“I frutti dell’odio”. Come la Chiesa è Distrutta dall’Ateismo Ecclesiastico e dall’Odio per la Fede. Joachim Heimerl.

30 Aprile 2024 Pubblicato da

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Joachim Heimerl, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione queste amare riflessioni sulla situazione della Chiesa oggi. Buona lettura e condivisione.

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“I frutti dell’odio” ovvero: Come la Chiesa viene distrutta dall’ateismo ecclesiastico e dall’odio per la fede

di Joachim Heimerl

“Dell’odio i tristi frutti” – Chi ama l’opera conosce queste parole. Provengono dal prologo de “I Pagliacci” di Leoncavallo, in cui la gelosia fiammeggiante sfocia prima nell’odio ardente e poi nel duplice omicidio.

I “tristi frutti dell’odio” si trovano non solo nell’opera, ma in tutto il mondo, e la citazione dei “Pagliacci” potrebbe anche descrivere l’attuale situazione nella chiesa.

Chiunque lo ascolta pensa automaticamente alle parole più grandi del Signore: “Li riconoscerete dai loro frutti” (Matteo 7:16), e in effetti: i frutti di un odio demoniaco verso se stessi si vedono in tutta la Chiesa; sono i frutti dell’odio verso tutto ciò che è cattolico e forse anche dell’odio verso Dio.

È vero: viviamo in tempi tristi: la fede soprannaturale si è estinta anche nei più alti circoli ecclesiastici e ha lasciato il posto a un nuovo ateismo che cerca un collegamento senza speranza con il mondo e le sue idee.

Le conseguenze di ciò sono terribili, perché significano la fine della Chiesa e del papato: dove manca la fede soprannaturale, il papa diventa un mero dittatore che dà solo un indirizzo politico; Dio stesso è solo una formula vuota.

Gli inizi di questo sviluppo sono molto lontani: iniziano con ciò che Papa Giovanni XXIII nel 1962 definì “Aggiornamento”: l’adeguamento della Chiesa ai tempi moderni.

Questo è andato terribilmente storto e doveva essere così; la Chiesa non è un prodotto che si possa abilmente collocare sul mercato e adattare ai tempi. Neppure Gesù Cristo, anzi, e san Paolo avverte i Romani: «Non conformatevi a questo mondo» (Rm 12,2).

Chi non crede in questo principio non crede più a niente – proprio come un gran numero di alti e più alti prelati: la loro fede è evaporata davanti agli occhi di tutti e ora consiste solo in una vana fede nella protezione del clima e in un’insensata riforma della Chiesa. Ma i credenti sentono che queste persone danno loro solo pietre invece del pane (Lc 11,11); il loro esodo dalla Chiesa non può più essere fermato.

Sessanta anni dopo Giovanni XXIII. il seme cattivo è germogliato e minaccia di soffocare il grano. Solo che l’“aggiornamento” è ormai diventato una follia sinodale che vuole distruggere definitivamente la Chiesa.

Il cardinale Müller ha giustamente definito questa “un’acquisizione ostile”. Lo spirito cattolico dovrebbe essere sventrato, e questo è esattamente il piano dell’attuale “Sinodo sulla sinodalità”: vogliono rendere la Chiesa “sostenibile” distruggendone l’identità. – Ma per favore: chi distrugge qualcosa che ama? Solo l’odio distrugge, e l’odio verso il cattolicesimo sta ora distruggendo la Chiesa dall’interno.

Ecco perché questo sviluppo ebbe inizio nelle parti più interne e sacre della Chiesa, cioè con l’odio verso la liturgia trasmessa da almeno 1.500 anni, che Paolo nel 1970 sostituì con una messa semiprotestante.

Questa operazione non ha precedenti e nessun’altra religione si è mai permessa una tale ingerenza nel suo culto. Ma come sempre le cose sono andate ancora peggio: ora i seguaci della messa tradizionale vengono letteralmente perseguitati e insultati come “indietristi” o “scismatici”.

Lo si è visto in modo drastico ai funerali del vescovo emerito di Coira, mons. Vitus Huonder, sepolto dai tradizionalisti della Fraternità di san Pio X.

È ovvio: non c’è odio più grande nella Chiesa dell’odio per la Messa tradizionale, ma resta la domanda sul perché sia ​​così.

Si potrebbe rispondere: perché la menzogna odia la verità e le tenebre odiano la luce, e sicuramente questa è la radice misteriosa di quanto sta accadendo oggi nella Chiesa.

Per dirla più semplicemente: la “vecchia” Messa è incompatibile con tutto ciò che è accaduto dopo che l’“Aggiornamento” di Giovanni XXIII è iniziato e quello che Francesco ora vuole portare a termine. – Si tratta di eliminare la “vecchia” hiesa con la “vecchia” messa affinché ne possa sorgere una nuova al posto della vera Chiesa.

Che questa nuova Chiesa abbia perso la fede in Dio è diventato evidente già da tempo nel modo in cui i suoi altari sono girati: non si orienta più verso Dio, ma si rivolge esclusivamente alle persone.

Questo dice tutto: l’“Aggiornamento” ha aperto la porta all’ateismo ecclesiastico, e con esso è iniziata la “presa del potere ostile” che ora stiamo vivendo nella sua totalità.

Questa presa di potere diventa possibile solo se si disprezza profondamente la fede, ed essa può sembrare apparentemente “cattolica” solo se prima si distrugge ciò che è veramente cattolico.

– Mettiamola così: l’odio per la messa tradizionale non è solo l’odio per quella cattolica, è soprattutto il prerequisito per la “riforma della Chiesa” sinodale. Oppure potreste immaginare una Messa solenne levitata con le “diacone” donne tanto desiderate da Francesco e dal suo sinodo? Difficilmente probabile!

Lo scopo finale di questa grande opera di distruzione si vede già in Germania, e solo per questo Francesco dà mano libera ai vescovi ex cattolici.

Le piccole scaramucce tra Curia e tedeschi sono solo uno stratagemma; il vero piano di battaglia sembra diverso. Roma non fermerà le decisioni del “Cammino sinodale” tedesco; verrano invece esportate dalla Germania a Roma e pagati in contanti dai ricchi tedeschi. – Sì, è come ha detto Gesù: “Li riconoscerete dai loro frutti!” – e questi frutti puzzano fino al cielo!

A volte vorresti che calasse il sipario e che tutto questo diventasse solo un’opera tragica. Tuttavia la fede ci insegna la fiducia: il tempo della confusione e dell’apostasia finirà. Allora la Chiesa ritornerà alla vera fede cattolica e alla liturgia tradizionale. Francamente, non ha scelta. Ora la gente fugge da lei in massa e si reca dove viene celebrata la “vecchia messa”.

Il grande Papa Benedetto XVI. lo ha profeticamente riconosciuto, e i buoni frutti del suo pontificato perdureranno nei secoli, anche se attualmente vengono distrutti.

I tristi frutti dell’odio non hanno alcuna possibilità. “I Pagliacci” lo mostra in modo ammonitore e crudele – e lo mostra anche la Bibbia. – Certamente: “I Pagliacci” potrebbe essere un’opera cupa sui folli.

Tuttavia il protagonista tragico, Canio, alla fine vede come è realmente. Si rende conto che il suo odio gli avvelena il cuore e ne dà una testimonianza sconvolgente nella famosa aria “Vesti la giubba”. La Chiesa è attualmente molto lontana da tale conoscenza di sé.

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3 commenti

  • Don Ettore Barbieri ha detto:

    La crisi è di molto antecedente al 1960. Giovanni XXIII ha tolto il tappo, probabilmente illudendosi che tutto sarebbe filato liscio.
    Certamente, il problema di fondo è una crisi di fede, frutto della presunzione (lo diceva molto bene Don Divo Barsotti) e della infiltrazione massonica.

  • R.S. ha detto:

    Lo spinoso argomento dell’ateismo ecclesiastico è poco indagato, ma lo meriterebbe.
    Nessuno di noi possiede un fedometro con il quale misurare l’intimità del rapporto con Dio e questo è ancor più aleatorio (sconsigliabile) in altri da noi stessi.
    Se la fede (come l’amore) non si misura, non di meno esistono degli indicatori che fanno dire, ad esempio, che una coppia sta bene insieme oppure no.
    Ogni uomo è un chiamato e la risposta alla vocazione è visibile pur riservando insondabili segreti per gli estranei.
    In certe vite ecclesiastiche purtroppo, lungi dal trasparire l’entusiasmo e il trasporto contagiosi che attraggono a farsene trascinare, serpeggia un malcelato scetticismo in materia di fede, per non dire quasi un fastidio, che viene ricoperto di interessi disorientati dal trascendente e dallo spirituale. Quando non sono interessi meramente materiali, non vanno oltre la morale e la psicologia.
    E’ vero che il vangelo offre spunti altissimi per affrontare le tante sfaccettature del vivere, ma non è un caso se raramente si sente parlare di vita eterna, ma di questa vita qui, nel presente.
    Eppure Gesù è molto esplicito circa il Regno che non è di questo mondo e del posto che è andato a prepararci. Come mai allora una vocazione che ha scelto di dedicare tutta la vita a questo annuncio può diventare quasi insensibile al tema? Perché ragiona come il mondo?
    E’ chiaro che non basta restare dentro un’apparenza di normalità per dire sana la relazione: da separati in casa non si vive un matrimonio!
    Dato che la bontà dell’albero si riconosce dai frutti, l’attuale stagione ecclesiale testimonia di una pianta abbastanza ammalata di tristezza. Non perché ci sia la tribolazione (che di per sé non impedisce la gioia), ma perché manca l’amore (lì di gioia non può essercene).
    E’ vero: i tempi sono tristi, specialmente nel mondo occidentale, privi di fede soprannaturale, ripiegata al più in una fede nel progresso umano e nelle “riforme”. Tanta previdenza, poca Provvidenza, tanto impegno, politica e potere, ma poca Grazia.
    La metafora del sale che perde sapore è perfetta.
    O anche del tiepido vomitevole…
    Non è che non si creda più a niente, ma non si crede a ciò che è trascendente, evaporato nell’interesse per l’ambiente, il dialogo e i diritti umani. Tutte cose che di per sé non sono male, ma lo diventano se scalzano dal centro la fede cristiana per farne un soprammobile.
    E’ un disinteresse che a volte sconfina nell’odio ed è interno alla compagine ecclesiale: non è nemmeno imposto da qualche tiranno cattivo, perché basta e avanza chi spinge da dentro.
    Benedetto XVI lo disse apertamente (a Fatima: forse alludendo al terzo segreto?): «La più grande persecuzione alla Chiesa non viene dai nemici di fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa».
    Non sorprende che la liturgia coincida con la maggior lente di ingrandimento del disagio, della tracotanza e dell’apostasia di fatto, anche non dichiarata, ma manifestata nell’incuria e negli occhi spenti di un celebrare senza lo Sposo.