PORFIRI E LA CAPPELLA SISTINA: L’UNIVERSALITÀ DELLA MUSICA SACRA.

1 Settembre 2019 Pubblicato da

Marco Tosatti

Cari Stilumcuriali, con piacere pubblichiamo una riflessione – che fa seguito a quelle già apparse su Stilum Curiae – sul Coro della Cappella Sistina, per cui, come sappiamo si attendono decisioni da parte della Santa Sede. Buona lettura.

 

UNIVERSALITÀ DELLA MUSICA SACRA

Proprio per essere musica che nasce a Roma, che ha tutti quegli elementi di eccezionalità di cui si parlava in precedenza, questa musica della scuola romana non intende rimanere confinata nell’ambito puramente cittadino, ma è una musica urbi et orbi, per la città e per il mondo. La scuola romana sarebbe dovuta essere quella scuola che insegnava al mondo cosa era la vera musica sacra. Questo fu in molto nostro passato, quando monaci provenienti da Roma andarono ad insegnare il canto romano nelle Gallie o quando ci si abbeverava alle pure fonti della polifonia esemplificate nell’opera somma di Giovanni Pierluigi da Palestrina. Anche nel recente passato non possiamo dimenticare la diffusione delle composizioni di Lorenzo Perosi, che avevano accoglienza anche nella lontana Cina, come posso personalmente testimoniare. Questa musica era un modello, un esemplare a cui ci si ispirava per le creazioni incarnate nelle culture più varie.

Questa pretesa di universalità ci è testimoniata dalla parola di Leone XIII nella sua lettera “Iampridem considerando” (15 ottobre 1879) al Cardinale Antonino de Luca, prefetto della congregazione degli studi, in cui egli parla della necessità di far rifiorire gli studi tomistici: “Pertanto, Venerabile Fratello, è nei Nostri più caldi desideri che la dottrina di San Tommaso, conforme in modo assoluto alla fede, riviva quanto prima in tutte le Scuole cattoliche, e specialmente torni a fiorire in questa Città, capitale del cattolicesimo, la quale – appunto perché è sede del Pontefice Massimo – deve eccellere sulle altre per le migliori discipline. A questo si aggiunga che a Roma, centro dell’unità cattolica, convengono solitamente in gran numero da ogni paese i giovani per attingere meglio e più abbondantemente che altrove la vera ed incorrotta sapienza presso l’augusta cattedra del Beato Pietro. Conseguentemente, se da qui sgorgherà larga e copiosa la vena di quella cristiana filosofia di cui abbiamo detto, essa non resterà circoscritta nei confini di una sola città, ma simile a fiume in piena giungerà a tutti i popoli“.  Questo desiderio che Roma eccella sulle altre nelle migliori discipline perché sede del successore dell’apostolo Pietro e Vicario di Cristo, può applicarsi senz’altro anche alla musica sacra. Purtroppo, pensando a quello che accade oggi, un moto di scoramento ci prende rifoettendo su come, in molti e non sporadici casi, da Roma non si diffonde un esempio luminoso di dottrina e arte, ma lo stesso frutto della decadenza che sta corrodendo la Chiesa stessa.

Eppure Roma ha un destino misterioso ed inneffabile. La sua universalità abita anche la sua decadenza, proprio perché questa linfa vitale che ha nutrito il destino di Roma fin dalla sua fondazione e fin dalla sua esaltazione grazie al ministero petrino, sempre scorre come un fiume carsico a cui pochi si abbeverano ancora, a quella fiamma custodita negli antri abitati da coloro che sfuggono a varie forme di persecuzione.

Publio Ovidio Nasone si chiedeva cosa ci fosse migliore di Roma. Claudio Rutilio Namaziano così verseggiava: “Ascolta, bellissima regina del tuo mondo, | accolta tra le stelle del firmamento, Roma; | ascolta, madre di uomini e di dei: | grazie ai tuoi templi non siamo lontani dal cielo“. L’universalità della scuola romana, rappresentata un tempo dalla Cappella Sistina, era accessibile ma non svendibile. Anzi, veniva coltivata come un segreto. Sappiamo della legge che proibiva estranei di entrare nella cantoria Sistina pena la scomunica (in vigore fino al secolo scorso) oppure la proibizione di distribuire all’esterno le musiche che il coro eseguiva. La gelosia era anche un segno di attenzione, come per dire: che ne fate delle musiche se vi manca la Tradizione? Non era solo il cosa si cantava, ma soprattutto il come. La Sistina rappresenta quel l’unità cattolica di cui è simbolo il successore di Pietro. Ma proprio ciò che è di tutti dovrebbe in parte essere velato allo sguardo, perché lo sguardo corrompe. Ricordo che Vittorio Messori ebbe a scrivere da qualche parte di come i Papi del passato fossero nella mente di tutti i cattolici, ma quasi nessuno sapeva come erano fatti. Non contava la persona ma l’istituzione, il papato. Così era per la musica in Sistina, non contava questo o quel compositore  (alcuni di grandezza immensa, si badi bene), contava il fiume che nutrivano con la loro musica. La scuola romana lo è non in quanto italiana, ma in quanto cattolica. I grandi fiamminghi, spagnoli, angli, venivano qui per farsi romani e nel contempo arricchendo la scuola romana stessa.

Io credo nell’inculturazione, ma quella giusta, quella che eleva le culture alla grandezza della cattolicità. Se pure tutti i Cardinali, Vescovi, Papi, volessero convincermi che non devo più seguire questa grandezza, nondimeno continuerei a seguirla, ad essere discepolo di Dante, Palestrina, Michelangelo, Agostino, Tommaso d’Aquino, Victoria, Bernini, ed altre migliaia di santi, artisti, filosofi, teologi….La scuola romana è l’apoteosi della cattolicità. Paolo VI, in una sua omelia a Pomezia il 29 giugno 1965 diceva: “Ma altre ragioni ancora spiegano la visita. Se io vi dicessi che sono mandato? Sì, io non vengo per sola mia volontà. Non sarei mai venuto qui se non fossi sacerdote, se non fossi Vicario di Cristo: Che vuol dire ciò? Significa che avverto nel mio spirito un invito, un comando, una missione, che dice: Va’, io ti mando… Ecce ego mitto vos. È Gesù a dare l’invito; è quel Cristo, che venne 1965 anni or sono, la cui voce, potenza, presenza, il cui ministero e segreto divino, innestati nella storia umana, dicono ai rappresentanti del Divino Maestro: «Euntes, docete». Portate in mezzo al popolo il cuore ricolmo e l’intelletto ricco della parola appunto di Cristo, del gran tesoro del suo Vangelo, del suo messaggio. Tale messaggio ha la virtù di entrare negli animi oltre ogni resistenza ed opacità. È il dialogo iniziato da Cristo con l’umanità, affidato alle labbra dei suoi ministri perché sia svolto lungo i secoli. Ricorrono così le beatitudini proclamate dal Salvatore, per cui viene esaltata la povertà, la mitezza, la pace, la brama di giustizia: persino il pianto è considerato beatitudine perché verrà consolato. Inoltre, chi soffre avrà facilmente misericordia e godrà delle ricompense eterne. Il Papa è qui, appunto a riproclamare questo annunzio liberatore e redentore da Cristo portato all’umanità“. Ecco, quel senso di una missione suprema e quindi universale è anche quella che spingeva i rappresentanti della scuola rimana, di cui la Cappella Sistina fu la massima espressione, a dedicare le proprie energie alla musica per il culto.

Il cantore è un predicatore, diceva il mio maestro, poi cardinale, Domenico Bartolucci. In una lettera proprio indirizzata a questo Maestro, per il quarto centenario della morte di Giovanni Pierluigi da Palestrina (1994), Giovanni Paolo II affermava parlando anche della Cappella Sistina e della scuola romana: “È a questa scuola che occorre rivolgersi ancora nel nostro tempo, per essere discepoli e continuatori dell’opera di Giovanni Pierluigi da Palestrina, in sintonia con il rinnovamento liturgico e musicale auspicato dal Concilio Vaticano II: “La musica sacra sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all’azione liturgica, sia esprimendo più dolcemente la preghiera e favorendo l’unanimità, sia arricchendo di maggior solennità i riti sacri” (Sacrosanctum Concilium, 112). Oggi come ieri, i musicisti, i compositori, i cantori delle Cappelle liturgiche, gli organisti e gli strumentisti di chiesa devono avvertire la necessità di una seria e rigorosa formazione professionale. Soprattutto dovranno essere consapevoli che ogni loro creazione o interpretazione non si sottrae all’esigenza di essere opera ispirata, corretta, attenta alla dignità estetica, sì da trasformarsi in preghiera adorante quando, all’interno dell’azione liturgica, esprime nel suono il mistero della fede. Ogni credente, che nella celebrazione eucaristica trova la fonte e il culmine della manifestazione della propria adesione a Dio e che nella vita quotidiana è chiamato a tradurre il messaggio assimilato nell’assemblea mediante il canto sacro, saprà così profittare con gioia del servizio autentico della musica sacra e potrà ripetere anche nel suo animo il canto che esalta la Parola divina e la fede cristiana. Nell’attuale momento di impegno per una nuova evangelizzazione e di ricerca di rinnovati canoni estetici per tutta l’arte sacra, sono persuaso che il centenario palestriniano offrirà un contributo opportuno e significativo. Come è noto, la Chiesa di Roma, sede del Successore di Pietro, fin dai tempi antichi ha dimostrato grande attenzione e stima per la musica destinata al culto, ed ha via via proposto modelli cospicui di canto liturgico, preoccupata di offrire validi spunti anche per le altre Comunità ecclesiali. Questa singolare tradizione trova nella storia di codesta antica ed illustre Cappella Musicale la testimonianza più evidente. Sono perciò convinto che essa, fedele all’eredità lasciatale da Palestrina, continuerà ad impegnarsi con ardore rinnovato a promuovere il decoro del solenne servizio liturgico nel Tempio maggiore della Cristianità”. Certo il 1994 sembra un tempo così lontano e queste parole lette oggi fanno riflettere; eppure dovrà venire un tempo in cui comprenderemo ancora il corretto significato dell’universalità cattolica, che è di tutti per non appartenere a nessuno.

Aurelio Porfiri




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12 commenti

  • LucioR ha detto:

    «Ogni credente, che nella celebrazione eucaristica trova la fonte e il culmine della manifestazione della propria adesione a Dio e che nella vita quotidiana è chiamato a tradurre il messaggio assimilato nell’assemblea mediante il canto sacro, saprà così profittare con gioia del servizio autentico della musica sacra e potrà ripetere anche nel suo animo il canto che esalta la Parola divina e la fede cristiana»

    Il gravissimo problema della sciatteria che coinvolge il canto e la musica sacra nella liturgia N.O. è certamente legata alla sciatteria che contraddistingue la liturgia stessa (N.O.); nonché alla perdita del senso del sacro che in varia misura (più grande che piccola) ha colpito i credenti, anche sinceri, anch’essa conseguente ad una liturgia piatta, banale, e che si presta a sceneggiate e manifestazioni autoreferenziali, non solo da parte del sacerdote ,ma anche dei presenti alla cerimonia liturgica (credo che non ci sia bisogno di fare esempi, in quanto più volte se ne sono portati a bizzeffe in questo blog).

    Secondo me però c’è anche un altro motivo importante. Passando dal sacro al profano, da almeno mezzo secolo si è perso proprio il gusto per il bel canto e la buona musica, anche se a scopo di diletto e di svago. Non esiste più quella che veniva chiamata “Musica leggera”, diffusissima a livello popolare, artisticamente meno elevata di altri generi coltivati e seguiti da intenditori più raffinati (generalmente chiamata “Musica classica”), ma anch’essa contenente qualità artistiche, con caratteristiche proprie che la distinguevano secondo i popoli che la originavano. E quindi si distingueva la Musica leggera italiana (generalmente detta “la canzone italiana”), da quella francese, spagnola, ecc. I compositori, ed anche i cantanti, quasi sempre erano persone che avevano studiato le materie musicali, e non di rado autori di musica classica componevano anche pezzi di musica leggera. Il popolo aveva un animo musicale, ed anche se in larga parte ignorante sulle materie musicali aveva un gusto che lo faceva in modo istintivo intenditore e critico attento delle qualità della musica e delle canzoni, manifestando il suo voto con sonore fischiate (di disapprovazione) e sinceri applausi (non sollecitati) per le buone produzioni. Non mancavano alle volte i casi in cui i fischi venivano accompagnati dal lancio di ortaggi, nella feroce ma sincera disapprovazione di una esibizione sfortunata.

    Oggi è tutto cambiato: la gente ha perso quell’ “educazione” alla buona musica, anche se leggera (naturalmente sto generalizzando), non ha più quell’istintivo senso critico, maturato con la frequenza al bel canto ed alla buona musica, ed applaude tutto, a pèrescindere. Ma musica non ce n’è più. non si canta ma si urla, molto spesso in modo stonato, non si suona ma si fa chiasso, i decibel salgono alle stelle.

    E tutto questo influisce certamente anche sul canto e la musica sacra. Se, per assurdo, “quel” popolo, assistesse oggi alle esibizione musicali e canore nelle Messe odierne, non ricorrerebbe ai fischi ed alle sue armi vegetali per mostrare il suo “gradimento”, solo per rispetto al luogo sacro.

    • Milli ha detto:

      Io ho due figli adolescenti e spesso dico loro che mi dispiace per la musica che devono ascoltare, infarcita di rap e adesso pure trap (che è una degenerazione della precedente), i vari Sfera Ebbasta sono l’ultimo prodotto di una contaminazione della musica pop italiana dalla quale sono sparite prima le note e poi il testo.
      Per continuare a parlare di musica profana, quando ero più piccola c’erano ancora pezzi “cantabili” , c’erano (udite udite) degli strumenti musicali, a volte addirittura un SAX! Adesso cosa canti, una sequenza mononota ..pirippipi… con un testo deprimente se non proprio demente, su una base elettronica nella quale si è fortunati se ci sono due accordi. Se vi capita di ascoltare della musica Dance , anni 70-80, ciò che allora sembrava semplice e banale ora, al confronto di quella attuale, sembra musica sinfonica.
      Assistiamo muti e indifferenti alla distruzione di un pilastro fondamentale della civiltà umana e lasciamo che i nostri figli (non i miei) perdano un patrimonio culturale e interiore che serve a farli crescere come ESSERI UMANI e non bestie.
      Quando il Sig. Jovanotti ( che si atteggia a profeta) in “Canzoni” , 2018, dice:”le canzoni non devono essere belle[..] , far ballare la gente, ognuno come gli pare…” sta insegnando a chi lo ascolta ad accontentarsi della bruttezza, ad essere una bestia che si dimena con qualsiasi rumore. Che rabbia!
      Scusate lo sfogo, tornando all’argomento, è logico che questo substrato anticulturale arriverà anche nelle chiese se non si pone un freno, perché le nuove generazioni vorranno esprimere anche i propri gusti.
      Nelle parrocchie che frequento la situazione non mi pare così grave, almeno finché c’è la presenza di un organista / tastierista che suona pezzi della tradizione. Dove c’è un coro+ organo , c’è uno scambio culturale, la scoperta di pezzi anche antichi, c’è arricchimento umano e musicale , per loro in primis e anche per l’assemblea.
      Quando cominciano a esserci chitarristi (a volte scordati) cambio posto.

  • Antonio Cafazzo ha detto:

    Che l’uomo della strada non gliene freghi un’acca della sciatteria liturgica …. passi. (E’ ormai un ateo appagato e “moderno”).
    Che gli iper-alimentati inebriati del “Sol dell’Avvenire” abbiano in uggia le giaculatorie e preferiscano i miagolii di gattine fervorose…. Passi. (Ognuno pasci l’erba che piú gli aggrada e sostenga la sua “fede” terrena).
    Ma che l’attuale gerarchia ecclesiastica dia zampate al pasto (la tradizione) che l’ha nutrita, non è solo l’ingratitudine dell’asino sazio che rivolta il truogolo. E’ anche l’insensatezza di chi taglia i pioli alla scala che gli consentito l’arrampicata al tetto (ogni allusione ai sommi gradi è voluta. Insensato. Insensati. Se 100 anni fa altri modernisti come voi avessero realizzato le vostre “riforme”, col cavolo ci sarebbe stata la “chiesa”. Morta e stramorta lei e tutto ciò che vi ha alimentato). Ma non è tutto. Quando l’insensatezza è persistente – nonostante gli avvisi, le critiche benevoli, gli ammonimenti e le esortazioni – allora è il caso di chiamarla PERFIDIA. Perchè dal “tetto” gli ultimi fedeli sentono solo : “Arrangiatevi… andate piuttosto a bonificare l’Amazzonia”.

  • giovanni ha detto:

    Condivido volentieri le riflessioni del m° Porfiri sulla grandezza del “Canto Romano”.Purtroppo il globalismo oggi assai penetrato anche nella nostra bella CHiesa Cattolica ,le nefaste proposte e idee del post Vaticano II,la decadenza Culturale Italiana hanno sminuito e messo ai minimi valori la Musica Sacra nostra.Ciò in nome di un malinteso “Ecumenismo” .I barbari hanno preso d’assalto (fino nei vertici) la Chiesa Cattolica e ne vogliono azzerare la centralità escatologica.CIò purtroppo vale anche a livello teologico……..
    Sono tempi dolorosi e amari da vivere senza il sostegno della Fede e della continua preghiera.
    Giomascioni.

  • Anima smarrita ha detto:

    «Purtroppo, pensando a quello che accade oggi, un moto di scoramento ci prende riflettendo su come, in molti e non sporadici casi, da Roma non si diffonde un esempio luminoso di dottrina e arte, ma lo stesso frutto della decadenza che sta corrodendo la Chiesa stessa».
    «…che ne fate delle musiche se vi manca la Tradizione?»
    Diagnosi – nella considerazione stralciata – acclarata anche da non pochi esponenti autorevoli della gerarchia. Inascoltate, se non tacitate…
    Nel quesito, con cui il Maestro ha interpretato il senso di una legge di tempi remoti a salvaguardia della Sistina «accessibile ma non svendibile», un messaggio ai…naviganti sulla “barca” su cui salì Gesù, che “era di Simone”, quel Simone – la pietra – su cui «edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa».
    La nostra speranza è un atto di fede.

  • Adriana ha detto:

    Canti nuovi per il ” Rinnovamento dello spirito ” ?
    Ne avevano uno molto ben collaudato : ” Libiam nei lieti calici ” .
    In sintonia con le neo-cerimonie della neo-chiesa .

  • Il veritiero ha detto:

    Una domanda per Porfiri. Nelle chiese durante le sacre celebrazioni stanno prendendo dempre più piede i canti del “rinnovamento nello spirito”. Da prima venivano usati negli incontri di preghiera durante l’adorazione eucaristica, ora inveve si stanno difgondendo sempre di più anche durante le celebrazioni eucaristiche.
    Io sono un ignorante, ma tutto questo mi infastidisce. Ma i canti del rinnovamento nello spirito é leggittimo farli durante la santa messa oppure é una delle tante nuove stravaganze dei nostri tempi? Ormai i canti gregoriani sono diventati difficilissimi da sentire, ormai si riesce a trovarli solamente nelle basiliche papali oppure solo nei giorni di solennità ( sempre nelle basiliche minori e maggiori) nelle chiese ormai spopolano i canti del rinnovamento nello spiriro. É leggittimo questo? Accantonando i canti gregoriani sostituendoli con il rinnovamento nello spirito non stiamo in un certo senso cancellando la tradizione sacra della chiesa? E sopratutto stiamo seppellendo sempre di più il Latino ( lingua ufficiale della chiesa) ?
    Glielo dico, perché io conosco un ordine religioso molto importante dove al posto del Latino li costringono a imparare lo Spagnolo…. e sono anche convinti che questo sia cosa buona e giusta perché a loro dire ormai il Latino non lo.usa più nessuno ed è più utile lo spagnolo. Questo ordine di cui parlo é l’ordine dei Carmelitani ( un ordine una volta zelante e pieno di onore, che ora sta deviando a causa di alcuni progressisti fra le fila delle alte gerarchie…)

    • Milli ha detto:

      Ricordiamoci che tra i canti gregoriani e gli attuali canti di RdS esistono secoli e secoli di repertori musicali. La scelta non è solamente tra l’uno o l’altro .
      Inoltre ritengo siano molto importanti sia la scrittura musicale che i testi, a volte uno dei due , o entrambi, sono tremendi. Nei riguardi dei testi contemporanei sono diffidente, troppa,libertà in questi casi può essere pericolosa.