Jesuita non cantat. Mica solo loro, però….purtroppo. Porfiri.

2 Agosto 2023 Pubblicato da 9 Commenti

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il maestro Aurelio Porfiri offre alla vostra attenzione queste riflessioni su un aspetto particolare della Compagni di Gesù. Buona lettura e diffusione.

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Jesuita non cantat

Uno dei più grandi santi nel panorama cattolico viene considerato sant’Ignazio di Loyola, che la Chiesa cattolica festeggia il 31 luglio. Questo è detto con ragione, non solo per la grandezza di sant’Ignazio e della sua testimonianza di virtù cristiane, ma anche per la Congregazione religiosa da lui iniziata, la Compagnia di Gesù che tutti conosciamo con il nome di “gesuiti”.

I gesuiti hanno veramente dato gloria alla Chiesa cattolica, come missionari, teologi, confessori della fede, educatori e via dicendo. Sarebbe molto ingiusto non riconoscere questo contributo eccezionale che la Compagnia di Gesù ha portato al Cristianesimo. Alcuni sembrano dimenticarlo quando si confrontano con una certa deriva ideologica in seno alla stessa Compagnia, o in larga parte della stessa, che certamente deve preoccupare tutti coloro che hanno a cuore la dottrina e la fede cattolica.

Ma qui si vuole parlare di un altro aspetto che riguarda i gesuiti, quello che viene descritto da un detto molto popolare in ambiente ecclesiastico: jesuita non cantat. Ora, per comprendere questo detto dobbiamo distanziarci dalla contingenza dell’attualità. Il presente Papa gesuita, in effetti, non canta. Sembra quasi una conferma del detto già citato in precedenza. Alcuni dicono questo sia dovuto ad alcuni problemi di salute del Pontefice. A noi tutto ciò risalta perché veniamo dai Papi recenti che, in un modo o nell’altro, hanno sempre cantato. Paolo VI aveva una voce molto roca e pare non fosse proprio intonato, ma comunque si può ascoltare in alcune occasioni intonare le parti pertinenti al celebrante nella liturgia; Giovanni Paolo II aveva una voce maschia e vigorosa, era intonato ed amava molto cantare.

Ricordo quanto raccontava il padre francescano Emidio Papinutti, organista delle celebrazioni pontificie sotto Giovanni Paolo II, quando descriveva il canto del Prefazio nell’occasione in occasione della canonizzazione di Massimiliano Kolbe (se non vado errato) e in cui il Papa, preso dall’entusiasmo, cantillava sul Do che è nota abbastanza acuta; poi abbiamo avuto Benedetto XVI, grande amante e cultore della musica, che cantava con la sua voce sottile ed affilata ma molto intonata; infine Francesco, e il canto si è smorzato.

Il giornalista Luigi Accattoli nel 2013 offriva questa spiegazione per il caso specifico di papa Francesco: “I primi giorni dopo l’elezione di Francesco, il portavoce Lombardi alle domande sul fatto che il nuovo Papa non cantava e prestava poca attenzione a cerimonie e cerimoniali ebbe a rispondere che ciò è tipico del gesuita, il quale – secondo un aulico detto – “nec rubricat nec cantat”. Da allora cerco l’autore di questa massima che trovo indovinata”. Insomma, una versione leggermente modificata del detto che è oggetto di questo articolo.

Sempre nel 2013 Matteo Matzuzzi su Il Foglio così dava conto della scelta di papa Francesco di non cantare: “I gesuiti sono solitari, pregano da soli nelle loro stanze, danno forma a una spiritualità radicata negli Esercizi. Da sempre favorevoli alla pratica della confessione generale come sintesi di un percorso di introspezione e scoperta di sé, non è un caso che tra le prime omelie di Francesco abbia trovato uno spazio di rilievo il tema della confessione – che per un gesuita deve essere frequente, in modo da ricavare consolazione e forza interiore. I gesuiti sono autonomi, e Bergoglio rispecchia in pieno le caratteristiche del chierico ignaziano: parla con tutti, prende nota e poi decide senza chiedere pareri a nessuno, dicono con qualche apprensione in Vaticano. E lo fa nella sua suite, la numero 201 del residence di Santa Marta. Il suo stile è austero, in sintonia con la vocazione “militare” dell’ordine. Uno stile che già nel XVI secolo lasciò perplesso più di un porporato: “Ma che religiosi siete se non avete neppure il canto e la preghiera corale?”, sbottò il cardinale Gian Pietro Carafa, fondatore dei chierici teatini”.

Ma cerchiamo di comprendere la ragione di questo detto riguardo i gesuiti. In effetti i gesuiti danno più importanza ad altre cose rispetto ad altre Congregazioni che si concentrano sulla  vita comunitaria. Nelle loro Costituzioni vi è scritto che non si sarebbe usato il coro per la recita (cioè il canto) delle ore canoniche e che non era conveniente tenere in casa oggetti che richiamano alla mondanità, come gli strumenti di musica (e questa disposizione verrà abrogata soltanto nel 1995). Quindi a questa differenza nella vita comunitaria che probabilmente si può ascrivere il detto jesuita non cantat, quando cantare era sinonimo di adempiere in coro all’ufficio divino.

Eppure non si deve pensare che storicamente i gesuiti non avessero attenzione al canto e alla musica: “A Roma, il Collegio Romano sviluppò una tradizione musicale seconda soltanto a quella del Collegio Germanico e i suoi allievi già nel 1587, cantavano due mottetti al giorno anche durante le messe ordinarie” (Antonino di Nardo, La musica come linguaggio interculturale: l’esempio dei gesuiti). Ricordiamo che pochi anni prima al Collegio Romano vi era stato Matteo Ricci che studiò lì musica e che poi proprio anche attraverso la musica cercò di conquistare la corte imperiale cinese e di evangelizzarla. Compose anche dei canti in lingua cinese.

Ma la vita dei gesuiti fu in in realtà sempre ricca di attività musicali e molti esempi potrebbero essere portati in questo senso. Pensiamo a Domenico Massenzio (vedi Antonella Nigro,Domenico Massenzio da Ronciglione: Il sublime discreto), musicista attivo a Roma nel diciassettesimo secolo. Fu molto attivo al Gesù, presso quella Congregazione de’ Nobili ancora oggi esistente, nata alla fine del XVI secolo per iniziativa dei Gesuiti e con una speciale devozione per la Vergine Maria. Per questa congregazione Massenzio compose e diresse “scelta musica”, come la sua bella “Ave Regina Coelorum” che si può anche ascoltare su YouTube. Antonella Nigro menziona nel libro citato in precedenza come la congregazione sostenesse spese ingenti per dare splendore alla liturgia. Ma sempre in quegli anni e in relazione alla chiesa del Gesù in Roma come dimenticare il virtuoso dell’organo Domenico Zipoli, che di questa chiesa fu organista e che fu parte della Compagnia di Gesù per cui andò in Paraguay e in altre parti dell’America Latina per aiutare le popolazioni locali a sviluppare una peculiare tradizione musicale, insieme ad altre cose. Ma molti altri esempi in questo senso potrebbero essere fatti.

Allora perché oggi il detto jesuita non cantat sembra molto conguente alla realtà odierna dei gesuiti? Perché secondo alcuni tra i gesuiti odierni, tranne eccezioni, l’interesse per canto e liturgia non sarebbe tra le priorità. Come detto questo pregiudizio, alla luce delle evidenze storiche, dovrebbe essere quantomeno rivisto, visto che in realtà i gesuiti hanno avito una ricca vita culturale in cui la musica ha giocato un ruolo importante.

Purtroppo il problema non è tanto dei gesuiti soltanto, che fanno un poco da capro espiatorio in questa questione. In realtà l’interesse per la dignità della liturgia e della musiva sacra è stato perso negli ultimi decenni in molte altre Congregazioni religiose che un tempo erano conosciute per lo splendore delle loro cerimonie e la bellezza della musica sacra in esse eseguita. Oggi non sarebbe accurato dire che i gesuiti non cantano, sarebbe meglio dire che la Chiesa non canta o, peggio, canta molto male.

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9 commenti

  • La Signora di tutti i popoli ha detto:

    Un bell’articolo colmo di numerosi significati che nessuno ha saputo cogliere e me ne dispiace perchè il canto non è il solo argomento del Blog ma forse anche colui che lo fa erompere dal proprio cuore ardente. Scusatemi ma non riesco ad abituarmi alla superficialità.

    Credo, nella mia profana ignoranza, che il commento di Paul sia il più vero e corretto dal punto di vista dottrinale. La liturgia eucaristica è legata a doppio nodo alla musica e alla spiritualità dei canti. Sulla materia ci sono testi (fatevi un giro su vatican.va) e si sono tenute conferenze e precisazioni nei due ordo. Molto dipende nella pratica, oltre alla scelta dei canti nei vari momenti della Messa, dalla sensibilità del Ministro e dei direttori del coro e la loro preparazione liturgica. Il canto deve tornare ad essere un tutt’uno con la musica e non è una opzione liturgica ma parte integrante della liturgia, è liturgia.
    Personalmente vedo molto importante il canto nella processione dei fedeli gioiosi verso l’altare e poi, molto importante, il silenzio più assoluto dopo la Comunione: in questo silenzio possiamo sentire cantare il nostro cuore.

  • Amparo ha detto:

    Otra del señor Porfiri que no puedo resistirme a criticar. Todavía estamos comparando al grande Papa Juan Pablo II con el más que dudoso Bergoglio? Ciertamente, Maestro, QUÉ BIEN CANTABA EL SANTO PAPA JUAN PABLO II; ERA UNA DELICIA OÍRLE CANTAR EL PREFACIO DE LA MISA EN PERFECTO LATÍN Y GREGORIANO E IGUAL LA BENDICIÓN URBI ET ORBI, ESTO ES VERDAD. EN CUANTO A QUE LOS JESUÍTAS NO CANTAN ES OTRO “MANTRA”, OTRO TÓPICO. BASTE RECORDAR AL GRAN COMPOSITOR, ORGANISTA Y MUSICÓLOGO VASCO Y ESPAÑOL PADRE NEMESIO OTAÑO (*1880- +1956) GLORIA DE LA COMPAÑÍA DE JESÚS.

  • Fausto ha detto:

    Nel 1933 uscì un libro di musica sacra Cantemus Domino di padre Luigi Camattari s.j.

  • Giorgio ha detto:

    ” … sarebbe meglio dire che la Chiesa non canta o, peggio, canta molto male.” Egregio Maestro Porfiri, mi consenta di dissentire con questa conclusione delle sue riflessioni!
    Io ho imparato a suonare l’organo, anche se non da professionista, e soprattutto da quando sono in pensione ho accompagnato i canti sia alla Messa vespertina che alla Messa domenicale! Personalmente trovo fuorviante cantare ostinatamente all’offertorio se si tiene conto che il canto distoglie dalla vera partecipazione dei fedeli alle parole che il sacerdote pronuncia con richiesta espressa del loro assenso. Questo fatto distorsivo si realizza soprattutto al momento della Comunione. Sfido chiunque a dimostrare che mentre si canta – e peggio ancora se si esegue un assolo di chitarra – si da attenzione all’Ospite divino. E per evitare che questo possa verificarsi, appena finita la celebrazione si canta ancora e si conclude il tutto con un chiassoso fuggi fuggi generale con tanti saluti al Padrone di casa, Che forse non è stato nemmeno incontrato veramente, personalmente. Secondo la mia esperienza in Chiesa si cantra troppo, anche a sproposito e con canti di qualità (?) che Lei maestro Porfiri è più in grado di me di giudicare!

    • Corrado ha detto:

      Quanto è vero…

    • Pasquale ha detto:

      Concordo pienamente con Giorgio.
      Spesso all’offertorio il celebrante ammutolisce e viene sostituito da un canto che definire “insopportabilmente sguaiato” è dire poco.
      Non ho orecchie musicale ma certi ragli sono insopportabili e si crea anche un problema sulla celebrazione.
      Se non è più l’officiante a recitare il rito ma un distorto canto fatto da vecchie signore è ancora valida la funzione?
      Già la nuova impostazione del sacrificio eucaristico è estremante compressa, semplificata e mutilata di molte parti, ma quelli che sembrano nuovi “ordini di scuderia” la rendono sgradevole, irritante ed oltre ad ascoltare queste insopportabili stonature si guarda, atterriti, il sacerdote muto che offre il pane ed il vino e ci si chiede ” cosa sta accadendo?”
      Probabilmente fa parte del progetto che, a piccoli passi, renderà “desueta” l’Eucarestia.
      Per il momento sta diventando sempre più sgradevole partecipare.
      E pensare che fino a pochi anni fa c’era il detto “chi prega cantando è come se pregasse due volte” intendendo il coinvolgimento emotivo e fisico che si prova nel cantare…ma bisogna saper cantare….altrimenti il silenzio può permettere di penetrare i misteri divini anche con maggiore facilità
      Aggiungo altre due piccole note: consumata la comunione anche il sacerdote più frettoloso concedeva un paio di minuti di silenzio ed introspezione ora, implacabili, le nonnine ragliano per tutto il tempo. Poi, ma questo solo nella mia ex parrocchia ( dico ex perché sto cercando un vetus ordo senza nonnine raglianti) addirittura sono arrivati alla lectio divina continuamente interrotta da questi pseudo canti. Io sono scappato via dopo 10minuti. Quindi il carisma di Benedetto che porta al silenzio mistico, alla contemplatio, infarcito di ragli di strani personaggi che credono di fare servizio alla comunità. San Vaccino salvaci tu !

    • Paul ha detto:

      sono un organista anch’io, il problema è che accanto ad una doverosa preparazione musicale, ci vorrebbe anche e soprattutto quella liturgica che eviterebbe certi repertori assurdi e esecuzioni inopportune
      p.s. nel rito ambrosiano il canto all’offertorio è previsto UNICAMENTE in caso di processione dei doni e dovrebbe concludersi quando il celebrante sale all’altare per la presentazione

  • Paul Mayer ha detto:

    Dr. Porfiri, guardi che anche i francescani cappuccini non cantano poi tanto.

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