Divo Barsotti: un Mistico che Denunciò i Frutti Avvelenati del Concilio. Cannarozzo.

3 Novembre 2023 Pubblicato da 14 Commenti

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, con grande gioia offriamo alla vostra attenzione questo articolo di un amico fedele del nostro sito, che è tornato a scrivere dopo un periodo di prove fisiche molto difficili. Buona lettura e diffusione.

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 Divo Barsotti: un mistico che denunciò i frutti avvelenati del Concilio

 

di Antonello Cannarozzo

 

Leggendo il celebre passo dantesco «… nave sanza nocchiere in gran tempesta», possiamo amaramente riferirlo ai tempi tristi che sta attraversando la Chiesa da più di mezzo secolo da quando, con il Concilio Vaticano II, si sono aperte le cataratte della rivoluzione al suo interno.

Lungo tutti questi anni post conciliari sono state scritte pagine nere sulla realtà ecclesiastica, rovesciando i capisaldi della fede, della liturgia, dei dogmi, della sua millenaria tradizione e, purtroppo, è desolante dirlo, tutto si è svolto con l’assenso più o meno colpevole dei vari papi che si sono succeduti in questi anni, i quali non hanno fermato il suo lento declino con il difendere con forza e in modo chiaro le eterne verità della Chiesa.

In questo contesto abbiamo avuto delle eccezioni, sacerdoti che pur propensi al rinnovamento, ma non certo alla sovversione, si sono dovuti presto ricredere sul ‘vento innovatore del Concilio ’ e, da persone libere intellettualmente, hanno saputo vedere gli errori, per non dire gli orrori e le contraddizioni che si stavano consumando in nome della adeguamento verso una desolante modernità.

Tra questi il ricordo va a don Divo Barsotti.

Lo incontrai da giovane cronista quando fui inviato dal mio giornale al Meeting di Comunione e Liberazione nel 1989 a Rimini per una conferenza nella quale si dibatteva, se non ricordo male, sulla realtà nella vita cristiana.

Confesso che ero abbastanza prevenuto verso questo religioso, avevo letto sommariamente la sua storia e delle sue amicizie moderniste di allora, tutte, o quasi, promotrici del ‘famigerato’ Concilio.

A sostegno dei miei preconcetti, allo stesso tavolo dei relatori, c’era quel giorno anche il cardinale belga Godfried Danneels, già allora in odore di ‘progressismo avanzato’ e, per chi non lo ricordasse, fu anche colui che qualche anno prima di morire, scrisse sulla famosa “Mafia di San Gallo” che avrebbe eletto Bergoglio al Soglio pontificio, ma, ovviamente, allora tutto questo ancora era di là da venire.

 

Amato dai giovani

 

Il ricordo di quel suo intervento, anche se a distanza di tanti anni, mi rimase impresso per la capacità che aveva Barsotti nel farsi ascoltare, aiutato, a mio avviso, anche da una sottile inflessione toscana, che sapeva “magicamente” creare l’attenzione di una platea composta quasi tutta da giovani e giovanissimi, nonostante lui non fosse certo un adolescente, aveva già 75 anni.

Era un contemplativo, un predicatore, autore, tra l’altro, di almeno 150 libri tradotti in tante lingue, compreso il giapponese, ma semplicemente era un ‘uomo di Dio’ e tra le 10 grandi figure del secolo scorso, come venne definito nel libro di Pietro Zovatto “Storia della spiritualità italiana” e, addirittura Carlo Bo lo indicò come «uno degli spiriti più alti del nostro tempo, il più importante autore spirituale del nostro secolo».

In merito a ciò, una curiosità che, a mio avviso, descrive bene il personaggio e che forse pochi sanno: pur essendo una figura così profondamente impegnata nella dottrina, in realtà era un autodidatta, non si laureò mai, ad esempio, in scienze teologiche, anche se ne sapeva certamente più di tanti cattedratici, ciononostante la sua attività letteraria e di predicatore confermò la sua profonda spiritualità e una coerenza nella fede, che insieme ad una libertà di spirito, qualità oggi sempre più rara, si rivelarono in lui assolutamente fuori dal comune.

Era nato allo vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale, il 25 aprile del 1914, da una famiglia della piccola borghesia di Palaia, un paese in provincia di Pisa, settimo di nove fratelli.

A soli undici anni lasciò i suoi cari per entrare in seminario, inizialmente forse solo per studiare, ma ben presto si innamorò della vita consacrata e siccome le vie del Signore sono infinite, racconterà qualche anno dopo che a scegliere la vita consacrata fu, tra le altre, la scoperta dell’opera letteraria di Dostoevskij e della letteratura russa in genere.

Un interesse che lo porterà negli anni ad avvicinarsi in maniera profonda anche alla spiritualità dell’Europa orientale tanto che si deve a lui la scoperta in Italia dei grandi mistici ortodossi sui quali scrisse nel 1948 il suo primo libro “Cristianesimo russo”, raccontando figure ormai leggendarie come: Serafino di Sarov o Silvano di Monte Athos, insieme ad tanti altri santi personaggi.

Ma torniamo agli anni del seminario.

Il tempo passava e la sua vocazione era sempre più chiara e decisa, così il 18 luglio del 1937, all’età di 23 anni, venne ordinato sacerdote e, ancora fresco della sua consacrazione, sentiva tutto l’ardore giovanile per un impegno più grande da offrire alla Chiesa come quello di partire missionario per l’India.

 

Gli anni della guerra

 

Tutto era ormai pronto per la grande avventura, ma, con lo scoppio del secondo conflitto mondiale, dovette abbandonare il sogno di evangelizzare le terre lontane.

Furono anni di grande sofferenza, ma anche di preghiera, di studio, di incontri e, nonostante le difficoltà dei tempi, entrò ugualmente in contatto epistolare con un giovane laico siciliano che viveva a Firenze che avrebbe fatto parlare di sè molto presto, Giorgio La Pira, negli stessi anni riuscì anche a far pubblicare sul prestigioso giornale vaticano, l’Osservatore Romano, alcuni articoli che suscitarono un discreto interesse.

Dopo la guerra, grazie al suo amico siciliano, ottenne dal card. Elia Dalla Costa, l’incarico di cappellano presso le suore della Rettoria della Calza a Firenze e anche Assistente del Movimento dei Laureati Cattolici della città

Nel 1954, dopo una breve, ma intensa esperienza eremitica sul monte Senario, nei pressi del famoso eremo vicino Firenze, si trasferì a Settignano, alla periferia della diocesi fiorentina, e qui iniziò una esperienza religiosa insieme ad un piccolo gruppo di giovani e, seguendo l’esperienza monastica, pose le basi per quella che diventerà la casa madre della sua “Comunità” la quale, proprio in memoria della spiritualità ortodossa, venne chiamata Casa San Sergio.

Pur vivendo lontano dal clamore del mondo, l’iniziativa della Comunità cominciò ad allargarsi anche a Venezia, Palermo, Modena Napoli e altre città e non solo in Italia, ma venne riconosciuta e approvata solo tanti anni dopo, nel 1984, dal cardinale Silvano Piovanelli, arcivescovo di Firenze.

Per sintetizzare il pensiero di don Divo Barsotti possiamo rileggere alcuni passi che scrisse nel suo ‘Diario’ nel 1964 in merito alle finalità della comunità da lui fondata: «La ragione della Comunità è il primato della vita di preghiera e dell’unione con Dio – quel primato che finora sembrava essere il fine della vita claustrale e oggi dev’essere il fine di tutti i figli di Dio – nel matrimonio e fuori – nel mondo e nel chiostro. – ed ancora – La Comunità è una cosa grande. Si vive la propria vocazione nella Comunità, precisamente in questa unità di tutti nell’amore – unità non soltanto interiore ma concreta, viva, efficace. Bisogna che spezzi le resistenze. Dio vuole questo da me»

Un programma di vita rigoroso, ma non certo privo di carità, valido nei suoi principi anche per la vita di ogni buon cristiano che pur vivendo nel mondo, non si sente del mondo, secondo l’insegnamento di Gesù.

A dimostrazione della sua mitezza d’animo, ma anche di grande forza interiore, citiamo l’episodio di una censura che ebbe dal Vaticano.

Alla fine degli anni ‘50 tutto sembrava andare per il meglio per le iniziative del giovane sacerdote, quando ecco piovergli addosso un temporale.

Nel 1959, la congregazione vaticana del Sant’Uffizio censurò il suo libro “Commento all’Esodo“, pubblicato l’anno precedente in Francia con l’imprimatur della curia locale, ma curiosamente proibito in Italia.

Barsotti fu convocato a Roma e qui gli venne imposto di ritrattare gli aspetti più controversi del libro e così avvenne, ma era solo questione di tempo, pochi anni dopo la chiusura del Concilio il testo ebbe il via libera e oggi è giunto in Italia alla sua sesta edizione col titolo però di “Meditazioni all’Esodo“.

Il giovane sacerdote visse questa sanzione con profondo dolore e probabilmente con una grande delusione, ma, da vero figlio ubbidiente della Chiesa, non contestò la sentenza, pur considerando che le sue ragioni e il suo pensiero probabilmente non erano stati abbastanza verificati, tuttavia, in una lettera al Sant’Uffizio, scrisse tra l’altro «… che alcune espressioni del libro possono indurre in errore… – e inoltre– In ragione di questi errori ho creduto mio dovere far ritirare dal commercio il libro».

Accettando la mortificazione, il sacerdote comprese – dichiarerà in seguito – «che amavo la Chiesa più di me stesso» e non si ribellò mai alla censura.

Nonostante questo incidente di percorso, grazie alla sua dirittura morale, alla sua dottrina e alla sua fede profonda, fu stimato anche dagli avversari e negli anni divenne anche un fecondo scrittore, come abbiamo accennato, insieme ad articoli, conferenze e prediche tenute non solo in Italia, ma anche negli Stati Uniti, in Australia, in Giappone, tanto per citarne i Paesi più lontani. Non ultimo, nel 1971, Paolo VI lo chiamò a predicare gli esercizi spirituali per la Curia romana.

Da vero uomo di Dio e proprio per questo libero intellettualmente, non esitò a toccare nelle sue prediche temi allora scottanti come il potere della Cattedra di Pietro affermando – come poi ricordò nei suoi ‘Diari’, che «la Chiesa ha un potere coercitivo perché Dio glielo ha affidato, e allora deve usarlo» specie in questa frenesia del cambiamento tout court, costatando che chi aveva autorità per la salvaguardia del ‘Credo cattolico’ e del ‘Trono pontificio’ non lo esercitava come avrebbe dovuto.

Proprio in quegli anni nella Chiesa dilagava la mentalità conciliare, una vera e propria anarchia, tanto che già nelle Chiese del Nord Europa si irrideva all’autorità del Santo Padre. Una situazione che lo addolorava profondamente.

Dopo una lunga vita di testimonianza del Vangelo, all’età di 82 anni, don Divo Barsotti lasciò questo mondo nella sua Casa di San Sergio a Settignano il 15 febbraio del 2006 e da qualche anno è stata avviata la causa per la sua beatificazione.

 

La tempesta del dopo Concilio

 

Riflettendo sulla sua santità e umiltà di vita, furono proprio questi elementi del suo carattere che gli permisero di vedere con acutezza i mali del mondo arrivando a criticare e contestare, come accennato, il cosiddetto ‘spirito del Concilio ’ con tutto il suo disgraziato e folle vento di novità.

Barsotti era per il rinnovamento, ma dello spirito, del ritrovare la fede nella liturgia e nei dogmi che stavano per essere intaccati, non certo per sradicare la struttura della Chiesa dalle sue radici storiche.

Aveva conosciuto figure che divennero importanti proprio negli anni del Concilio e che avevano elaborato il pensiero di rivoluzione della Chiesa, o meglio, della sua sciagura i cui frutti amari disgraziatamente stiamo ancora raccogliendo.

Tra costoro, che erano anche suoi amici, troviamo Henry de Lubac, Jean Danielou, Hans Urs von Balthasar, Louis Bouyer, teologi della cosiddetta nouvelle théologie, solo per citare gli stranieri, tra gli italiani, abbiamo il già citato Giorgio La Pira e specialmente uno dei suoi figli spirituali, almeno inizialmente, Giuseppe Dossetti insieme ad altri esponenti del “cattolicesimo democratico” o, più adeguatamente definiti dai loro avversari, le mosche cocchiere dell’allora partito Comunista, per non citare sacerdoti come Davide Maria Turoldo ed Ernesto Balducci quelli, per intenderci, del “cattolicesimo del dissenso” che tanto hanno nociuto alla Chiesa ( almeno dal mio punto di vista, naturalmente. Ndr)

Con loro Barsotti mantenne sempre viva la sua amicizia e il dialogo, ma sempre nel solco della sincerità e della libertà di pensiero, senza lesinare critiche, come vedremo proprio nei confronti dal tanto idolatrato Concilio.

Non ci volle molto al nostro sacerdote toscano comprendere che questo evento si stava sviluppando pieno di errori, di malintesi dottrinali tali che ben presto sarebbero ricaduti sulle stesse basi petrine.

 

Il “fumo di Satana”

 

Fu proprio un papa, Paolo VI, pochi anni dopo la chiusura dei lavori conciliari, a confermare indirettamente le angosce di Barsotti.

Il 29 giugno del 1972 in occasione della festa di san Pietro e di San Paolo, affermò dolorosamente: «Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, d’incertezza» e ancora, in maniera drammatica aggiungeva «… Si direbbe che da qualche misteriosa, no, non è misteriosa, da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio. C’è il dubbio, c’è l’incertezza, c’è la problematica, c’è l’inquietudine, c’è l’insoddisfazione, c’è il confronto», e ancora «Non ci si fida più della Chiesa. Ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale. Per rincorrerlo e per chiedere a lui se ha la formula per la vera vita. È entrato, ripeto, il dubbio nella nostra coscienza».

Frasi che sarebbero state la pietra tombale per una esperienza talmente fallimentare, ma così non fu; vinse il triste ‘spirito conciliare’ che ancora oggi ammorba l’aria della Chiesa.

Dal suo ‘Diario’, in nostro sacerdote scriveva: “Il Concilio era certamente legittimo, ma non aveva messo che solo delle virgole al discorso continuo della Tradizione. Ed ero incapace di capire perché si citasse quasi esclusivamente questo Concilio ultimo»

Capì, tra i primi, i tragici errori a cui si andava incontro con i documenti del Concilio definiti una «pletora dei documenti, la loro lunghezza, spesso il loro linguaggio, mi fanno paura» ebbe da esclamare nel suo libro ‘Battesimo di fuoco’ e in un altro libro, ‘La Presenza donata’«[…] non sono stati impediti gli equivoci, l’ambiguità e soprattutto non è stata impedita la presunzione, non l’ambizione e il risentimento, non la superficialità e la volontà di un rinnovamento che voleva essere uno scardinamento, uno sradicamento della tradizione dogmatica, una diminuzione della tradizione spirituale» e chiosava «forse perché ha voluto dir troppo, non ha detto molto». Non fu meno tenero con i consulenti conciliari e i loro allievi.

«Ma soprattutto mi indigna – affermava – il comportamento dei teologi. Crederò loro quando li vedrò veramente bruciati, consumati dallo zelo per la salvezza del mondo. […] Tutto il resto è retorica. Soltanto la santità salva la Chiesa. E i santi dove sono? Nessuno sembra crederci più» dal libro ‘Battesimo di fuoco’ e aggiungeva «la novità di una teologia che rinnega la teologia del passato, non è più una novità cristiana».

In questo contesto così turbolento e pieno di confusione, non capiva «come si potesse essere così duri con il vescovo Marcel Lefebvre che sbagliava ponendosi fuori dai dettami disciplinari della Chiesa, ma non certo da quelli della fede e della dottrina, e poi lasciar correre chi, come Kung, Curran, Schillebeecky, mettevano spudoratamente in discussione le basi stesse del cattolicesimo».

Per quanto riguardava i documenti del Vaticano II, notava che avevano una terminologia più teologica che dottrinale e criticava, ad esempio, che in certe pagine della ‘Gaudium et Spes’, era in realtà un testo da sociologi o da giornalisti, che certamente nulla avevano di spirituale e, inoltre, denunciava che ci si imbatte, leggendo quei documenti, in tre o quattro teologie diverse.

Insomma, il regno della confusione.

Il primo documento conciliare sulla liturgia aveva solo una visione misterica; l’ultimo, quello sui rapporti tra Chiesa e mondo, segnato da un certo ‘theilardismo’, tema, quest’ultimo che affronteremo più avanti.

«Aspettiamo – diceva con un certo sarcasmo –ancora un genio della teologia che sappia far da sintesi fra queste differenze».

 

Adeguarsi al mondo e non a Cristo

 

Barsotti rappresentava, pur rimanendo nell’alveo della Chiesa, la resistenza alla deviazione post conciliare, in nome quei “fondamentali” della fede cristiana.

Non c’era, a suo avviso, in queste novità conciliari un vero spirito come quello che aveva forgiato per duemila anni la Chiesa, ma solo un adeguarsi al mondo venendo meno agli insegnamenti di Cristoquando avvertiva i suoi che dovevano essere nel mondo, ma non essere del mondo, una differenza abissale che purtroppo è stata da tempo dimenticata.

Con amarezza constatava il fatto che nella nuova visione della Chiesa, come nel documento Gaudium et spes, il mistero della Croce non era al centro della visone conciliare e amaramente paragonava il lavoro e l’impegno dei Concili precedenti con l’attuale attraverso la presentazione di documenti che «dice tutta la presunzione dei vescovi, e la povertà del loro insegnamento» dal libro ‘Nel Figlio al Padre’.

In quanto poi al rinnegamento della tradizione in cambio di una pseudo sterile modernità, asseriva che non sapeva che farsene di una Chiesa senza storia che nasce adesso senza più radici «Se si rompe l’unità la Chiesa è già morta. La Chiesa è viva soltanto se, senza soluzione di continuità, io sono nella Chiesa uno con gli Apostoli per essere uno con Cristo Se si rompe l’unità la Chiesa è già morta. La Chiesa è viva soltanto se, senza soluzione di continuità, io sono nella Chiesa uno con gli Apostoli per essere uno con Cristo» dal libro ‘Le responsabilità dei Preti’.

Eppure il delitto certamente più grave in questa pletora di documenti per Barsotti non era tanto il suo vuoto teologico, già grave di per se, quanto l’introduzione di idee contrarie alla vita della Chiesa e individuava nei cattivi maestri gli autori di queste concetti sovversivi.

Tra questi indicò specialmente, il già citato, gesuita Pierre Teilhard de Chardin per il quale ebbe parole durissime è «il pensatore che sta dietro a molti degli errori che inquinano la teologia (e la mentalità) moderna. È stato il maestro di certi periti ed esperti conciliari», il quale, ovviamente, è stato molto rivalutato dopo il Concilio e ammirato dall’attuale pontefice. Proprio verso di essi sentiva un «senso di rivolta che mi agita e mi solleva fin dal profondo contro la facile ubriacatura dei teologi acclamanti al Concilio. Si trasferisce all’avvenimento la propria vittoria personale, un’orgogliosa soddisfazione che non ha nulla di evangelico», dal libroBattesimo di Fuoco’.

Come abbiamo visto questo prete toscano non era certo arrendevole, pur nella sua mitezza d’animo. Hans Urs von Balthasar, ad esempio, fu per sei mesi suo direttore spirituale prima di morire nel 1988, ma a lui Barsotti non risparmiò le critiche, tra le tante, specialmente per le sue tesi dubbiose sull’inferno: «Se non ci fosse l’inferno, io non potrei accettare il paradiso» denunciava con dolore.

Non meno critico fu con coloro che si erano affidati a lui come guida spirituale.

Per la sua importanza nella vita della Chiesa conciliare, uno tra tutti fu certamente dal 1951Giuseppe Dossetti, che in quegli anni lasciò la politica (era segretario della nascente Democrazia Cristiana. Ndr), per avviarsi alla vita consacrata come monaco e sacerdote. Una scelta che, purtroppo, lo portò, in quegli anni pre conciliari con l’orgoglio tipico dei modernisti, ad impegnarsi come tanti altri ad avviare il rinnovamento della Chiesa, un obiettivo deleterio che portò avanti fino alla fine dei suoi giorni nel 1996.

 

I rapporti con i suoi amici

 

Un uomo serio, un vero uomo di Dio, come Barsotti non poté mai accettare questo atteggiamento a suo avviso demolitore. Scrisse nel suo ‘Diario’: «Sembrerebbe meglio per don Giuseppe ritirarsi in qualche isolotto a Hong Kong». Inoltre non accettava che Dossetti avesse stretto un rapporto solidale con Giuseppe Alberigo e alla sua interpretazione del Vaticano II e del post Concilio inteso come “nuovo inizio” della storia della Chiesa. Ricordiamo che Giuseppe Alberigopartecipava negli anni’50 alle preghiere ogni sera con altre persone, come raccontò egli stesso, per la morte di Pio XII, vero ostacolo, secondo lui, per una vera rinascita della Chiesa.

Niente male come persona!

Racconta don Barsotti che un giorno: «minacciò di sciogliere il proprio legame con Dossetti se questi non avesse interrotto la sua frequentazione con Giuseppe Alberigo», la cui vicinanza era, giustamente considerata dallo stesso Barsotti un vero pericolo, ma, nonostante ormai la distanza siderale sui temi della Chiesa, Dossetti mantenne sempre un grande rispetto per il sacerdote toscano tanto da scrivere a chiusura di una lettera: «Se anche lei volesse staccarsi da me, io non mi staccherò da lei». Dossetti fu anche il fondatore in Italia, per altri il patriarca, del cosiddetto cattolicesimo “conciliare”, per avviare una risolutiva riforma della Chiesa da monarchia assoluta a collegiale, insomma la Chiesa democratica e, forse, anche a suffragio universale, evidenziando così la sua netta opposizione alla cristianità “costantiniana” per un fumoso ritorno ai Padri dei primi secoli, soprattutto orientali.

Stesso trattamento fu nei confronti di altri importanti intellettuali cattolici specie fiorentini come Giorgio La Pira, Gianpaolo Meucci, Mario Gozzini, quando aveva da ridire sulle loro posizioni politiche o, peggio, religiose.

Ma se questo accadeva con i cattolici laici, quando era consapevole dell’errore non esitava a denunciarlo, fosse stato anche il papa.

È il caso di Giovanni Paolo II, un papa che in più occasioni aveva apprezzato per la sua presa di posizione in molti casi sulle verità della Chiesa davanti a un mondo sempre più scristianizzato. Ciononostante, non tacque al papa le sue critiche come l’incontro ecumenico di Assisi del 1986.

Su questo avvenimento con grande rispetto, ma senza sconti, scrisse: «le intenzioni del papa erano chiarissime. Non però le deduzioni di tanti uomini di Chiesa, i quali affermano che l’evento di Assisi è il primo passo di un cammino che dovrebbe realizzare l’unità nella pace di ogni fede dogmatica» perché in merito proprio al tanto invocato dialogo tra le religioni Barsotti fu assai critico vedendone chiaramente i pericoli per la Chiesa: «L’ho scritto al papa, due volte, che non vedevo di buon occhio l’incontro interreligioso di Assisi dell’ottobre 1986. Gli dissi: ‘Santità, io non ho la televisione in casa, non ho nemmeno la radio, ma il giorno dopo il convegno di Assisi su ‘Avvenire’ ho visto in prima pagina una fotografia che mostra i cattolici che venerano il Dalai Lama, come fanno con Vostra Santità’. Si rischia di non fare più differenza: il Dalai Lama è come il papa per tanti credenti, e allora il popolo non può più avvertire le differenze né rendersi conto di quello che è specifico del cristianesimo».

Possiamo concludere, come sintesi del suo pensiero, con il suo ultimo scritto del 2006, attraverso questa considerazione quanto mai attuale: «Io vedo il progresso della Chiesa a partire da qui, dal ritorno della santa Verità alla base di ogni atto. La pace promessa da Cristo, la libertà, l’amore sono per ogni uomo il fine da raggiungere, ma bisogna giungervi solo dopo avere costruito il fondamento della verità e le colonne della fede».

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14 commenti

  • Corrado ha detto:

    Se ha criticato S.Giovanni Paolo II, cosa ne direbbe ora del comportamento di questo papa (sempre “con grande rispetto”, però). 😪

  • OCCHI APERTI! ha detto:

    Non so perchè il sistema mi ha registrato qui, sotto Pierfederico Rocchetti…la mi scusi sior Rocchetti😊…d’altronde l’ultimo posto è sempre gradito…😂

  • R.S. ha detto:

    Grazie per quest’articolo.

    Chiedo al Signore la grazia di far mia questa perla:

    … il primato della vita di preghiera e dell’unione con Dio.

    Vale per tutti, religiosi e laici, sposati e celibi, “nel mondo e nel chiostro”.

    … bisogna che spezzi le resistenze. Dio vuole questo da me… un programma di vita rigoroso… valido nei suoi principi anche per la vita di ogni buon cristiano che pur vivendo nel mondo, non si sente del mondo, secondo l’insegnamento di Gesù.

    Quest’orientamento definitivo verso il Cielo è il fine della preghiera (via penitenziale, per chiedere il perdono dei miei peccati; via illuminativa sulla conoscenza della volontà di Dio e nel compierla; via unitiva, che porta all’inabitazione dello Spirito Santo).

    E’ il fine della nostra esistenza, per essere cittadini nella Gerusalemme Celeste e non in Babilonia.

    Amen

  • TORELLI Luciano ha detto:

    Una fugura decisamente equilibrata fra tradizione e innovazione, ma decisamente e profondamente deluso da un eccesso di modernismo sfuggito di mano a molti, forse perché manifestatosi troppo rpresto nel tempo o, meglio, portato avanti da elementi fortemente sovversivi e propensi alla persecuzione.

  • Enrico Nippo ha detto:

    Don Barsotti scrive «la Chiesa ha un potere coercitivo perché Dio glielo ha affidato, e allora deve usarlo» .

    Dov’è nel Vangelo il “potere coercitivo” esercitato da Gesù?

    • R.S. ha detto:

      Nella Verità (la sola a far diventare liberi) non si entra attraverso una teoria esposta o una sapienza teorica, ma solo per mimetismo, adeguandovisi, per imitazione.
      Così riguarda innanzitutto il me e solo secondariamente quello che fanno gli altri (d’aiuto fraterno, di fastidioso disturbo o di ostacolo persecutorio).
      Nella decisione di seguire Gesù è compresa l’accettazione della croce e del morire a se stessi. Non è vessatoria, ma dice -a chi non ci sta- che è fuori strada, nel mondo. Nel rifiuto della croce c’è l’acquiescenza per le idolatrie e le ragioni di comodo, secolari e mondane.
      Nel far presente a chi è confuso che è confuso c’è quest’opera salutare di misericordia spirituale, ferma.
      Troppo coercitivo?
      A chi non va bene diciamo che va tutto bene?

      • Enrico Nippo ha detto:

        “Coercitivo” : ciò che ha forza di costringere, reprimere.

        Non mi sembra il massimo, visto anche i non gloriosi tempi della “santa” inquisizione.

        Quando lei dice “far presente” dice tutt’altra cosa che coercire, costringere, reprimere.

        Il Catechismo di san PIO X recita:

        “La Fede e una virtù soprannaturale, infusa da Dio nell’ anima nostra, per la quale noi, appoggiati all’autorità di Dio stesso, crediamo esser vero tutto quello che Egli ha rivelato, e che per mezzo della Chiesa ci propone a credere”.

        Dice che Dio propone, non che coercizza, costringe.

    • Riccardo ha detto:

      Il potere coercitivo è un aspetto della giustizia. Punire il male e reprimere il crimine è un bene, e non può essere altrimenti. Non punire il male e lasciare che faccia quello che vuole è l’ingiustizia somma. E questo è a livello di realtà e di semplice senso comune, che è parte integrante della Verità cattolica.

      Cristo scacciò i mercanti dal Tempio non a parole, le ricordo. E non cercò di dialogare o trovare accordi con farisei, sadducei e dottori della Legge, ma mostrò la malvagità dei loro insegnamenti, prima ancora che della loro condotta.

  • Pierfederico Rocchetti ha detto:

    Molto interessante, apre a meditazioni importanti

    • OCCHI APERTI! ha detto:

      Avevo inviato, intorno alle 14.30 circa mi pare, un precedente lunghissimo commento che il sistema, come intuivo, non è stato in grado di registrare.

      Riporto solo la parte più a tema con il post (la restante, molto più lunga, la esprimevo in seguito alla lettura dei commenti di NIPPO e R.S.):

      Riguardo all’articolo, vorrei sottolineare come la figura del don Divo Barsotti si presti a respingere ogni tentativo – della stessa – di strumentalizzazione: Cristo, infatti, è al centro della vita e del pensiero di questo sacerdote!

      Soltanto quando Cristo è al centro si realizza il vero cattolicesimo e si pugnala al cuore la menzogna del partitismo religioso – oggi imperante – che, essendo fazioso, per ciò stesso è relativo, ovverossia non è più cattolico…

      Modernismo e Tradizionalismo sono aberrazioni che mettono a morte il Cattolicesimo, a favore di una parte sull’altra, distruggendo non solo l’unità della Chiesa che si fonda su Cristo – Cristo al centro! – ma il ruolo stesso di Pietro!

      L’ottimo don Nicola Bux, in tempi recenti, avvisava:

      “QUANDO TALUNI ECCLESIASTICI USANO INVETTIVE CONTRO IL PAPA E ALTRI UOMINI DI CHIESA, RISCHIANO DI TRAVOLGERE LA FUNZIONE INSIEME A COLUI CHE LA RICOPRE”.

      https://www.stilumcuriae.com/nicola-bux-la-chiesa-e-come-una-madre-non-si-puo-abbandonare

      Don Divo Barsotti MAI si è posto al di sopra della gerarchia ecclesiastica e MAI si è chiamato “fuori”.

      Ricordo a tal proposito un testo intitolato “Divo Barsotti. Un uomo dentro il Concilio” (San Paolo Edizioni, 2016), presentato con queste parole:

      “Questo studio si propone di presentare Divo Barsotti come un uomo “dentro il Concilio”. Si tratta di una sfida per niente facile in quanto Barsotti è stato spesso – e lo è tuttora – considerato da più parti come un uomo fuori dal Concilio o perlomeno come uno che, se per un certo periodo vi è stato dentro, si è successivamente chiamato fuori.
      Si ha dunque a che fare con un autore che va conosciuto e accolto nella sua complessità, di fronte al quale è necessario stare bene attenti a non estrapolare con troppa facilità certe affermazioni dal loro contesto, per non cadere nell’errore di bollarlo come un nostalgico conservatore o, al contrario, come un rivoluzionario o addirittura un anarchico”…

      Vorrei far notare, poi, che il “potere coercitivo” evocato dal Don Barsotti è una citazione – del Cannarozzo – decontestualizzata! Non si cita neppure l’omelia o il libro da cui è stata tratta e, pertanto, non ne si può indagare l’esatto significato…

      Personalmente azzardo l’ipotesi che il don Divo intenda – per “potere coercitivo” – il dovere di ricordare quanto il concetto di “inclusività” a prescindere, sia falso ed escluda dalla Salvezza, anziché includere…!

      Segnalo che sarebbe auspicabile l’intervento del PADRE SERAFINO TOGNETTI su quest’articolo: egli infatti visse per quasi 25 anni accanto a don Divo, come figlio spirituale, e ne ha “ereditato”, in via privilegiata, e il Pensiero e l’Opera, la Comunità dei Figli di Dio!

      Che direbbe il padre Serafino del ritratto che Cannarozzo dipinge del don Divo? 🤔

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