Giacché Ti Fece Amor Povero Ancora. Carlo Maria Viganò.

28 Dicembre 2023 Pubblicato da 8 Commenti

 

 

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 Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, riceviamo e volentieri pubblichiamo questa omelia dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò. Buona lettura.

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GIACCHÉ TI FECE AMOR

POVERO ANCORA

Omelia di S.E. Mons. Carlo Maria Viganò Arcivescovo

per il Pontificale nella Natività del Signore

Puer natus est nobis,

et filius datus est nobis:

cujus imperium super humerum ejus

et vocabitur nomen ejus magni consilii Angelus.

Is 9, 6

La solennità odierna costituisce il compimento delle promesse che il Signore ha fatto al Suo popolo; promesse racchiuse nelle antiche Profezie, ad iniziare da quella del Protoevangelo, in cui si menziona la stirpe benedetta della Donna quale vincitrice della stirpe maledetta del Serpente. E io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra il tuo lignaggio e il lignaggio di lei; questo ti schiaccerà il capo e tu le insidierai il calcagno (Gen 3, 15). Isaia precisa con solennità: Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace (Is 9, 6).

Alla Messa in nocte l’Introito ci ha mostrato la generazione del Figlio di Dio dal Padre nell’eternità del tempo: Dominus dixit ad me: filius meus es tu, ego hodie genui te. Quell’eternità contemplata nella notte – il cui silenzio evoca appunto il Mistero di Dio – si cala con l’Incarnazione della Seconda Persona della Santissima Trinità nella Storia del genere umano. Ecco allora la Messa dell’aurora che squarcia le tenebre del peccato in cui si trova l’umanità: Lux fulgebit hodie super nos, quia natus est nobis Dominus. Una luce è sfolgorata oggi sopra di noi, perché è nato per noi il Signore. Poi, con la Messa in die, ecco mostrarsi l’umanità del Salvatore: Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità e sarà chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace (Is 9, 6). Puer, dice la Scrittura. Ma puer non significa solo bambino, bensì anche servo, perché è nell’obbedienza al Padre che il Figlio accetta di spogliarSi della Sua divinità, formam servi accipiens in similitudinem hominum factus, et habitu inventus ut homo; assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini, e apparso in forma umana (Fil 2, 7). Quel nobis, quel per noi, esprime dunque lo scopo dell’Incarnazione e della Passione del Signore, promessa ai nostri Progenitori per riscattare la loro progenie caduta con il peccato e compiutasi con la venuta al mondo, secundum carnem, del Verbo eterno del Padre. Comprendiamo bene per quale motivo la saggezza della Santa Chiesa ci faccia inginocchiare ogni volta che ricordiamo il Mistero ineffabile della Carità divina: et verbum caro factum est, et habitavit in nobis (Gv 1, 14).

Il Verbo si è fatto carne: se pensiamo a queste parole non possiamo non rimanerne abbagliati, contemplando l’infinita bontà di Dio dinanzi alla nostra indegnità e miseria. Ma ancor più abbagliante della luce che rischiara le tenebre della Notte santa – santa perché segna l’ingresso dell’Uomo-Dio nella Storia e nel mondo – è la luce che ha rischiarato la notte del Sabato Santo, quando il corpo di Gesù Cristo martoriato, flagellato, inchiodato alla Croce e infine deposto nel sepolcro è risorto da morte, trionfando sul Nemico del genere umano e compiendo l’antica promessa contenuta nelle Sacre Scritture.

Nel silenzio dell’eternità si compie l’eterna generazione del Figlio dal Padre; nel silenzio si è compiuta l’Incarnazione, dopo il Fiat di Maria Santissima; nel silenzio della capanna di Betlemme nasce il Redentore; nel silenzio del sepolcro Egli risorge. E nel silenzio del Santo Sacrificio della Messa Gesù Cristo, per le parole del sacerdote, scende ogni giorno sull’altare per farSi cibo e bevanda di salvezza.

Qui propter nos homines et propter nostram salutem descendit de cœlis: Egli è disceso dal cielo per noi uomini e per la nostra salvezza. Natus est nobis. Datus est nobis: il Signore non è soltanto nato per noi, ma si è dato a noi, e al posto nostro – come primizia del genere umano – Egli ha voluto morire, in obbedienza ai decreti dell’eterno Padre, per redimerci, riscattarci dalla colpa infinita di cui Adamo ed Eva si erano macchiati, e da tutti i peccati commessi da tutti gli uomini di tutti i tempi. Solo Dio poteva infatti riparare quell’infinita offesa a Dio; solo un Uomo poteva riparare a nome degli uomini: ecco il perché dell’Incarnazione di Dio.

Quando contempliamo Gesù Bambino adagiato in una mangiatoia e avvolto in fasce dobbiamo comprendere che quel Puer – nella duplice accezione di bimbo e di servo – inizia la propria Passione sulla paglia pungente della greppia, nel freddo della notte del 25 Dicembre: a Te che sei del mondo il Creatore, mancano panni e fuoco, o mio Signore! esclama Sant’Alfonso nel canto che tutti conosciamo. Quanto questa povertà più m’innamora: giacché Ti fece Amor povero ancora. Per questo motivo la pietà popolare, istruita dalla solida dottrina, ci mostra l’immagine del Bambinello che dorme adagiato sulla Croce. Per questo nelle raffigurazioni medievali vediamo, vicino alla grotta, ergersi la Croce del Golgota: Perché tanto patir? Per amor mio!

Perché il Presepe ci è così caro? perché la scena della Natività è presente da sempre come simbolo del Natale? Forse perché vi vediamo rappresentata la Sacra Famiglia? o per via della suggestiva cornice dei pastori, dei Magi, del bue e dell’asinello? Quel Presepe – che la devozione ha custodito intatto nel corso dei secoli – ci è tanto caro perché in esso troviamo annunciata la nostra Redenzione per sanguinem ejus (Ef 1, 7), e ci struggiamo nel vedere quel Puer – l’Annunciato dai Profeti, l’Atteso, il Desiderato di tutti i popoli – che viene al mondo per noi, e per morire per noi, e per riparare alla morte eterna che noi ci siamo dati disobbedendo a Dio. Gesù Cristo nasce per morire, e ci stringe il cuore – se solo osiamo pensarci davvero, e non con superficialità – fissare lo sguardo del Bambinello che non ha fatto in tempo a nascere e già soffre nelle Sue carni santissime, e soprattutto si prepara a soffrire i tormenti della Passione di cui noi, creature ingrate, siamo la causa.

Gesù nasce povero. Povero non di una mancanza imposta e non voluta, ma di quella privazione totale che porta Dio stesso, il Verbo di Dio, ad annullarsi – exinanivit, dice San Paolo (Fil 2, 7), a celarsi, a rinunciare alla gloria perfetta del Cielo per farSi carne: il Verbo che Si fa carne. E assume quella carne, quel corpo divino – in virtù dell’unione ipostatica – per soffrire, patire, morire, lasciarSi flagellare, coronare di spine, bastonare, ferire, insultare, coprire di sputi e infine uccidere per noi, per riportarci al nostro destino di beatitudine eterna, che pure avevamo assaporato nel Paradiso terrestre e che abbiamo perduto, cedendo alla tentazione del Serpente. Una tentazione che era palesemente un inganno: eritis sicut dii, sarete come dei. Ma noi eravamo già sicut dii, immortali e perfetti, senza malattie, senza difficoltà nell’apprendere, senza esser soggetti alle passioni. Vivevamo nel Giardino dell’Eden alla presenza di Dio e non avevamo bisogno di nulla, perché a tutto provvedeva la magnificenza del nostro Creatore. Eppure abbiamo preferito credere alle menzogne di Satana e disobbedire a Dio, che ci aveva dato tutto. Ebbene, quel tutto che avevamo ricevuto gratuitamente è stato incomparabilmente superato dal dono di Sé che Dio ha voluto compiere in risposta alla nostra ingratitudine: il dono di Sé nell’Incarnazione e nella Redenzione, sicché alla nostra offesa infinita Egli ci ha sì cacciati dal Paradiso terrestre, ma ci ha anche dato Suo Figlio per riparare ai nostri peccati, con una generosità e una bontà che solo Dio può mostrare. O felix culpa!

Il Presepe ci parla di questo Amore infinito, che Dio compie seguendo una pedagogia divina: Egli ci dona Sé stesso – cosa che non possiamo nemmeno comprendere in tutta la sua ineffabile grandezza – ma chiede sempre la nostra cooperazione; non perché Egli ne abbia bisogno, ma perché vuole che al Suo tutto si associ il nostro nulla, per elevarlo, nobilitarlo e santificarlo. Il Signore ha chiesto il permesso alla Vergine per incarnarSi nel Suo seno e in vista del Suo Fiat l’ha preservata dal peccato. Egli può darci tutto, fino a Sé stesso, a patto che anche noi rispondiamo a questo Amore infinito – amore di Carità perfetta – con l’unica cosa che possiamo restituire con tutto il nostro essere: l’amore soprannaturale. E come il padre regala al figlio i soldini con cui comprargli il regalo di Natale; come il re della parabola dona agli invitati la veste con cui presentarsi alle nozze, così il Signore giunge al punto di donarci la Grazia soprannaturale con cui ricambiare il Suo amore. Quando ascoltiamo le parole della divina Sapienza, Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato (Lc 14, 11), dobbiamo non solo sentirle rivolte a noi come monito a riconoscere il nostro nulla per essere ricolmati del tutto che il Signore ci dona – quia respexit humilitatem ancillæ suæ (Lc 1, 48) – ma anche come segno profetico dell’Amore divino che si umilia e come punizione ineluttabile dell’orgoglio di Satana: dispersit superbos mente cordis sui, deposuit potentes de sede, divites dimisit inanes.

L’odio verso Cristo – testata d’angolo e pietra d’inciampo su cui si schiantano i Suoi nemici – è motivato proprio dalla incapacità per orgoglio di comprendere il Mistero di Carità che porta Dio a farSi uomo, il Signore a farSi servo; o quantomeno di inchinarsi adoranti dinanzi a questa Carità che è Dio. Deus caritas est (I Jo 4, 8). E, come ammonisce San Giovanni: qui non diligit, non novit Deum, chi non ama non conosce Dio (ibid.). L’incapacità di amare e di lasciarsi amare è, in definitiva, ciò che scava l’abisso tra la Carità infinita di Dio e il nostro miserabile orgoglio, che ci fa rifiutare tanto l’Amore del Signore nei nostri confronti, quanto l’amore che Egli mediante la Grazia ispira verso di Sé nel nostro cuore malato. È la Carità che brucia i nostri peccati, che purifica la nostra anima, che ci innalza alle vette della santità rendendoci veramente simili a Dio; mentre l’amore per noi stessi, per le seduzioni del mondo, per i piaceri della carne ci sprofonda nell’unico abisso dal quale nemmeno l’onnipotenza del Signore ci può strappare, perché fa di noi, del mondo e del diavolo i nostri idoli, i falsi dèi che non possono darci nulla se non la morte.

Dobbiamo comprendere l’inganno infernale che il demonio ci tende ogniqualvolta nel tentarci ci illude di poterci affrancare da Cristo e dalla Sua Legge. Più ci innalziamo credendoci liberi di poter pensare, agire e parlare come vogliamo, più la nostra anima è avvinta dalle catene che le impediscono di salire a Dio; più ci riempiamo di noi stessi, meno spazio lasciamo alla Grazia. Dobbiamo invece ascoltare quel Verbo divino che ci ha dato per primo l’esempio di umiltà e di obbedienza fino a farSi uomo e a morire per noi. Dio che non ha bisogno di nulla Si rende bisognoso di tutto, perché noi che siamo bisognosi di tutto possiamo trovare in Lui ciò che nessuna creatura, nemmeno gli Angeli, osano sperare.

Guardiamo al Presepe, dunque, e in esso contempliamo commossi l’umiltà della Vergine che la Trinità ha voluto divenisse Madre di Dio: ecce enim ex hoc beata me dicent omnes generationes. Guardiamo l’umiltà di San Giuseppe, silenzioso e forte custode della divina Famiglia. Guardiamo all’umiltà degli Angeli, che a differenza degli spiriti ribelli intonano il Gloria su quella povera capanna dove nasce, nell’umiltà, il Messia promesso. Guardiamo all’umiltà dei pastori, ai loro semplici doni, alla loro fede pura, al fatto che la povertà materiale non ha impedito loro di riconoscere l’unico tesoro che meriti di essere custodito gelosamente: quel figlio di Giuseppe, della tribù regale di Davide, che con il Suo vagito di pargoletto irrompe nelle tenebre del mondo per portarvi la luce, per essere vera e sola Luce Egli stesso – come dirà tra pochi giorni Simeone – Lumen ad revelationem gentium, et gloria plebis tuæ, Israël (Lc 2, 32). E così sia.

25 Dicembre 2023

In Nativitate Domini

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8 commenti

  • G. D. ha detto:

    Eccellenza, si, nel silenzio della capanna di Betlemme è nato il Redentore e nel silenzio del sepolcro Egli è risorto, ma le chiedo:
    ◾nel silenzio del Santo Sacrificio profanato e invalidato da chi cita il nome dell’antipapa “eretico” privo del Munus Petrino, può ancora Gesù Cristo scendere ogni giorno sull’altare per farSi cibo e bevanda di salvezza?
    NO. E TANTOMENO A NATALE.

    Perché, come ci insegnava il nostro ultimo Santo Padre Benedetto, “LA SS. EUCARISTIA PUÒ ESSERE ACCOSTATA “SOLO” NELL’UNITÀ CON LA SUA “AUTORITÀ” e con tutta la Chiesa…
    ◾La comunione col papa è la comunione con il tutto, senza la quale NON VI È COMUNIONE CON CRISTO .”
    http://papabenedettoxvitesti.blogspot.com/2009/07/card-ratzinger-1977-la-comunione-con-il.html?m=1

    Anche papa S GPII in Ecclesia de Eucharistia n 39, ha ribadito che è grande VERITÀ che l’eucaristia è VALIDA SOLO se celebrata in comunione col vero papa e la sua Chiesa.
    E in DOMENICAE CENAE-(Sacralita’) ci ha spiegato che il “SACRUM ” del Mistero Eucaristico “CESSA” a contatto col PROFANO, perché non vi può essere continuità tra SACRO e PROFANO:
    🔥 QUEL «SACRUM» NON PUÒ NEMMENO ESSERE STRUMENTALIZZATO PER ALTRI FINI.
    ◾ IL MISTERO EUCARISTICO, DISGIUNTO DALLA PROPRIA NATURA SACRIFICALE E SACRAMENTALE, «CESSA» SEMPLICEMENTE DI ESSERE TALE.
    ◾ESSO NON AMMETTE ALCUNA «PROFANAZIONE».

    Ed evidentemente, troppo pochi sono i sacerdoti che conoscono l’enciclica “QUARTUS SUPRA-06/01/1873″, attraverso cui papa Pio IX, ha sancito il “divieto” di citare il nome di “ERETICI” nel momento più Solenne del S. Sacrificio:

    “… i NOMI DI COLORO I QUALI SONO SEPARATI DALLA COMUNIONE CON LA CHIESA CATTOLICA, vale a dire, DI COLORO I QUALI NON CONCORDANO SU TUTTE LE MATERIE CON LA SEDE APOSTOLICA, ◾ NON SONO DA ESSERE LETTI DURANTE I SACRI MISTERI.”
    (perché è sacrilegio!)
    https://www.vatican.va/content/pius-ix/it/documents/enciclica-quartus-supra-6-gennaio-1873.html

    Decreto ribadito con fermezza anche da Papa Benedetto XIV nell’enciclica “EX QUO PRIMUM “:

    23 ….I Sacri Canoni della Chiesa VIETANO DI PREGARE PUBBLICAMENTE PER GLI SCOMUNICATI, come si legge nel A Nobis (cap. 4, n. 2) e nel cap. Sacris, De Sententiae Excomunicationis.
    ◾Quantunque niente vieti che si possa pregare per la loro conversione, tuttavia NON SI DEVE PERMETTERE CHE I LORO NOMI SIANO PRONUNCIATI NELLA PREGHIERA SOLENNE DEL SACRIFICIO❗

    Per chi avesse dubbi su Bergoglio eretico, solo qualche prova documentale ⬇️
    https://youtu.be/5fPyn_imYAg

    https://youtu.be/gQlyOc9LqKI

    Ma oggi, quanti sono i sacerdoti della vera Chiesa che professano la dottrina cristiana e celebrano validamente la S. Eucaristia NON in comunione con l’impostore senza Munus JMB, perché non canonicamente eletto in un INVALIDO CONCLAVE ?

    Sappia Monsignore, che io quest’anno non ho potuto partecipare alla messa di Natale, perché nella mia città di Treviso l’abominio della desolazione nei templi Santi è generale, visto che tutti i sacerdoti, pur con piena coscienza che Bergoglio è l’antipapa eretico stabilito della massoneria, si rifiutano di uscire dalla sua anti-chiesa e celebrano invalidamente e illecitamente in comunione con lui e il suo ministero anticristico pro-lgbt.

  • R.S. ha detto:

    La povertà di Gesù e della Sacra Famiglia è diversa da quella socio-economica cara alle riletture moderniste.
    Nel mistero del Natale a campeggiare potentemente è la povertà di spirito (l’umiltà) dei protagonisti e non la loro indigenza. La povertà di spirito dei protagonisti consiste nella fiducia nella Provvidenza, prima che nelle loro sicurezze (incluse quelle legali del giusto Giuseppe).
    Dio tesse la storia e loro in quella trama e in quell’ordito ci si mettono confidenti. Maria è prossima al parto e un ordine dei romani impone proprio allora un lungo e faticoso trasferimento? Ma è quel trasferimento inopportuno e forzato a compiere la profezia di Michea.
    Essa non si limita al solo -più famoso- capitolo 5, ma anche al 4, con la torre delle greggi a collegare la messianicità al re Davide e agli agnelli da immolare per pasqua, sempre secondo le parole di Michea.
    Anche il non trovare alloggio in città è provvidenziale, conducendo Giuseppe (uomo intelligente e volitivo, conoscitore dei luoghi) a individuare una sistemazione sufficientemente dignitosa e ancora legata alla profezia.
    Purtroppo questa vicenda avrà bisogno anche della morte dei santi innocenti. Ma anche le loro anime sono nella gloria di Dio (come quelle dei ben più numerosi abortiti dagli Erodi attuali).
    Anche i pastori che ricevettero l’annuncio angelico del Natale di nostro Signore non erano dei pezzenti emarginati come piace ripetere all’esegesi modernista.
    Fare il pastore riguardò Abele, Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, Davide, Amos… Non proprio dei personaggi comuni ed insignificanti dell’Antico Testamento. Anche donne, come Rachele!
    Betlemme era il luogo in cui venivano selezionati gli agnelli (senza macchia né difetto) per la Pasqua e c’erano pastori deputati ad eseguire questa selezione e a sorvegliare questi agnelli così particolari.
    Il che non toglie che dovessero anche dormire all’aperto, mungere, produrre formaggi, tosarle, procurare la lana ai tessitori, portare il gregge al pascolo etc. Gesù non si vergogna affatto di loro e anzi si proclama anche il buon pastore!
    Sarà la letteratura successiva a dipingere i pastori come dei poco di buono, ma all’epoca di Gesù non era così.
    Non si tratta di pastori invisi alla classe dirigente, ma incaricati di un’attività importantissima e riconosciuta.
    Siamo noi oggi a ritenere queste cose “futili”, pensando solo al valore commerciale dell’allevamento.
    La nascita di Gesù coincide non solo con il tempo della festa delle luci, ma anche con quello della nascita degli agnelli… C’è tutta la sapienza biblica, rivelazione di Dio, a concentrarsi nella notte del Natale.
    Anche chi non è di religione ebraica nota segni inequivocabili in cielo ed i Magi arriveranno ad adorare il bambino (almeno per quarti, dopo Giuseppe e Maria, dopo gli angeli e dopo i pastori) sapendolo un Re.
    Nemmeno qui la riproposizione stantia della povertà economica e materiale coglie nel segno: piuttosto l’oro portato in dono al re incensato non cancella i segni collegati alla sua morte: l’Agnello sarà offerto in sacrificio di espiazione, la mirra serve per l’unzione.
    Le profezie messianiche si saldano con la Provvidenza nel condurre tutti gli strumenti di Dio al loro posto, compresi gli angeli, compresa la luce, compresi gli indumenti che avvolgono il neonato Gesù e non sono privi di significato per la comprensione dei pastori.
    Il tutto davanti alla Sempre Vergine Maria, ancora secondo una profezia. San Giuseppe è istruito dal Cielo.
    E’ tutto un pregare adoranti, altro che preoccuparsi della povertà materiale. Ad essere crudelmente materiale è il Re Erode, ipocritamente interessato ad adorare anche lui, ma folle di invidia e di violenza.

  • Abraxas ha detto:

    L’anno prossimo però si potrebbe immaginare un bel presepe tradizionalista…Tosatti fa Giuseppe, la De Mari fa la Madonna, Viganò fa Gesù Bambino, Valli l’angioletto e De Mattei e i suoi amici nobilastri i pastori scalzi e fetenti :-))) io e nippo facciamo il bue e l’asinello e Cascioli, Zambrano e Scrosati fanno i re magi! L’ing. Emerito fa il progettista della capanna

  • OCCHI APERTI! ha detto:

    Che splendida omelia!

    Grazie, Monsignore: splenda la Verità sulla Carità e la Carità sia solo in Verità, anche se molti continueranno a vedere Dio – e, in conseguenza, il prossimo più prossimo – con gli occhi del diavolo, non comprendendo il valore della Sofferenza e della Prova, giudicando crudeli le sentinelle, ovvero servi Suoi, e così infierendo – da veri Crudeli! – su se stessi. Condanna autoinflitta e, pertanto, accolta come vanto di esercizio di libertà…

    Possa il Divin Bambinello farci anawim, come Egli stesso si fece!!!

    Che splendida omelia!
    Tanto su cui riflettere, tanto da cui lasciarsi rapire!
    Una lezione della Sapienza sulla idolatrata conoscenza!

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