Benedetta De Vito. Il Ricordo dei Cappelli d’Antan, e il Velo in Chiesa.

21 Febbraio 2021 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Benedetta De Vito ci regala oggi un divertissement che ha per tema i cappelli; e racconta di una passeggiata per Roma di una settimana fa, a San Valentino….Buona lettura.

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La domenica di San Valentino, nel vento che spazzava il cielo pulendolo con la sua ramazza lucente, me ne andavo con mio marito lungo la Via Nazionale a snasare tra i pochi negozi rimasti ancora aperti, dopo il gelo delle chiusure imposte da chi pensa di conoscere la verità e non sa un bel nulla. All’entrare in uno in particolare, che ha un odore tutto suo come di borotalco alla pesca, se esiste, vedo mio marito, insensibile ai panni e alla moda com’è, che  indica un cappello su una rastrelliera. E’ nero con piccoli quadratini bianchi e iridescenti, una piccola visiera fa da becco davanti per poi chiudersi, con un bottoncino che pare un bacio di dama, sul lato destro. “Un cappellino per te!”, mi dice lui e, provandolo, mi par che sia sempre stato mio e di avere, con quello addosso, un’aria anni Settanta, come tornata, giù a rotoloni dal picco della mia età non più verde, a quando ero ancora in fiore. Un cappello allegro e, mentre mi rigiro di fronte allo specchio, mi viene in mente che una volta, camminando dalle parti di Santa Susanna, incontrai un cappello simile a questo, col becco leggermente più grande, e sotto al cappello, nascosto come un carbonaro, c’era Massimo Ranieri…

Ed ecco che ispirata dal cappellino dono di mio marito, con il cuore poggiato sulle ali della memoria, prendo il volo. I cappelli di oggi non somigliano punto a quelli di ieri. Essi, quelli di ieri, erano simbolo stesso di riverenza e rispetto e, tenevano umile il capo, sotto la gloriosa volta celeste dal quale il Padreterno ci osserva e ci chiama. Indossare un copricapo è grazia e protezione se è vero, come è vero, che i galli, ad esempio, temevano che il cielo cascasse loro in testa e di certo portavano anche loro un cappello, forse, non so… Gli ebrei ortodossi indossano sempre sul colmo del cranio la kippah e anche i cardinali e il Papa la papalina. Ma non andiamo tanto a sottilizzare e avanti. Mio padre, e anche mio suocero, non uscivano di casa senza essersi prima calzati ben in testa un Borsalino, che era come il coperchio per l’olio buono. Erano assai rispettabili nel loden verde e nel cappello color castagna che dava ombra agli occhi e la barba del profeta all’aspetto tutto.

Senza il cappello, così pensava mio padre,  non si era né a posto, né vestiti, né forse anche uomini. E mentre rivedo mio padre, alto a pinnacolo, con gli occhi cerulei e il cappello come una bandiera, ripenso al cappello mio di bimba che era un basco blu notte, che dovevano portare al mattino, tutte noi alunne dell’Istituto Mater Dei, per il rosario. I più belli, francesi, mi pare di Bordeaux, si comperavano da Zingone che era un negozio vicino alla Chiesa della Maddalena, dove i marmi della facciata  sembrano viv, agitati dal ponentino romano e paiono chiamarti. Bambina, con mia madre, andavo lì, alla Maddalena a comperare il basco blu, foderato dentro da un raso amaranto, e le divise, estive e invernale, dell’Istituto Mater Dei. L’estiva, bella, di sole, con la camicina candida e la gonna con quattro pieghe davanti e altrettante di dietro; l’invernale, blu notte come la sottana, con due collettini bianchi come confetti e una filza di bottoncini che sembravano caramelle alla menta. Il basco era obbligatorio per andare nella Cappella del Buon Pastore e se lo avevi scordato pagavi pegno. Ecco, chiudo gli occhi e rivedo Sister Francis, due occhi piccoli, color pepe, in un faccino soffice, di burro. Inflessibile, guardiana dell’ortodossia del basco, attendeva noialtre alla porta e, se eri a testa nuda, te ne imprestava uno al costo di poche lire. Che venivano ridate il giorno successivo quando, in buon ordine, arrivavi con l’aureola di cielo sul capo. Mentre il delizioso pirulino al centro sembrava solleticare il cielo.

E ora per arrivare finalmente al quibus, ringraziando quanti, senza sbadigli, si sono fatti portare dalla girandola dei miei ricordi,  nel passato succoso di radici, dove il bene era bene e il male male, fino a qui, eccoci all’oggi, in una bella chiesetta lungo la Via Merulana dove, alla domenica pomeriggio, si celebra la Santa Messa tridentina.  Ci sono signore a capo nudo, altre col cappello, altre ancora portano il velo di trine, E alcune color sabbia, altre nero. Io, con il mio foulard fuori moda, le cocche sotto il mento (mentre il loro velo spiove ai lati, coprendo anche i lati del mento), le osservo e mentre le guardo mi pare di capire a che cosa serve il velo e vorrei portarlo anche io, la volta prossima. Magari quello della mia nonna Lisetta, che è d’un leggero color avorio e ricamato a rose. Il velo, mi dico, è come costruirsi una cappella privata, dove, chiuse le porte al mondo, si può dialogare in dolce solitudine con il Signore! Sì, sì, è questo il senso e niente ha di fuori moda o antico, ma è cosa viva, ardente, diritto, profumato di buono. Il velo squilla allegro nella sua modernità perché sempre vivo è il dialogo muto che abbiamo con il Padre che ci ama!

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6 commenti

  • Valeria Fusetti ha detto:

    Nella Santa Messa ogni atto liturgico ha una ragione, un perché, un fondamento. Una Tradizione nel senso pieno e cattolico del termine. Il capo velato per le donne risale al periodo apostolico, e si possono leggere nella 1 Corinzi 11: 1-15. Leggendo molte parti delle Lettere dell’Apostolo si capisce bene come gia risalga a quel periodo la tentazione di interpretare autonomamente sia la Bibbia scritta ( Antico Testamento), sia i Detti del Signore (sia tramandati oralmente che presumibilmente già raccolti in scritti che sono alla base degli Evangeli). Le eresie che nascono dal libero esame, diventato “dogma” con Lutero, rigettato dal Concilio di Trento, ed introdotto nella Chiesa Cattolica da papa Giovanni XXIII. Non è un caso che questo cambiamento rivoluzionario fu annunciato nel discorso di apertura del Concilio Vaticano II. Il libero esame è una tentazione che, se non viene rigettata decisamente, come ha fatto l’ Apostolo delle Genti prima e che la Chiesa ha strenuamente difeso attraverso i Concili, diventa un’arma formidabile in mano al Nemico di Cristo e della Chiesa, l’arma più formidabile per pervertire la fede dei deboli ed attizzare gli orgogliosi. Non è un caso che proprio questi versetti siano stati uno dei più importanti grimaldelli, in mano alle “teologhe” femministe, per iniziare l’attacco blasfemo e diabolico alla Cristologia di San Paolo. E dalla Cristologia, in modo quasi simultaneo, sono passate a “picconare” furiosamente l’ordine gerarchico della famiglia e della società . Con il libero esame nella Chiesa è stato scacciato il principio della libertà e sostituito con il principio del libertinismo. Mai più revocato da nessuno dei papi post conciliari.

  • giorgio rapanelli ha detto:

    Sì, sarebbe una forma di rispetto e di sfida in un’era di qualunquismo fatto costume. Ma prima, il clero dovrebbe proibire, soprattutto nei matrimoni, quelle “mise” oscene, che portano ad esibire cosce e perfino il sedere. Affidiamoci allo Spirito, affinchè illumini il buon senso di coloro che si dicono cattolici: come noi non andiamo in chiesa in pantaloncini corti, non vedo perchè le femmine debbano esibire le loro grazie all’occhio lascivo di vegliardi con un piede nella tomba. Chiederò a mia moglie di rimettersi il velo come faceva in gioventù. Per dimostrare che non sarà mai troppo tardi dimostrare il rispetto in un luogo sacro.

  • Tempochefu ha detto:

    Ho un ricordo vivo del velo di quando, studiando dalle suore, si andava a messa nella cappella annessa all’istituto: il mio era di pizzo color avorio e mi dispiace tanto averlo smarrito nel triste trasloco dopo la vendita della mia casa natale. Lo indossavamo tutte noi ragazze durante quelle funzioni profumate di fiori, d’incenso e di sante prediche e, naturalmente, lo si portava in ogni chiesa e se per caso lo si dimenticava a casa, per rispetto, come talvolta faceva la mia mamma, si appoggiava un fazzolettino sul capo, di quelli leggeri e delicati, ornati di ricami e di piccoli merletti che a quei tempi le signore tenevano nelle borsette, non tanto, credo, per l’uso proprio, quanto per vezzo. Era un segno di umiltà e un modo rispettoso di presentarsi a casa del Padreterno quando ancora non era diventata una casa qualsiasi e persino un’osteria.
    Ma anche dei cappelli ho un vivo ricordo: il Borsalino che mio padre portava rigorosamente e che spazzolava per renderlo perfetto prima di uscire e quelli di mia madre, fra tutti uno per me stupendo, nero, con un risvolto di velluto rosa che la faceva essere la mamma più bella del mondo: la vedevo così coi miei occhi di bambina e, per fortuna, questo non l’ho perso, ma lo conservo ancora, come un cimelio. A vederlo adesso, sembra un cappellino per le bambole, mentre allora mi sembrava degno di una regina. E smetto, visto che essendo ormai nella non più verde età, mi commuovo con molta ma molta più facilità (ogni tanto una rima male non fa…).

  • Claudius ha detto:

    Bella rievocazione. Mi fa sorgere una domanda a cui spero qualcuno sapra’ rispondere: qual e’ l’attuale regola per il copricapo in chiesa per le donne?
    C’e’ sempre l’obbligo o e’ stato rilassato o eliminato?
    E da chi?
    Grazie x le risposte

    • Fontana ha detto:

      La regola vale solo quando fa freddo.

      Battute a parte, non credo che ci sia “una regola”, nè che ci sia mai stata (la regola dico, non l’usanza). Si tratta di convenienza. Le regole dovrebbero essere implicite, dettate dalla semplice buona educazione e, per quanto riguarda la partecipazione alle funzioni sacre, dal sentimento con cui vi si partecipa.

      C’è forse una regola che imponga di partecipare vestiti decentemente al Sacrificio Eucaristico? No, ma dovrebbe essere implicito, credo. Ma non essendoci una regola, oggi vi si partecipa in mutande e ciabatte, in Estate naturalmente (vabbè… pantaloncini… ma siamo lì). O con pantaloni indecenti tutti strappati. Oppure in una cerimonia nuziale la sposa con abito bianco (e quindi da vergine) trasparente, in modo da mettere in mostra la finezza della sua lingerie. E il sacerdote, a vedere queste indecenze, non fa una piega.

      Il porsi il velo sul capo, per una donna, è (era…) segno di umiltà, presentandosi davanti al Signore; come per l’uomo è (era…) per lo stesso motivo quello di scoprirsi il capo. Perchè così faceva davanti ad un superiore (ed anche ad una donna: un tempo quando incontrava una donna l’uomo, salutandola, si scopriva il capo… ma erano tempi – si dice – in cui la donna era considerata un essere inferiore…).

      Mi pare che nelle messe della Fraternità San Pio X (non ho esperienza diretta ma l’ho letto da qualche parte) le donne partecipano alla Mesa col capo velato.

      In ogni caso, dovrebbe essere compito del sacerdote – al di là del velo per le donne – di pretendere la partecipazione alla Messa, da parte dei fedeli, vestiti in modo decente. Nelle Omelie parlano di tutto, anche di non votare per Salvini; un ammonimento sul presentarsi in modo decoroso in chiesa non dovrebbe essere difficile, anzi, sarebbe doveroso.

  • Enrico Nippo ha detto:

    “Il velo, mi dico, è come costruirsi una cappella privata, dove, chiuse le porte al mondo, si può dialogare in dolce solitudine con il Signore!”.

    Immagine davvero incisiva.

    Il velo è l’equivalente del cappuccio del monaco.

    All’interno c’è la Contemplazione.