PORFIRI: GREGORIANO E POLIFONIA ALLA LUCE DELLA STORIA.

23 Giugno 2020 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Carissimi Stilumcuriali, il M° Aurelio Porfiri riprende le sue riflessioni sulla musica sacra legate all Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, imperniata sull’uso della musica nella liturgia. Buona lettura. 

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“Tu sei romantico”: canto gregoriano e polifonia alla luce della storia

Nel paragrafo precedente, parlando di canto gregoriano e polifonia alla luce della Sacrosanctum Concilium, si è affrontato il tema della continuità fra magistero pre conciliare e magistero post conciliare. Un lettore, padre Lorenzo Franceschini, notava che nella mia analisi “si nota la volontà concordista di mettere in continuità consequenziale le indicazioni disciplinari di Pio XII con quelle di Pio X. Ma in realtà, Pio XII realmente spinse in modo efficace e determinante verso un’idea di partecipazione popolare che come tale tendesse a deporre il canto gregoriano e la stessa lingua latina. La portata innovativa è immensa, nel senso, di una discontinuità. Questa è una cosa che va pensata. La Sacrosanctum concilium a riguardo è solo un’inevitabile strascico della Mediator Dei, ma anzi rispetto a quella poi recupera, più di quanto non sembri. Occorre, lo dico in generale, ripristinare la corretta successione causale fra questi due pronunciamenti, pìano e conciliare, e poi cominciare a porci degli interrogativi seri sulle Commissioni degli anni ’40“. Questo tema posto dal lettore è importante, in quanto è vero che non pochi osservatori parlano di certi cambiamenti già dalla commissione piana che riformò alcune liturgie ma non si avviò ad una riforma generale. Io credo che sotto Pio XII certamente si rafforzarono certe istanze che poi esploderanno dopo il Vaticano II e che la Instructio de Musica Sacra et Sacra Liturgia del 1958, che riassumeva il magistero di Pio XII nella liturgia e nella musica sacra, da una parte cerca di arginare, ma che anche si apre ad un uso più ampio della lingua volgare nella liturgia per quello che riguarda la musica, a certe condizioni. Ricordiamo che in questo documento troviamo al punto 16 quanto segue: “Il Canto gregoriano è il canto sacro, proprio e principale della Chiesa romana; pertanto esso non solo si può usare in tutte le azioni liturgiche, ma, a parità di condizione, è da preferirsi agli altri generi di Musica sacra“. Insomma, quello che più o meno ritroveremo detto sull’argomento (rimando ad uno studio di don Gilberto Sessantini su Vox Gregoriana per l’uso del termine ceteris paribus).

Ma a me, arrivati a questo punto, non mi sembra improprio chiedere perché c’è stata un’esaltazione così grande del canto gregoriano e della polifonia rinascimentale, ponendoli come modelli sovratemporali e insuperabili di purezza e bellezza. Una risposta può sembrare ovvia: perché lo sono. Sia detto chiaramente che chi scrive crede profondamente alla bellezza di questa musica, che la studia, che la esegue spesso e volentieri, quando ce n’è possibilità. Però, devo dire che una maggiore comprensione di questi repertori è proprio venuta nel momento in cui ho smesso di “mitizzarli”. E questo atteggiamento di “mitizzazione” non è raro, tutt’altro. La lacerazione fra conservatori e progressisti in campo musicale-liturgico, si gioca spesso proprio su questo; quindi qualche parola di chiarimento mi sembra di poterla dire. Parlo provocatoriamente di “eresia romantica”, in quanto mi sembra che l’idea romantica del canto gregoriano e della polifonia, ne costituisca un fondamentale travisamento. Cominciamo col dire che questi due repertori che, come abbiamo visto, sono passati per diverse traversie storiche e periodi di decadenza, hanno conosciuto un comune momento di rinascita nella metà del diciannovesimo secolo in area europea: per la precisione il gregoriano in Francia (con Gueranger a Solesmes). Non è da dimenticare, a questo riguardo, l’influsso importante che può esserci stato, attraverso il pensiero di Burke, da parte del tradizionalismo francese, che nasceva in questi periodi proprio come reazione alla rivoluzione francese vista come un rivolgimento “contro natura”; il tradizionalismo si proponeva, quindi, chiare finalità restauratrici.  Cfr.: Marco Ravera, “Introduzione a: il tradizionalismo francese”, Editori Laterza. Al riguardo è anche interessante quanto affermato da G. Baroffio: “Non è stato valutato in modo sufficiente l’interesse dell’epoca romantica verso il canto gregoriano. Tale attenzione rientra in un movimento ben più vasto di curiosità e di apprezzamento verso il passato. Dopo la rivoluzione francese si trattava di ricostruire dalle macerie molti aspetti disastrati della vita sociale, compresa la cultura e i valori e le idee-forza che ne sono la struttura portante. non meraviglia quindi lo studio delle antiche tradizioni musicali, la riscoperta dei codici polverosi e a lungo dimenticati, la pubblicazione di nuove edizioni monografiche ed enciclopediche che cercano di porre dei punti saldi nella ricerca e nella prassi esecutiva.” in “Musicus et cantor”, Abbazia San Benedetto, Seregno 1996, pag.59.

Per la polifonia abbiamo una rinascita che può essere localizzata in Germania (con la neonata Associazione di Santa Cecilia e la scuola di Ratisbona). Quindi siamo in pieno periodo Romantico. Uno degli alfieri di questo vasto movimento che abbraccia numerosi aspetti della vita culturale, Novalis, dava questa interessante definizione: “Il mondo va romanticizzato. Se ne ritrova così il senso originario. Romanticizzare non è altro che un potenziamento qualitativo. […] Quando conferisco al comune un senso più elevato, all’ordinario un aspetto misterioso, al noto la dignità dell’ignoto, al finito un apparenza infinita, allora io lo romanticizzo” (E. Berti F. Volpi, “Storia della filosofia – Ottocento e novecento”, editore Laterza – Roma 1991 pag.3. A questo libro mi sono riferito per una panoramica generale sul movimento romantico). Quindi si cerca ciò che ci sfugge, ciò che non vediamo, quello che è oltre. Ecco l’esaltazione dell’intuizione come momento privilegiato dell’artista, il quale in un momento diviene un ponte tra il finito e l’infinito, quasi come un sacerdote (Novalis definisce un poeta come “un sacerdote(…)il Messia della Natura(…)onnisciente”, in Renato di Benedetto, “L’Ottocento I”, EDT, pag. 6). Ecco l’arte vista come “religione”, con i suoi officianti e i suoi riti (i concerti, le esecuzioni). Essa ci comunica l’inesprimibile, ci collega al senso originario del mondo, come dice Novalis. E per un  cristiano il senso originario dell’esistere è Dio che è Colui a cui aneliamo. Allora servirà una musica che ci aiuti a vivere questo Sehnsucht, questa malattia dell’anelare, questo struggente desiderio di raggiungere il bene agognato. Ma questo bene ora è lontano, quindi la musica sarà l’arte più adatta a darci un eco di questo mondo celeste, in cui i cori angelici cantano divine melodie che si intrecciano l’un l’altra…La musica sacra vive di nostalgie struggenti ma non di consolanti presenze. Il testo, vera fonte primaria del gregoriano e della polifonia diventa un pretesto per voli del sentimento. Si vive la passione, ma non l’amore. Quest’ultimo si nutre anche della caducità e dei limiti del bene amato, riconosciuto per quello che è e non per quello che ci piacerebbe fosse. L’amore vive nella realtà. La passione nei desideri e nelle rappresentazioni idealizzate. Una testimonianza estremamente significativa sull’atteggiamento in tal senso viene da uno dei massimi protagonisti del Romanticismo letterario, quell’Ernst Theodor Amadeus Hoffmann (1776-1822) che in un suo articolo chiamato “Musica religiosa antica e moderna” (1814) ci dà una chiara visione della concezione romantica della musica ecclesiastica; eccone qualche passaggio:”Nella sua essenza più caratteristica e interiore, la musica è quindi, come abbiamo detto, culto religioso, e la sua origine è da ricercarsi unicamente nella religione e nella chiesa(…). Con Palestrina s’iniziò indiscutibilmente il periodo più splendido della musica religiosa (e quindi della musica in generale), che per quasi due secoli in sempre crescente ricchezza, si mantenne nella sua pia dignità e magnificenza; non si può negare tuttavia che, già nel primo secolo dopo Palestrina, quella sublime e inimitabile semplicità e dignità cedette ad una certa eleganza, che i maestri ricercavano. E’ opportuno a questo punto, anzi necessario, studiare più a fondo nella loro essenza le composizioni di questo progenitore della musica. Senza alcun ornamento, senza slancio melodico, si susseguono accordi per lo più perfetti e consonanti, la cui forza e audacia commuove ed eleva l’animo con potenza indicibile. L’amore, l’accordo dello spirito con la natura, quali promette il Cristianesimo, si esprimono nell’accordo musicale, che infatti è nato col Cristianesimo; e così l’accordo, l’armonia, diviene immagine ed espressione della comunità degli spiriti, dell’unione con l’Eterno e con l’Ideale che ci sovrasta e pure ci unisce a sé. La più pura, la più sacra, la più religiosa musica sarà dunque quella che nasce dall’intimo, unicamente come espressione di quell’amore, trascurando e disdegnando qualsiasi elemento mondano.(…)Alla sua musica si adatta veramente quella frase che gli Italiani dicono a proposito di tanti compositori, così superficiali e meschini in confronto a lui: è davvero “musica dell’altro mondo”.(…)  Il sèguito di accordi consonanti perfetti, ci è diventato oggi, nella nostra effeminatezza, così estraneo, che molti, il cui animo è assolutamente precluso al sentimento del divino, ci vedono solo inesperienza tecnica; invece, anche prescindendo da un punto di vista superiore e considerando solo ciò che comunemente si suole chiamare effetto, è chiaro che, nel grande e sonoro ambiente di una chiesa, ogni fusione di suoni provocata da passaggi e da rapide note di transizione rompe la forza del canto, rendendo questo poco chiaro. Nella musica di Palestrina ogni accordo avvince l’ascoltatore con tutta la sua potenza, e le più elaborate modulazioni non potranno mai esercitare sull’animo un’azione tanto forte, quanto appunto quegli accordi audaci e possenti che irrompono come raggi accecanti.” (In Renato di Benedetto, op. cit., pagg. 193-196). Questa lunga citazione è però molto significativa per capire come nel Romanticismo si concepiva questa musica. Del testo qui non si parla (bene dice qui Renato di Benedetto: “Il rapporto col testo non è vincolante, perché la musica sacra, quando resti fedele alla propria natura, non rappresenta affetti determinati, ma esprime “il profondo sentimento del divino”, e dà così all’uomo il senso della “suprema pienezza dell’esistenza.””  Op. cit. pag. 13; già questo aspetto è molto in contraddizione con la natura della musica rinascimentale che è essenzialmente “testo esaltato”), ma si esaltano queste masse accordali che producono un effetto “possente” sul sentimento di chi ascolta. E lo stesso autore, dando consigli al giovane compositore di musica di chiesa, lo sprona a “esplorare se nel suo intimo si trova lo spirito di verità e della devozione e se questo spirito lo spinga a lodar Dio e a parlare delle meraviglie del regno celeste con i mirabili accenti della musica.” La sua musica deve essere “una trascrizione dei sacri canti sgorganti, in pio rapimento, dal suo intimo.” Da quanto detto sopra, consegue che il vero e giusto modo per attuare quanto detto è lo studio attento degli “antichi maestri” e delle loro opere “per assimilarle a tal punto da portarle in sé, nel cuore e nella mente; allora ogni estranea ed empia ostentazione gli apparirà vuota e scipita, ed egli non sarà mai tentato di fregiarne la sua opera” (in Renato di Benedetto, Op. cit., pag. 199).

Nel 1868, Franz Xaver Witt fonda la prima Società di Santa Cecilia (V. Donella, “La musica in chiesa nei secoli XVII-XVIII-XIX”, edizioni Carrara, Bergamo 1995 – pag. 265), che tenterà di opporsi all’imperante gusto operistico nella musica di chiesa. Un discorso, quello dell’influsso operistico nella musica di Chiesa, che andrebbe fatto più a lungo, ma non è qui il caso.

Come il nascente movimento ceciliano tenterà di riformare la musica sacra? Riprenderà i modelli del passato, gregoriano e polifonia rinascimentale da opporre all’”impurità” del gusto imperante, quello “teatrale”. Il pensiero Romantico avrà influenza su questa neonata associazione? Le composizioni dei primi ceciliani tedeschi, come Haller, Mitterer e compagnia sono spesso dei ricalchi delle formule della polifonia rinascimentale, accordandosi perfettamente con quell’estetica espressa dalla lettera di Hoffmann letta sopra. Sentiamo cosa ne pensa un ceciliano molto autorevole dei nostri tempi come Valentino Donella: “Bisognava riproporre ideali perduti e ricercare modelli significativi da additare ai musicisti del rinnovamento. Ma dove trovare i modelli della musica autenticamente sacra se non a ritroso nel tempo nelle epoche d’oro della monodia medioevale (gregoriana) e nella polifonia cinquecentesca (palestriniana, a cappella). Per i romantici puri il viaggio all’indietro rappresentava una occasione di fascinosa esplorazione fine a se stessa; per i ceciliani fu una necessità, in quanto – obiettivamente –non c’era di meglio nella storia più recente. Del resto i “classici” vanno sempre tenuti presenti e studiati. Non copiati! L’equivoco nasceva proprio qui, sia da parte di chi proponeva il modello e da parte di chi lo accettava. I classici non dovevano e non devono essere fotocopiati in  nessuna maniera. una trappola che poteva condurre al blocco della creatività, nel quale per fortuna non caddero i musicisti più attenti e capaci” (Op. cit., pag. 264). Altre opinioni: “L’attività di questo movimento, che nella sua azione riformatrice si proponeva anche una rieducazione liturgica del clero e dei fedeli, coincide con l’azione del Movimento Liturgico di spirito romantico, che in Guéranger, abate di Solesmes, Sailer vescovo di Ratisbona e Newman in Inghilterra aveva i suoi più prestigiosi esponenti. (…) Per quanto riguarda il cecilianesimo, dobbiamo ricordare come esso sia debitore, nella sua estetica, alla filosofia e all’arte romantica” (F. Rampazzo, M. Canova, G. Durighello, “Cantare la Liturgia” vol. 1, Ed. Messaggero di Padova, Padova 2002, pag.36).

Il Romanticismo tedesco è anche il periodo del grande recupero del medioevo cristiano, un medioevo vissuto come tempo felice a cui protendere. Non dimentichiamo una figura storica come quella di Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), che già prima del periodo romantico aveva teorizzato l’antichità non come tempo passato ma come “classicità” quasi intemporale, tempo felice ultrastorico.  Lo stesso Goethe ci parla di “vita insondabile”, al fondo della vita naturale. Nel Romanticismo il sentimento si prende la sua rivincita sulla razionalità illuministica.

Credo sia giusto anche dire che, senza poter disconoscere gli enormi meriti della scuola di Solesmes, c’è anche chi fa qualche osservazione sul loro modo di interpretare il canto gregoriano, definendolo proprio adeguato al clima romantico in cui la sua rinascita si era verificata. Katharine Bergeron ha definito il loro modo di eseguire il canto gregoriano come “un bellissimo, molto romantico e in un certo senso molto francese modo di cantare, [che] non ha mai cessato di dominare la nostra concezione di canto gregoriano” (Katherine Bergeron, “Chant, or the Politics of Inscription”, in “Companion to Medieval and Renaissance Music” in Bernard D. Sherman, “Interviste sulla musica antica” EDT, Torino 2002, pag. 35). Commentando questo passaggio, il noto direttore dell’Ensemble Organum, Marcel Peres, rileva: “Romantico perché l’estetica della sua ricostruzione era all’inizio collegata all’idea romantica di un Medioevo mitico, l’”Età della fede” come veniva allora definito. Musicalmente parlando, molti degli elementi stilistici del XIX secolo si ritrovano nella prassi esecutiva di Solesmes: il fraseggio legato, la mancanza di ornamentazione” (Bernard D. Sherman, “Interviste sulla musica antica” EDT, Torino 2002, pag. 35). Naturalmente queste posizioni sono contestate dalla maggioranza degli studiosi in materia, di rigida osservanza solesmense. Su questo tema suggerisco gli studi importanti di Jacques Viret per quello che riguarda una alternativa al pensiero solesmense, che invece è ben rappresentato dagli studi di dom Jean Claire, dom Eugène Cardine, don Luigi Agustoni, Mons. Alberto Turco e del Prof. Nino Albarosa. È un dibattito che è sempre vivo e vivace, oggi purtroppo non così conosciuto se non dagli specialisti, visto che la tradizione musicale della Chiesa cattolica è oggetto di un attento disinteresse.

Aurelio Porfiri

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3 commenti

  • P. Lorenzo Franceschini ha detto:

    Sontuosa dissertazione! Ci sentiamo in dovere di restituire una risonanza almeno, per così dire, edificante.
    Il mondo della fruizione musicale mondana lo si è voluto refrattario alla musica modale gregoriana, e invece essa vi doveva trovare tutta la giusta accoglienza. Non certo copiandovi appena i moduli del repertorio tramandato così da profanarli, ma e al contrario sforzandosi proprio di dar anzi spazio alla composizione realmente creativa e, rigenerante. In tal senso, a tanto non avrebbe invero ostacolato preservare uno spazio protetto ed esemplare per un repertorio allora invece fisso e codificato da riservare ad una espressione esclusiva del gregoriano originale tipico, e, tale spazio, poteva e doveva essere non di più ma e non di meno che la liturgia poi sacra rituale. Ed è per non aver voluto difendere questa posizione che poi anzi si è persa ogni cittadinanza infine proprio nell’immenso spazio della musica secolare e ce se ne sarà sentiti dunque costretti, da artisti pur legittimamente creativi, a ritirarsene per residualmente allora andare a infoltire e otturare proprio quegli esigui margini di cantualità tradizionale casomai ancora nonostante tutto resipiscenti in essa medesima sfera liturgica la quale intanto la si sarà cercata di restituire ancor semmai sacrale. Ci rendiamo tutti conto che sono materie sensibili, gravi, che provocano titubanze e sofferenze. Resta però che da ultimo risulta sempre più efficace sacrificarsi, magari, ma andare così a curare la radice del male, piuttosto che lenire i sintomi cercando di salvare, come si dice, la capra e, i cavoli.
    In effetti l’esempio dei medievali è arduo da raccogliere: essi sapevano compiere opere eccelse senza firmarsi, lasciando che esse figurassero nell’opus dei.
    Ma, appunto, per riaccedere a questo occorre davvero di ravvivare e, ricomprendere, il sogno romantico stesso. Tutto quello che ci resta, prima che tutto si compia.
    Ringrazio sentitamente per li belli apporti e, per la limpida onestà intellettuale, che sopra vi traspaiono nello splendido articolo.

  • Rafael Brotero ha detto:

    Per quelli che capiscono lo spagnolo, l’ultima conferenza del padre Lopez Caló sul Concilio, Bugnini e la musica sacra. La voce più autorevole. Enjoy.
    https://youtu.be/TgM-2bzB4rE

  • Boanerghes ha detto:

    Articolo molto interessante e anche che mette molta nostalgia. In effetti, tanti parroci nella liturgia domenicale usano quello che hanno a disposizione, cioè spesso giovani e meno giovani che con organetto e chitarra suonano un repertorio contemporaneo.
    Vedo come purtroppo sia molto difficile insegnare il canto gregoriano, almeno nella sua essenzialità, come pure canti polifonici.
    Sarebbe necessario una educazione per così dire a tappeto nei seminari verso chi si prepara al sacerdozio.
    D’altronde il canto ben fatto può riuscire ad animare una liturgia talora un poco piatta, specie di questi tempi dove il novus ordo è talora molto criticato.
    Il canto angelico sarà come il miraggio prima del paradiso, però sarebbe bello e spiritualmente fecondo viverlo fin da adesso.