Garcia Moreno: il presidente martire cattolico che dette dignità all’Ecuador (II)

23 Dicembre 2021 Pubblicato da

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, ecco la seconda parte del lavoro compiuto da Antonello Cannarozzo per illustrare la memoria di Gabriel Garcia Moreno, un grande presidente dell’Ecuador. Buona lettura.

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Garcia Moreno: il presidente martire cattolico che dette dignità all’Ecuador

Seconda parte

Antonello Cannarozzo

Le prime riforme sociali

 

A furor di popolo, Moreno prese il potere e il suo primo atto fu consacrare l’esercito che tanto aveva fatto per la liberazione del Paese, a Nostra Signora della Mercede, subito dopo formò un governo provvisorio eletto a suffragio universale anche per i poveri e sfruttati indios, bastava avessero compiuto vent’anni, sapessero leggere e scrivere per poter votare, a differenza dei governi liberali per i quali il diritto al voto era legato solo alla ricchezza, al censo, nonostante la tanto declamata democrazia.

In Italia, ad esempio, per arrivare a questa riforma elettorale bisognerà aspettare cinquantatré anni, il 19 giugno del 1913 con il decreto del Governo Giolitti.

Tornando a quel 1860, l’Equador ebbe per la prima volta un presidente cattolico, non solo, ma, come vedremo, anche intransigente, integralista, ma anche uomo di fede e di giustizia.

Il suo, per onestà, fu un esecutivo non privo di ombre imponendosi a volte come un dittatore anche se certamente illuminato suscitando aspre critiche nei settori liberali, ma anche l’ammirazione entusiasta dei poveri, che avvertivano il suo governo come un cammino sereno verso la pace e il progresso.

In sua difesa ricordiamo, però, come i suoi nemici erano agguerriti e potenti e certo non gli lasciavano molta scelta per difendersi dalle loro macchinazioni.

Elemento fondamentale di tutta la sua politica fu indubbiamente l’alleanza con la Chiesa Cattolica, in controtendenza al processo di secolarizzazione che si stava sviluppando nel resto continente Latino Americano.

Davanti a tanta intransigenza, chi si aspettava dal massimo rappresentante dei conservatori reazionari una involuzione sociale, rimase meravigliato dall’intenso lavoro per innovare la nazione sia nel campo tecnologico e sia educativo, ottenendo importanti successi.

La sua intemerata fermezza in politica si può riassumere in una frase divenuta celebre:” Libertà per tutto e per tutti, tranne che per il male ed i malfattori”.

Facendo comprendere chiaramente che lo Stato non si poteva prendere in giro anche perché i problemi che doveva affrontare, fin dai primi giorni del suo mandato, erano gravissimi come il debito statale spaventoso accumulato dai passati governi, una situazione dove chiunque avrebbe comprensibilmente ‘gettato la spugna’, ma non certo il nostro Moreno.

L’impresa era enorme, quasi irrealizzabile, ma non impossibile, come ricorderà lui stesso anni dopo.

Avviò nel modo più logico il risanamento del bilancio con una serie di azioni tagliando innanzi tutto le spese folli, fatte solo per far arricchire i disonesti, licenziando in tronco i burocrati sleali o incapaci, controllando sistematicamente il debito pubblico ed eliminando quei contratti stipulati attraverso la corruzione.

Avviò con successo la realizzazione della Corte dei Conti alla quale mostrare periodicamente il lavoro degli agenti del fisco che, rendendoli personalmente responsabili del loro operato, diede loro maggiore autorevolezza.

Del suo assegno presidenziale, Garcia Moreno usò metà per le casse dello Stato e l’altra metà per il Fondo delle Opere Caritative.

Il taglio della spesa statale avvenne, tra l’altro, bonificando la pubblica amministrazione dai parassiti di regime, un’ampia riduzione dell’esercito, una misura che, oltre a diminuire una spesa esorbitante per lo Stato già stremato, preveniva di fatto il pericolo di possibili altri “pronunciamientos” e consentendo la costituzione di un esercito professionale agile e, soprattutto, ben pagato.

Le cose da fare però erano veramente molte come la diffusione delle scuole libere affidandole ai vari ordini religiosi, togliendo così allo Stato l’aggravio dell’educazione pubblica e risollevando le finanze dissanguate.

Ottenne ancora l’affidamento, sempre ad altri ordini religiosi, degli ospedali e delle carceri, e allo Stato naturalmente il compito della supervisione e dell’eventuale sostegno, secondo il principio di sussidiarietà.

Altro passo importante fu la stipula di un nuovo Concordato con la Chiesa, eleminando tutti quelle leggi liberticide che avevano impedito l’esercizio delle fede presso un popolo cattolicissimo, tutti elementi che lo ponevano, secondo i suoi oppositori, alla mercè della Chiesa e, dunque, di uno Stato straniero.

Il rapporto con la Chiesa

 

Quasi a confermare queste voci, il 26 ottobre del 1862 il cardinal Antonelli, sotto l’egida di Pio IX,firmò il Concordato tra la Chiesa e l’Equador, ridando al papa l’autorità sul clero, non più selezionato dallo Stato, che sceglieva quelli con idee liberali e, dunque, screditati agli occhi dei fedeli e di fatto succubi del potere.

Inizialmente, questi sacerdoti sospesi dalle loro funzioni, molti dei quali, per la loro condotta scandalosa erano stati ridotti allo stato laicale, si rivoltarono contro le nuove disposizioni, ma ormai isolati dalla gran parte della popolazione, dovettero emigrare in territori certamente più accoglienti per loro.

Provvidenzialmente però furono sostituiti, grazie all’amicizia con Roma, da molti religiosi europei, istruiti e capaci di diffonder la vera dottrina e riaccendere così la fiamma della fede.

Ma se Moreno, avanzava trionfalmente con le sue riforme, i suoi nemici non stavano di certo a dormire.

La violenta guerra civile che stava insanguinando la confinante Colombia produsse un incidente di frontiera che costò la ferita ad una gamba allo stesso neo presidente, ancora una volta in prima linea tra i suoi soldati, ma questo era solo l’inizio, si stava delineando un problema ancora più grave per il suo Paese.

In Columbia salì al potere la frangia liberale che scatenò con il confinante e pacifico Ecuador una serie di incursioni e infiltrazioni di delinquenti, travestiti da patrioti, che al grido di Viva la libertà e abbasso il tiranno, contro Moreno, cercavano di sovvertire il governo di Quito per fare gli interessi colombiani.

Davanti a questi soprusi, il presidente rispose in maniera ferma e decisa “Nessuno potrà mai credere che per salvare quel pezzo di carta che qui da noi viene strappato ogni quattro anni, e che si chiama Costituzione, io sia obbligato a consegnare la Repubblica nelle mani dei suoi carnefici”.

Senza molte riserve legali decide di fucilare sul posto gli invasori “La generosità e la clemenza verso i nemici della Patria sono virtù male intese”, ed ancora dichiara “L’indipendenza, essendo la vita di un popolo e per conseguenza il primo dei suoi beni, io voglio l’indipendenza per l’Ecuador. E’ appunto per questo che io detesto e combatto, con tutta la possibile energia, i grandi nemici di questa indipendenza, che sono la licenza e l’anarchia. L’unità, garanzia di pace e condizione di forza, fu sempre il primo dei miei desideri”.

Allo scadere del suo primo mandato Moreno aveva intorno non solo tanti ammiratori, ma anche avversari temibili e privi di scrupoli, che non esitarono a mettere in pratica il loro programma politico: eliminazione totale delle riforme e la morte del suo propugnatore.

Al grido già citatoto di “libertà e morte al tirannonelle elezioni successive del 1865, riuscirono a vincere, anche se con il sospetto assai concreto di brogli, e Moreno dovette lasciare la sua carica in favore di Jeronimo Carrion, un uomo onesto, ma non certo un combattente tale da opporsi al risorgente malgoverno.

Torna allora alla mente un’altra frase dell’ormai ex presidente “il vero amico della libertà è l’uomo che consacra le sue forze per rendere morale il proprio Paese, per correggere le ingiustizie sociali, per radunare insieme gli onesti a lavorare senza posa per il bene pubblico”.

 

Accusato e prosciolto

 

Intanto i suoi nemici, ed erano tanti, tramarono l’uscita definitiva di Moreno dalla scena politica e l’unico mezzo sicuro era certamente quello di assassinarlo.

Nel 1866 un congiurato lo ferì con tre colpi di pistola, ciò nonostante l’ex presidente riuscì ad impugnare la propria arma ed uccidere il suo assalitore. Sebbene vi fosse l’evidente legittima difesa, fu accusato di omicidio volontario, ma, fortunatamente, venne prosciolto da questa accusa ad una condizione: doveva ritirarsi alla vita privata e non avere mai più un ruolo pubblico.

Dopo cinque anni di buon governo, la nazione ricadde nel caos e nella corruzione, sprofondando di nuovo nella povertà.

Carrion diventò ben presto, per la sua arrendevolezza, una marionetta dei liberali abolendo per prima cosa il Concordato con la Santa Sede, l’espulse dal Paese tutti i religiosi coinvolti con il precedente governo e infine ripristinò immediatamente tutte le leggi abolite dal precedente governo. In breve crollò tutto ciò che Moreno aveva costruito con tanta fatica.

Non contenti di tutto questo, le forze sovversive nel Paese decisero di sbarazzarsi dell’inutile Carrionaccusandolo addirittura di malversazione.

Si indicono altre elezioni e, nonostante in quei giorni visse la morte della figlia più piccola, Morenodecise di impegnarsi a far incanalare i voti dell’opposizione su José Manuel Francisco Javier Espinosa che venne eletto, anche se di stretta misura, ma la gioia per questa elezione dura poco.

Il nuovo presidente aveva una sua politica, quella di coinvolgere intorno a se il massimo consenso e per questo aprì il suo governo anche agli sconfitti, affidando loro ministeri chiave per l’amministrazione del Paese, un errore grave che dette vigore ai nemici di Moreno e dell’Ecuador.

Ma qualcosa di insperato, anche se drammatico avvenne a cambiare la situazione.

Il 13 agosto del 1863 si scatenò un terribile terremoto nella provincia di Ibarra, a cento chilometri a nord della capitale Quito con migliaia di vittime.

Come avviene in questi disastri, insieme alle calamità arrivarono anche i ‘sciacalli’, uomini che arraffavano tutto quello che potevano senza alcuna pietà per i sopravvissuti.

La situazione era grave ed Espinosa come capo militare inviò Moreno con pieni poteri nella martoriata provincia.

Con la sua solita decisione, in breve riuscì a sistemare la situazione aumentando la sua già estesa popolarità.

La cosa certamente non faceva piacere alle forze che gli si opponevano, tanto che venne accusato senza alcuna prova di peculato, ma senza successo.

Intanto le nuove elezioni si avvicinano e Moreno era tra i candidati che potevano ottenere la maggioranza dei voti.

 

Evitò il colpo di Stato

 

Per evitare un sicuro successo dei cattolici, gli oppositori decisero un colpo di Stato contro Espinosain modo da ritardare, se non addirittura eliminare, le elezioni.

Ma il piano fallì miseramente, Moreno fu avvisato da un pentito della cospirazione e con un tempestivo intervento delle sue truppe riuscì a sventare il pericolo di un colpo di Stato.

Le elezioni furono celebrate e per il nostro furono un vero plebiscito.

Moreno venne eletto per la seconda volta alla più alta carica del suo Paese, ma con tutti i problemi che nel frattempo si erano acuiti con il malgoverno precedente.

Quella nata nel 1869 fu certamente una legislatura non priva di colpi di scena e, memore delle precedenti esperienze, questa volta si adoperò per portare avanti senza alcuna cautela le sue idee, tra cui la chiusura e la revisione dell’Università di Quito, vero covo di sovversione.

Ristabilì, tra l’altro, di nuovo il Concordato con la Santa Sede e non contento, con il consenso della maggioranza del Parlamento, pose nella Costituzione questo preambolo “Nel nome di Dio, Uno e trino, autore, conservatore e legislatore dell’Universo, la Convenzione Nazionale ha decretato la presente Costituzione” e al primo articolo enuncia “la Religione Cattolica Apostolica Romana religione dello Stato ad esclusione di ogni altra” e che lo Stato “la mantiene nel possesso inalienabile dei diritti e delle prerogative di cui le leggi di Dio e le prescrizioni canoniche l’hanno investita con l’obbligo per i pubblici poteri di proteggerla e farla rispettare”.

Inoltre, negli articoli successivi espose un principio che probabilmente con i tempi di oggi sarebbe stato massacrato in primis dall’odierna Chiesa. “Non si può essere elettore o eleggibile, o funzionario di qualunque categoria senza professare la Religione Cattolica“.

 

Contro la religione laica

 

A coloro che gli facevano notare il suo eccessivo cattolicesimo lo allontanava di fatto dai Paesi cosiddetti “civili”, rispondeva che nelle nazioni di ispirazione laica veniva di fatto dichiarata una “religione” senza Dio a cui essere sottomessi, “Noi – osservava Morenoproponiamo una religione non degli uomini, ma che viene da Dio”, tanto che in un altro articolo della Costituzione affermava essere “decaduto dai suoi diritti di cittadino chiunque appartenga a una società condannata dalla Chiesa” e per essere sicuro che il Parlamento, sempre in bilico tra conservatori e liberali, decretò per il ruolo del presidente la facoltà di “veto” sulle leggi per la durata di una legislatura.

Atti che certo non aprivano alcuno spiraglio di dialogo con la democrazia liberale, un’azione del resto mai cercata, e questo accrebbe l’odio dei suoi oppositori, tanto che, pochi mesi dopo la sua elezione, il 14 dicembre dello stesso anno, si fecero avanti in maniera assai plateale attentato alla sua vita.

Il sicario era un giovane appena adolescente che venne arrestato ancora con il pugnale tra le mani e Moreno, vedendolo così giovane, ne ebbe pietà e gli concesse la libertà. Per tutta risposta il giovane, una volta al sicuro, espresse la sua riconoscenza al presidente che stava per uccidere, con un libello dedicato al “mostro” che governa l’Ecuador.

A parte questo fatto drammatico, le riforme erano ormai all’ordine del giorno.

Solo per elencarne alcune: ai cappellani militari dette il compito di aprire le scuole per i soldati analfabeti, inviò militari in Prussia per imparare le nuove strategie di guerra, tolse tutte le norme che avevano evitato ai ricchi la ferma militare, dure sanzioni a bestemmiatori e ubriaconi, ma nello stesso tempo organizzò un servizio sociale per aiutare queste persone ad uscire dal vizio.

Per i concubini ci fu l’obbligo di sposarsi distinguendo il moralismo protestante dalla moralità cattolica dove la vita coniugale è un sacramento e, dunque, non si doveva dare scandalo in pubblico.

Venne promulgata la riforma universitaria che aveva già presentato inutilmente anni prima, creò scuole gratuite in tutto il Paese, anche nelle carceri, con forti sconti di pena per coloro che si fossero distinti negli studi, avviò ancora con l’istruzione obbligatoria fino ai dodici anni, una rivoluzione vera e propria per quegli anni.

Importante fu anche il suo impegno per emancipare gli indios attraverso borse di studio, creando il primo nucleo di maestri indios affinchè anch’essi potessero partecipare al progresso del Paese.

Ma tutto questo non bastava.

L’Ecuador doveva essere una nazione avviata anche allo sviluppo culturale, così al Politecnico di Quito arrivarono professori dagli Stati Uniti, dal Canada, dall’Inghilterra, scienziati anche di fama internazionale e lo stesso impegno lo dedicò alle Belle Arti ed al Conservatorio.

In pochi anni da Paese povero ed emarginato, l’Ecuador entrò di diritto nel novero delle nazioni avviate alla modernità.

Stessa cura ebbe per la sanità pubblica e a lui si deve il primo sanatorio e la prima organizzazione di centri sanitari sul territorio.

 

Un reazionario ‘progressista’

 

Ciò che colpi molti osservatori, specialmente stranieri, era lo sviluppo del Paese in un intenso lavoro innovativo in materia tecnologica come nelle conquiste materiali e sociali, ad esempio, per rompere l’isolamento regionale, ampliò il mercato interno e incoraggiò un maggiore scambio commerciale; nello stesso tempo allargò la partecipazione popolare attraverso il voto e per tutte queste iniziative venne per ironia della sorte, definito  come un reazionario progressista, anche se tutto questo avveniva in un ambiente dove non solo la libera discussione era proibita, a detta dei suoi avversari, ma dove la Chiesa comandava di fatto la nazione attraverso l’educazione, la censura dei libri e di comportamenti sociali, inoltre con una Costituzione che rendeva il cattolicesimo un requisito obbligatorio per esercitare la cittadinanza.

Tutto questo era intollerante per una politica laica e liberale, era un progetto politico fatto di contraddizioni interne che avrebbe portato inevitabilmente ad una vera dittatura, ma nonostante le critiche, il ‘sistema Moreno’ funzionava.

La nazione, grazie alle importanti vie di comunicazione da lui avviate, usciva dall’isolamento con il resto degli altri Paesi confinanti.

Per sistemare il bilancio statale tolse, come nel suo primo mandato, le spese superflue, risparmiando praticamente su tutto, ma non sulle necessità, tanto che con i risparmi poté aumentare gli stipendi e addirittura ridurre le tasse spesso emanate per l’ingordigia dei vari presidenti prima di lui.

In politica estera stabilì accordi bilaterali di la pace e di collaborazione con le nazioni confinanti, in questo modo, otteneva anche l’ armonia all’interno dell’Ecuador e in questo modo l’economia ebbe il suo pieno sviluppo con il sistema finanziario riformato, i tributi erano finalmente equamente ripartiti e in questo contesto, riportò una significativa vittoria sul contrabbando e sulle frodi, tutti elementi che finirono per avere grandi benefici sull’economia e dando fiducia agli operatori economici, oggi diremo ai mercati.

Questa fu la “formula magica” che permise a Garcia Moreno di far prosperare il suo Paese che, cifre alla mano, dal 1869 al 1872 portarono le rendite dell’Ecuador al loro raddoppio.

Ma, curiosamente, il suo programma di modernizzazione e centralizzazione facilitò anche l’avanzamento della borghesia commerciale, simpatizzante del liberalismo e desiderosa di una maggiore partecipazione politica con l’esclusione di una Chiesa opprimente.

Senza accorgersene aveva scavato la fossa alle sue riforme risvegliando ambizioni impossibili da mettere a tacere e dando così l’avvio agli intrighi di cospirazioni nel Paese per farlo fuori.

Come già accennato, Garcia Moreno vinse anche le successive elezioni del 1875 e ottenne un terzo mandato presidenziale, ma per molti venne considerata come la sua condanna a morte. Ormai i suoi nemici erano sempre più forti e sicuri di sé anche con complicità estere.

Del pericolo che correva, Moreno ne era consapevole tanto da scrivere una lettera a Pio IX con la richiesta di una sua benedizione per il difficile momento che attraversava insieme alla sua nazione.

Scrisse, tra l’altro, “Vorrei ricevere la Vostra benedizione prima di quel giorno, perché io abbia la forza e la luce di cui ho tanto bisogno per essere fino alla fine un figlio fedele del nostro Redentore e un servo leale e obbediente del Suo Infallibile Vicario. Ora che le Logge Massoniche dei l paesi vicini, istigate dalla Germania, stanno vomitando contro di me ogni sorta di atroce insulto e di orribile calunnia, ora che le Logge stanno segretamente cospirando per il mio assassinio, ho bisogno più che mai della divina protezione perché possa vivere e morire in difesa della nostra santa religione e dell’amata repubblica che sono chiamato ancora una volta a governare”.

Il 5 agosto, poco ore prima del suo assassinio, un sacerdote nel fargli visita con grande dolore gli disse, “Siete stato avvisato che la Vostra morte è stata decretata dai massoni; ma non vi è stato detto quando. Ho appena sentito che gli assassini stanno mettendo in opera le loro trame. Per amor di Dio, prendete le Vostre precauzioni!”

García Moreno rispose che sapeva benissimo cosa lo aspettava, ma con calma riflessione rispose al sacerdote che l’unica precauzione da prendere era prepararsi ad apparire al cospetto di Dio.

La premonizione di García Moreno si avverò.

Vene assassinato, come già accennato, all’uscita della cattedrale di Quito crivellato di colpi di pistola dai suoi assassini al grido: “Muori, carnefice della libertà!” ma egli ebbe ancora la forza di rispondere: “Dios no muere!”, appena due settimane prima del suo terzo insediamento presidenziale,

Gabriel García Moreno, come aveva desiderato, ricevette l’estrema unzione appena prima di venire ucciso e fra i suoi effetti personali che portava sempre con sé c’era anche una copia del libro‘Imitazione di Cristo’.

Papa Pio IX proclamò Gabriel García Morenovittima della Fede e della Carità cristiana per il suo amato Paese”.

Dopo l’assassinio, la sua memoria, nonostante i governi che si succedettero, ha continuato ad essere ricordata in Ecuador, sia per il grande amore alla sua patria, come educatore e come amico della Chiesa.

Fine seconda parte

Antonello Cannarozzo

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