Nassirya, Vent’Anni dopo. Bisogna Riaprire il Processo Penale. Laporta.

11 Novembre 2023 Pubblicato da 5 Commenti

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il generale Piero Laporta offre alla vostra attenzione queste riflessioni sul massacro di Nassirya. Buona lettura e condivisione.

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Si approssima nuovamente il 12 Novembre. Siamo pronti a fronteggiare le consuete commemorazioni a melassa incorporata, per nascondere come sempre la verità, piuttosto che trovarla. In questi anniversari (ne sono trascorsi 20) si serve una “verità preconfezionata”. È un canone ben collaudato da ben prima di via Mario Fani, che ha accompagnato tutte le stragi: 1) oscurare le cause della strage; 2) individuare responsabili purché sia; 3) infoibare la verità nella retorica; 4) blandire fino a raggirare i parenti delle vittime.

Dopo venti anni siamo ancora allo stesso punto.

12 novembre 2003, ore 08.40, un’autocisterna in velocità esplode e distrugge base Maestrale dei carabinieri. Base Libeccio, a 400 metri, è gravemente diroccata. Muoiono 28 persone, delle quali 19 italiani, 17 militari e due civili italiani e un imprecisato numero di civili iraqeni, morti o storpiati.

La procura militare di Roma nel 2007 chiese il rinvio a giudizio per due generali dell’esercito – Bruno Stano e Vincenzo Lops – e per un colonnello dei carabinieri, Georg Di Pauli. Dopo lungo iter giudiziario furono assolti tutti con formula piena.

Il giudizio sui fatti di Nassirya fu poi convogliato sulla Cassazione civile per determinare i risarcimenti che lo Stato paga alle vittime.

La responsabilità civile è una cosa. La responsabilità penale è un’altra cosa. Se la responsabilità penale non fu dei tre iniziali accusati, delle due l’una: o la magistratura militare mise in piedi un processo che non si doveva fare oppure la responsabilità penale è altrove, senza escludere che ambedue le ipotesi siano vere. Finora dunque la verità rimane velata, come per le rimanenti stragi italiane.

L’ordine di operazione per una missione militare all’estero è esattamente come il progetto esecutivo per costruire una casa. L’ordine di operazione è scritto su disposizione del committente, il ministro della Difesa, per mano dei massimi livelli dello stato maggiore della Difesa e inoltre, in questo caso, dei Carabinieri.

Nell’ordine di operazione è stabilito tutto: 1) quali sono le forze che compiono la missione; 2) qual è il loro obiettivo; 3) dove si schierano e per quanto tempo; 4) quali sono le armi, i mezzi, gli equipaggiamenti e tutte le altre risorse; 5) chi sono i comandanti in capo a tali forze e da chi costoro, a loro volta, dipendono; 6) chi fornisce le informazioni senza le quali la missione sarebbe cieca.

Dopo di che l’ordine d’operazione viene consegnato ai comandanti che operano sul terreno, a migliaia di chilometri da Roma. Questi comandanti sono come il direttore del cantiere che costruisce la casa, il quale legge il progetto esecutivo scritto da un ingegnere che neppure conosce (proprio com’è per l’ordine di operazione) sapendo di dover realizzare quanto v’è scritto.

La missione parte. Le truppe si schierano dov’è previsto dall’ordine di operazione e fanno quanto vi è stato stabilito.

La procura militare di Roma escluse dall’inchiesta i tre generali che firmarono gli ordini di operazione, i progetti esecutivi: Rolando Mosca Moschini, capo di stato maggiore della difesa; Filiberto Cecchi, comandante operativo di vertice, Guido Bellini, comandante generale dei Carabinieri.

Se l’inchiesta l’avesse condotta la magistratura ordinaria, forse sarebbe stato diverso. Poiché almeno due vittime sono civili, la competenza era e rimane della magistratura ordinaria. Si è invece intromessa la magistratura militare. Occorre quindi riaprire il processo penale – che per la strage non è prescrittibile – esaminando la posizione di quei tre generali di vertice e dei loro diretti collaboratori. Occorre pure esaminare la posizione dell’allora direttore del servizio di informazioni, generale Niccolò Pollari, nonché quelle dei diretti consiglieri militari del ministro degli Esteri e della Difesa, in carica in quei giorni, cioè Franco Frattini e Antonio Martino.

Lo impone una lapalissiana deduzione. Quando due ministri aprono bocca su una questione operativa importante, come fu la missione militare in Iraq, lo fanno sulla base di valutazioni ben approfondite e fondate sulle informazioni di intelligence, vagliate dai sapienti consiglieri di quei ministri.

I ministri di Esteri e Difesa ai tempi di Nassirya, Franco Frattini e Antonio Martino, assicurarono ripetutamente il carattere umanitario della missione.

Essi ebbero accenti rassicuranti, non solo nelle loro comunicazioni verso il parlamento, bensì anche e ripetutamente verso la stampa, fino a poche ore prima della strage.

Nessuno può immaginare che i due ministri fossero degli sconsiderati.

Se la missione fu dunque umanitaria, come assicurarono ripetutamente ai due ministri, fu conseguentemente logico che i carabinieri si schierassero nel centro di Nassirya, dove però poi furono facile bersaglio. Come mai questo accadde?

Tutti i decisori di vertice si dissero in precedenza convinti che non vi fosse alcun pericolo, in Iraq e a Nassirya. Che fosse vero invece il contrario lo dice una prova palmare: esplosione e morti.

esiste un’altra incontrovertibile prova della errata convinzione dei vertici militari: lo stato maggiore della Difesa autorizzò infatti una troupe di cineasti a fare delle riprese proprio su base Maestrale, a Nassirya, dove due poveretti civili morirono nell’esplosione. Mai una tale autorizzazione sarebbe stata concessa ai cineasti se a Roma avessero sospettato il benché minimo pericolo a Nassirya, ripetiamolo: “nemmeno il benché minimo pericolo”.

Chi autorizzò la troupe a fare le riprese quel mattino su base Maestrale a Nassirya? Su quali informazioni e valutazioni costui assunse la sua decisione? Perché non è stato interrogato il generale Niccolò Pollari, capo dei servizi? Perché non si setacciano tutti i messaggi pervenuti ai servizi prima della strage?

La procura militare sostenne che i tre comandanti operanti a Nassirya ricevettero un credibile preavviso dell’attentato dal servizio informazioni, diretto da Niccolò Pollari. Tale circostanza è documentalmente dimostrata? Pollari, ribadiamolo, non fu mai interrogato. È inaccettabile.

D’altro canto se fosse vero quanto asserito dalla procura militare circa l’esistenza d’una tale informativa allarmante – e non vi sarebbe motivo alcuno di dubitarne – la dritta sull’attentato sarebbe dovuta arrivare ai comandanti sul terreno da almeno tre canali: il SISMI, lo stato maggiore della difesa, il comando della divisione inglese che aveva giurisdizione sul territorio di Nassirya. Nessuno dei responsabili di tali canali fu mai interrogato.

D’altronde, la qualità dell’attentato di Nassirya renderebbe sconcertante la triplice eventuale cecità di quei canali di intelligence. Posto quindi che tale informativa esiste – altrimenti la procura militare non ne avrebbe parlato – vi sono solo due alternative: o l’informativa partì e non arrivò, oppure non partì affatto verso i comandanti sul terreno di Nassirya ma certamente avrebbe raggiunto i vertici dello Stato maggiore della Difesa, agli ordini del generale Mosca Moschini, del Comando di vertice Interforze agli ordini del generale Filiberto Cecchi, del Comando generale dei carabinieri, agli ordini del generale Guido Bellini. A chi altri avrebbero mandato tale messaggio, al parroco di Scurcola Marsicana?

Occorre quindi capire tuttora «se, come e perché» il messaggio partì, dove si fermò e perché non arrivò ai comandanti sul terreno a Nassirya. Occorre chiedere alla NATO e allo stato maggiore britannico se quel messaggio esiste, se fu inoltrato, a chi pervenne. Facile, non è vero? Perché non fu fatto? Perché non si fa? Nassirya è il nostro 11 Settembre, si direbbe fatto su misura per mettere con le spalle al muro il governo di Silvio Berlusconi.

La strage è reato imprescrittibile, occorre tuttora indagare.

Lo ripetiamo, nessuno dei responsabili dei tre canali di intelligence fu interpellato sul punto, sebbene non sembri una curiosità di poco conto.

Altro dettaglio: solo un razzo controcarro avrebbe arrestato la cisterna con 4 tonnellate di esplosivo prima che arrivasse troppo vicino a Base Maestrale. I carabinieri a Nassirya non avevano razzi controcarro ma solo armi leggere inadatte, com’è dimostrato dai fatti.

La qualità e la quantità delle armi a Nassirya era stabilita dall’ordine di operazioni, scritto a Roma da Mosca Moschini, da Cecchi e dal comandante generale dei carabinieri, Guido Bellini, non dai comandanti operativi agenti sul terreno. D’altro canto, perché schierare le armi contro carro se si trattava d’una missione umanitaria? Le armi controcarro non servivano, si disse, perché la missione era umanitaria, infatti. Ma chi assicurò al governo Berlusconi che la missione era “solo” umanitaria: il Pollari? il Mosca Moschini? Il Cecchi? Il Bellini? Tutti insieme?

Perché, visto che c’erano vittime civili, la competenza è stata attribuita contra legem a un tribunale militare. Era più gradito a chi? Ai veri responsabili?

È dunque provato dai fatti: qualcuno toppò in pieno circa gli equipaggiamenti e le valutazioni che li determinarono a monte, ma nessuno cerca i responsabili. Curioso.

Il fatto più inspiegabile di tutti. La procura militare non dispose alcuna perizia scientifica sull’evento centrale: l’esplosione. Persino per un incidente stradale si fa una perizia. Per Nassirya – 28 morti, una quantità mai confessata di feriti e storpiati, con civili iraqeni e italiani – non fu disposta alcuna perizia scientifica.

Questo è il vero inspiegato mistero di Nassirya.

Oppure una spiegazione esiste? La procura militare, nel suo capo d’accusa, congetturò 400 chili di esplosivo per l’esplosione. Vi domanderete se si può formulare un capo di accusa su una congettura. Si può, evidentemente. La procura militare fu illuminata da due inchieste, commissionate dal ministro Martino. Di solito, in casi analoghi, il ministro della Difesa dispone una sola inchiesta, i cui esiti poi mette a disposizione della magistratura. Martino fu più scrupoloso e volle due inchieste, affidate a due generali di corpo d’armata, uno dei carabinieri e l’altro dell’esercito; meglio abbondare, si disse.

Ambedue le inchieste stabilirono che la quantità di esplosivo era “circa 400 chili di tritolo”, cioè un decimo della quantità reale, per ”una devastante esplosione” scrissero “che investe persone e cose nel raggio di molte decine di metri”.

Decine di metri? Le due basi distavano 400 metri, cioè quattro campi di calcio, uno dietro l’altro. Anche uno totalmente a digiuno di esplosivi comprende che 400 chili di tritolo – una bomba d’aereo, in sostanza – non possono causare distruzioni su un’area così vasta. Non era necessaria una perizia per una sciocchezza simile. I due generali di corpo d’Armata non se ne resero conto. Uno di essi è un sapiente artigliere. Curioso, vero?

Colpo di scena. Fu stabilito scientificamente, due anni dopo l’inizio dei processi, che a Nassirya esplosero 4 tonnellate di tritolo e non 4 quintali. Lo stabilirono il prof. Adolfo Bacci e l’ammiraglio Roberto Vassale, periti di vaglia, già impiegati dalla magistratura ordinaria per le stragi siciliane di Capaci, via D’amelio, e a Firenze, in via dei Georgofili.

I periti furono ingaggiati dalle difese degli imputati. L’Avvocatura dello Stato dimenticò di presentare la perizia. Curioso, vero?

Nessuno domandò mai ai due generali di corpo d’armata, uno dell’esercito e l’altro dei carabinieri, quelli che avevano condotto l’inchiesta, come mai avevano toppato così clamorosamente sulla quantità di esplosivo, 4 quintali invece di 4 tonnellate, scientificamente certificate.

Se la magistratura militare non fa le domande che ci siamo posti, a che cosa serve?

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5 commenti

  • giovanni ha detto:

    Per le Sue giuste ” curiosita’ ” , suggerisco leggere, ove non l’avesse ancora fatto, il libro ” navi e poltrone ” di Antonino Trizzino. Non facile da trovare, credo pero’ ancora reperibile . E’ storicamente ancorato a fatti reali di guerra, la cui ” curiosita’ ” ancor oggi rimane tutta li’, inevasa.

    • michele ha detto:

      Abbiamo letto il libro di Trizzino.
      Pur in presenza di buon armamento e ufficiali
      coraggiosi, là nelle alte sfere, qualcuno, con il re, faceva
      finta di fare la guerra. Gli inglesi allora e pure oggi la fanno da padroni. Anche con il glorioso Garibaldi. Gli sono stati sufficienti mille garibaldini scarsi, non solo dinumero.
      E se non l’ha inviato il piemontese, allora Chi?
      Ah il risorgimento. Anche la storia è propaganda

  • michele ha detto:

    Egregio Generale,
    puntuale la sua ricostruzione. Possibile che suoi colleghi a quei livelli possano essere accusati di tale dabbenaggine.
    Colpevole è tutta la nostra nazione con tutto il sistema di partiti, giornalisti, stampa televisione e preti. Se anche le navi più importanti devono essere dual use, come dicono, quando andiamo in guerra non è mai una cosa seria.
    Riesce a immaginare un aereo con missili o bombe dual use, un’atomica dual use. In Italia si può. solo in Italia. Siamo vittima di un’ipocrisia cosmica. Siamo sempre stati un buon popolo, anche se debole abbiamo avuto sempre un senso della realtà, ora stupide ideologie hanno corrotto l’anima nostra. Io lascerei stare i militari.
    Avranno ubbidito a chi gli è superiore dovevano dimettersi o accusare subito i politici. I politici sono traditori a prescindere. i militari purtroppo(?) obbediscono supinamente a prescindere dall’ordine.
    Penso vorrà concordare. Sempre i suoi interventi vanno oltre il singolo episodio e alle “cause prime”.

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