Ricardo Franco Levi, Commissario alla Censura, si Dimetta. Orsini.

16 Maggio 2023 Pubblicato da 1 Commento

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, offriamo alla vostra attenzione questo commento del prof. Orsini sulla grottesca e tragica vicenda della censura – poi ridicolmente ritirata – dell’autore e fisico Carlo Rovelli alla Buchmesse, operata da Ricardo Franco Levi. Rovelli era colpevole di aver criticato il ministro Crosetto in tema di guerra Russia-Ucraina. Leggete il commento del prof. Orsini, e poi quello di MowMag, che ci racconta chi sia Ricardo Franco Levi. Buona lettura.

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Caro Ricardo Franco Levi,

Commissario straordinario per la partecipazione dell’Italia alla Fiera del Libro di Francoforte del 2024 nominato dal governo Draghi, le faccio notare, sommessamente, che la lettera che lei ha scritto a Rovelli è uguale a quelle che vengono scritte nelle dittature. Soltanto gli ignoranti – ovviamente non mi riferisco a lei – pensano che le dittature uccidano o torturino ogni singolo intellettuale al primo cenno di critica contro il governo. Dia retta a me, studio la soppressione del dissenso intellettuale nelle dittature da una vita e posso assicurarle che la violenza fisica contro gli intellettuali è un fatto rarissimo. Nella quasi totalità dei casi, le dittature fanno agli intellettuali critici quello che è stato appena fatto a Rovelli. I direttori dei festival scaricano le colpe sull’intellettuale per colpevolizzarlo, reo di avere criticato il ministro di turno, con modi cortesi e gentili per ottenere quattro obiettivi: salvare il posto, compiacere il ministro criticato, lavorare per l’isolamento dell’intellettuale, mandare un messaggio a tutti gli altri intellettuali: “Se criticate, non parlerete ai festival”.

Nel frattempo, i rettori e i direttori di dipartimento mandano altri messaggi agli intellettuali critici del tipo: “Se criticate il governo, sarete censurati, avrete la carriera universitaria distrutta e i vostri centri di ricerca saranno chiusi anche se eccellenti”.

I direttori delle reti televisive mandano lo stesso messaggio e dicono: “Caro intellettuale, se critichi il governo, la mia trasmissione televisiva ti bersaglierà”.

Gli speaker radiofonici agiscono nello stesso modo e anche i direttori della carta stampata.

Il risultato finale è quello che lei vede in Italia: moltissimi intellettuali hanno paura di parlare per non essere colpiti nella carriera o bersagliati dai media, dai presidenti di Regione, dai leader di partito, dai rettori, dai direttori dei festival.

Tuttavia l’università, essendo la vetta del sapere, è anche uno dei più potenti fattori del mutamento storico-sociale che, nelle società libere, è istituzionalizzato, a differenza delle società sature di sacro. Il che significa che, se i professori universitari smettono di parlare, le società libere finiscono per sacralizzare il pensiero della classe governante che, proprio come il sacro, non è più criticato da nessuno.

A mio giudizio, lei dovrebbe vergognarsi e dimettersi dal suo incarico. Siccome in Italia assomigliamo sempre di più alla Russia, giacché l’Italia è piena di direttori “putiniani”, immagino che il suo comportamento gravissimo non susciterà alcuna indignazione.

Un’ultima cosa: se lei ha paura delle polemiche e degli attacchi, come scrive a Rovelli per liquidarlo gentilmente, cambi lavoro.

Non mi stupisce che lei abbia avuto incarichi importantissimi di governo in passato, fino a essere sottosegretario di Stato.

La cultura si controlla anche così.

Alessandro Orsini.

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L’ultimo caso Rovelli, nel suo piccolo, è emblematico. Chiusosi in appena ventiquattr’ore con un dietrofront più comico che tragico, mette a fuoco con plastica evidenza il male sottostante alla censura: l’autocensura. E per di più, elemento politicamente significativo, da parte di pezzi dell’eterno establishment di cui, specie in Italia (E non solo in Italia), ci si libera solo in virtù della dea Anagrafe. A farsi promotore del tentato benservito al fisico pacifista, che ha la malagrazia di intervenire pubblicamente sulla guerra in Ucraina, è stato un signore che di nome fa Ricardo Franco Levi. Detto che i doppi cognomi dovrebbero sempre indurre a un certo sospetto, la biografia del commissario governativo per il Salone del Libro di Francoforte 2024, nonché presidente dell’AIE (l’associazione editori), esemplifica tutto un mondo di vita e un modo di procedere.

Nato giornalista, fondatore nel ’91 del quotidiano L’Indipendente (che sotto la sua direzione era interessante come la carta da parati, ci volle il Vittorio Feltri non ancora berlusconizzato per farlo decollare), è grazie a Romano Prodi prima, e a Walter Veltroni poi, che spicca il volo in politica: il primo lo sceglie come portavoce sia nel suo primo governo sia nella presidenza della Commissione Ue, lo fa eleggere parlamentare con l’Ulivo, se lo porta dietro nominandolo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel suo secondo esecutivo (con strategica delega all’informazione ed editoria), dopodiché viene ripescato da Veltroni, primo segretario Pd, come portavoce del partito, poi logicamente rieletto in parlamento, dove per lo meno si dà da fare per legiferare a favore del prodotto-libro, con una legge a lui intestata definita “ammazza- Amazon” – quanto l’abbia ammazzato, Amazon, lo si è visto…

Dal 2017 presiede, come detto, l’associazione degli editori italiani, ed è in questa veste, o meglio sotto pressione dei grandi editori che hanno capito la malaparata, che ha fatto retromarcia rispetto alla lettera in cui, in un piccolo capolavoro di acrobazie e ipocrisie, invitava Rovelli al passo indietro, perché avrebbe potuto creare “imbarazzo”.

A chi? A un Paese, il nostro, cioè al suo governo allineatissimo alla Nato sull’Ucraina, guerrafondaio e atlantista come pochi altri in Europa (anche se finora, a differenza perfino della più cauta Germania, secondo Zelenskij abbiamo foraggiato poco: l’ometto in divisa pretende di più per la controffensiva, di qui il tour nelle capitali europee).

Meloni e i suoi, questa volta almeno di sicuro, non hanno premuto per censurare. Per il semplice fatto che Franco Levi non ne aveva bisogno, incarnando piuttosto bene la figura del funzionario omologato: omologato, si capisce, al potere. Personaggio sbiadito, che non dà biada, senza contenuti, pauroso di gestire difficoltà e intoppi che avrebbero potuto rendere la vita difficile a lui, sottolineato a lui, in vista della Buchmesse francofortese (la prima fiera libraria d’Europa, mica bruscolini), Ricky, come lo chiamano gli amici fra cui Gad Lerner, ha fatto con scatto pavloviano quel che fanno i tipi come lui: correre a pararsi le terga, incorrendo però in uno zelo più realista del re su cui rischiava di capitombolare subito. Insomma, ha fatto tutto da solo. Stiamo parlando, questo va detto allargando bene gli orecchi di sinistra, di uno che forse solo per ragioni di età o, meglio, del ruolo in cui pare ben sistemato, gli amici di sinistra non si ritroverebbero a dover applaudire su qualche futuro palco assieme a Schlein e compagnia. Parliamo di un galleggiatore di untuosa prudenza, schiatta prolificissima e solitamente munita di paracadute pronto uso. Parliamo di uno di quelli che non si dimettono mai, perché giustificano ogni ruffianeria e ogni vigliaccheria con la scusa premurosa della “serenità” d’ufficio cui sono preposti, una “responsabilità” da difendere e mantenere sacrificando i sacri ideali di libertà, democrazia eccetera che, pure, hanno sempre in bocca. Parliamo di un officiante lui sì imbarazzante. Io non mi vergogno di Rovelli. Io mi vergogno di Ricardo Franco Levi, e di tutti i Ricardo Franco Levi che ammorbano l’Italia.

Alessio Mannino

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1 commento

  • Paolo da Genova ha detto:

    Meno male, comunque, che la censura sul prof. Rovelli sia stata poi ritirata. Sarebbe interessante sapere bene come sono andate le cose.

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