Conversione, Mistero della Fede nel Tempo dell’Eternità. Credere. Mistero che ci Supera. R.S.

23 Gennaio 2025 Pubblicato da 1 Commento

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, un amico fedele del nostro blog, R.S., offre alla vostra attenzione queste riflessioni su fede e conversione. Buona lettura e condivisione.

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A PROPOSITO DI CONVERSIONE E IL MISTERO DELLA FEDE NEL TEMPO MA NELL’ETERNITA’

Nella memoria liturgica della conversione di Saulo, da persecutore incaricato ad apostolo delle genti, possiamo rileggere i tentativi di esprimere la realtà divina che ci supera e ci contiene. Ci chiama a una comunione che sta al di là dell’esperienza eppure si fa esperienza, tanto che solo l’incontro con la credibilità di queste esperienze diventa attraente per chi voglia condividerne la gioia.

San Paolo (anno 34 d.C.): Mentre ero in viaggio e mi stavo avvicinando a Damasco, verso mezzogiorno, all’improvviso una grande luce dal cielo sfolgorò attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. Io risposi: “Chi sei, o Signore?”. Mi disse: “Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti”. Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono la voce di colui che mi parlava. Io dissi allora: “Che devo fare, Signore?”. E il Signore mi disse: “Alzati e prosegui verso Damasco; là ti verrà detto tutto quello che è stabilito che tu faccia”. E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni giunsi a Damasco.

Sant’Alfonso Ratisbonne (Roma 20/01/1842): Se in quell’istante (era mezzogiorno) un terzo interlocutore mi si fosse avvicinato, e mi avesse detto: “Alfonso, fra un quarto d’ora adorerai Gesù Cristo, tuo Dio tuo Salvatore, sarai prosternato in una povera chiesa, ti batterai il petto dinanzi a un sacerdote, in un convento di Gesuiti dove trascorrerai il carnevale per prepararti al battesimo, pronto ad immolarti per la fede cattolica; e rinuncerai al mondo, alle sue pompe, ai suoi piaceri, alla tua fortuna, alle tue speranze, al tuo avvenire; e, se sarà necessario, rinuncerai anche alla tua fidanzata, all’affetto della tua famiglia, alla stima dei tuoi amici, all’attaccamento degli ebrei … e non aspirerai più che a seguire Gesù Cristo e a portare la sua croce fino alla morte!…”. Dico che se qualche profeta mi avesse fatto una predizione simile, avrei giudicato solo un uomo più insensato di lui: l’uomo che avesse creduto possibile una simile follia! Eppure, è proprio questa follia che costituisce oggi la mia sapienza e la mia felicità. … Tutto ciò che so, è che entrando in chiesa ignoravo tutto; uscendone, vedevo chiaro. Non posso spiegare questo cambiamento che con l’immagine di un uomo il quale si risvegliasse da un sonno profondo, o con quella di un cieco nato che vedesse la luce tutto d’un colpo; vede, ma non può definire la luce che lo illumina e nella quale contempla gli oggetti della sua ammirazione”.

Cose che capitano… Quelli che ne sono protagonisti riescono a spiegare quasi balbettando, con parole insufficienti per chi pretende “prove”. La prova vivente diventano loro, convertiti alla Verità della quale diventano araldi, contemplandola e vedendosene rivelati ulteriori contorni, pur sempre parziali.

L’incarnazione del Verbo pare aver dato inizio nella storia al tempo della misteriosa realtà umana e soprannaturale della Chiesa, che per sua natura non resta però confinata nel saeculum. La Chiesa è testimone di una grazia, di un dono ricevuto da Dio: la fede. Si innesta su un’esperienza di fede più quantitativa, fatta di storia e di osservanza legale, di un’alleanza ristretta, confinata, legata a una terra e la eredita per darne compimento universale.  E’ proprio un mistero, dal momento che agendo nella storia è portatrice dell’eternità, rivelatrice di una realtà che non conosce il tempo. La fede cristiana esprime l’indicibile moltiplicando parole, ma sintetizzandole nella loro insufficienza a contenere Colui che ci contiene. Perciò tanto Saulo quanto Alfonso iniziano con una caduta a terra, con il mettersi in ginocchio e con lo sperimentare il passaggio da una cecità improvvisamente squarciata di luce.

La fede, avendone il dono, non sa subito esprimere compiutamente quel che ha avvertito. Ci entra e ci resta. Poi tenta di annunciarlo, ma si accorge, anche i geni più assoluti tra i credenti, che resta ancora un mistero. Quello che riescono a fare è di attrarre con il loro fervore, trascinando in quanto afferrati dal mistero che abitano. Questa è la mistica.

E’ una cosa che va al di là delle possibilità dell’uomo e dei suoi sforzi, del tentativo di rinchiudere la Verità in un perimetro sancito da uomini. Bisogna credere e la fede è un dono di Dio. La lettera agli Ebrei che ci accompagna nelle sante messe feriali al capitolo 4: “Dobbiamo dunque temere che, mentre ancora rimane in vigore la promessa di entrare nel suo riposo, qualcuno di voi ne sia giudicato escluso. Poiché anche a noi, al pari di quelli, è stata annunziata una buona novella: purtroppo però ad essi la parola udita non giovò in nulla, non essendo rimasti uniti nella fede a quelli che avevano ascoltato. Infatti noi che abbiamo creduto possiamo entrare in quel riposo, secondo ciò che egli ha detto: Sicché ho giurato nella mia ira: Non entreranno nel mio riposo! Questo, benché le sue opere fossero compiute fin dalla fondazione del mondo. Si dice infatti in qualche luogo a proposito del settimo giorno: E Dio si riposò nel settimo giorno da tutte le opere sue. E ancora in questo passo: Non entreranno nel mio riposo!

La fede (la Grazia) non è uno strumento, perché Dio non è uno strumento! Speranza allora è il tendere a quello che crediamo per fede. Anche la speranza è un dono. Oggi. Adesso. Come Dio presente, senza tempo. Attendiamo da Dio la beatitudine (il riposo dalle tribolazioni anche a cagione dell’esperienza di fede: la croce) e confidiamo da ora nella sua misericordia, nell’aiuto di Dio. La carità (la charis, l’eterna Grazia) ne sarà il compimento. La speranza divina non è un “va avanti che poi arrivo anch’io”: Dio c’è sempre. Infatti nella lettera agli Ebrei dice: “fin dalla fondazione del mondo”. La pienezza dei tempi è questa: non viene “dopo” la creazione e “prima” del riposo in Dio dell’eterna beatitudine. Come accade nell’esperienza degli angeli è istantanea, nel “tempo” di Dio che scorre più veloce della velocità della luce e si fa beffe delle regole intrinseche alla realtà creata!

Quello che attendiamo, con fede, in questa speranzosa fiducia, è di entrare nel mistero e di non perderne la grazia presente, alimentata con i sacramenti. Chi entra nel mistero cristiano, mediante la Chiesa (incaricata come sposa di generare figli a questa adozione divina e di santificarli e di cristificarli) è già implicitamente in paradiso. Non siamo la potenza di un atto, ma siamo già quell’atto lì, a Sua immagine. Un bene “futuro” già dato, che non si fonda su di me, ma sulla volontà di Dio. Che cosa può succedere di differente? Di perderlo, di farlo marcire, preferendo inseguire un paradiso in terra che prevede i miei sforzi per realizzarlo. Così potenzialmente la pianta diventa legna da ardere, l’albero della vita diventa l’albero del bene e del male; conosce la morte seconda oltre la prima, sperimentando lo stagno di fuoco (non va nel vuoto). La fede è sapienza, esperienza di luce, ma umile perché si sa contenuto anche quando prova a spiegare il suo contenitore. Un nemico, il diavolo, ci tenta al peccato per portarci con lui all’inferno.

La cronologia, lo scorrere degli anni in cui matura la missione della Chiesa, di conversione in conversione, non smette di sganciarsi dal tempo per non ridursi soltanto a storia. Ogni santa messa esprime questa eternità. Ognuna vede il sacerdote salire al Calvario e celebrare lì il sacrificio dell’eterna salvezza, l’agnello di Dio immolato dalla fondazione del mondo (Ap 13,8), la redenzione attuata dal Verbo incarnato nel grembo di Maria, ma fin dalla fondazione dei secoli!

Possiamo spiegare il grembo di Maria all’inizio dei secoli per formare l’umanità di Cristo che dà luogo a ogni realtà creata? Il mistero va creduto e non spiegato. E’ un mistero: la fede è un dono di Dio. Come la speranza e come la carità.

Alla “fine” (che poi è il fine) resterà solo la carità, cioè tutto sarà ricapitolato in Cristo. Ma è già così adesso, per chi è cullato nel grembo che dà vita al Verbo incarnato. Anche Maria, l’immacolata piena di grazia, la beata sempre vergine, l’assunta in cielo in anima e corpo, esprime il mistero in cui Sant’Alfonso crede senza poter esprimere tutto.

Saulo non ebbe relazioni dirette con Gesù durante gli anni della sua vita pubblica, conclusasi con l’ascensione nel maggio del 33 d.C. La conversione del giovane fariseo è narrata tre volte negli Atti, ai capitoli 9, 22 e 26, verso mezzogiorno (lo stesso orario di Sant’ Alfonso). Avversario dei seguaci di Gesù, considerati una setta di eretici, secondo gli ordini del sinedrio il giovane Saulo ricercava chi stava diffondendo la fede in Gesù per metterli in catene.

La sua lettera ai Colossesi è interessante in senso cronologico: Paolo scrive una splendida catechesi priva di cenni al devastante terremoto abbattutosi sulla loro città, secondo Tacito (Annales) nel VII anno di Nerone (60-61 d.C.). Paolo giunse a Roma nei primi mesi del 59 d.C. e quindi in tempo per scrivere prima del terremoto. Nella lettera ai Colossesi c’è un esplicito riferimento anche alle altre due città che sarebbero poi state distrutte (Laodicea e Gerapoli) nel medesimo giorno. Anche la lettera agli Efesini, sempre dalla prigionia a Roma, cita Laodicea senza notizia della catastrofe. Ci spinge a ipotizzare una composizione di Apocalisse anteriore a quella solitamente considerata. Tra le sette città alle cui chiese è rivolto un messaggio c’è infatti anche Laodicea, ancora senza menzione del sisma.

Il prologo del vangelo di Giovanni è teso a rintuzzare in particolare le derive gnostiche, quali i nicolaiti e gli ebioniti. Si tratta di alcune sette già attive anche a Gerusalemme, come già detto a proposito del pullularvi di visionari e sedicenti messia che coinvolsero Paolo all’arrivo in città. Nella lettera ai Colossesi c’è un passaggio che ricorda molto il prologo del vangelo di Giovanni (Col 1,13-20 e 2,9-11). Sembra proprio che Paolo lo conoscesse quando inviò la lettera scritta dalla prigione a Roma. Questi particolari attestano la stesura del vangelo di Giovanni al più tardi attorno al 60 d.C. quando i vangeli sinottici c’erano già tutti. Mistero: l’annuncio è dentro la storia, usa il tempo, ma lo eternizza!

Se il tempio di Gerusalemme, così dirimente per la conversione e per il passaggio dall’antica alla nuova alleanza, compiendo la legge senza modificarne uno iota, fosse stato già distrutto sarebbe stato un argomento da spendere nel dibattito… Invece niente di tutto ciò. E dire che in quegli anni la questione scottante, quasi assillante, è il vacillare della fede in Cristo perché ancora Gesù non torna mentre il tempio di Gerusalemme sta raggiungendo fasti mai visti, nel proliferare di sette gnostiche e di nugoli di falsi profeti. E’ quasi martellante la denuncia dei “falsi dottori”: caratterizza quasi tutte le lettere cattoliche scritte nel ristretto numero d’anni tra il 57 e il 61 d.C. Questa emergenza pastorale è la preoccupazione più sentita della seconda lettera di Pietro e della lettera di Giuda, molto simili; contraddistingue anche la seconda lettera a Timoteo, scritta a Timoteo libero, quando Paolo è ancora agli arresti e solo Luca è con lui.

L’annuncio del Verbo incarnato e del suo sacrificio redentore è consegnato di generazione in generazione, cioè quelle chiamate a dire beata la Vergine Maria, il grembo in cui l’umanità di Cristo rivela Dio. Il suo preziosissimo sangue (1 Pt 2,25) ci guarisce dalla nostra condizione perduta lavando il peccato (il sangue dell’Agnello immolato vincitore potente: Cristo risorto da morte). Questo annuncio pervade la tradizione ecclesiale, rorida del sangue dei martiri.

Il vino nuovo, che la Madre ottenne che fosse servito alla fine della festa di nozze di Cana, caratterizza il memoriale eucaristico in vista delle nozze definitive dell’Agnello che ci attendono. Il passaggio dal vecchio al nuovo testamento. Dall’acqua al vino apprezzato dal maestro di tavola che ne riconosce la bontà; nel tempo eppure nell’eternità.

Disse la Madre: “Fate tutto quello che vi dirà”. Bisogna credere. E’ un mistero. Ci supera.

R.S.

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1 commento

  • R.S. ha detto:

    Qualcuno obietterà che Alfonso Ratisbonne non è un santo. E’ vero: non lo è ancora per la Chiesa.

    Allora preghiamo Alfonso nella comunione dei santi perché ottenga il miracolo di altre conversioni tra gli ebrei. Il tempo è propizio.

    Lo descrive il paragrafo 674 del catechismo, a ridosso dei paragrafi 675-677 che ricordano la Chiesa di oggi, la Chiesa del terzo segreto di Fatima.

    Prima c’è il paragrafo 673, che tra virgolette usa l’aggettivo che identifica uno stato di impedimento che non potrà arrestare la ricapitolazione della storia in Cristo, suo centro e principio, istantaneamente eterno.

    Alfonso l’ha colto vedendo Maria…

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