Andreas Helmann. I fondamenti teologici della Regalità di Cristo

14 Novembre 2022 Pubblicato da Lascia il tuo commento

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, offriamo alla vostra attenzione questo testo di don Andreas Helmann, che ringraziamo di cuore. Buona lettura.

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I fondamenti teologici della Regalità di Cristo

 

Quali sono le basi teologiche della regalità di Cristo?

La risposta è semplice: il fondamento della regalità sociale di Cristo è la sua incarnazione. Si può dire di più.

1 Comprendiamo la vera natura della regalità di Cristo

Sebbene sia il figlio di Davide, Gesù non ha ricevuto alcun diritto ereditario, né ha avuto alcun titolo speciale per governare il popolo ebraico. [1].
Eppure Gesù è re su tutti i regni terreni fin dal momento della sua incarnazione. È evidente che dal momento della sua elevazione alla dignità divina, la santa umanità è investita di un impero sovrano su tutto ciò che esiste. Durante la sua vita terrena non ha voluto esercitarla, nell’ordine puramente temporale. Ciò non contraddice il fatto – come vedremo – che Egli avesse un’autorità assoluta su tutti i principi e i popoli della terra.

Così si spiegano le sue misteriose parole davanti a Pilato. Professando la sua regalità, tuttavia, dice:

“Il regno mio non è di questo mondo” (Gv. 18, 36) Tutti i precetti da lui dati, le istituzioni da lui create, sono finalizzati ai beni eterni, che soli sono degni della sua stima. Non solo l’individuo, ma le stesse società sono tenute a conformarsi a questi precetti e istituzioni, soprattutto a quel dovere di ascoltare la Chiesa, da lui fondata.

2 Natura della regalità spirituale di Gesù Cristo

È appunto nel colloquio con Pilato che Gesù rivela la vera natura della sua regalità spirituale. Egli vuole solo regnare sulle menti e sui cuori per santificarli e condurli al cielo. “io sono re”, disse Gesù al procuratore, “Io a questo fine son nato, e a questo fine sono venuto nel mondo, per render testimonianza alla verità” (Gv 18,37). La diffusione della verità nella sua forma religiosa, che è la più alta e perfetta, è quindi lo scopo del suo regno e della sua incarnazione. Questo impero della verità sulle anime deve portare alla fede e attraverso la fede alla salvezza che la morte di Gesù ha meritato per noi. Gesù è diventato il nostro re quando esercita definitivamente il suo ruolo di mediatore e salvatore nelle nostre anime.

La regalità è “il potere universale di fare il bene”, dice il grande Bossuet. E quindi, dice, “è proprio dei re salvare! Ecco perché il principe Gesù, quando è venuto nel mondo, considerando che le profezie gli promettono l’impero di tutto l’universo, non chiede a suo Padre una casa ricca e magnifica, né eserciti grandi e vittoriosi, né tutti gli apparati pomposi di cui si circonda la maestà regale. Non è questo che chiedo, o Padre mio! Chiedo la qualità di salvatore e l’onore di liberare i miei sudditi dalla miseria, dalla servitù, dalla dannazione eterna. Lasciatemi solo salvare e sarò re. O amabile regalità del Salvatore delle anime!”[2]“ [3]

3 Origine della sua regalità

Il regno sociale universale di Gesù-Messia è stato annunciato molto prima della sua venuta. I profeti dell’Antico Testamento ci parlano della regalità sociale del futuro Messia su tutti i popoli ai quali darà le sue leggi.

Per esempio, Daniele dice: “Io stavo adunque osservando nella visione notturna, ed ecco colle nubi del cielo venire come il Figliuolo dell’uomo, ed ei si avanzò fino all’antico de’ giorni […] Ed ei gli diede potestà, onore, e regno; e tutti i popoli, tribù, e lingue a lui serviranno: la potestà di lui è potestà eterna, che non gli sarà tolta, e il regno di lui è incorruttibile. “ (Dan. 7:13-14).
ll Salmo due presenta il Messia come una persona distinta dal Padre: “l Signore disse a me: Tu sei mio figliuolo; io oggi ti ho generato. Chiedimi, e io ti darò in possesso le genti, e in tuo dominio gli ultimi confini del mondo.” (Sal 2:7-9)

San Paolo afferma ai Filippesi (2,5 ss.) che Cristo ha la regalità universale per diritto di eredità, in virtù del suo essere uguale a Dio, e per diritto di conquista: “facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.” [4]

3.1 Regalità per diritto di natura o nascita divina

L’autorità di Cristo Re su tutti gli uomini e sulla società deriva per prima cosa da un diritto di nascita. La fede ci fa riconoscere in Gesù Cristo due nature. “Gesù Cristo uomo è Dio; Gesù Cristo Dio è uomo[5]. Nell’incarnazione il Figlio eterno ha voluto, per così dire, impoverire la sua divinità per arricchire l’umanità, “la divinità si è appropriata degli attributi e delle debolezze dell’umanità” e “le ha comunicato gli attributi e le prerogative che le sono propri”[6].

Dio, creatore e preservatore di tutte le cose, è il loro padrone sovrano e assoluto. Tutto è soggetto alla regalità dell’adorabile Trinità. Gli “esseri più ribelli non possono sfuggirvi”. Chi si sottrae alla sua legge d’amore ricade immediatamente sotto la legge della sua giustizia. Come può, infatti, una creatura sfuggire al suo creatore? Nell’amore o nel tremore, tutto deve servire e glorificare ‘il Re dei secoli, il Dio unico, immortale e invisibile’”.  (1 Tim 1, 17) [7]
Per negare la sovranità di Dio, bisogna in definitiva negare la sua esistenza. L’ateismo è falso e illogico, ma è indispensabile per formare una società anticristiana dove l’uomo siede sul trono di Dio, dove l’uomo è tutto e Dio è niente. Inoltre, ogni tentativo ideologico è vano e destinato al fallimento, il che sfigura Dio in un essere supremo, distante, freddo, che impone una legge arbitraria. Il capo dell’umanità rigenerata, Gesù, è di carne e ossa, ha il cuore più bello, che vuole far regnare nei cuori, nelle famiglie e nelle società per il loro vero bene.

Per difendere i suoi diritti e rivendicare il suo regno nelle menti e nei cuori degli uomini, Dio si è fatto uomo. Chi vuole sottrarsi alla regalità di Cristo deve quindi negare la sua divinità. Persino l’uomo incredulo ed empio, ma onesto e colto, non può negare l’eccellenza della personalità di Cristo, il suo impatto sulla civilizzazione e la sua centralità nella storia dell’umanità. Gli uomini astuti e orgogliosi che cercano di sfuggire alla sovranità di Cristo, che o è re o è nulla, nel cuore dell’uomo, lo dichiarano un semplice uomo buono, un uomo saggio, un maestro spirituale, un riformatore. Questo porta all’assurdità e alla contraddizione: Cristo non può essere un semplice uomo buono, dal momento che ha affermato di essere Dio. È un uomo buono solo se è il buon Dio. Se non fosse quello che ha detto e dimostrato di essere, meriterebbe solo il nostro disprezzo, come un pazzo o un bugiardo, un ciarlatano e un ingannatore dell’umanità. Il sudore e il sangue di tutte le generazioni di cristiani e di martiri ricadrebbero su di lui, la nostra fede e la nostra speranza nella redenzione dal peccato e in una vita futura sarebbero inutili.
Come condizione della vita divina nell’anima, la mortificazione cristiana si impone a tutti. La storia fino ad oggi testimonia che i cristiani di ogni età, sesso e condizione sociale sono pronti ad ogni sacrificio, anche del proprio sangue. Una tale filosofia di vita si spiega solo col fatto della risurrezione di Gesù, fondamento storico di una speranza soprannaturale nella ricompensa futura.

3.2 Rinunciare alla sovranità di Gesù significa rifiutare la sua divinità.

È impossibile rimanere neutrali nei confronti di Cristo. Una via di mezzo non c’è: o si nega la sua divinità o lo si deve riconoscere, in quanto uomo, come re di tutto ciò che esiste, delle società civili, delle famiglie e dell’individuo. “Solo lui decide entro quali limiti vuole confinare l’esercizio della sua autorità; ma non si può limitare questa autorità senza abdicare alla sua divinità. Pio XI ce lo ricorda nella sua enciclica, che “soltanto in quanto è Uomo si può dire che abbia ricevuto dal Padre la potestà, l’onore e il regno[8], perché come Verbo di Dio, essendo della stessa sostanza del Padre, non può non avere in comune con il Padre ciò che è proprio della divinità, e per conseguenza Egli su tutte le cose create ha il sommo e assolutissimo impero. »[9]

La sovranità non solo gli è dovuta, ma rinunciarvi significherebbe rompere i legami essenziali che lo uniscono a noi, perché dichiara “io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo” (Gv 18,37). Divinizzando la nostra natura umana formata da Maria, Egli ha contratto con noi dei legami più stretti che con qualsiasi altra creatura, è “a un titolo più sacro, il capo dell’umanità, la meta di tutti i disegni di Dio per la nostra razza umana, la regola di tutti i nostri progressi e il nodo di tutti i nostri destini”[10]. Sarebbe attribuire un’assurdità alla sapienza divina pensare che Dio si sia incarnato per diventare un semplice accessorio dell’umanità.

3.3 Regalità per diritto di conquista

“Che cosa più soave e bella che il pensare che Cristo regna su di noi non solamente per diritto di natura, ma anche per diritto di conquista, in forza della Redenzione?” [11] Il principe degli apostoli ci ricorda: “Non siete stati riscattati con oro o argento corruttibili, ma con il prezioso sangue di Cristo, il sangue di un agnello senza macchia e senza difetto” (1Pietro 1:18-19). In Gesù il Padre eterno “ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, in cui abbiamo la redenzione mediante il sangue di lui, la remissione dei peccati”. (Col 1,13-14) Gesù, “unico mediatore fra Dio e gli uomini […] che ha dato sé stesso in riscatto per tutti” (1 Tim 2,6). Egli si è meritato il diritto di dare la vita divina a tutti, anche a coloro che alla fine rifiutano il dono dell’amore divino e si gettano così eternamente nelle braccia della giustizia divina. Per sottolineare l’universalità del dominio del Redentore a Papa Pio XI piace citare Leone XIII, che disse:

“L’impero di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici, o a coloro che, rigenerati nel fonte battesimale, appartengono, a rigore di diritto, alla Chiesa, sebbene le errate opinioni Ce li allontanino o il dissenso li divida dalla carità; ma abbraccia anche quanti sono privi di fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo “ .[12]

4 La natura del regno di Cristo: i suoi elementi – le testimonianze delle Scritture sacre

Questa regalità universale di Cristo è costituita essenzialmente dal triplice potere legislativo, giudiziario ed esecutivo.
Il grande teologo domenicano, padre Garrigou-Lagrange, ci fornisce questi dettagli:
“L’eccellenza della regalità spirituale e temporale di Cristo è quella dell’autorità Suprema, che conduce tutte le anime di buona volontà alla beatitudine eterna. È l’autorità del Figlio di Dio che ha potere non solo su tutti i corpi, ma anche su tutte le anime, non solo sui popoli, ma anche su tutti i re o altri capi di Stato, ed egli stesso non è soggetto ad altri che al Padre suo.
È l’autorità dell’intelletto più elevato, del cuore più amorevole, della volontà più retta, benevola e forte. Implica il potere del legislatore e del giudice supremo. Venendo a perfezionare l’antica Legge, Gesù, nel Discorso della montagna, si dichiara, tramite il suo modo di parlare, uguale al legislatore divino del Sinai, di cui Mosè era il profeta. Dice ripetutamente: “Fu detto agli anziani: … e io vi dico: …”. […]
Il Salmo due dice: “E ora, o re, comprendete; ammaestratevi, o giudici della terra. Servite il Signore con timore e gioite in Lui con tremore. Tenetevi stretti alla dottrina, per evitare che il Signore si arrabbi e che voi vi perdiate dalla retta via.” (Sal 2,11-12)]
Il suo potere è anche quello del Giudice supremo, che disse ai suoi Apostoli: “Tutto quello, che legherete sulla terra, sarà legato anche nel cielo: e tutto quello, che scioglierete sulla terra, sarà sciolto anche nel cielo. “ (Mt. 18,18). – Egli annuncia che verrà un giorno per giudicare i vivi e i morti (cfr. Gv 5:22, 27). [13]

“È ancora necessario attribuire a Cristo, aggiunge Pio XI, il potere esecutivo, […] nessuno potrà evitare, se è ribelle, la condanna e i tormenti che Gesù ha annunciato”.[14]

Il padre Garrigou-Lagrange prosegue così il suo ragionamento:
“Questa suprema autorità è dunque universale; si estende a tutti i luoghi, a tutti i tempi, a tutte le creature, perché Gesù comanda persino agli angeli, che sono i ministri del suo regno. Nella legge ora “tutte le cose gli sono soggette”; infatti, al suo secondo avvento tutte le cose gli saranno soggette, in terra come in cielo.
La neutralità non è possibile nei suoi confronti: “Chi non è con me è contro di me”. Non si può rimanere neutrali rispetto al fine ultimo di ogni vita; non volerlo significa allontanarsi da esso.
È verso questo fine ultimo che la regalità universale di Gesù ordina tutte le cose: “Egli è la via, la verità e la vita”. Egli conduce le anime alla beatitudine eterna, dove potranno godere di Dio visto faccia a faccia e amato al di sopra di tutto, con l’assoluta certezza di non perderlo mai a causa del peccato. In questo si manifesta l’infinita bontà del nostro Re, ma una bontà che non è debolezza. I re della terra cercano di ottenere beni temporali per il loro popolo con mezzi imperfetti e spesso impotenti. Cristo, invece, ci conduce efficacemente verso l’ultimo fine soprannaturale, verso la beatitudine che non finisce mai.” [15]

Per evidenziare il carattere sociale e universale della regalità di Cristo, prendiamo solo due testi del Nuovo Testamento: parliamo di Gesù che, prima della sua ascensione, invia i suoi apostoli nel mondo e di Gesù insegnando loro il Padre Nostro:

La missione da lui affidata agli apostoli proclama la sua regalità universale: “Mi è stato dato ogni potere in cielo, e in terra. Andate dunque, istruite tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figliuolo, e dello Spirito Santo: Insegnando loro di osservare tutto quello, che io vi ho comandato. Ed ecco, che io sono con voi per tutti i giorni sino alla consumazione dei secoli.”(Mt 28:18-20)

Il grande controrivoluzionario Monsignor Pie, cardinale francese dell’Ottocento, illustre successore di Sant’Ilario e vescovo di Poitiers, spiega queste parole come segue:

“Ascoltate le ultime parole che N.S. rivolge ai suoi apostoli, prima di salire al cielo: ‘Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e istruite tutte le nazioni’. Notate, fratelli, che Gesù Cristo non dice tutti gli uomini, tutti gli individui, tutte le famiglie, ma tutte le nazioni. Non si limita a dire: Battezzare i bambini, catechizzare gli adulti, sposare gli sposi, amministrare i sacramenti, dare sepoltura religiosa ai morti. Senza dubbio, la missione che Egli affida loro include tutto questo, ma include molto di più, ha un carattere pubblico, sociale, perché Gesù Cristo è il re dei popoli e delle nazioni. E come Dio mandava i profeti alle nazioni e ai loro capi per rimproverarli delle loro apostasie e dei loro crimini, così Cristo invia i suoi apostoli e il suo sacerdozio ai popoli, agli imperi, ai governanti e ai legislatori, per insegnare a tutti la sua dottrina e la sua legge. Il loro compito, come quello di San Paolo, è quello di portare il nome di Gesù Cristo davanti alle nazioni, ai re e ai figli di Israele.” [16]

Se è vero che Gesù Cristo conferisce una missione ufficiale e solenne ai suoi testimoni privilegiati che sono gli apostoli, nel Padre nostro esprime chiaramente la sua volontà che tutti i fedeli proclamino il suo regno sociale.

“Mai, dice il vescovo di Poitiers, il divino fondatore del cristianesimo ha rivelato meglio al mondo cosa deve essere un cristiano di quando ha insegnato ai suoi discepoli come devono pregare. Infatti, poiché la preghiera è come la respirazione religiosa dell’anima, è nella formula elementare data da Gesù Cristo che dobbiamo cercare tutto il programma e lo spirito del cristianesimo. Ascoltiamo quindi la vera e propria lezione del Maestro. “Pregherete così”, disse Gesù, “Sic ergo vos orabitis”. “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra.” (Mt. 6, 9-10) [17]

Si vede, cari ascoltatori, che la prima e la terza richiesta sono riassunte in quella posta al centro: il nome di Dio non può essere pienamente santificato se non è riconosciuto pubblicamente. La volontà di Dio non si compie sulla terra come in cielo, se non si compie socialmente.

Quindi conclude così Monsignor Pie:

“Il cristiano non è dunque, come sembra credere un certo mondo contemporaneo […], un essere che si isola in sé stesso, che si rinchiude in un oratorio indiscriminatamente chiuso a tutti i rumori del mondo e che, soddisfatto finché salva la sua anima, non si preoccupa del movimento degli affari terreni. Il cristiano è l’opposto di questo. Il cristiano è un uomo pubblico e sociale per eccellenza, come indica il suo soprannome: è un cattolico, che significa universale. Gesù Cristo, nel redigere la preghiera domenicale, ha disposto che nessuno dei suoi potesse compiere il primo atto di religione, che è la preghiera, senza rapportarsi, secondo il suo grado di intelligenza e secondo l’ampiezza dell’orizzonte a lui aperto, a tutto ciò che può far avanzare o ritardare, favorire o ostacolare il regno di Dio sulla terra. E poiché le opere dell’uomo devono certamente essere coordinate con la sua preghiera, non c’è cristiano degno di questo nome che non si adoperi attivamente e al meglio delle sue possibilità per realizzare questo regno temporale di Dio e per abbattere tutto ciò che lo ostacola.” [18]

5 Il dovere di accogliere la regalità sociale di Cristo

Le società civili, che esercitano un’influenza decisiva sul destino generale dell’umanità, non hanno il diritto di alienarsi da Gesù Cristo. Se egli non è nulla per loro, non può continuare a essere tutto per l’umanità. Se occorre distinguere i due poteri, ciascuno, temporale e spirituale, deve svolgere il proprio ruolo; il temporale deve essere al servizio dello spirituale, come il corpo lo è in relazione all’anima. Come si vede nella società medievale, la vita civile, invece di imprigionare l’uomo nel tempo e nella materia, in sé stesso, deve aprirsi e indirizzarlo verso l’ordine spirituale, soprannaturale ed eterno. Sulla terra siamo cittadini solo per un certo periodo. Per essere accolti nella Gerusalemme celeste, la nostra vera patria, verso la quale il Buon Pastore cerca di guidare ogni anima, dobbiamo essere, già nel tempo, concittadini dei beati del cielo.
Dopo la tragica caduta in paradiso, l’uomo si allontanava da Dio. Appunto, egli si è incarnato per ritrovare l’uomo e salvarlo dal peccato e dalle sue conseguenze. Per distruggere il regno del peccato il Gesù re cerca di ristabilire l’impero della legge di Dio.
“Se i poteri che governano [le società] non tengono conto di questa legge, le volontà individuali saranno abbastanza aiutate a rispettarla? Le passioni malvagie non saranno libere di calpestarla; e l’indifferenza pubblica e i privilegi sociali garantiti alla ribellione, oltre che alla fedeltà, non daranno loro grande potere e grande audacia per ostacolare e scoraggiare la fedeltà? [19]”

 

“Gesù Cristo è re”, diceva ancora il grande cardinale Pie; “non c’è uno dei profeti, non c’è uno degli evangelisti e degli apostoli che non gli assicuri la sua qualità e le sue attribuzioni di re. Gesù è ancora nella culla e già i Magi cercano il Re dei Giudei Ubi est qui natus est, rex Judoerum? [Dov’è il re dei Giudei che è nato[20]?] Gesù sta per morire: Pilato gli chiede: Allora sei un re: Ergo rex es tu? L’hai detto”, risponde Gesù. E questa risposta è fatta con un tale accento di autorità che Pilato, nonostante tutte le rimostranze dei Giudei, consacra la regalità di Gesù con uno scritto pubblico e un manifesto solenne”.
E appropriandosi le parole di Bossuet, il vescovo continua:
“Scrivi, dunque, scrivi, o Pilato, le parole che Dio ti detta e di cui non comprendi il mistero. Qualunque cosa possa essere asserita e rappresentata, guardati dal cambiare ciò che è già scritto in cielo. I tuoi ordini siano irrevocabili, perché sono in esecuzione di un decreto immutabile dell’Onnipotente. La regalità di Gesù Cristo sia promulgata in lingua ebraica, che è la lingua del popolo di Dio, e in lingua greca, che è la lingua dei dottori e dei filosofi, e in lingua romana, che è la lingua dell’impero e del mondo, la lingua dei conquistatori e dei politici. Venite, ora, o Giudei, eredi delle promesse; e voi, o Greci, inventori delle arti; e voi, Romani, padroni della terra; venite a leggere questa mirabile iscrizione; inginocchiatevi davanti al vostro Re. [21]

Di fronte a un mondo in ribellione, che grida: “Non vogliamo che questo regni su di noi[22], combatteremo e, con i Cristeros messicani, griderà ogni fibra del nostro essere e della nostra vita individuale e familiare: Viva Cristo Re!

[1] Cf. DTC, Vol. 8.1, col. 1356

[2] Bossuet, Éd. Lebarcq, t. 2, p. 108, cf. DTC, vol. 8.1, col. 1357

[3] Cf. DTC, Vol. 8.1, col 1356-1357

[4] Cf. R. P. Garrigou-Lagrange, La royauté universelle de N. S. Jésus-Christ, Article dans “La vie spirituelle”, epub

[5] R. P. Ramière, sj, Le règne social du Cœur de Jésus, chap. 1, p. 21

[6] R. P. Ramière, sj, loc. cit. ibid., p. 21

[7] Dom Lucien Chambat, La royauté du Christ selon la doctrine catholique, chap. 1, p. 2

[8] Dan., VII 13-14

[9] Pie XI, https://www.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_11121925_quas-primas.html

[10] R. P. Ramière, op. cit., ibid, p. 22

[11] Cf. Pie XI, ibid.

[12] Pape Léon XIII, Lettera enciclica Annum sacrum, 25 mai 1899 AAS XXXI (1898-1899) 647.

[13] R. P. Garrigou-Lagrange, La royauté universelle de N. S. Jésus-Christ, Article dans “La vie spirituelle”

[14] Pie XI, ibid.

[15] R. P. Garrigou-Lagrange, La royauté universelle de N. S. Jésus-Christ, Article dans “La vie spirituelle”, trad. can. don Andreas Hellmann

[16] Card. Pie, III, 514, Cf. Théotime de Saint Juste, La royauté de N. S. Jésus-Christ d’après le cardinal Pie, Section 1, chap. 1, p. 33, PDF

[17] Card. Pie, III, 497-498, Cf. Théotime de Saint Juste, La royauté de N. S. Jésus-Christ d’après le cardinal Pie, Section 1, chap. 1, p. 33-34, PDF

[18] Card. Pie, III, 500-501, Cf. Théotime de Saint Juste, La royauté de N. S. Jésus-Christ d’après le cardinal Pie, Section 1, chap. 1, p. 34-35, PDF

[19] R. P. Ramière, op. cit., ibid, p. 23

[20] Mt. 2, 2

[21] 8 novembre 1859, Mgr Pie, prêchant à Nantes le panégyrique de saint Émilien ; Cf. Théotime de Saint Juste, La royauté de N. S. Jésus-Christ d’après le cardinal Pie, Section 1, chap. 1, p. 31, PDF

[22] Lc. 19, 14

 

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