Lasciarsi Essere Silenzio… Una Meditazione. R.S.

5 Marzo 2024 Pubblicato da

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, offriamo alla vostra attenzione queste riflessioni di un amico fedele del nostro sito, che ben conoscete, R.S., che ringraziamo di cuore. Mi hanno ricordato una poesia di Ada Negri, che amo molto, Atto d’Amore, e che termina: “e nel silenzio degli esseri il mio cuore oda Te solo”. Buona lettura e meditazione.

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Lasciarsi essere silenzio.

Anche scrivendo si è silenziosi, ma non si tace.
Oltre al rumore dei polpastrelli sulla tastiera rimbomba il desiderio di esprimere una preghiera, un pensiero, un’opinione, un appello, uno sfogo, un’ammonizione…

Tutto quello che non tace, dice.
Anche il silenzio dice.
L’essere non è vuoto: non è il nulla.
E l’abbandono, lo svuotamento, la penitenza quaresimale, costituendo un anelito a Dio non tendono al nulla, ma al Tutto.
Viceversa il riempirsi di cose vuote fa si che ci frammentiamo, disperdendoci e illudendoci di poter fare tutto, ma svanendo nell’apparenza.

Il cuore dell’uomo pulsa più del ritmo che serve a contrarre il muscolo per pompare sangue.
Segue i ritmi del congetturare, dell’indagine, dell’anelito al vero, dell’amore…

Il cuore dell’uomo, dell’essere che resta umano, racchiude un mistero inossidabile agli schemi e irriducibile alle massificazioni: un unicum che descrive un soggetto irripetibile che ha la facoltà di protendersi nell’universo e che questa facoltà può esercitarla salvo essere costretto in molti modi a dimenticarsi d’averla.

La storia pullula di sistemi miranti ad impedire questo naturale esercizio del sé.

A destare stupore, quasi incredibile, è che questa soggettività sana possa essere capace di oggettività: ovviamente il punto di vista sarà sempre differente (basta un mal di denti per far cambiare la prospettiva sulla giornata che scorre davanti agli occhi), eppure all’uomo non è preclusa la capacità di raggiungere punti fermi. Beninteso: NON li crea, li raggiunge e li scopre.

L’uomo si scopre dono: un ricevente. Si specchia e si comprende. E scambia la conoscenza di sé nella relazione che intesse con altre creature come egli è.

Se è umile, se scende dal gradino e dal piedestallo dove potrebbe ritagliarsi un ruolo non suo, gli si rivela Dio. E’ Dio a rivelarsi e l’uomo lo accoglie: se è umile lo accoglie per come gli si rivela, altrimenti costruirà idoli, ad ogni livello: politico, sociale, religioso, fate voi…

Da questo proliferare di pretese discendono contese, conflitti e tutta l’impurità che il cuore umano sa produrre da dentro (Marco 7). Il contrario dei frutti dello Spirito santo (Galati 5).

L’umanità diventa una matassa inestricabile. Chi tace acconsente, o non dice niente? Chi parla fa danno, oppure annuncia la Verità? Chi esprime un parere giudica e perciò manca di amore? E se non so distinguere il bene e il male, come potrò amare?

L’assenza dell’Essere, l’avversario del bene e del vero (ma anche del bello), è specialista nel confondere le carte. Perciò la non belligeranza interiore di un cuore pacificato nella Verità (che resta tale anche in croce), deve combattere una guerra durissima, necessaria, inevitabile, per liberarsi dalla prigione dell’inganno, utilizzando tutte le armi spirituali dell’arsenale (Efesini).

Non esiste la pace dei sensi, può esistere solo la Grazia di una pace che viene da Dio incarnato in quello specialissimo essere umano che ha creato e salvato, redimendolo dal campo di concentramento (il mondo) in cui è stata seminata abbondantissima zizzania.

Un vero c’è. E chi insegna a dubitarne gli è nemico.

Poi ci sono gli inganni: verissimo che dispotismo e democrazia non sono così dissimili come prigioni: come dicevo all’inizio ci sono tanti sistemi per “far pensare” a molti quel che desidera uno. In assenza della luce (interiore) si fa in fretta ad abboccare all’amo.

In definitiva?
Come se ne esce?
Tacendo, scrivendo, urlando?
Dandosi ragione da soli?
Dando ragione a tutti?

L’uomo è un mistero a se stesso, ma è sospeso tra due stupori: il primo è quando si chiede “ma come è possibile?”… il secondo quando si stupisce di quel che vede: “che meraviglia!”. E’ il percorso dal primo mistero della gioia (l’annuncio angelico a Maria) al quinto della gloria (la creatura che ha permesso l’incarnazione di Dio è la regina del cielo tra angeli e santi).

So spiegare tutto? Ho capito tutto? Certo che no.
Però è così e mi basta. Allora taccio, per contemplare.
Non sto zitto per dire che è meglio tacere.
Non urlo odiando, non urlo per spiegare ciò che ricevo in dono. Mi basta il dono (e il perdono per tutte le volte che l’ho sprecato o ho impedito ad altri di potersi accorgere che è anche per loro). La Verità è Cristo.
E’ venuto nella storia a salvarci.

NOTA BENE: ha detto che tornerà. Vieni presto

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5 commenti

  • stilumcuriale emerito ha detto:

    Può darsi che io sia diversamente intelligente ma vorrei chiedervi: voi riuscite a pensare senza parole? E senza mentalmente rivolgervi a qualcuno, che potreste essere voi stessi, un altro, Dio o un santo o chicchessia?

    • lL MATTO ha detto:

      Parlo per me. È impossibile pensare senza parole come pure è impossibile pensare senza il riferimento a un oggetto da pensare. È la mente che, pensandolo, crea l’oggetto e lo nomina. È un meccanismo scontato. Il tema è: cosa resta (povertà del linguaggio) se si fanno decantare pensieri e parole, che ineriscono la relatività?

  • R.S. ha detto:

    Caro Matto,
    i tuoi spunti sono ottimi (ricordo anche quello della non belligeranza interiore).
    Uno spunto è l’abbocco del suggeritore a teatro, con la differenza che poi non è necessario continuare a recitare secondo il tuo copione.
    Non so se vi sia contestazione alla tua conclusione e non era mia intenzione contestarla, anche se già molte altre volte si è capito che la via verso la Verità segue percorsi alternativi.

  • il Matto ha detto:

    Vedo che il “lasciarsi essere silenzio” di Guardini, che ho citato nel mio articolo “Verso l’Unione, o verso la Disintegrazione?”, le è rimasto impresso ed ha suscitato queste sue riflessioni.

    Forse mi sbaglio, ma nel finale quel “Non sto zitto per dire che è meglio tacere” mi suona come una “contestazione” alla conclusione del mio articolo in cui cito Giovanni Taulero: «SII MOLTO SICURO CHE SE PARLI LA PAROLA DOVRÀ TACERE».

    Cordialmente.