Dignità Infinita o Inviolabile? Pena di Morte, Escluderla Mette in Discussione la Parola di Dio. Marian Eleganti.

30 Aprile 2024 Pubblicato da

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, mons. Marian Eleganti, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione queste riflessioni su Dignitas Infinita, la pena di morte e i criteri per la guerra giusta. Buona lettura e condivisione.

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Dignità infinita o inviolabile?

L’ultimo documento del Dicastero per la dottrina della fede è “Dignitas infinita” e riconosce all’uomo una “dignità infinita”. Preferisco il termine “dignità inviolabile”. Dovremmo riservare a Dio la categoria “infinito”. Perché vale davvero solo per lui. Tutto ciò che viene creato è “finito” o “contingente”. La “dignità infinita” per gli esseri umani suona patetica e in qualche modo irrazionale, il che è stato sorprendente quando Giovanni Paolo II l’ha usata per la prima volta in questo contesto. Sappiamo cosa si intende. Da questo punto di vista possiamo conviverci.

Nel libro della Genesi la pena di morte è giustificata dal fatto che l’uomo è immagine di Dio.

Secondo il primo libro della Sacra Scrittura, se qualcuno uccide un altro essere umano, merita di morire.

Perché: Perché disprezzava la dignità del prossimo di essere immagine di Dio e non rispettava l’inviolabilità ad essa associata.

Con l’omicidio perde (latae sententiae) il proprio diritto alla vita. Verrà punito con la morte. La pena di morte viene qui giustificata con la dignità dell’uomo come immagine di Dio, mentre nel documento del Dicastero per la Dottrina della Fede viene respinta con la stessa argomentazione.

Questa è una contraddizione. Papa Francesco e il suo protetto e ghostwriter card. Fernandez si allontanano con la loro posizione dalla tradizione e si confrontano con grandi studiosi cattolici che la pensavano diversamente e che utilizzavano la dottrina tradizionale della guerra giusta e della pena di morte  con criteri di giustizia razionalmente e teologicamente basati sulla rivelazione. Le loro argomentazioni andrebbero affrontate e controbattute con argomentazioni migliori. Ma lo aspetteremo invano. Allora come può essere giustificata l’autodifesa dell’Ucraina se gli atti di guerra o le guerre non possono essere giustificati in nessuna circostanza, inclusa l’autodifesa (cfr. la tradizionale dottrina della guerra giusta). A questo scopo devono esistere criteri oggettivi e razionali. L’insegnamento tradizionale della Chiesa li ha forniti. Oggi semplicemente si riscrive il catechismo. Non sono un sostenitore della pena di morte, e l’esperienza di come e da chi è stata o è praticata in tutto il mondo nel passato e nel presente dà motivo di metterla in discussione e di rifiutarla in questa forma. Ma chi la mette al bando come ultima ratio in ogni caso mette in discussione la Parola di Dio e, su questa base, la tradizione pedagogica della Chiesa. Presume di saperne di più oggi. I dubbi sono giustificati.

Come promemoria (Catechismo Chiesa Cattolica 1997/2003):

2267: L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani. Ma se i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere e tutelare l’incolumità delle persone dall’aggressore, l’autorità deve attenersi a questi mezzi, perché corrispondono meglio alle condizioni concrete del bene comune e sono più adeguati alla dignità umana. Tuttavia, grazie alle possibilità che lo Stato ha a disposizione per reprimere efficacemente il reato e rendere innocuo l’autore del reato senza privarlo definitivamente della possibilità di riforma, oggi i casi in cui l’allontanamento del colpevole è assolutamente necessaria” già molto raramente o quasi non esiste più (EV 56).

2309: Si devono considerare con rigore le strette condizioni che giustificano una legittima difesa con la forza militare. Tale decisione, per la sua gravità, è sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale. Occorre contemporaneamente:

— che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo;

— che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci;

— che ci siano fondate condizioni di successo;

— che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione.

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44 commenti

  • Federico ha detto:

    Spero non arrivino risposte come: “se venisse abolita la proprietà privata non esisterebbero più queste eventualità, non vi sarebbero più né omicidi né furti né violenza, ma avremmo il paradiso in terra”.
    Abbiamo già visto com’è stato il paradiso in Unione Sovietica, in Cambogia, in Cina, in Etiopia, ecc…

  • Federico ha detto:

    Ho una domanda molto semplice da porre ai lettori: è preferibile far uccidere un bambino innocente o intervenire all’ultimo istante per salvarlo magari colpendo a morte il suo (prossimo) assassino?
    Parlo dell’eventualità concreta ed immediata, del tipo “qui ed ora”, e senza trascurare le cautele per scongiurare tale eventualità; ossia, una volta che si presenti concretamente tale possibilità, quale delle scelte deve essere preferita?

  • il Matto ha detto:

    Per NAPOLEONE A PIEDEDE LIBERO e RACCOLTA INDIFFERENZIATA:

    ma perché non continuate ad andare per la vostra strada senza rompere le scatole agli altri?

    Per BALQIS:

    Anche stavolta mi sfugge l’intento del suo “Davvero? Silenzio inattivo, immagino”.

    • Balqis ha detto:

      Siccome anche io sono silenziosa mentre faccio cose e anche quando non faccio niente sto comunque pensando, volevo accertarmi se il suo silenzio comprendesse l’inattività anche mentale (immagino di sì, considerando anche il fatto che è un impegno che si svolge ad orari precisi). Solo curiosità. Sono del tutto digiuna di meditazione e contemplazione (tra l’altro: sono la stessa cosa?)

      • il Matto ha detto:

        Il più succintamente possibile:

        in Occidente la meditazione è in genere intesa come un indugiare del pensiero intorno ad un oggetto, mentre la contemplazione si pone, per così dire, un gradino sopra, ovvero nel superamento della “corrente” del pensiero e quindi nello sfociare in una dimensione visionaria, con tutti i rischi che ciò comporta riguardo alla veridicità di ciò che si vede. Si tratta della dimensione mistica che, a mio parere, è un campo minato, poiché il soggetto contemplante vede … che cosa? Qualcosa di oggettivo od un prodotto della propria fantasia? E’ argomento assai ostico, almeno per me.

        In Estremo Oriente (parlo dai limiti della mia esperienza personale) “meditazione” può (non certamente deve) intendersi come sinonimo di “contemplazione”. Il pensiero, sotto ogni sua forma, va lasciato andare.

        Sempre dai limiti della mia esperienza, la contemplazione è apofatica, ovvero negativa, nel senso che nega un’eccessiva importanza al pensiero tanto concettuale quanto immaginativo, poiché tutto ciò che il contemplante incontra appartiene alla sfera delle forme e perciò del relativo, mentre l’apofasi tende all’Assoluto, che in Sé è senza forma.

        Riguardo alla suo essere silenziosa mentre agisce e al suo pensare quando non agisce, non sono in grado di dirle niente di chiarificante, ragion per cui mi astengo da qualsiasi considerazione.

      • Balqis ha detto:

        Caro Matto, talvolta mi capita che mentre penso qualche filamento di pensiero più complesso e personale mi scappi fuori e finisca nella tastiera. Spesso ad innescare il meccanismo è la curiosità (che, notoriamente, è femmina) per ciò che non conosco.
        Non ci faccia caso. Nello specifico, era solo un pezzetto di ragionamento sulla capacità di adottare una disciplina (anche la prima risposta non chiariva molto)..

    • narcisoterapia ha detto:

      Per offrirti una chance.

      • il Matto ha detto:

        Tu pensa a specchiarti nel tuo stagno,
        Sempre se ne hai il coraggio.

        • Amichevole consiglio ha detto:

          La chance ti viene offerta, spadaccino. Approfittane per fare pulizia. Getta via i pesci morti che il tuo orgoglio, appena sfiorato, manda fior d’acqua nel tuo stagno. Altrimenti il tuo misticismo resterà sempre una loquace farsa con cui inganni te stesso e gli altri.

  • Federico ha detto:

    Stanno modificando tutti i più importanti insegnamenti bimillenari della Chiesa sulla base di false interpretazioni dottrinali; e lo fanno con la scusa di una presunta misericordia, filantropia e accoglienza. Li stiamo vedendo i frutti di questa finta filantropia…

  • il Matto ha detto:

    La guerra e la morte che si rendono inevitabili non per questo diventano ipso facto giuste.
    E poi una guerra giusta da quale punto di vista?

    Un’azione di difesa o di prevenzione non autorizza ad uccidere tout court.
    E se ciò accade, va inteso come una vera e propria disgrazia di cui certamente non andare fieri. Una disgrazia inevitabile non è, non può essere “giusta”.

    Nessuna immagine e somiglianza di Dio può essere il giustiziere di un’altra immagine e somiglianza di Dio.
    Dio creerebbe innumerevoli Sue immagini e somiglianze che si massacrassero a vicenda?

    Sulle guerre di religione condotte “in nome di Dio” ci sarebbe molto, molto da discutere.

    A parte il fatto che su questo blog – ma nel mondo religioso in genere – l’argomento del combattimento interiore non sembra godere di simpatia, quando invece è l’unico che conta.

    Da sempre, le guerre esteriori sono la prova di quello che l’uomo ha nel cuore.

    Ammazzare il “nemico”: siamo ancora molto, molto indietro.

    • Marco Tosatti ha detto:

      Ah, ma allora la spada che uccide e la spada che salva…Yagiu Munenori….

      • il Matto ha detto:

        Come si dice: mi chiami a nozze! 🤩

        L’enfasi è posta sulla spada che dà la vita (katsujinken)!

        L’impulso a trattare dell’argomento è fortissimo, quasi “violento”, ma (per ora) lo controllo e me ne astengo.

        Già molti anni addietro, i miei maestri giapponesi di spada mi aprirono gli occhi con un insegnamento che riassume tutto il Bushido ( e quindi un stile di vita cavalleresco):

        “l’arte della spada non consiste nel tagliare ma nell’evitare di essere tagliati”.

        Non c’è possibilità di equivoco.

        Quindi, è messa da parte la spada che dà la morte (satsujinken)!

        Ciao.

        • Marco Tosatti ha detto:

          Messa da parte? Io non ne sarei così sicuro…la spada del bushido – e di ogni arte marziale – è per fermare la violenza, in particolare contro chi non si può difendere. L’origine stessa del termine – wu shu in cinese – è fermare le armi…

          • il Matto ha detto:

            Con “messa da parte” intendo in secondo, molto in secondo piano. La spada che da la morte è qualcosa che non può non ripugnare ad un’anima seria.

            Invece, con “spada che dona la vita” – una contraddizione, a ben guardare – s’intende la spada che non necessariamente uccide e quindi lascia in vita il cosiddetto “nemico”.

            Ad un livello più profondo: “katana wa bushi no tamashii”: la spada è l’anima del bushi, un’anima che sa evitare l’estrazione reciproca dell’arma attraverso parole e atteggiamento di saggezza, non escluso il timore che sorge nel facinoroso che si trova davanti all’autorità morale emanante dal bushi, magari accompagnata dalla fama di grande spadaccino col quale è meglio mettersi d’accordo.

            Questo secondo e sempre aupicabile caso è espresso con il motto : “saya no uchi”: (la spada) dentro il fodero. Ovvero vincere senza estrarre, pacificando la situazione bellicosa e quindi evitando spargimento di sangue.

            Come hai rilevato in cinese, l’ideogramma bu (di bu-shi, bu-do, bu-shido) rappresenta due mani che fermano un’alabarda.

            Insomma il bushi, il guerriero, è l’uomo di pace per eccellenza.

            Forse non è azzardato affermare che meno guerrieri saggi ci sono e più aumentano le guerre!

          • il Matto ha detto:

            Fra le virtù del Bushido figura la

            Benevolenza o Compassione — 仁, Jin.

            Il bushi è un essere reso forte dall’addestramento, ed è suo dovere mettere questa forza a disposizione dei più deboli.

            Sia Confucio che Mencio dicevano spesso che il requisito più alto di un sovrano è la Benevolenza.

            Un uomo investito del potere di comandare e del potere di uccidere doveva dimostrare poteri altrettanto straordinari di benevolenza e misericordia: amore, magnanimità, affetto per gli altri, simpatia e pietà, e compassione, l’attributo più alto dell’animo umana.

          • Balqis ha detto:

            “katana wa bushi no tamashii”: la spada è l’anima del bushi, un’anima che sa evitare l’estrazione reciproca dell’arma attraverso PAROLE e atteggiamento di saggezza… è bellissima!!!

            Si potrebbe proporre come principio fondante di una ipotetica riforma del carrozzone ONU (con eliminazione del potere di veto).
            Sorpresa! Tosatti Nippo! 🙂

          • Ideal und Wirklichkeit ha detto:

            Il tuo, Nippo, è un Giappone mooooooooooooOOOOOlto idealizzato. Ed è un bushidō mooooooooooooOOOOOlto idealizzato. Le realtà storica del mondo samuraico attesta ben altro. Anche una cospicua dose di crudeltà gratuita e compiaciuta. Disconoscerlo significa raccontarsi le favole. Cosa che, comunque, ognuno è libero di fare, beninteso.

          • il Matto ha detto:

            IDEAL UND WIRKLICHKEIT

            Vero, verissimo!!!
            E cos’è se non l’Ideale – in senso trascendente – che rende la vita degna d’essere vissuta? Se togli l’Ideale cosa resta se non la vita piatta e monotona piccolo-borghese?

            La “cospicua dose di crudeltà gratuita e compiaciuta” (ma qui ci sarebbe da precisare) non sposta di una virgola la necessità di nutrirsi dell’Ideale e di cercare di metterlo in pratica. Roba per pochi, pochissimi!!!

          • Pochissimi ha detto:

            Anche a te, Matto, piace come a molti, moltissimi, sentirsi parte di pochi, pochissimi. È un’aspirazione molto ordinaria, diffusa e comune, ma tutto sommato innocua 🥳

          • il Matto ha detto:

            Egregio POCHISSIMI,

            a me non “piace sentirmi” tra i pochissimi, semplicemente perché lo sono.

            Mi sa che non hai mai letto o letto male i miei articoli e commenti.

            E poi, dimmi quanti sono quelli che come me, che sono matto, ogni giorno pensano da mattina a sera (e non per modo di dire!) che devono morire, e quanti sono quelli che, come me che sono matto, praticano ogni giorno da più di 40 anni il silenzio un’ora e mezza all’alba e un’ora e mezza al tramonto.

          • Napoleone a piede libero ha detto:

            E tu ti sopravvaluti, e molto, come tutti i mistici della mutua. Ma il mondo è pieno di pazzi che si credono Napoleone.

          • Balqis ha detto:

            Davvero? Silenzio inattivo, immagino.

      • il Matto ha detto:

        Nel film “L’ultimo samurai”, Katsumoto dice al capitano Algren riconsegnandogli i suoi averi:

        “Quando ti ho preso questi tu eri… mio nemico”.

        Grandissimo film! Dal quale c’è molto da imparare!

        • The Lost Samurai ha detto:

          Bel film, ma intriso di retorica americana.

          • il Matto ha detto:

            Sì, ma per chi ha approfondito abbastanza le teoria e la prassi (ripeto: la prassi) di una disciplina nipponica, resta un film dai molti contenuti … nipponici.

            Katsumoto: «Il fiore perfetto è una cosa rara. Se si trascorresse la vita a cercarne uno, non sarebbe una vita sprecata».

            Basterebbe già questa scena per giustificare la validità del film, ma … chi può veramente penetrarne il senso senza conoscere abbastanza il Dai Nippon?

          • Raccolta indifferenziata ha detto:

            Se la tua prassi non ha saputo produrre niente di meglio di questa versione patinata del Giappone e del suo spirito giapponese, puoi buttarla direttamente nel pattume.

        • Adriana 1 ha detto:

          Tutto ciò, Enrico, è bellissimo, però:
          1) Sia Confucio che Mencio si ritirarono dalla “predicazione” ai signori, salvando con eccezionale tempismo la loro pelle;
          2) L’ottimismo confuciano sulla validità del “diritto naturale” viene “stravolto” da quel pericoloso capo dei banditi che rivendica il
          “diritto naturale” di seguire la propria genuina natura
          ” non artefatta dalla società” ( alquanto corrotta ), anche quando egli scelga di esprimersi con ruberie e stragi. Al termine del lungo e istruttivo colloquio tra i due ( il filosofo e il bandito ), Confucio se ne ritorna a casa con la coda tra le gambe, ripetendo meravigliato: “Ho incontrato un drago! “, accontentandosi, perciò, di esser uscito vivo da quella “interessante” tenzone dialettica.

          • il Matto ha detto:

            “Tutto ciò, è bellissimo.

            Per quanto mi riguarda mi fermo qui.

            Tutto il resto, ripeto per me, è più o meno interessante accademia.

            Quel che conta è “le beau gest”, circa il quale un giorno annoierò te e gli atri Stilumcuriali 🤩

          • Adriana 1 ha detto:

            Enrico caro,
            un vero peccato che tu consideri la tenzone tra Confucio e il Bandito “mera accademia”…si potrebbe dire lo stesso dei dialoghi socratici. Che fai? imbavagli i dialoganti- come tanti fanno anche qui- quando non accettano un pensiero diverso da quello- unico- che essi hanno adottato?
            Un vero peccato- il testo si trova nelle prose attribuite a Chuan Tzi- perchè in esso, con qualche secolo di antiveggenza, si ritrova esaminato il problema dell’uomo naturale, non necessariamente “buono”, (secondo i criteri variabili delle differenti, eppure grandi civiltà). Per fortuna il tuo pensiero- di norma- rifugge dal fanatismo… Non sarà che ora ti metti ad apprezzare il Cristianesimo
            – leggermente ipocrita- di un Nobunaga? 😊

          • il Matto ha detto:

            Nell’intento di essere conciso mi sono spiegato male.
            Non c’era alcun disprezzo nei confronto dei dialoghi di chicchessia.

            Mi riferivo al mio personalissimo modo di pormi che, come sai bene, è apofatico, e per questo, alla lunga, anche i più bei discorsi – a partire dai miei e ammesso che siano bei discorsi – finiscono per essere un mucchio di chiacchiere.

            A mio parere, chi ha la grazia di percepire il Bello e di adeguarvi i propri gesti al meglio che può, ha raggiunto il massimo traguardo e non ha più necessità non solo di parlare ma anche di rifarsi a quel che hanno detto gli altri.

            Avrai intuito che io non ho (ancora) raggiunto il massimo traguardo.😁

          • Adriana 1 ha detto:

            Caro Matto,
            qualcuno ha detto che, per raggiungere il bersaglio, bisogna indirizzare la freccia più alta del bersaglio…
            Il Poeta questo lo sa…ho sempre supposto che in te si celasse l’animo di un Poeta…:” La Poesia sana le ferite
            inferte dall’Intelletto. ” ( Novalis ). Fior di loto o Nontiscordardime, sono entrambi fiori paradisiaci.

          • il Matto ha detto:

            Il tuo complimento mi fa sentire … bello! 😊

            Il tuo riferimento all’indirizzare la freccia al di sopra del bersaglio ha immediatamente richiamato alla mia mente un bel brano di Pierre Lecomte du Nouy:

            “Per collaborare veramente al compito divino, l’uomo deve porre il suo ideale il più alto possibile; più su del suo raggiungimento, se è necessario.
            Un ideale inaccessibile che guidi tutta la nostra vita, come le stelle guidano il navigante, è di gran lunga preferibile a una mèta mediocre che, una volta raggiunta, ci costringe a sceglierne una nuova”.

            Ciao.

  • Sandro ha detto:

    Ma che Genesi ha letto? Dottore per favore scelga commentatori credibili!!

  • R.S. ha detto:

    Provocanti considerazioni, a cominciare da un uso improprio dell’aggettivo infinito relativamente alla finitudine della creatura, anche se è comprensibile il senso con cui è scritto, specialmente se consideriamo l’immortalità dell’anima.

    Per l’essere umano alla morte del corpo non consegue quella dell’anima, mentre il peccato può rendere spiritualmente morto anche un corpo in piena forma.

    Questi distinguo dell’antropologia cristiana introducono al tema di far morire un altro, deliberatamente. Il quinto comandamento sintetizza il tutto in “non uccidere”.

    La realtà è sempre più articolata delle norme legislative, per cui alla tecnica di sbandierare il “caso pietoso” si ricorre per far sembrare doverose, poi legali e infine lecite anche le derive più terrificanti (penso all’aborto).

    In tema di pena di morte possiamo pensare ai molti modi in cui qualcuno uccide:
    -quasi inconsapevolmente come un soldato al fronte che spara senza sapere chi colpirà, o chi bombarda e non sa chi morirà…
    -colposamente, in un incidente stradale o durante una battuta di caccia che prende una piega imprevista
    -colpevolmente, per l’incuria di aver trascurato la sicurezza facendo lavorare in condizioni pericolose
    -deliberatamente, uccidendo un altro per le più disparate ragioni che vanno dall’odio volontario verso la vittima, al voler dare sollievo al dolore di un malato, o al far finire una gravidanza indesiderata;
    -per applicare la legge, in caso di pena di morte.

    In questo ampio e non esaustivo ventaglio non mi sembra il caso di equiparare con disinvoltura la punizione che viene inferta al singolo assassino o il milite dell’esercito nemico cui è stata dichiarata guerra.

    Non fosse altro perchè l’eroismo della flotta cristiana a Lepanto non ha nulla a che vedere con l’eroismo con cui si dovette combattere dopo le porcherie politiche che condussero a stare in trincea sul Piave o nelle guerre napoleoniche.

    Non fosse altro perchè Alessandro Serenelli, non giustiziato dopo l’omicidio di Santa Maria Goretti, coronò con la conversione una vita inizialmente sbagliatissima.

    La pena di morte può essere meno dura di certe detenzioni. Il problema è chi la commina: uno Stato, cioè un uomo. E non è Dio anche se lo facesse in nome di Dio. Oggi poi quasi tutti gli Stati lo farebbero senza un minimo interesse per Cristo e in molti stati la legge del taglione stride proprio con Lui.

    Mons. Eleganti sa bene che la vita va sempre difesa.
    Anche quella dei colpevoli. Quindi il suo ragionamento e anche il Catechismo non meritano critiche gratuite.

    Come ultimamente accade di frequente, l’ambiguità viene dall’intenzione con cui in nome dell’essere l’uomo a immagine di Dio (un riflesso, una rappresentazione) si può dire una cosa e il suo contrario. Inoltre l’uomo storico non è Dio e poi non è nemmeno la creatura perfetta che fu creato, perchè c’è il peccato originale.

    Quindi il limite della “dignità infinita” versione 2024 è di essere capziosa, giustificando solo gli amici e criticando i nemici, usando Dio nel contesto di una politica pastorale e non della rigorosa razionalità con cui la Chiesa ha sempre parlato in temi tanto delicati.

    Mons. Eleganti non è un sostenitore della pena capitale perchè conosce bene l’uso politico che la pratica molto al di là delle asettiche considerazioni del diritto.
    Giustamente fa notare che metterla in discussione nel modo in cui è stato fatto (senza per altro rincrescersi della recente leggerezza in tema di aborto, di somministrazioni farmacologiche o di eutanasia) stride con la sapienza bimillenaria della Chiesa che tra i suoi santi ha anche (San Paolo) chi stava tra gli assassini, ma poi si è convertito.

  • Federico ha detto:

    Articolo preciso, teologicamente e moralmente corretto: non per nulla si basa su Bibbia, Vangelo, rivelazioni e tradizione bimillenaria della Chiesa.
    Chi lo contesta, cita a sproposito insegnamenti distorti ed erronei.
    L’uomo è stato creato ad immagine di Dio, ma vi è poi stato il peccato originale con tutte le conseguenze.
    Fare finta che non vi sia il male e non sussista il diritto-dovere di porvi un argine è, più che dannoso, folle.
    Fatta tale necessaria permessa, va da sé che la vita deve essere protetta quanto più possibile; ciò vale anche per quella dei colpevoli.
    È altrettanto evidente che tale principio non è assoluto, trovando esso diversi limiti.
    La legittima difesa o lo stato di necessità sono tra questi.
    Se un uomo spara ad un terrorista che sta facendo esplodere una bomba in un asilo compie un’azione doverosa e giusta, a prescindere dalle motivazioni del terrorista.
    Analogamente se un esercito interviene a difendere il proprio popolo da un’aggressione o dal saccheggio e dal massacro da parte di un invasore, ciò è evidentemente meritorio. La storia attesta numerosi esempi in cui Dio stesso è intervenuto direttamente o indirettamente in tal senso; si pensi a Santa Giovanna D’Arco o altri re santi che hanno liberato i loro popoli attraverso azioni di guerra difensive. Anche la pena di morte, intesa come estrema ratio, è da considerarsi doverosa quando necessaria a salvare altre vite o l’esistenza di stati, nazioni o società.
    Ovviamente fuori dei limiti suddetti è da considerarsi sempre un omicidio e uno strumento contrario sia alla volontà che ai disegni di Dio.
    Affermare che la pena di morte è sempre e comunque inammissibile non è dunque corretto; e bene ha fatto la Chiesa, con i suoi santi, teologi e Dottori ad insegnare in tal senso. Ciò non è affatto in contrasto con l’insegnamento di Cristo del porgere l’altra guancia, da intendersi chiaramente non come salvacondotto agli altrui abusi ma come inclinazione alla bontà, al perdono e non alla vendetta. Quando ciò dovesse risultare vano esiste anche il diritto all’uso della forza. Ciò è esplicato dallo stesso Gesù quando avvisa coloro che commettono ingiustizie: “Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all’ultimo spicciolo!”.

  • Giovanni ha detto:

    ” la correlazione fra Dio , la guerra e la pena di morte e rivoltante ” …. con l’Apocalisse come la mettiamo ?

    • il Matto ha detto:

      La mettiamo che se l’Apocalisse è Parola di Dio, la guerra è nel disegno di Dio. E che forse mai come di questi tempi tale disegno si sta realizzando. Dunque porte aperte ai guerrafondai, ovviamente con la gioia nel cuore perché ciò che conta è la realizzazione del disegno di Dio. Ovvero: ciò che dice Dio DEVE accadere.

      D’altra parte non si prega Dio dicendo “sia fatta la Tua volontà”? Ed i famosi Quattro Cavalieri non stanno servendo a tale volontà?

      Ah! la guerra! Una vera benedizione!

      • giovanni ha detto:

        ” se l’ Apocalisse e’ parola di Dio …. ” dunque la Scrittura e’ inaffidabile ?

        • il Matto ha detto:

          Quel “se” non è dubitativo, ma confermativo e però anche conseguenziale.

          La Scrittura non è un racconto anodino, bensì è la Parola di Dio che è creatrice, e quindi crea –fa sì che sia – quel che dice, quindi anche la guerra.

          Nessuno vorrà affermare che gli uomini potrebbero impedire gli avvenimenti previsti/creati nell’Apocalisse.
          Ciò comporterebbe che la volontà degli uomini potrebbe contrastare o addirittura annullare la volontà di Dio.

          • giovanni ha detto:

            ” quel se non e’ dubitativo ” complimenti, un vero virtuoso nella difficile arte di districarsi con le parole….. ma il se e’ in se dubitativo.

          • il Matto ha detto:

            Ritento:

            l’Apocalisse è Parola di Dio.
            La parola di Dio è creatrice, quindi crea –fa sì che sia – quel che dice, quindi anche la guerra.
            La guerra è nella Parola di Dio, quindi nella Sua Volontà.
            Gli uomini non possono opporsi alla Volontà di Dio.
            La guerra DEVE esserci.

            Adesso vuol essere così gentile da commentare?

  • il Matto ha detto:

    “Ma chi la mette al bando (la pena di morte) come ultima ratio in ogni caso mette in discussione la Parola di Dio”.

    Mamma mia!

    Dal canto mio, ribadisco quanto scritto nel mio articolo “Bellona” del 29 aprile:

    «OGNI essere umano è fatto ad IMMAGINE E SOMIGLIANZA DI DIO […] Ogni immagine e somiglianza di Dio che uccide un’immagine e somiglianza di Dio è un’aberrazione prima che un non senso, e nessuna immagine e somiglianza di Dio può disporre di uccidere altre immagini e somiglianze di Dio.

    La correlazione fra Dio, la guerra e la pena di morte è rivoltante.

    Credo che sfugga completamente il significato quasi insondabile dell’UOMO e della DONNA quali IMMAGINI E SOMIGLIANZE DI DIO.

    A meno che non si tratti di un dio della guerra e della morte, che vanno ad aggiungersi al destino non di rado agghiacciante dei posteri che devono scontare la colpa dei Progenitori per i quali non c’è stata misericordia e possibilità di emendarsi.

    A parte il fatto che “inviolabile” è parola assai più stringente di “infinita”.

    Se è inviolabile è … inviolabile. Da chicchessia e su disposizione di chicchessia..