La Parola “Green” è, Sostanzialmente, Una Bestemmia. Lazzaretti

6 Giugno 2023 Pubblicato da 3 Commenti

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, il prof. Giovanni lazzaretti, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione queste importanti e interessanti riflessioni in tema di ecologia e ambiente, e di lorsignori…buona lettura e diffusione.

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Samizdat dal paesello

La parola “green” è, sostanzialmente, una bestemmia

 

Bestemmia “green”

Una banca con la quale ho a che fare propone un conto corrente “green” «dedicato a chi ha a cuore la salvaguardia del pianeta».

La parola “green”, come ho scritto la volta scorsa(1), mi dà il vomito. Al contempo però mi incuriosisce. Cosa avrà mai inventato la banca per proporsi come green? Con la mia fantasia limitata mi verrebbe da dire: proporrà la solita abolizione del cartaceo.

Abolizione del cartaceo che, ovviamente, non ha niente a che fare con la “salvaguardia del pianeta”. La carta viene da alberi tagliati e ripiantati; la carta ha processi di raccolta e riciclaggio ormai ben consolidati e di buona qualità; l’abolizione del cartaceo è analoga all’abolizione del contante: serve a delegare le cose “fisiche” a un “qualcuno” che te le gestisce. E che può chiudere i rubinetti. Va beh, ma non è questo il punto, semmai ne parleremo un’altra volta.

Il conto corrente green propone “anche” l’ovvia abolizione del cartaceo (col solito omino che sorride estasiato davanti al video del suo telefono), ma non come punto principale.

Il primo messaggio che evidenziano è la carta di debito realizzata su un materiale biologico compostabile ottenuto dal mais.

Green! Siamo salvi!

No, non siamo salvi. Siamo in balia di gente alla quale non interessa nulla del bene comune, ma sono semplicemente alla ricerca di qualche escamotage per apporsi l’etichetta “green” e vendersi meglio.

“Green” è la parola che dovrebbe caratterizzare “un ambiente di buona qualità” ?

Allora non è mai esistita un’epoca meno green della nostra.

La parola green usata nel 2023 è, sostanzialmente, una bestemmia.

Vado a precisare.

 

Lettera dalla montagna

Sono un razional-sentimentale. Quando, ad esempio, rileggo la “Lettera dalla montagna” di don Milani e arrivo al finale ho sempre un groppetto alla gola, anche se le parole le conosco già.

«Ma sommo disonore è invece se potranno dire di noi che, con tutte le pretese di rivelazione che abbiamo, non sappiamo poi neanche di dove veniamo o dove andiamo, e qual è la gerarchia dei valori, e qual è il bene e quale il male, e a chi appartengono le polle d’acqua che sgorgano nel prato di un ricco, in un paesino di poveri.»

Perché mi viene il groppo alla gola? Intanto perché don Milani sa scrivere: la lettera descrive una vicenda con rapidità ed efficacia, il ritmo è incalzante, dall’esempio iniziale si passa al concetto generale di “idolatria del diritto di proprietà”, e poi sia arriva al finale.

Finale dove don Milani chiarisce, con pochissime parole, cosa è in concreto la «destinazione universale dei beni» che troviamo nel Catechismo. E specifica inoltre che il cattolico ha un compito immane, perché non può dire “non sapevo”.

«A noi cattolici non può dunque far difetto la luce. Peccatori come gli altri, passi. Ma ciechi come gli altri no. Noi i veggenti o nulla. Se no val meglio l’umile e disperato brancolare dei laici.»

La lettera va letta tutta per capire bene. E non l’ho evocata per il suo finale, ma per il suo inizio.

«Caro Direttore, col progetto di consorzio di cui ti parlai si darebbe l’acqua a nove famiglie. Quasi metà del mio popolo. Il finanziamento è facile perché siamo protetti dalla legge per la montagna. La benemerita 991 la quale ci offre addirittura o di regalo il 75 per cento della spesa oppure, se preferiamo, in mutuo l’intera somma. Mutuo da pagarsi in 30 anni al 4 per cento comprensivo di ammortamento e interessi. Nel caso specifico, l’acquedotto costerà circa 2 milioni. Se vogliamo sborsarli noi, il governo fra due anni ci rende un milione e mezzo.»

«Se invece non avessimo modo di anticipare il capitale allora si può preferire il mutuo. Il 4 per cento di 2 milioni è 80.000 l’anno.(2) Divise per 9 dà 8.800 lire per uno. Se pensi che 8.000 lire per l’acqua forse le spendi anche te in città e se pensi che a te l’acqua non rende, mentre a un contadino e in montagna vuol dire raddoppiare la rendita e dimezzare la fatica, capirai che anche questo secondo sistema è straordinariamente vantaggioso.»

Possiamo quindi essere certi che i democristiani e i loro alleati il 26.04.1956, data della lettera, si occupavano di montagna. E don Milani, uno che non faceva certo dei complimenti, poteva affermare: «Insomma bisogna concludere che la 991 è una legge sociale e meravigliosa.»

Quando ha smesso la nostra Repubblica di occuparsi di montagna? Non lo so. Certamente nel 1977, quando lessi la lettera per la prima volta, la montagna non stava in cima ai pensieri di nessuno e la violenta vita politica si svolgeva in città. Erano i giorni di Lorusso e della “battaglia” di Bologna (per chi ha la mia età).

Quando dico “occuparsi di montagna” non intendo la creazione di parchi naturali (cosa pur benemerita), ma agire per fare in modo che la gente restasse in montagna e ne tutelasse il territorio.

 

Indietro non si torna, ovviamente

Per vivere in montagna occorreva che lo Stato facesse il suo dovere, quello indicato dalla legge 991: metterci dei soldi, e tanti, in modo da rendere accettabili gli oggettivi disagi che la montagna comporta per i cittadini.

“Un tempo” la presenza capillare nella montagna romagnola, per fare l’esempio di oggi, comportava l’aratura profonda della terra, che restava morbida e recettiva all’acqua, e la pulizia dei torrenti nei momenti di secca, anche per fare legna.

Indietro non si torna, questo è certo, ma resta il punto chiave: bisogna metterci dei soldi, e tanti. Perché, anche se i residenti non ci sono più, i torrenti devono essere puliti, gli alberi non possono essere carcasse pericolanti, le frane devono essere “curate”, eccetera.

L’alternativa è quella che abbiamo visto: i disastri periodici, con i morti romagnoli che hanno già fatto dimenticare i morti di Ischia di 6 mesi fa.

Gli investimenti in montagna e gli investimenti idraulici (in montagna e in pianura) hanno una caratteristica poco appetibile per i politici attuali: sono investimenti a lunghissimo termine, apparentemente non “redditizi”, e inadatti alle “inaugurazioni green”.

Nella scorsa puntata mi hanno segnalato che ho tolto una “c” al governatore Bonaccini.

Mi scuso, e lo compenso con una foto ormai classica: l’inaugurazione della Ciclovia del Senio, 22 aprile 2023.

La ciclabile è parzialmente franata qualche giorno dopo per la spinta del torrente Senio, che è esondato più volte in maggio.

Sono una bella cosa le piste ciclabili? Certo. Ma sono “giocattoli per far divertire le gambe”, per riciclare una frase di Guareschi.

Insomma la Ciclovia del Senio ha a che fare col diporto; cosa buona, purché vada di pari passo con la cura per le cose più importanti: la vita, il lavoro, i beni dei cittadini.

Non è solo colpa di Bonaccini, ne convengo. È colpa di tutti quelli che hanno trasformato la cura del creato in ideologia green.

 

L’ideologia green

L’ideologia green prevede innanzitutto che la colpa sia dei “cambiamenti climatici”. E che i cambiamenti climatici siano colpa del “riscaldamento globale”. E che il riscaldamento globale sia colpa delle “attività antropiche”. E che tra le attività antropiche la più deleteria sia la “combustione che produce CO2”.

In sintesi, i disastri non sono colpa di nessuno, se non della massa di beceri che ancora non sono green.

Ora, diciamolo chiaramente, autoassolversi non è mai una bella cosa per prevenire disastri futuri.

Ho letto che il ponte della Motta è stato travolto “dalla furia delle acque”. Non scherziamo. Un ponte dovrebbe essere dimensionato appunto sulla furia delle acque: il torrente Idice avrà una portata massima, la conformazione del terreno gli potrà dare una velocità massima, eserciterà una certa pressione sui piloni, e quindi, con la tecnologia che abbiamo, il ponte non può crollare. Altrimenti ci toccherà andare a prendere lezioni dagli antichi romani.

È possibile che il ponte sia stato progettato male, oppure costruito male. È anche possibile che sul ponte non siano state fatte le manutenzioni adeguate, e quindi il manufatto non fosse più quello del progetto. È possibile poi una terza cosa: che addosso al ponte non arrivi acqua, ma grossi tronchi e vecchie lavatrici.

Non ho idea fino a che limite un progetto debba tenere conto di questi impatti impropri. Ma è certo che bisogna agire affinché questi impatti non avvengano. L’aveva ben chiaro anche il Brusco, quando, su ordine di Peppone, scaricava neve nello Stivone, unico posto accessibile ai camion nel corso di una nevicata eccezionale.

«Adesso non si può più continuare. Lo Stivone è in secca e, se noi lo blocchiamo completamente con neve bagnata e compressa che poi diventa un macigno di ghiaccio, corriamo il rischio di far straripare il torrente, il giorno in cui d’improvviso si metta a fare il matto e porti giù un diluvio d’acqua. Come minimo corriamo il rischio di abbattere i piloni del ponte.» (Guareschi, dal racconto “Neve”)

Altra possibilità: i tronchi portati dal torrente possono essere talmente abbondanti da creare una diga, per cui non c’è più la pressione di acqua che scorre, ma di acqua che si abbatte su un ostacolo, e preme sui piloni.

Le auspicate indagini forse ci spiegheranno la causa. Ma certamente il crollo del ponte non è colpa dei “cambiamenti climatici”.

Come pure non è colpa dei “cambiamenti climatici” se un argine malconcio o mal dimensionato crolla.

«La guerra, quando era passata di là, aveva spaccato un pezzo d’argine, nel punto che era chiamato la Pioppaccia, e soltanto da due anni l’avevano riaccomodato. Adesso tutto il paese guardava con paura alla Pioppaccia perché tutti erano sicuri che, se l’acqua del grande fiume avesse aumentato la sua pressione contro l’argine, la falla si sarebbe spalancata alla Pioppaccia. La terra non poteva essersi compressa a sufficienza: l’acqua si sarebbe infiltrata e avrebbe segato l’argine. Il resto avrebbe potuto resistere benissimo, come tante e tante volte aveva resistito: ma alla Pioppaccia no.» (Guareschi, dal racconto “Come pioveva”. Guareschi parla spessissimo di edilizia, ponti, fiumi, torrenti, straripamenti, inondazioni)

E non è colpa dei “cambiamenti climatici” se un argine bucato dalle nutrie va in sofferenza. Se un uomo perforasse un argine, lo metteremmo subito in condizione di non nuocere. Anche le nutrie vanno messe in condizione di non nuocere, c’è solo da decidere quale è il metodo migliore.

Sulla diga di Ridracoli faranno qualche indagine? Era tenuta al livello giusto? Perché un invaso deve sempre avere la doppia funzione di riserva d’acqua e di cassa d’espansione a monte. Ma c’è l’ideologia green che afferma che noi vivremo in siccità perenne per colpa della CO2. L’ideologia della siccità potrebbe aver portato a esagerare con la riserva d’acqua, trascurando la cassa d’espansione? Chi lo sa. Ma guai a chi trascura d’indagare.

Dighe. Casse d’espansione. Canali scolmatori. Argini adeguati. Pulizia dei torrenti. Manutenzione dei ponti. E tanto altro. Soldi.

Soldi. L’oggetto più inquinato della nostra era.

 

L’ecologia integrale e l’inquinamento globale

Credo che siamo tutti d’accordo su alcuni punti.

  • Vicino a casa mia c’è un parco, e va tenuto pulito. Spesa zero, solo quel minimo di senso civico da insegnare ai ragazzini e non solo. Io mi limito a raccattare il metallo, quando ne vedo, a beneficio di chi lo raccoglie.
  • L’amministrazione comunale deve tagliare l’erba e tenere puliti quei luoghi che dovevano fare da piccole “vasche di scarico” a protezione dei quartieri. Soldi.
  • Non è lecito scaricare porcherie nei fiumi, torrenti, canali. Qui si passa a un consolidato ambito legislativo, con leggi, controlli e relative multe. Soldi.
  • Possiamo tutti convenire che è meglio riutilizzare i rifiuti invece di ammucchiarli. Organizzazione e soldi. Ma anche risorsa da utilizzare.
  • Se passiamo alla qualità dell’aria le legislazioni si complicano e l’ambito si allarga. Ma stiamo parlando di elementi inquinanti, non di CO2, per cui siamo tutti d’accordo sulla necessità dell’azione. Soldi.
  • Il territorio va curato. Oggi siamo particolarmente sensibili alle cure idrauliche, con quello che è successo. Argini da ampliare e rafforzare, manutenzione di ponti, monitoraggio e contenimento delle frane, eliminazione degli alberi pericolosi, nuove piante dove serve, pulizia di fiumi e torrenti. Soldi.
  • Dighe, casse di espansione, canali scolmatori. Manufatti con la doppia valenza di contenimento delle acque e di riserva d’acqua. Soldi.

Tutto questo è “ecologia buona”. Tanto buona che la chiamerei “cura del creato, per l’uomo”. Talmente buona che i soldi non hanno un ritorno economico immediato. Sono un dono alla vita del popolo.

Una perfetta cura del territorio che avesse evitato il disastro romagnolo non è facilmente quantificabile in termini di costi e ricavi: quanto vale un disastro puoi riuscire a quantificarlo; quanto vale un non-disastro è una faccenda difficile da conteggiare.

Sulla pianta buona della “cura del creato” è stata innestata una pianta impropria, che si finge ecologia, ma è invece ideologia green. Usa le parole d’ordine della “ecologia buona”, ma se ne serve per trasformare la CO2 in un inquinante e fare azioni planetarie assolutamente inutili. Utilissime però per portare i soliti miliardi nelle tasche dei soliti noti.

La finanza internazionale ha tre diverse linee di azione in questo ambito.

La prima. Evitare il più possibile la cura del territorio. La cura del territorio rende troppo poco e in tempi troppo lunghi. Rendono di più i disastri, per “lor signori”. Un disastro è un po’ come una guerra, la massima fonte di reddito usuraio.

La seconda. Imporre la crescita economica per pagare gli interessi passivi. Cosa c’entra l’ecologia con gli interessi passivi, lo faccio spiegare da Maurizio Blondet, “Schiavi delle banche”, un testo di vent’anni fa. È l’inizio del capitolo intitolato “I saccheggiatori”.

«Ora cominciamo a capire perché la Chiesa e i teologi medievali vietavano il prestito a interesse, così come lo vieta l’Islam, e come lo vieta persino l’ebraismo, almeno negli scambi tra ebrei. Perché nell’economia usuraia, le imprese sono OBBLIGATE a crescere per pagare gli interessi, sotto pena di sparizione. Non sono dunque i bisogni umani a dettare il ritmo dell’economia, ma le esigenze della banca. La crescita del prodotto interno lordo non è – non è sempre – necessaria al benessere delle popolazioni; è l’imperativo imposto contro i veri interessi del popolo, allo scopo di massimizzare la retribuzione del capitale.»

«Abbiamo ormai raggiunto il crinale, oltre il quale la crescita economica obbligata saccheggia le risorse naturali, devasta la natura (il dono gratuito in cui tutti viviamo) e diventa insostenibile: l’ecologismo, fra le sue fantasie e i suoi allarmismi, trova qui un punto di ragione.»

La terza. Inventare emergenze planetarie per far convergere risorse immense su ciò di cui “lor signori” saranno signori e padroni. L’auto elettrica è la voce emblematica che avrà un impatto terribile sull’uomo normale.

Riassumo ancora, all’estremo.

  • La finanza investe su ciò che ha ritorni elevati e rapidi. La guerra è l’attività più remunerativa, specialmente se viene presentata come eterna. I disastri sono un’ottima fonte di entrata. La cura del territorio è da ignorare.
  • La finanza, col tasso d’interesse che OBBLIGA alla crescita, è la massima divoratrice delle risorse naturali.(3)
  • La finanza, mentre devasta la natura, usa i media di cui è padrona per farci credere che hanno grandi idee globali per la salvezza del pianeta. E su queste idee incassano a tutto spiano a spese nostre.

Questo è “inquinamento globale”, gestito dalla più inquinata delle risorse: la moneta.

La cura del territorio non “rende”? Perfetto. Allora va gestita da una moneta nuova, che non ha la pretesa di rendere, perché sarà solo “misura del valore” e “mezzo di scambio”. Ma non sarà “riserva di valore”.

La moneta fiscale sarà un buon inizio didattico, in attesa di arrivare alla Camera di Compensazione nazionale. (I nOmismatici ogni tanto sognano ad occhi aperti…)

 

Un secondo inquinamento, più profondo

C’è un secondo inquinamento, più profondo: le smanie ecologiste vanno infatti di pari passo con l’inquinamento interiore dell’uomo.

Siamo nel bel mezzo del caso di un tizio che ha ammazzato la sua donna e il bambino in grembo. Ma, anche se non l’avesse ammazzata, sarebbe stato comunque un tizio che aveva avuto un figlio da una prima donna, un altro figlio adesso dalla seconda donna, mentre contemporaneamente trafficava con una terza donna.

Queste persone sono inadatte per la cura del creato. Perché? Perché sono persone che “pensano a breve”. Cercano una soddisfazione immediata senza progettualità a lungo termine, esattamente con lo stile della finanza internazionale.

La cura del creato va di pari passo con la stabilità familiare, perché la famiglia induce a pensare sul lungo termine. Non è un caso che la finanza voglia toglierci anche la casa di proprietà, emblema della stabilità, col pretesto che non abbiamo una casa green.

La vita è inquinata. La sessualità è inquinata. La famiglia è inquinata. L’educazione è inquinata (il gender a scuola è solo la punta dell’iceberg). L’informazione è inquinata. La democrazia è inquinata. La moneta è inquinata.

Tutto ciò che ci sembrava “solido” fino a qualche decennio fa sta diventando fluido e inconsistente. Anche se non mancano, per fortuna, delle sacche di resistenza.

Non c’è bisogno di essere cattolico per accorgersi dell’inquinamento morale. Bernard Maris(4) scriveva così nel suo Antimanuale di Economia.

«Il filo conduttore di questo libro è il grande dibattito sul “mercato” e sul “gratuito” (…) Alla fine di questo Antimanuale, dovrebbe essere chiaro che la gratuità e la solidarietà determinano la crescita, l’invenzione, la ricchezza, malgrado la concorrenza, sostanzialmente inefficiente. (…). Il sistema di mercato sopravvive soltanto perché fagocita tutto quello che discende dalla gratuità e dalla solidarietà. Si appropria dei beni pubblici e impone pedaggi per il loro uso (…). Virtù come l’onore, la fedeltà, il rispetto per gli altri, la morale, non hanno alcun interesse per l’economista, a meno che si presentino sfigurate da qualche grottesca formulazione del tipo “Quanto mi rende essere onesto?”.»

Sì, un’economia predatoria fa cessare la virtù.

 

Quando sentiamo la parola “green”, all’erta!

Niente è green nel nostro mondo.

Tutto è inquinato nel profondo, grazie alle attività dei servi di Mammona.

Così, quando sentiamo la parola green, dobbiamo stare all’erta e stare alla larga.

Green è l’etichetta posta sulla più grande truffa planetaria, dove gli inquinatori estremi si ergono a paladini del pianeta, incassando sia sulla devastazione del creato, sia sul suo fasullo “salvataggio”.

Per questo la parola green è, sostanzialmente, una bestemmia.

Combattiamola con tutte le nostre forze.

 

Giovanni Lazzaretti

NOTE

  • Samizdat del 14 maggio 2023, “Piove. Meteorologia, clima & nOmismatica”.
  • Metto in nota, ma non ha un’importanza secondaria. Quel “mutuo 4%” mi aveva dato da pensare, all’inizio. Perché la restituzione di 80.000 lire all’anno su un debito di 2 milioni dà un tasso del 2,2% più o meno. Però se avessero detto «vi diamo i 2 milioni al 2,2%» nessuno avrebbe potuto dire di botto la cosa essenziale «quanto dobbiamo pagare all’anno?». Parlando invece di “mutuo 4%” il calcolo era semplicissimo.
  • Il fatto che io sia contro la crescita obbligata non significa che io sia a favore di stupidaggini come la “decrescita felice”. Nella “decrescita felice” l’unico punto in cui si trova l’equilibrio è la morte. Sono invece propugnatore di un’economia che elimini gli interessi passivi legati all’emissione monetaria.
  • Ateo, anticlericale, massone, verde, redattore (forse anche finanziatore, non ricordo) del giornalaccio Charlie Hebdo; consigliere della Banca di Francia assassinato a Charlie Hebdo il 7 gennaio 2015. Faccio celebrare annualmente una Messa per lui, uno dei tanti “martiri bancari”.

3 giugno 2023, San Carlo Lwanga e compagni // 4 giugno 2023, Santissima Trinità

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3 commenti

  • Giovanni ha detto:

    Molto interessante la parte sulla montagna … Merita di essere approfondita

  • Nuccio Viglietti ha detto:

    Green tale quale smart… demoniache paroline usate da lustri con accezione pisitiva… ma emanati ormai da tempo puzza zolfo maleodorante e rivelare le peggiori nequizie!…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/

  • Giampiero ha detto:

    E se rendessimo green pure la sessualità? Mi sa che a questo punto dovremmo tutti rivalutare la vituperata enciclica di Paolo VI, HUMANAE VITAE. Troppa discrepanza tra la tutela di una natura FUORI DI NOI e una natura IN NOI. Sempre ammesso e non certamente concesso che le misure a tutela del pianeta abbiano un fondamento scientifico. Ad ogni modo anti concezionali di ogni sorta e profilattici in plastica mal di conciliano con una tutela della natura e della salute. Troppo strabismo per essere presi sul serio.

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