari accoglievano ancora buoni numeri di aspiranti sacerdoti (i quali, teniamolo presente, al momento della scelta sono laici). L’ inganno, che deriva in gran parte dall’ interno dell’ alto clero, è consistito nel rovesciamento del rapporto riforma liturgica/secolarizzazione: questa, infatti, lungi dal esser motivo giustificatore dell’ “aggiornamento”, si è rivelata l’ effetto, voluto e ottenuto, dai riformatori/demolitori. L’ uomo di oggi (cioè di 50 anni fa) non è inadatto, o sordo, al rito cattolico tradizionale ma, al contrario egli ne è stato defraudato. L’ uomo secolarizzato è il risultato, la vittima, non l’ autore della de-sacralizzazione.

  • Virginio ha detto:

    Dai Pensieri di Blaise Pascal: “il popolino capisce le prediche in volgare allo stesso modo dei vespri in latino”.
    Perciò non è servita a nulla la messa in volgare, inoltre il rito tradizionale ha un aspetto trionfale e un fascino estetico che coinvolgono anche il corpo oltre che l’anima, la mente e il cuore.
    Per contro i nuovi riti sono esteticamente orribili, non solo non reggono il confronto col rito tradizionale, ma nemmeno con l’estetica delle arti profane; non si possono guardare ne ascoltare.

    • Enrico Nippo ha detto:

      “Il rito tradizionale ha un aspetto trionfale e un fascino estetico che coinvolgono anche il corpo oltre che l’anima, la mente e il cuore”.

      👏👏👏👏👏

      • Virginio ha detto:

        Grazie. Fra gli altri commenti su di un argomento di livello superiore, ho voluto modestamente porre la questione dal punto di vista dell’estetica. Se per un verso questa si contrappone all’etica e per un altro si pone ad un livello inferiore a quello filosofico e a quello spirituale, si pone ancora come supplemento dell’etica e implementazione imprescindibile della spiritualità. Non è concepibile una religiosità senza le bellezze architettoniche delle chiese e quella di un rito solenne; se è pur vero che spiritualità potrebbe fare a meno dell’arte, è ancora più vero che mettendole insieme si conquistano vette più alte, si aggiungono altre forme di preghiera a quelle fatte di sole parole e queste poi sono interiormente meglio intese e sentite.

  • Antonio ha detto:

    La liturgia è l’opera di quelli che, parafrasando Vico, potremmo denominare “secoli liturgici”, secoli imbevuti di fede e di spiritualità che hanno saputo creare e riplasmare all’occorrenza parole, gesti, forme. Oggi viviamo in un secolo liturgico? Sicuramente no. Siamo troppo imbevuti, ci piaccia o meno, di razionalismo, materialismo, scientismo eccetera. Questo non vuol dire che non possiamo più capire la liturgia: possiamo benissimo, ma un conto è intenderla, un conto è metterci mano, modificarla o addirittura crearne una nuova. Lì possiamo combinare solo disastri, e assai più saggio sarebbe stato astenersene nell’attesa che ritornino tempi adatti a un compito del genere.

  • Enrico Nippo ha detto:

    Intanto in Albania l’atto liturgico (quello serio, quello vero) sta risorgendo.

    http://blog.messainlatino.it/2020/11/4-11-novembre-1990-in-albania-sta.html#more

    Osservare bene la prima fotografia che appare: il Sacerdote in postura liturgico/sacrale. Osservare l’atteggiamento della mani … chissà perché quel modo …

  • Maria Michela Petti ha detto:

    Senza intento polemico e provocatorio, per rispondere alla domanda dovrei avere ben chiaro il significato di “atto liturgico” nella chiesa moderna, meglio: dal punto di vista della chiesa moderna, per restare ai termini del quesito e non confonderla con quella che sarebbe la dicitura più corretta “Chiesa” di oggi.
    Perché la lettura di manifestazioni del pensiero di influenti ministri della gerarchia non mi provoca altro che interrogativi su interrogativi cui non riesco a trovare risposte. A ciò ha contribuito l’intervista pubblicata il 3 ottobre scorso su “La Civiltà Cattolica” al nominato cardinale mons. Mario Grech, nuovo Segretario del Sinodo dei Vescovi, secondo il quale anziché pretendere il rispetto della libertà “di” culto durante i mesi di lockdown si sarebbe dovuto parlare di più «di libertà “nel” culto» e «non abbiamo colto che c’erano altri modi attraverso i quali abbiamo potuto fare esperienza di Dio».
    Invitando ad una seria riflessione sulla «ricchezza dei ministeri laicali nella Chiesa», su qualche particolare che fa apparire la Chiesa “troppo clericale” e il ministero “controllato dai chierici”, mons. Grech osserva che: «Anche i laici spesso si fanno condizionare da uno schema di forte clericalismo».
    Un’ altra parte della lunga intervista che mi ha destato perplessità – relegate fra i pensieri in lista d’attesa di chiarimenti – è quella relativa al ruolo che è chiamata a svolgere la famiglia, perché – a suo parere – se «la Chiesa domestica viene a mancare, la Chiesa non può sussistere. Se non c’è Chiesa domestica, la Chiesa non ha futuro!… Non è la famiglia a essere sussidiaria della Chiesa, ma è la Chiesa a dover essere sussidiaria della famiglia… a essa, domus ecclesiae, dovrebbe essere restituita una dimensione sacrale e cultuale».
    «C’è da preoccuparsi – sottolinea mons. Grech – quando fuori del contesto eucaristico o cultuale uno si sente smarrito perché non conosce altri modi di agganciarsi con il mistero. Questo non soltanto indica che esiste un certo analfabetismo spirituale, ma è una prova dell’inadeguatezza dell’attuale prassi pastorale. Con molta probabilità nel passato recente la nostra attività pastorale ha cercato di iniziare ai sacramenti e non di iniziare – attraverso i sacramenti – alla vita cristiana».
    Finché non riuscirò a individuare linee guida alla liturgia meno approssimative e fumose, che possano aiutarmi a sanare l’ “analfabetismo spirituale”, non saprei valutare il grado di correttezza nella risposta dei laici alla partecipazione.
    https://www.laciviltacattolica.it/articolo/la-chiesa-sulla-frontiera/

  • Enrico Nippo ha detto:

    Piccolo contributo “extra”.

    L’atto liturgico è un atto corporeo; esso esige un adeguato atteggiamento del corpo che, dovendo esprimere il collegamento con il Sacro, con il Trascendente, con l’Oltre, ha da muoversi ieraticamente. Se non si è pienamente consapevoli di tale collegamento, l’atto, l’atteggiamento, il muoversi del corpo diventa vuoto ed insignificante: si sottolinea in-significante, ossia manchevole di significato sacrale non solo per chi lo compie ma anche per chi vi assiste e partecipa (il quale è tenuto anch’esso ad un appropriato atteggiamento corporeo).

    L’atto liturgico si compie nel luogo sacro, che non necessariamente coincide con un edificio materiale: anche una radura, una spiaggia o quant’altro può ospitare l’atto liturgico, ed anzi è proprio l’atto liturgico che, temporaneamente, “consacra” quel luogo all’aperto. Quindi l’atto liturgico è un atto stra-ordinario, specialissimo, si potrebbe dire un atto fuori del mondo e proprio per questo a favore del mondo. L’atto liturgico innesta il Sacro nel mondo e virtualmente lo redime (diciamo virtualmente poiché la realizzazione dipende dalla sincerità di cuore di chi lo compie e di chi vi partecipa).

    La cultura nipponica offre un eccellente esempio di atto liturgico: il KATA, ossia

    «il modello pedagogico, la struttura attorno alla quale la pratica e la trasmissione delle Discipline tradizionali denominate Vie (Do) viene organizzata. Il kata possiede le caratteristiche del rito: si svolge in uno spazio e tempo determinato. Il kata come il rito è rigido nella sua manifestazione , nel senso che non ammette deroghe alla sua esecuzione formale, coinvolge tutti i sensi (il rito è performance multimediale), ha un carattere ludico-simbolico. Nell’esecuzione del kata, proprio come nel rito, mettiamo in atto una “vivente opera d’arte”» (Paolo Taigo Spongia).

    Il kata esige un’adeguata postura (SHISEI), ovvero una forma che è sostanza, e che è permeata di dignità (HINKAKU). Altro elemento indispensabile, sopra già accennato è la sincerità di cuore (MAGOKORO). Il tutto secondo lo spirito del rispetto (REI).

    Nella Via della Spada il kata/rito comprende due passaggi iniziali e finali senza dei quali tutto il resto sarebbe inutile: l’inchino all’altare (SHINZEN NI REI) ove è riposto lo Specchio/Sole (la Trascendenza, insomma Dio), e l’inchino alla Spada (TO REI), la quale (non solo in Giappone) è strumento dell’Arte ma anche simbolo dell’Anima del praticante.

    Il Sole/Dio e la Spada/Anima: non è questo il Rapporto Sublime cui serve il Kata?

    Se il sottoscritto fosse Papa, prescriverebbe corsi intensivi di cultura e pratica nipponica nei seminari e nelle parrocchie. 😊

    • Iginio ha detto:

      Non è una risposta, è un commento sé stante.
      Premesso che atto liturgico non è sinonimo di rito, come qualche incauto confusionario sentenziatore crede (altrimenti anche una partita di calcio o un concerto rock sarebbero atto liturgico), dalla lettura di questo interessante articolo emergono a mio parere alcune questioni, che avevo già accennato in passato:
      1. che barba lo storicismo tedesco quando si fissa con l'”uomo d’oggi” (e lo dico da storico);
      2. che barba gli anni Sessanta e i loro miti sul Mondo Nuovo e l’Uomo di Oggi;
      3. vero però è che il modo di vita secolarizzato della Modernità ha espulso dalla quotidianità tutto ciò che attiene al sacro: il che spiega la difficoltà cui accennava Guardini;
      4. ma perché, dopo che la cultura tedesca era stata così pesantemente screditata e messa da parte dal 1945, solo la teologia tedesca è rimasta a prendersi tutta l’attenzione? Va bene che non tutti i teologi tedeschi erano stati filonazisti, però, insomma…

      • Iginio ha detto:

        Per favore, Tosatti, metta il mio commento non come risposta ma a sé stante, grazie.
        Ho sbagliato io.

  • Federico Peratti ha detto:

    Oggi la liturgia è molto seguita… in una parrocchia del Canton Ticino sulla porta della chiesa è affisso un cartello che riporta le disposizioni liturgiche della diocesi in materia di covid-19, con il disinfettante nell’acquasantiera…E tutti i parrocchiani ubbidiscono…