Nicaragua: un Altro Inferno per i Cristiani. Antonello Cannarozzo.

23 Gennaio 2025 Pubblicato da 1 Commento

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, Antonello Cannarozzo, a cui va il nostro grazie, offre alla vostra attenzione queste considerazioni sulla persecuzione posta in atto dal regime del Nicaragua verso i cattolici. Buona lettura e diffusione.

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Nicaragua: un altro inferno per i cristiani

 

di Antonello Cannarozzo

 

Prendo dalla Treccani il significato di odio: “Sentimento di forte e persistente avversione, per cui si desidera il male o la rovina altrui; o, più genericamente, sentimento di profonda ostilità e antipatia: concepirenutrirecovare contro qualcuno”.

È una definizione che si adatta assai bene ad un personaggio come Josè Daniel Ortega, dittatore ormai ottantenne del Nicaragua, ma ancora combattivo, non tanto per risolvere i problemi  della sua gente, quanto per i suoi interessi privati  perseguitando, oltre ogni limite, i suoi avversari tra cui la Chiesa cattolica nei suoi rappresentanti e non esitando ad usare contro di essa ogni tipo di vessazione: dagli arresti indiscriminati al proibire le funzioni religiose oppure a esiliare, senza tanti complimenti, religiosi o chiunque si azzardi a contestare la sua politica.

Questa è la tragica situazione in cui si trova la nazione del Centro America, addebitandone i mali che l’affliggono non alla sua politica social comunista, ma ai cristiani.

Solo lo scorso anno sono stati arrestati e esiliati mons. Herrera, presidente della conferenza episcopale nicaraguense insieme all’Ordine delle Suore Missionarie della Carità, figlie di Madre Teresa di Calcutta, con l’accusa di essere “persone pericolose”, l’accusa si commenta da sola.

Una strategia che si fa difficile anche con gli altri Stati americani.

La più recente e clamorosa iniziativa è dello scorso anno, quando Ortega ha annunciato il ritiro con effetto immediato del proprio ambasciatore, lo scrittore Carlos Midence, dall’Argentina dopo che il neo presidente Javier Milei che lo aveva duramente criticato per violazioni dei diritti umani nel suo Paese.

Ricordiamo che durante la sua campagna elettorale, proprio Milei ha promesso di tagliare i legami diplomatici con “regimi autoritari” come quello di Ortega, aprendo di fatto un nuovo corso geopolitico per l’Argentina, ma già  tre anni fa, nel 2022, l’ambasciatore nicaraguense presso l’organizzazione degli Stati americani (OSA) Mc Filelds, voluto dallo stesso Ortega, ha deciso di non poter più rimanere in silenzio denunciando ciò che stava accadendo nel suo Paese e riferendosi al suo governo come ad una “dittatura” del presidente Daniel Ortega.

Devo parlare perché se non lo faccio – ha detto– le pietre stesse parleranno per me” in un accorato discorso presso l’Organizzazione, aggiungendo che parlava a nome “di più di 177 prigionieri politici e più di 350 persone che hanno perso la vita” in Nicaragua dal 2018 ad oggi” – Ha aggiunto inoltre –   “Denunciare la dittatura del mio Paese non è facile, ma continuare a tacere e difendere l’indifendibile è impossibile” ed ha sottolineato ancora come lo scorso novembre, prima che il Nicaragua annunciasse la sua uscita dall’OSA, ha chiesto al ministero degli Esteri il rilascio di 20 membri dell’opposizione imprigionati e di altri 20 in un delicato stato di salute, ma è stato ignorato. “Nel governo, nessuno ascolta e nessuno parla, ho provato diverse volte nel corso di diversi mesi, ma tutte le porte mi erano chiuse“, ha continuato McFields, inoltre “Non c’è libertà di pubblicare un semplice tweet” e ha sottolineato che non c’è più alcuna organizzazione per i diritti umani “La gente è stanca della dittatura” ciononostante ha voluto chiudere il suo intervento con un filo di speranza “Sempre più persone diranno basta, perché la luce è sempre più forte delle tenebre” anche se a tutt’oggi Ortega ha iniziato il suo quinto mandato e il secondo con sua moglie, Rosario Murillo, come vicepresidente, ignorando le nuove sanzioni degli Stati Uniti e dell’Unione Europea verso il suo regime e i suoi parenti e stretti collaboratori.

Nato da una famiglia benestante, Josè Daniel Ortega, insieme ai suoi fratelli, poté studiare presso prestigiose scuole del Paese e come l’altro suo futuro amico Fidel Castro, anche presso i gesuiti.

La vocazione rivoluzionaria

Giovanissimo, appena diciottenne, con il fratello cominciò una serie di attività contro l’allora dittatore Anastasio Somoza, padrone indiscusso del Nicaragua fino alla sua morte avvenuta dopo un attentato nel 1956 a cui gli successe il figlio Luis che concluse la sua attività politica con la cacciata dopo una feroce guerra civile con il Fronte Sandinista che prendeva il nome da Augusto Sandino colui che nel 1933 aveva scacciato, anche questa volta dopo una rivolta, gli Stati Uniti dalla sua terra che ne avevano fatto una specie di protettorato, ma dopo appena un anno anche Sandino cadde sotto i colpi di un attentato ordito dal comandante dell’allora Guardia Civile, il già citato Atanasio Somoza che di lì a poco prenderà il potere per vent’anni fino alla sua morte anch’essa, come abbiamo accennato, violenta.

Ma torniamo al nostro giovane Ortega.

Entrato in clandestinità contro la dittatura dei Somoza diventa in breve uno dei comandanti più giovani della guerriglia urbana organizzata dal Fronte Sandinista.

Una carriera folgorante, tanto che ad appena ventuno anni, venne inviato a Cuba per un corso di guerriglia e l’anno dopo partecipò all’attentato contro Gonzalo Lacayo, uomo della famigerata Guardia Civile, ma non fu una azione brillante. Venne catturato e condannato a trent’anni di carcere anche per un altro reato: una rapina in banca per finanziare il Fronte.

Venne liberato nel 1974 grazie ad uno scambio di prigionieri tra i governativi e i sandinisti e in quello stesso anno, per la sua sicurezza personale pensò bene di tornare a Cuba per un ennesimo corso di guerriglia.

Pochi anni dopo è ancora in Nicaragua e nel 1979 fu tra i leaders della lotta armata che nel 1979 sconfisse definitivamente la dittatura Somoza per sostituirla non con la democrazia, ma con una altra questa dittatura, volta di ispirazione marxista.

La sua politica giovanile si ispirava naturalmente al suo idolo, Fidel Castro, mantenendo ancora buoni rapporti con la Chiesa cattolica, ma non certo con gli Usa che vedevano nel nuovo governo una nuova spina nel fianco, dopo Cuba, nel Centro America.

Washington cominciò subito a cercare di indebolire il potere sandinista con una serie di embarghi e una contro-guerriglia che insanguinerà il Paese per anni. Sono anni difficili con problemi economici, la durissima guerriglia dei Contras anti sandinisti finanziati dalla Cia, una situazione che si ripercuoteva in una grave crisi sociale arrivando al trattato di pace del 1984, ma ormai mettendo, con alterne vicende, sempre più nelle braccia dell’Urss il governo rivoluzionario.

Per il martoriato Paese arriva la pace e con essa le prime elezioni libere dove Ortega viene eletto con il 67% dei voti e, come già Castro a Cuba, pone il fratello Humberto a ministro della Difesa.

In quel periodo farà delle scelte che lo allontaneranno anche dal Vaticano e da papa Giovanni Paolo II, assai contrariato non solo dalla cosiddetta teologia della liberazione, che sacerdoti appartenenti alla cosiddetta Teologia della liberazione ai limiti dell’eresia, presente un po’ nell’America latina, erano in un governo con i sandinisti in Nicaragua, insomma un cattolicesimo in salsa catto-comunista.

Inutile dire che il voto dell’1984 venne duramente contestato ancora una volta dagli Usa, ma tolta questa incomprensione con gli americani, Ortega diventò anche una star internazionale. Sempre in giro per il mondo a portare la sua esperienza di lotta e di governo di grande leader tutto proteso per il bene del suo Paese.

Nell’1987 istituì anche una Commissione per una riconciliazione nazionale, un bel gesto sicuramente per un Paese ancora pieno di cicatrici, peccato che subito però sospese i diritti civili con la scusa di contrastare una insurrezione interna. In realtà per mettere il silenziatore agli avversari politici che vedevano nelle sue riforme e nel suo protagonismo la fine di ogni libertà.

Nel 1990 la parabola dei sandinisti e del loro leader ha una battuta d’arresto con le elezioni politiche finalmente libere e sotto lo sguardo internazionale che vede una loro sonora sconfitta e la vittoria di Violleta Barrios de Chamoro, già sua alleata in passato, ma ora a capo degli oppositori.

Per Ortega è una dura sconfitta, ma rimane pur sempre eletto deputato nel nuovo parlamento nicaraguense e ciò gli permetterà di tessere i rapporti che lo porteranno di nuovo al governo, ma prima dovrà subire altri smacchi.

Infatti, nel 1996 fu ancora sconfitto alle elezioni e questa volta aveva come avversaria anche la Chiesa che lo accusava di essere una persona di pochi principi, il vescovo di Obando Y Bravo lo definì pubblicamente in una omelia una “vipera” e per ironia della sorte nelle elezioni del 2001 dovette vedere la vittoria di un ex uomo di Somoza, Enrique Boaños.

Una sconfitta annunciata per lui sia per le accuse di arricchimenti illeciti e sia per alleanze spregiudicate con forze liberiste e non ultima l’accusa di aver violentato la sua figliastra. Evitò il processo grazie all’immunità parlamentare e ad una improvvisa e assai dubbia conversione al cattolicesimo.

Bisognerà arrivare al 2006, per ritrovare la rivincita di Ortega. Quell’anno vinse con il 38% dei suffragi e iniziò così il secondo regime sandinista che purtroppo arriva fino ai giorni nostri.

Molte furono le critiche livello internazionale per elezioni non proprio trasparenti e Ortega da buon dittatore, per evitare fastidiose contestazioni costrinse il Consiglio supremo elettorale a non concedere più, come del resto nelle migliori democrazie popolari, ad osservatori internazionali di controllare le elezioni e, per non farsi mancare nulla, la Corte suprema del Nicaragua, da lui controllata, sospese la partecipazione alle elezioni del partito Conservatore, l’avversario politico certamente più temuto.

Nonostante i brogli, le proteste popolari stranamente, ma il nostro è ovviamente un eufemismo, Ortega riuscì sempre a vincere le successive quattro elezioni solidificando non solo la sua posizione politica, ma anche la propria economia famigliare.

 

Un governo a conduzione familiare

 

Il difensore degli ultimi dove tutto deve essere del popolo, mise il figlio Rafael e sua moglie ha condurre l’impresa erogatrice nazionale di benzina, mentre gli altri figli controllano ancora oggi i gruppi editoriali più importanti del Paese, possedendo anche tre dei nove canali televisivi in Nicaragua e quelli che rimangono indipendenti sono però vicini al governo.

Questo coinvolgimento di numerosi familiari nella economica del Paese ha richiamato sulla famiglia Ortega molte critiche sia all’estro che in patria. Nel 2018 gli studenti organizzarono una grande protesta che finì tragicamente. Il regime non esitò a finirla nel sangue e saranno ben 63 i giovani a perdere la vita negli scontri con la polizia, senza contare i feriti e almeno un centinaio di arrestati.

Con il 2022 si raggiunge l’apice del contrasto con la Chiesa arrivando ad arrestare nottetempo il vescovo Rolando Josè Alvars e lo fa fotografare, per umiliarlo, in ginocchio con le mani alzate davanti alla polizia come un qualsiasi trafficante di droga, solo che per l’uomo di Chiesa accuse non ce ne erano se non la sua dura critica al regime di Ortega Accentuando la repressione verso ogni dissidenza.

Lo scorso anno dal Nicaragua, poco prima di Natale, sono state cacciate dal Paese tutte alcune suore con l’obbligo di lasciare  i loro conventi entro la fine dell’anno e confiscandogli tutte le proprietà, inoltre è stato loro proibito di tornare nel Paese come anche altri tre sacerdoti: padre Asdrúbal Zeledón Ruiz, della diocesi di Jinotega padre Floriano Ceferino Vargas, obbligato all’esilio a Panama dopo essere stato rapito da agenti degli apparati governativi per aver celebrato una Messa  nella chiesa di San Martin senza un permesso delle autorità.

Purtroppo, questa è stata la coda di una serie di espulsioni di prelati: già il 13 novembre è stato espulso il vescovo di Jinotega Carlos Enrique Herrera Gutiérrez, Presidente della Conferenza Episcopale del Nicaragua, come ricorda l’agenzia Fides.

Secondo le stime del rapporto redatto dall’ avvocato Martha Patricia Molina, anch’essa esiliata e rifugiatasi in Texas, dal titolo ‘In Nicaragua la Chiesa è perseguitata?’, dove si legge che dall’aprile 2018, più di 250 religiosi sono stati espulsi, banditi o costretti all’esilio.

La Chiesa continua a vivere una dura realtà in un Paese, peraltro ad alta presenza cattolica, segnata da oppressioni, carcerazione ed espatrio, una lunga e tormentata storia che risale a ormai a decenni fa, ma che si è rafforzata in questi ultimi anni con le azioni della dittatura di Daniel Ortega.

Nel 2018, organizzata dal governo, una folla inferocita attaccò il nunzio apostolico Mons. Waldemar Sommertag, il cardinale Leopoldo Brenes e monsignor Silvio Báez all’epoca della visita alla città di Diriamba e non contento ha espulso nei stessi giorni il vescovo Sommertag con la richiesta del governo di chiudere la nunziatura apostolica a Managua.

Secondo i dati più recenti il regime sandinista fino ad oggi ha chiuso 101 organizzazioni non governative, fondazioni religiose e altri enti cattolici e ancora tra il 2022 e 2023, 65 suore sono state espulse e 6 di diverse congregazioni religiose sono state bandite dall’ingresso, per un totale di 71.

Papa Francesco in quella occasione rimase addolorato per l’arresto di Mons. Rolando Alvarez, Vescovo di Matagalpa, descrivendolo come un “uomo molto serio, molto capace” che “ha voluto testimoniare e (per non lasciare soli i suoi fedeli. Ndr) non ha accettato l’esilio” infatti il giorno prima, il vescovo si era rifiutato di abbandonare la sua terra con altri 222 prigionieri politici esiliati negli Stati Uniti, tra cui quattro sacerdoti, un diacono e due seminaristi pronto ad accettare le conseguenze del suo atto.

Il vescovo è così diventato un simbolo della resistenza alla dittatura, rimanendo impassibile alla lettura dei giudici che lo condannavano a ben 26 anni di carcere per altro tradimento. La follia ideologica di Ortega nel mettere a tacere i religiosi, con ogni mezzo, come abbiamo accennato, ha reso la vita difficile a migliaia di credenti che con difficoltà possono assistere alle funzioni religiose.

Ancora la ricercatrice e avvocato Martha Patricia Molina in alcune dichiarazioni ad ACI Prensa il 22 agosto ha affermato che “le parrocchie sono monitorate 24 ore su 24 da infiltrati, che generalmente fanno parte al Council of Citizen Power, gruppo di persone addette a monitorare gli avversari e includerli in una lista” consegnata in seguito alla polizia.

Basta un nulla per perdere la benevolenza del regime.

 

La missione di pace della Chiesa

 

La Conferenza Episcopale del Nicaragua (CEN) ha sempre dato la sua sollecita collaborazione nell’interesse della nazione, tuttavia, quando la sua posizione non è stata ben accetta ai sandinisti, le risposte sono state una serie di violente accuse sui giornali governativi, cioè tutti, per poi passare ad aggressioni e non solo verbali.

Perché in un Paese quasi totalmente cattolico, il regime è così schierato contro la religione e i suoi rappresentanti?

La Chiesa ha solo una missione: salvare e confortare le anime, schierarsi contro le ingiustizie del mondo, e per questo quando essa si è schierata nettamente per un ritorno alla vera democrazia e contro a dittatura sandinista, questo atteggiamento ha consentito alle autorità di denunciare il clero come agenti sovversivi che grazie alla loro “tonaca” vogliono attuare un colpo di Stato seminando odio e rancore tra la popolazione e da qui il passo è breve nel sovvertire le “legittime” istituzioni nazionali.

Il Governo di Ortega, ormai è chiaro, non ammette dissenso e per difendere il suo regime non ha esitato a commettere, come evidenziato dalla Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh) e dall’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr), veri e propri crimini contro l’umanità e ciò che è moralmente più grave di queste sue azioni è che sono state rivolte proprio contro il suo popolo.

In questi ultimi anni si sono svolte manifestazioni, specialmente di giovani, per protestare contro un potere marcio, ma la polizia si è sempre schierata contro di loro e non certo con scudi e manganelli come da noi, ma con armi automatiche che sparano ad altezza d’uomo. In quelle occasioni tutte le chiese che erano lungo le vie delle protesta hanno aperto le loro porte per far entrare i manifestanti e proteggerli per quanto possibile dal fuoco del regime.

Una azione che non è stata mai perdonata del presidente Ortega e dal suo vice ministro che è, come già accennato, sua moglie Rosario Murillo, questo per sottolineare il grado di familismo che regna nel Paese.

Nonostante tutto i vescovi locali stanno facendo da ponte per un dialogo costruttivo tra governo e opposizione, proponendo nuove elezioni e una possibile alternanza concordata del personale nei vari dicasteri e Istituzioni statali, tutto per convogliare le richieste popolari in un contesto civile e pacifico, dimostrando che in Nicaragua, nonostante tutto, si possono risolvere anche problemi drammatici senza violenza.

Davanti al ramoscello d’ulivo dell’opposizione, Ortega e i suoi sodali hanno riposto con i soliti attacchi verbali contro i vescovi con una foga di anticlericalismo che non si vedeva da decenni e, ovviamente, per non perdere il vizio, ha dato vita all’unica cosa di cui è capace di fare in questi casi: la repressione,   arrestando sacerdoti, assediando le chiese, e, come abbiamo scritto, l’espulsione delle suore che praticano quella carità verso i più poveri e malati dove lo Stato non arriva.

Quale sarà il destino prossimo del Nicaragua non è certo dato a noi di sapere, solo c’è da sperare che un cambiamento di governo porti pacificazione in una terra che da sempre ha conosciuto solo dittature personali e corruzione e in questo sicuramente la Chiesa avrà un ruolo centrale proprio per la sua missione pacificatrice, nonostante Ortega e i suoi epigoni.

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