Abbandonarsi, Credere e le Parole così Umane, Troppo Umane, del Papa a Verona. R.S.

21 Maggio 2024 Pubblicato da

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, un amico fedele del nostro sito, che conoscete, R.S., che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione questo commento sulla recente visita del pontefice regnante a Verona. Buona lettura e condivisione.

§§§

Ha detto Francesco a Verona:

“Non dimenticate questo: Dio perdona tutto e perdona sempre, in questa umanità, qui, in tutti voi”.

Che sia vero perché dubitarne? Ma che, detto così, sia un po’ banalizzabile, il rischio c’è.

Insomma: chi è l’uomo per parlare a nome di Dio, soprattutto se non è timorato di Dio?

Il timore di Dio è un dono dello Spirito Santo e non si tratta della paura di un castigo. Piuttosto è la coscienza che ha la creatura che sa di non essere il Creatore di poter risultare sgradita per insufficienza di amore.

E’ il timor casto dell’innamorato che sa d’esser amato eppure gli pare tutto così bello da temere di mancare in qualcosa a tanto amore!

Tutto questo l’uomo non lo sa per umana congettura della mente, quindi non è il frutto di un nostro pensiero.

Come disse Gesù a Pietro che confessa di riconoscerlo come Dio: “beato te, perché né la carne né il sangue (cioè la tua natura umana) te l’hanno rivelato”.

Certe rivelazioni sono Grazia e attengono al soprannaturale divino.

E’ Dio a rivelarsi e l’uomo può intenderne la comunicazione divina per la possibilità di partecipare a questo divino.

Avere un’idea su Dio, per quanto giusta, resta un’idea e non è Dio. Dio è oltre e ci oltrepassa.

La rivelazione cristiana (per Cristo) dice che la volontà di Dio è di assimilarci a Lui, per Grazia, con lo Spirito Santo.

Lo Spirito Santo è Dio e rende come è Dio realizzando la rivelazione ricevuta da Cristo, Dio incarnato e redentore.

Nessuno può dire che Gesù è Dio se non per opera dello Spirito Santo. Nessuno può sapere Dio se non tramite Dio.

Cristo e lo Spirito Santo sono maestri per l’uomo, insegnando la stessa Verità che è la volontà del Padre.

Non c’è dibattito, non c’è un’aggiunta, non c’è una sinodalità intra-trinitaria per discutere l’aggiornamento del Verbo.

Al dunque, Dio si rivela e questa rivelazione dice che nel Figlio l’uomo può essere figlio di Dio, assimilato a Lui.

Il battesimo e la confermazione aggiungono alla natura umana ciò che non gli è propria (non lo è più a causa del peccato), restaurando le prerogative perdute, per Grazia, bel al di là delle facoltà naturali.

L’uomo non è in grado di racchiudere nella mente la conoscenza di Dio, come se Dio fosse un suo concetto.

Per Grazia è raggiunto dai doni dello Spirito Santo che permettono di essere nutriti dalla Presenza di Cristo vivo.

Nel cristianesimo la Grazia dei sacramenti supplisce ai limiti di una natura umana ferita e degradata dal peccato.

Se l’uomo si abbandona e crede, in un dondolio che richiama l’onda e la risacca, un continuo abbandonarsi e credere, allora il congetturare umano non frappone ostacoli alla Grazia. Viceversa se l’uomo ritiene di aggiungere il proprio contributo, spiegando a Dio come deve comportarsi, viene meno un dono decisivo: il timor di Dio, cioè l’amore, la carità, che mette la creatura nella giusta disposizione verso il Signore che ama e che salva, aprendo al Paradiso.

La visione beatifica è la Grazia definitiva, che supera la carne e mette in contatto con il Cielo e l’eternità.

Quello che manca necessita di purificazione e un purgatorio riguarda l’anima prima e dopo la morte del corpo.

Invece il rifiuto definitivo della Grazia impedisce in eterno la visione beatifica, preferendo una separazione insanabile.

Questa è la rivelazione di Dio in Cristo, che chiede all’uomo un passo indietro, specie nelle pretese di congetturare.

Solo morendo a sé stessi è possibile rinascere dall’alto. Solo accettando la Verità si diventa liberi.

La pace che dà Gesù non è quella di cui parla il mondo. Il regno che si apre all’uomo non è di questo mondo.

Francesco a Verona ha detto di Dio “che mai ci abbandona, e che anzi sa ascoltare, gioire e piangere con noi e perdonare sempre”.

In effetti è strano un cambiamento alla preghiera di Gesù al Padre, chiedendoGli “di non abbandonarci”.

Come è possibile aver avuto un simile dubbio? E poi questo Dio che è Uno e Trino sarà davvero lo stesso “dio” che ognuno chiama con un nome diverso? O è proprio diverso, perché solo Lui è Dio e le altre sono solo le congetture che l’uomo ha qua e là ideato nei secoli, senza andare al di là del ragionamento e senza la Sua Grazia?

Sarà davvero Padre di tutti se non siamo tutti uguali, dato che è la Grazia ricevuta e riconosciuta a renderci figli e non una banale prerogativa del nostro essere, che oggi potremmo definire un “diritto”?

Sono davvero “le culture” a stabilire che c’è Dio, oppure è Dio che offre alle culture l’opportunità di riceverne la rivelazione? Così che, ad esempio, la filosofia greca aiuta il cristianesimo a descriverne il mistero, senza che mai questo mistero possa essere considerato un prodotto dell’intelletto, ma sempre un dono della Grazia?

Allor il guardare a Dio in modi diversi, culturalmente alternativi, può essere sociologicamente interessante, può costituire un tema per dialogare, può psicologicamente risultare consolatorio e politicamente può diventare utile come instrumentum regni, ma non ha nulla a che vedere con la testimonianza di Cristo che è la missione della Chiesa.

Infatti il problema grosso, dal punto di vista ecclesiale, è il tradimento di una missione, avendo smarrito la Grazia sacramentale quale misterioso elemento soprannaturale che sostiene un’insufficienza dei mezzi umani, alla pura adesione ai mezzi umani più adatti per barcamenarsi nei vani ragionamenti di ciò che è solo provvisorio e caduco.

Francesco a Verona ha fatto riferimento anche al dolore, ma non ha fatto cenno alla croce redentrice di Cristo: solo alla solidarietà che può essere utile nell’aiutarsi tra uomini appesantiti.

Anche questo non è un dono dello Spirito Santo, come lo sarebbe la Pietà, come lo sarebbero la fede, la speranza e la carità come virtù teologali, infuse da Dio. Qui si resta solo alla volizione di uno sforzo, al più un ideale e forse anche un certo merito orgogliosetto, perciò privo di Grazia.

L’umanità, l’umano, il centro massimo di una versione disgraziata della salvezza, che manca il bersaglio (è il peccato) di abbandonarsi e credere, credere e abbandonarsi a Dio per sostituirlo con un darsi da fare che “dio” lo considera un’idea.

Francesco annuncia a Verona che “tra pochi mesi inizierà l’Anno Santo: un anno di conversione, di rinnovamento e di liberazione per tutta la Chiesa; un anno di misericordia, in cui deporre la zavorra del passato e rinnovare lo slancio verso il futuro; in cui celebrare la possibilità di un cambiamento, per essere e, dove necessario, tornare ad essere veramente noi stessi, donando il meglio. Sia anche questo un segno che ci aiuti a rialzarci e a riprendere in mano, con fiducia, ogni giorno della nostra vita”.

C’è da temerne l’esito, se la premessa è questa: lasceremo Dio fuori, per cambiare in terra anche quello che è Suo?

C’è da temere che si sia persa completamente la bussola? O la Grazia sarà proprio quella, finalmente, di ritrovarla, uscendo da questa tremenda confusione propalata ragionando secondo il mondo, proprio come Gesù rimproverò a Pietro che poco prima aveva saputo da Gesù che quel che aveva capito di Dio non era farina del suo sacco, ne’ avrebbe potuto esserlo, perché ciò che è dell’uomo non è divino, a meno che non sia Dio a colmare in Cristo lo iato?

Sarà finalmente il trionfo del Cuore Immacolato di Maria, cioè dell’umiltà della serva del Signore sui deliri congetturali che negano il soprannaturale per ridurre redenzione e corredenzione a delle pratiche assembleari? L’umiltà e il timor casto di Dio finalmente messi al posto di chi si fa come Dio senza esserlo e senza più bisogno di Lui? Senza nemmeno bisogno di chiedere perdono per i peccati, negandone l’esistenza?

Che razza di uomo è un uomo che non è assimilato a Dio, ma si atteggia ad esserne immagine? A chi assomiglierà? E dove finirà, senza la Grazia?

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22 commenti

  • Adele Visconti ha detto:

    Si continua a disquisire all’infinito senza costrutto fintanto che si continuerà a ritenere l’argentino il legittimo successore di Pietro. Se, a fronte di studi quadriennali condotti senza nessuno spirito ‘complottista’ (termine sparato come il prezzemolo), ci sono ancora dubbi e perplessità, allora vuol dire che si è animati da pregiudizi.

  • nuccioviglietti ha detto:

    Quando Divino degrada a materiale quotidiano!…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/

  • La Signora di tutti i popoli ha detto:

    Il suo articolo, caro e buon RS, è un po’ incasinato, disperso della gran quantità dei concetti. Ma in realtà ha due temi soli [e tralascio le domande che ha posto, cui pochi qui, se lei le darà, non ne accetteranno le risposte].
    I due temi: uno, palese e sono i Doni del S.Spirito e due, si nota nel suo unico dubbio: può parlare di questi Doni chi non ha il “Munus” dello Spirito?
    Ecco piuttosto cosa dice un vero Papa (Benedetto XVI, 2008):

    “Il timore di Dio, che le Scritture definiscono come “il principio della vera sapienza”, coincide con la fede in Lui, con il sacro rispetto per la sua autorità sulla vita e sul mondo. Essere “senza timor di Dio” equivale a mettersi al Suo posto, a sentirsi padroni del bene e del male, della vita e della morte. Invece chi teme Dio avverte in sé la sicurezza che ha il bambino in braccio a sua madre (Sal 130,2): chi teme Dio è tranquillo anche in mezzo alle tempeste, perché Dio, come Gesù ci ha rivelato, è Padre pieno di misericordia e di bontà.
    Chi lo ama non ha paura: “Nell’amore non c’è timore – scrive l’apostolo Giovanni – al contrario, l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore” (1 Gv 4,18). Il credente dunque non si spaventa dinanzi a nulla.”

    Come leggiamo la differenza fra chi ama e chi poco o niente è proprio espressa dal grado interiore del Timor di Dio.
    Dunque è impreciso chiamare “timor di Dio” l’amore che sentiamo per la Divinità ma, per effetto della “Sapienza” il Timor di Dio ci spinge ad amare! Amando Dio al di sopra di ogni cosa, e di se stessi, il Timore è superato, diviene l’adagiarsi di un figlio nelle braccia del suo paparino, Abbà. Dio più materno di ogni mamma.

    Il Timor di Dio può considerarsi come il discrimine fra il Paradiso e il Purgatorio. Chi ama veramente lo è nel grado di timore filiale quindi …per amore guadagna immediatamente il Paradiso indipendentemente dai propri peccati, per effetto di una contrizione perfetta, ben più profonda della consapevolezza di sentirsi in colpa (ben diverso dal soffrire per aver inflitto un dolore a Gesù) per sola paura della punizione eterna.
    Il difetto d’amore e la mancanza di volontà nell’amare “assolutamente l’Assoluto” genera un pentimento imperfetto e la privazione della vista di Dio nel Purgatorio. E va fin troppo bene: Dio ci perdona nonostante che non vogliamo amarlo… abbiamo solo paura di Lui e della giusta punizione, per viltà!. Davvero siamo davanti al “do ut des” finale: l’amore nostro sarà pesato perchè di un denso Amore rosso sangue fummo indegnamente ricoperti e ci scivolò da dosso.

    Ma vediamo Maria D’Agreda:
    “il dono del timore di Dio, tanto lodato, magnificato e raccomandato ripetutamente nella Scrittura divina e dai santi Dottori come fondamento della perfezione cristiana e principio della vera sapienza, perché è il primo che resiste alla stoltezza arrogante degli uomini e quello che con maggiore forza la distrugge ed annienta. Questo dono così importante consiste in un’amorosa fuga ed in una nobilissima e pudica riservatezza con cui l’anima si ritira in se stessa e nella conoscenza della propria condizione e bassezza, considerandola in confronto con la suprema grandezza e maestà di Dio, e, non volendo sentire né pensare altamente di se stessa, teme, come insegnò l’Apostolo. Questo santo timore ha i suoi gradi, perché al principio si chiama iniziale ed in seguito filiale. L’anima, infatti, comincia a fuggire dalla colpa, come contraria al sommo Bene che ama con riverenza; passa, poi, ad abbassare e disprezzare se stessa, perché paragona la propria natura con la maestà di Dio, la propria ignoranza con la sua sapienza e la propria povertà con la sua infinita ricchezza.

    Trovandosi in tutto soggetta pienamente alla volontà divina, si umilia e sottomette anche a tutte le creature per Dio, muovendosi verso di lui e verso di loro con intimo amore e giungendo così alla perfezione dei figli di Dio, cioè alla suprema unione di spirito con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo”.

    Approfitto per apprezzare la intelligente, domanda di Balqis: la valenza della (buona) volontà nell’uomo e i doni dello spirito… la d’Agreda la spiega facendo una relazione comparativa con i 7 Doni infusi nella S.Vergine. Ma sarebbe troppo lungo ora parlarne.

    —-

    Adesso passiamo ai punti dolenti dell’articolo fratello RS…: non so se lei è un consacrato. La domanda è legittima doppiamente perchè  lei non solo a dire la verità al suo prossimo sarebbe tenuto ma a salvare le pecore che sentono la sua voce, se pastore.
    Lei NON ha chiamato “Papa” il tizio che sta in Vaticano. Ha parlato di un “Francesco”: ma lei sa bene che chi rifiuta un Papa, persino nel suo nome apostolico è anatema!
    Dunque cosa è “Francesco” per lei?? Se è il Papa allora lo dica e abbia fede in lui, lo chiami Papa Francesco anche nei suoi articoli dubbiosi, ma se non lo è allora bisogna gridarlo a squarciagola perchè chi lascia nel dubbio i moribondi e i disorientati è un potenziale assassino delle loro anime.
    RS si decida per Dio! Chi tace acconsente.
    Mi perdoni per la franchezza.

  • Fantasma di Flambeau ha detto:

    Come disse Qualcuno, «Venite e vedrete». Più avanti si va meno spazio c’è per congetturare. O illudersi.
    Che Bergoglio sia un fulmine a ciel sereno e non soltanto il segno più lampante dentro una tempesta, forse quella perfetta.
    In altri termini: niente nasce già grande e pasciuto dal niente e, quanto più è macroscopico un (epi)fenomeno, tanto più sono lontane, complesse e concatenate le sue cause. Centrare la polemica sul Vat II non è sbagliato. È semplicemente parziale e fuorviante. In realtà, per paradosso e forse nemmeno tanto, “il Concilio” è stato davvero un momento dello Spirito. Santo.
    Ha portato sotto il sole una divisione che datava secoli, non decenni, e che era andata approfondendosi al punto da rendere bicefala una Chiesa in cui coesistevano due concezioni di Dio e del mondo diverse quanto Simon Pietro e Simon Mago.

    L’obiezione sul buon grano e la zizzania che non spetta ai presunti buoni separare: giusto, sacrosanto ed evangelico.
    Ma, se Dio agisce normalmente per cause seconde, è più presunzione vederLo all’opera o ignavia coprirsi gli occhi?
    Obiezioni d’appendice. Bergoglio è un fantoccio del potere di turno, d’accordo, ma la Chiesa ha sempre fatto i conti e i compromessi col potere: vero. E nel farli ha manifestato le sue nature; inventandosi eccezioni e concedendo ai regnanti dispense larghissime, la zizzania non faceva altro che tributare il più alto degli omaggi a ciò che doveva restare intangibile.
    L’Istituzione è geneticamente a rischio di strumentalizzazioni e condizionamenti: verissimo. L’esclusiva è di ier l’altro.
    Giovanni Paolo II è stato l’ariete di Brzezinski contro il Muro. E in tutto il resto l’estremo muratore del katechon.
    La Chiesa del buon grano ha sempre trovato il modo, magari antipapizzando ex post i burattini, magari riesumando e processando cadaveri, di tenere la zizzania sotto controllo e le mietitrebbia del mondo fuori dal campo di Dio.

    Perché stavolta dovrebbe essere diverso? Per quanto sopra in premessa. C’è una Chiesa, gerarchia e popolo, il cui credo di massa si può non condividere ma ha una sua coerenza ed è perfettamente riassunto, nell’ordine, da Fazio e Bergoglio. Un credo per cui tutto è umanamente disponibile e niente soltanto di Dio, ogni cosa è relativa al tempo e al luogo e non ci sono assoluti né in Cielo né in terra, ciò che è da ritenere per vero è alla totale mercé dell’istante e della volontà più forte (del).
    Se non fossero entrambi argomenti molto tristi, si potrebbe chiudere con una barzelletta psi. Sul marito che, dopo aver trovato le valigie davanti alla porta e la serratura sostituita, racconta a se stesso e agli altri di aver perso le chiavi.
    Tranne miracoli di prima grandezza, una valanga non si ferma né tantomeno rimanda a monte esorcizzando la parola.

    • Balqis ha detto:

      La storia bimillenaria della Chiesa starebbe, dunque, inevitabilmente avviandosi verso la sua conclusione? Anche se è sempre stato così, umanamente inestricabile intreccio di grano e zizzania, di santi e peccatori?

      • R.S. ha detto:

        La conclusione coincide con un nuovo inizio.
        Come nei misteriosi capitoli conclusivi di Apocalisse.
        Non è chiesto di capire tutto di Dio, ma di fidarsi di Dio.
        La Chiesa che commercia con il mondo non ha torto per non aver chiuso fuori il mondo, perché il suo compito non è quello di separare Dio dal mondo o il mondo da Dio.
        Però ha una missione da compiere e sa che Gesù tornerà.
        Quando tornerà troverà ancora la fede sulla terra?
        L’Eucaristia non è il sacrificio che l’uomo religioso fa a un Dio esigente, ma l’esatto opposto!
        Alla Chiesa non è richiesto di essere una religione, ma di avere fede nella rivelazione di Dio in Cristo e così di permettere la partecipazione della natura umana alla vita divina. In pratica di acquisire lo Spirito Santo.
        In questi misteri di Grazia si è spesso preferito commerciare, abusando del libero arbitrio.
        Solo chi muore a se stesso può rinascere in Cristo.
        E, come ha detto Fantasma, si può arrivare a Fazio e Bergoglio, con una certa coerenza intrinseca, ma del tutto disorientata rispetto al bersaglio.
        Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna.

        • Balqis ha detto:

          “Non è chiesto di capire tutto di Dio, ma di fidarsi di Dio”. Siamo completamente d’accordo. Interrogarsi, discutere, cercare di capire: non smetteremo mai di farlo. Secoli di riflessioni, stratificazioni di testi ed interpretazioni, l’inevitabile emergere di contraddizioni dalle traduzioni di traduzioni. Non smetteremo mai. Per arrivare infine a comprendere che fidarsi è l’unica via.

      • Fantasma di Flambeau ha detto:

        Che sarebbe come dire “attento ai tombini millenaristi. E ricordati di Tertulliano”.
        Obiezione accolta. R.S. ha già dato una risposta dal lato spirituale a cui non c’è nulla da aggiungere o eccepire.
        Rielaboro laicamente il mio e riformulo. Negli anni in cui ci crogiolavamo tutti -io sicuramente- sotto la luce De labore solis (sarà un probabile falso storico, ma un falso più vero di certi veri se in tre parole riassume il Papa più giramondo della storia, il cui magistero -Veritatis splendor sta all’Occidente come la Pascendi al modernismo- è agli antipodi di questa terra oscura senza peccato e senza redenzione) c’erano profeti di sventura che vedevano l’inconciliabilità montante fra Senso e Struttura. Con l’ultimo termine volendo intendere non il semplice apparato, o i rapporti di necessità con le realtà terrene, ma il groviglio di catene di Jacob Marley che, un silenzio, un complesso di inferiorità e un aggiornamento dopo l’altro, ha finito per trascinare l’anima al medesimo livello di compromesso del corpo. Avendone in cambio uno strapuntino a Davos e un trafiletto su Repubblica. Se questo sia il capolinea o solo un crocevia lo scopriremo camminando. Quando l’arianesimo imperiale sembrava aver conquistato la Chiesa nessuno avrebbe scommesso un soldo su sant’Atanasio. Quando l’Impero su cui la Chiesa si era modellata e totalmente appoggiata crollò, pochissimi videro all’orizzonte una nuova alba. Quando l’Europa era percorsa da orde di predatori spietati ci volle una fede da smuovere le montagne per fare dei loro figli i costruttori di una nuova civiltà. Ma, prima, fu indispensabile espellere come corpo estraneo l’eresia dello spirito del tempo, tagliare il cordone ombelicale con Bisanzio, distinguere tra fedeltà alla Tradizione, incarnata a Roma e non altrove, e conservatorismo fine a se stesso che impediva di “passare ai barbari” e al futuro. Oggi il vecchio che deve passare sono i Bergoglio, i pagliacci e i lacchè degli sgorbi che si credono Titani, i succubi di una Modernità che è nata senz’anima e senza cervello, i conservatori di un sistema impazzito che divora la sua stessa carne mentre minaccia di trascinare con sé all’inferno il mondo intero. E l’Agostino di Ippona, consapevole o suo malgrado e a sua insaputa, è stato Ratzinger/Benedetto XVI. Chi vuol andare avanti è da lui che deve ripartire. Opinioni ectoplasmiche, ça va sans dire.

        PS. La storia di tua madre è praticamente identica a quella di mio padre. Se lo permetti, un grande abbraccio fraterno.
        PPS. Tosatti auguri e si riguardi. Non so se sia il suo caso né posso fare statistiche, ma non ricordo tante stranissime sindromi, febbrili improvvise, respiratorie e intestinali, fino a maggio compreso come quest’anno.

        • Balqis ha detto:

          Anche a te. Buona giornata 😊

        • Balqis ha detto:

          Caro Fantasma (e caro R.S.), rileggendoti mi viene da commentare in merito al rischio di un possibile equivoco che può tradursi in illusione per chi pensa che dopo questo pontificato – a cui vengono attribuiti tutti i mali possibili e immaginabili (quasi Bergoglio fosse una specie di Nembo Kid!!), come se la crisi della Chiesa non fosse il frutto di un lungo processo storico – si possa tornare indietro ad un mondo che non esiste più. *****
          Il problemi non vengono dall’esterno, ma dall’esterno e non dal Modernismo, ma dalla perdita della capacità, da parte della Chiesa, di inglobare, reinterpretandole, le sollecitazioni culturali del mondo. Così è stato con San Paolo nei confronti della cultura ellenistica; così la tomistica con la riscoperta della filosofia greca fattasi araba; così i grandi papi umanisti del Rinascimento (pur se un po’ goderecci); ecc… Con l’illuminismo e la Rivoluzione questa incredibile capacità viene meno, sia perché la sfida è esistenziale, ma anche per la difficoltà nel disfarsi di un ingombrante potere temporale. Da quel punto in poi scatta il meccanismo di difesa e l’idea perdente del fortino asserragliato. La Teologia della Liberazione non è che un tentativo (rivelatosi però troppo sbilanciato e, di conseguenza, soggetto ai veti politici di lesa maestà proprio nel cortile di casa…) di resuscitare la capacità inglobante perduta cercando di incorporare, reinterpretandole, il marxismo (mossa geniale, se fosse stata gestita diversamente!). ***** Ripartire dai tentativi di Ratzinger di inglobare l’illuminismo? Va bene, ma è comunque un’operazione che arriva in ritardo di 3 secoli in un mondo postmoderno che l’illuminismo l’ha fatto a pezzi. Francesco, anche lui in ritardo, prova a misurarsi con l’inglobazione del postmoderno, ma non gli riesce bene, al punto da rischiare di finire inglobato lui. A mio avviso, l’aspetto più interessante di questo pontificato, sullo sfondo del terremoto in atto negli assetti globali, risiede nello spostamento dello sguardo da un’Europa decrepita verso le energie fresche e la vitalità delle cosiddette “periferie”: un tema (a ben vedere in qualche modo già esplorato da Wojtila) purtroppo ottusamente interpretato con gli occhiali della miseria politica di casa nostra… Il futuro della Chiesa è altrove. E, checché se ne dica, è una Chiesa di evangelizzazione.

          • Fantasma di Flambeau ha detto:

            Se Bergoglio è l’Anticristo merita un Oscar prima che la dannazione eterna. Tutto si può pensare, tranne che l’ex Vicario sia un Superman di qualsiasi gender. O che “il Concilio” sia stato un meteorite sulla Chiesa-modello pioduodecima, anziché la scossa finale su un edificio del quale i Pii avevano a malapena preservato facciata e fondamenta. Altrimenti, per essere intellettualmente onesti, si dovrebbe sostenere che nelle aule del Vat II, nei seminari, nelle sagrestie, nelle case di tutto il mondo (occidentale), la sera dell’11 ottobre 1962 ci fu l’invasione degli ultracorpi. Bergoglio è Papa di una Chiesa che, cinque secoli dopo Lutero, s’è messa prona davanti a ecologismo maltusiano, pansessualismo consumista, ipercapitalismo polcorretto, transniccianesimo delirante, all’istesso modo in cui la Riforma fu il poggiapiedi di Stato, nazione, sangue e razza. Il resto (comprese le capillosità -passami il neologismo- cui la Chiesa non ha mai disdegnato attaccarsi) è variabile dipendente dal capire se la sua è anche/ancora quella di Tiberiade, del Credo e della Tradizione.

            Con l’incapacità di reinterpretare ed evangelizzare le culture hai colto il cuore del problema. Che è centralissimo però non esaurisce il corpaccione. “Vagliate tutto trattenete ciò che è buono” aveva, sia in Paolo che nella grande teologia e filosofia cristiana, due presupposti che oggi non possiamo più dare per scontati: il Vaglio e la bontà potenziale, l’apertura al “dio ignoto”. I tre secoli di rifiuto politico non potevano che portare all’epilogo già annunciato da Giustino. La Rivoluzione francese, figlia di libertins e utilitarismo piratesco d’oltremanica, fu un rifiuto del cristianesimo in nome d’un assoluto uguale e contrario. Dal 1789 sono cambiati i nomi, non l’essenza intrinseca; consumismo: godi finché puoi tutto ciò che puoi; comprare. Dimmi una negazione più assoluta della morale e dell’etica cristiana. La Chiesa pioduodecima si trovò presa in mezzo, fra il nemico esplicito oltre il Muro e quello che, da secoli, la stava infiltrando dalle radici. Che i frutti di una tale terra siano incapaci di riprodursi oltre che maleodoranti è legge di natura. Se parlassimo di agronomia il rimedio sarebbe una bonifica radicale. A mio parere, Ratzinger/Agostino/Benedetto mirava a molto più che una riconciliazione col fantasma di Voltaire. Ratisbona andrebbe riletta. Ma, appunto, è solo un parere non condiviso né dai conservatori né dai tradizionalisti, che preferiscono affidarsi a santo Trump e santa Cappella Sistina (piccolo consiglio, a proposito di vagliare il marxismo: si fa ma non si dice, se non vuoi scatenare l’ambaradan dei cacciatori di scalpi rossi).
            https://www.youtube.com/watch?v=j6-1zCMvwuw
            Con simpatia: ti offendi se propongo di chiuderla con una canzone di Lucio Battisti?

    • R.S. ha detto:

      Chapeau Flambeau!

      Francesco non è il problema peggiore nella Chiesa: è provvidenziale per tutti quelli che, mossi dalla provocazione di questa interpretazione del pontificato, stanno rimettendo al centro della loro vita l’amore per Cristo e il tema della Grazia, soffrendo per la vigna.
      Nemmeno il Concilio Vaticano II è una disgrazia, perché lo Spirito ha agito accelerando l’espressione di una gerarchia simil-bergogliana, abbreviando i tempi in modo decisivo, facendo suppurare l’infezione e richiedendo il coraggio di inciderla per medicare.
      Benedetto XVI è stato provvidenziale nella rinuncia al ministerium, rendendo evidente la purezza intrinseca del munus. L’ha fatto per ispirazione divina o per viltà? Non importa: però l’ha fatto e otterrà di scompaginare le forze nemiche molto più che se le avesse combattute scomunicando e subendo attentati.
      Ora la valanga sta per abbattersi e se il miracolo di scongiurare le conseguenze catastrofiche dell’impatto pare l’alternativa più augurabile, non di meno c’è da sperare nella necessità della valanga stessa, ovvero nella salda regia di Dio sulla storia.
      La Chiesa è stata voluta da Dio, incaricata di una missione precisa. La Chiesa ha visto fiorire la santità, conosce anche oggi uomini e donne capaci di far fiorire la palma del martirio. Oggi la Chiesa è infestata di mercanti, come il tempio dove Gesù rovesciò i banchi dei venditori. Si tratta della Gerusalemme di cui Apocalisse parla come una prostituta, della città che lamenta la fine di tutti i suoi traffici.
      Ma è la stessa Gerusalemme celeste che risorge dalle sue ceneri, dopo la purificazione. Non c’è un’altra città. E’ la stessa. Ma cambia il suo rapporto con Dio.
      La città che vive del munus e non del ministerium, se non per farlo coincidere, per volontà di Dio, per Grazia. Una vigna del Signore e non un’osteria.

  • il Matto ha detto:

    “Nessuno può dire che Gesù è Dio se non per opera dello Spirito Santo. Nessuno può sapere Dio se non tramite Dio”.

    Bene. Adesso bisogna trovare CHI, fra gli umani, può stabilire con ferrea certezza dove e come opera lo Spirito Santo, ovvero CHI, tra gli umani, ha senz’altro Dio come tramite.

    *****

    “E poi questo Dio che è Uno e Trino sarà davvero lo stesso “dio” che ognuno chiama con un nome diverso? O è proprio diverso, perché solo Lui è Dio e le altre sono solo le congetture che l’uomo ha qua e là ideato nei secoli, senza andare al di là del ragionamento e senza la Sua Grazia?”.

    Forse, è bene che queste domande rimangano umilmente in sospeso perché, come sopra, CHI, tra gli umani, può stabilire con ferrea certezza dove ha operato e opera la Grazia divina? CHI, fra gli umani, conosce in tutto e per tutto le intenzioni di Dio?

    *****

    “Sarà davvero Padre di tutti se non siamo tutti uguali, dato che è la Grazia ricevuta e riconosciuta a renderci figli e non una banale prerogativa del nostro essere, che oggi potremmo definire un “diritto”?”.

    “La Grazia ricevuta e riconosciuta”: formula catechistica, troppo facile, astratta. La Grazia è sempre e comunque ricevuta? CHI, fra gli umani, lo stabilisce? E se uno non la riceve? CHI, fra gli umani, può discernere in maniera infallibile?

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    “Che razza di uomo è un uomo che non è assimilato a Dio, ma si atteggia ad esserne immagine? A chi assomiglierà? E dove finirà, senza la Grazia?”.

    Come sopra, troppo catechistico: CHI, fra gli umani, stabilisce se un uomo è assimilato o meno a Dio? CHI, fra gli umani, stabilisce dove finirà senza la Grazia?

    Il presupposto cruciale è sempre lo stesso: CHI, FRA GLI UMANI? … cui segue: SA TUTTO?

    Questo nuovo dio incarnato si palesi, favorisca nome e cognome, data di nascita, residenza, codice fiscale e foto formato tessera.

  • Balqis ha detto:

    “Che razza di uomo è un uomo che non è assimilato a Dio, ma si atteggia ad esserne immagine? A chi assomiglierà? E dove finirà, senza la Grazia?”: non è nient’altro che un uomo?
    Caro R.S., ecco un altro dei suoi articoli che rileggerò più volte, meno cupo di alcuni degli ultimi, ma sempre così denso di significati. Più di una volta (anzi: sempre) la Grazia è al centro dei suoi articoli. Ciò che io mi domando è: in che rapporto sono Grazia e libero arbitrio? E ancora: la Grazia – semplificando – è “a monte”, ma poi ci sono le capacità umane, che differiscono da persona a persona. Io non credo che il sacerdote che celebra la Messa con un casco da motociclista in testa o quello che lo fa utilizzando un materassino in mezzo al mare sia un malvagio “agente del demonio”: piuttosto lo è della umana stupidità. Forse è sinceramente convinto di far bene (forse crede davvero che sia un modo di “riportare la gente in chiesa”) e non capisce che sta invece sgretolando la sacralità della celebrazione, oltretutto rendendo ridicolo se stesso (e la Chiesa). Non si può nemmeno dire che vi sia peccato, perché quest’ultimo richiede una qualche consapevolezza. Prima ancora di lanciarsi in analisi antropologiche e sociologiche, che pure sorgono spontanee, mi domando: in che modo agisce la Grazia? Si può pensare che la “dotazione minima” di partenza possa alimentarsi attraverso una attiva partecipazione umana? O che le “dotazioni” siano diverse da persona a persona, cioè che alcuni siano “predestinati”? (ma così la pensano i calvinisti, se non sbaglio). O forse anche la stupidità è uno dei tanti mezzi mediante i quali il disegno divino, a noi sconosciuto, può attuarsi? E, anche se fosse il Male a servirsi della stupidità inconsapevole, non fa parte anch’esso del disegno divino?

    • R.S. ha detto:

      Ci sarebbe da ragionarne per un mese!

      Molto semplicemente ritengo che la Grazia è ciò che l’uomo non può darsi da solo. Dio per amore lo dona ed è cosa buona per la bontà del Donatore.
      Il libero arbitrio contraddistingue l’immagine di Dio nella creatura umana, ma disgraziatamente può determinarne la non somiglianza per la facoltà di anteporre la mostra volontà a quella di Dio.

      La Grazia non arriva soltanto tramite i sacramenti, ma è ovvio che essi sono doni preziosi, che discendono direttamente dalla missione del Verbo Incarnato. Anche chi non studia musica può gustare una sinfonia, ma l’efficacia del segno è amplificata dalla consuetudine. Ultimamente si è talmente sottovalutato il sacramento per il fatto che Dio può donare lo stesso le Grazie, da non rendersi conto che Dio ne dona di più tramite questi segni efficaci.

      L’umiltà e il timor di Dio sono i recipienti che si riempiono e la preghiera è scuola di umiltà: chi prega è gradito a Dio se questo tempo rivolto al Cielo lo rende umile.

      Il problema della religione è di poter scadere in forme deleterie di prescrizione o al contrario in forme superstiziose: perciò il cristianesimo si differenzia, non essendo un fenomeno religioso, dell’uomo rivolto a Dio, ma l’accoglienza dell’Incarnazione di Dio che si è fatto uomo, con tutto ciò che ne consegue, rito e sacramenti inclusi. Ma lo Spirito Santo mira a farci santi e a santificare il nome del Padre, cioè a comprenderne la separazione (tre volte santo) anche se Gesù ce lo rivela Padre. Cioè sacro, riservato, dedicato… Santificarne il nome significa sacralizzare l’esistenza e questo chiede al libero arbitrio di morire a noi stessi.

      Dopo di che la Grazia prorompe. Anche quando le circostanze richiedono la croce. Dio è geloso e non ama le mezze misure. Lo capiscono gli innamorati veri.

      Spero di averle risposto…

      • Balqis ha detto:

        La ringrazio per la risposta, che merita riflessioni non affrettate. Buona giornata.

    • luciano ha detto:

      Gentile BAQIS, le propongo um testo del magistero di Benedetto XVI

      Alla luce di questo insegnamento di san Tommaso, la teologia afferma che, per quanto limitato, il linguaggio religioso è dotato di senso – perché tocchiamo l’essere -, come una freccia che si dirige verso la realtà che significa. Questo accordo fondamentale tra ragione umana e fede cristiana è ravvisato in un altro principio basilare del pensiero dell’Aquinate: la Grazia divina non annulla, ma suppone e perfeziona la natura umana. Quest’ultima, infatti, anche dopo il peccato, non è completamente corrotta, ma ferita e indebolita. La Grazia, elargita da Dio e comunicata attraverso il Mistero del Verbo incarnato, è un dono assolutamente gratuito con cui la natura viene guarita, potenziata e aiutata a perseguire il desiderio innato nel cuore di ogni uomo e di ogni donna: la felicità. Tutte le facoltà dell’essere umano vengono purificate, trasformate ed elevate dalla Grazia divina.

      Un’importante applicazione di questa relazione tra la natura e la Grazia si ravvisa nella teologia morale di san Tommaso d’Aquino, che risulta di grande attualità. Al centro del suo insegnamento in questo campo, egli pone la legge nuova, che è la legge dello Spirito Santo. Con uno sguardo profondamente evangelico, insiste sul fatto che questa legge è la Grazia dello Spirito Santo data a tutti coloro che credono in Cristo. A tale Grazia si unisce l’insegnamento scritto e orale delle verità dottrinali e morali, trasmesso dalla Chiesa. San Tommaso, sottolineando il ruolo fondamentale, nella vita morale, dell’azione dello Spirito Santo, della Grazia, da cui scaturiscono le virtù teologali e morali, fa comprendere che ogni cristiano può raggiungere le alte prospettive del “Sermone della Montagna” se vive un rapporto autentico di fede in Cristo, se si apre all’azione del suo Santo Spirito. Però – aggiunge l’Aquinate – “anche se la grazia è più efficace della natura, tuttavia la natura è più essenziale per l’uomo” (Summa Theologiae, I-II, q. 94, a. 6, ad 2), per cui, nella prospettiva morale cristiana, c’è un posto per la ragione, la quale è capace di discernere la legge morale naturale. La ragione può riconoscerla considerando ciò che è bene fare e ciò che è bene evitare per il conseguimento di quella felicità che sta a cuore a ciascuno, e che impone anche una responsabilità verso gli altri, e, dunque, la ricerca del bene comune. In altre parole, le virtù dell’uomo, teologali e morali, sono radicate nella natura umana. La Grazia divina accompagna, sostiene e spinge l’impegno etico ma, di per sé, secondo san Tommaso, tutti gli uomini, credenti e non credenti, sono chiamati a riconoscere le esigenze della natura umana espresse nella legge naturale e ad ispirarsi ad essa nella formulazione delle leggi positive, quelle cioè emanate dalle autorità civili e politiche per regolare la convivenza umana.

      Udienza generale del 16 giugno 2010

      • luciano ha detto:

        Gentile BALQIS, chiedo scusa per avere storpiato il suo nome nel mio intervento precedente.

        • Balqis ha detto:

          Gentile Luciano, sono abituata dalla nascita alla storpiatura del mio cognome e figuriamoci se mi offendo per quella del mio pseudonimo!
          La ringrazio del testo di Ratzinger. L’assurda saga del munus/ministerium se non altro mi ha consentito di approfondire, attraverso i suoi scritti (molti dei quali non conoscevo), la figura di questo fine intellettuale, purtroppo ridotta a una sorta di “macchietta” da alcuni imbarazzanti manipolatori, e la sua ricerca di una via di possibile dialogo con il mondo contemporaneo.

  • andrea carancini ha detto:

    bellissimo articolo, complimenti!

  • Dino Brighenti ha detto:

    C’è bisogno di commenti ???