Evasione Mistica. Divagando su un’Immagine. Il Matto.

13 Gennaio 2025 Pubblicato da

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, il nostro Matto offre alla vostra attenzione queste riflessioni originate dall’immagine che vedete qui sotto…Buona lettura e meditazione.

§§§

 

 

EVASIONE MISTICA

Pere Borrel del Caso, Fuga dalle critiche (1874)

 

* * *

Imbattendomi in questa immagine, non ho potuto fare a meno di associarla subito a me stesso, ovviamente in quanto Matto. E non solo: l’immagine ha richiamato alla mia mente quanto esorta il sufi Jalal ad-din Rumi:

 

«Diventa cielo.
Prendi un’ascia e rompi le pareti della tua prigione.
Fuggi».

 

«Diventa cielo»! Due parole che dicono tutto!

 

D’acchito, dico che l’immagine illustra l’Evasione Mistica, che per quanto mi riguarda si attua per Apofasi. Si «diventa cielo» per negazione – un liberarsi lasciando andare – di tutto ciò che non è cielo e  (illusoriamente) lo ingombra.

 

Si tratta di un trompe-l’oeil (“inganna l’occhio”) in cui il pittore spagnolo costruisce una scena tridimensionale creando la profondità grazie alle mani e al piede del giovanetto che, oltre alla testa, “bucano” la tela, andando oltre il semplice dipinto e si preparano a “saltare” oltre la cornice.

Il dipinto immortala il momento in cui il giovanetto evade dalla cornice che  lo costringe e si affaccia verso l’esterno con sguardo attento, curioso e sbalordito: uno sguardo testimoniante una meraviglia, un’“accensione” dello spirito – un tapas, ovvero un “ardore” secondo l’induismo – foriera di un entusiastico, nobile protagonismo spirituale, che evidentemente gli era impossibile restandosene a fare la comparsa nell’angusta cornice in cui si sentiva soffocato, facendo nascere in lui l’impulso ad evaderne. Come si vede, l’evasione avviene dall’interno della cornice che è buio verso l’esterno che è nella luce, talché il giovanetto ne resta tutto illuminato:

«Se dunque tutto il tuo corpo è illuminato, senza avere alcuna parte tenebrosa, sarà tutto illuminato come quando la lampada t’illumina con il suo splendore».

Si tratta di un’evasione dal Chiuso all’Aperto, dal Visibile all’Invisibile, dal Tangibile all’Intangibile, dall’Effabile all’Ineffabile, dal Pensato al Non pensato, dal Formulato all’Informulato, dal Molteplice all’Uno, dall’Organizzato al Pre-organizzato, dal Sillogizzato al Pre-sillogizzato, dal Razionale al Mistico: insomma, si attua un transito dall’interno della cornice che è buio all’esterno della stessa ov’è la Luce in Sé. Dico la Luce in Sé, non quella “di cui” si parla nella cornice.

 

Quanto afferma Antonin Artaud si attaglia perfettamente al transito suddetto:

 

«Ciò che faccio è fuggire il chiaro per chiarire l’oscuro»,

 

ossia, esco dall’oscuro della cornice in cui si presume che tutto si presenti come chiaro secondo ragione e fede, per slanciarmi verso il Chiaro in Sé, cioè verso la Luce. Sottolineo che l’ardore dello slancio – il tapas – è del tutto gratuito, ovvero non chiede niente in cambio, non ha uno scopo, un obiettivo: è un disinteressato e fiducioso proiettarsi verso il sarà quel che sarà (che già è) e trascende qualsiasi concettualizzazione e passione umana, le quali, pertanto, vanno lasciate andare poiché trattengono nella cornice.

 

E se “il sonno della ragione genera mostri”, non è men vero che mostri, forse peggiori, sono generati dall’esaltazione della ragione. Si dirà che la ragione ha da essere integrata dalla fede, e questo è plausibile, ma c’è un terzo elemento che non può essere ignorato o, peggio ancora, considerato con sufficienza o sospetto: la mistica, che per me in quanto Matto consiste appunto in un’evasione, un salto, un slancio verso il non formulato, il non rubricato, il non descrivibile, il non riducibile a sillogismi, in non sistemato/ridotto in parole ed immagini, quindi anche radicalmente oltre visioni, locuzioni e profezie. In questo senso, assumo l’osservazione di Emile Cioran:

 

«L’esperienza mistica, al suo limite estremo, si identifica con la beatitudine di un supremo rifiuto».

«Beatitudine di un supremo rifiuto»: silenzio radicale inconcepibile per chi assolutizza acquisizioni cogitative e verbali nelle quali credere, le quali, alla lunga, costituiscono coaguli mentali che ostacolano la Luce. Si potrebbe dire: evasione dal mondo delle forme e dei ritmi per slanciarsi nel Nessun Dove, nella Nessuna Forma e del Nessun Ritmo, ov’è la Luce che non ha un “dove” ed anzi proprio per questo illumina e vivifica ogniddove, quindi ogni forma e ogni ritmo, mantenendo l’indipendenza. La Luce è la Perfezione in Sé di cui nell’Anonimo di Francoforte:

 

«Il perfetto è un’essenza che tutto comprende e racchiude in sé e nel suo essere, e senza la quale o al di fuori della quale non v’è alcun vero essere, e nella quale tutte le cose hanno il loro essere, giacché essa è l’essenza di tutte le cose, che, immutabile e immobile in sé, tutte le muta e muove».

 

Per inciso, notiamo come nella nipponica Via della Spada abbia decisiva importanza ciò che in giapponese viene detto Fudoshin, che significa lo Spirito immobile, imperturbabile, necessario ad un’agire retto e adeguato alla situazione, un agire appunto illuminato. Ciò significando che per fruire della Luce in quanto «essenza immutabile e immobile in sé» occorre rendere tale anche il proprio spirito, dacché, per dirla con Empedocle, il simile cerca il simile. Altrimenti, che senso avrebbe la creatura ad immagine e somiglianza del Creatore?

 

Emblematico è il titolo dell’opera Fuga dalla critica: il giovanetto è in fuga dalle convenzioni di ogni tipo e dalle sgrinfie degli “esperti” (i più “umili” in prima fila!) che criticano e si agitano in combutta reciproca all’interno della cornice. Non per nulla Meister Eckhart nota che:

 

«i teologi possono litigare, ma i mistici del mondo parlano la stessa lingua»,

 

ciò che il fondamentalismo di qualunque specie aborre, impietrato com’è nel proprio linguaggio tanto valido quanto ineluttabilmente approssimativo come tutti i linguaggi, che sono forme e quindi limitati per definizione; sennonché per il trambusto che vi regna, l’interno – buio – della cornice non può considerarsi nemmeno una “prigione dorata”, almeno non per tutti.

 

Il termine “giovanetto” – il magnifico latino juvenis – lo adotto a ragion veduta: il saltar fuori dalla cornice simboleggia l’evasione dal vecchiume asfittico interno alla cornice per il ritrovamento estatico della giovinezza perenne che vive respirando il Verbo «Luce degli uomini» e trascende infinitamente qualsiasi indottrinamento e formulazione, che, nel buio interno alla cornice, ne rappresentano al più dei timidi balbettamenti. Non si può imprigionare la Luce in pensieri e parole, e già la parola “luce” è forse di troppo. Altro è la fede nello scritto e nel parlato “della” Luce e altro è la fede immediata nella Medesima, che esige, di nuovo, «la beatitudine di un supremo rifiuto”, ossia il certame dell’Apofasi. E dico “certame” perché l’Apofasi non è una passeggiata, vista la strenua resistenza posta dall’io fittizio che si nutre di forme, non da ultima la Cultura, che scrivo con la maiuscola ma non cessa di appartenere alla giostra del mondo delle forme.

 

Sulla stessa lunghezza d’onda eroico-estatica si pone il mistico persiano Abu Said ben Abi Ikhair (XI secolo) a proposito del Sufismo, altro nome dell’Apofasi:

 

« Il Sufismo è uno stile di vita, è abbandonare quello che sia ha nella testa, donare ciò che si ha tra le mani e non tirarsi indietro davanti a nulla».

 

Si noti: agli occhi dei Sani di mente allocati nella cornice, «uno stile di vita» … da Matto.

 

Da notare la coincidenza, neanche a dirlo “casuale”, con l’evangelica «vendita di tutti i beni». Vendita (apofasi) necessaria all’acquisto della «perla preziosa», del «tesoro nascosto». E non sarà inutile ribadire che la perla o il tesoro, insomma la Luce, si trovano all’esterno della cornice!

 

Intrigante, nel Sufismo, la “Taverna” ove il pellegrino – l’evaso – viene inebriato dal vino del Divino Amore, cioè dalla Luce, ciò che rivela come la “Taverna” non sia un luogo nella cornice bensì un non-luogo al di fuori di essa, nel Cielo! … «Diventa cielo» …

 

«Là fuori, oltre a ciò che è giusto e sbagliato
esiste un campo immenso
Ci incontreremo lì».

Rumi

 

Inammissibile, terribile e sconvolgente quel «là fuori, oltre il giusto e lo sbagliato» per chi, dentro la cornice, è impastoiato nei dualismi a non finire (altro che Fudoshin!), e non può ammettere, o almeno intuire, che esista un «campo immenso», ossia un cielo … «diventa cielo» …

 

Dunque lo juvenis è un evaso che suscita scandalo in coloro che si trovano bene in reclusione, verso i quali, invece, egli nutre il più grande rispetto, poiché sa che ognuno, senza eccezione e consapevole o meno che ne sia, sta percorrendo la Via, e lo fa nel modo che ritiene più opportuno, compiendo ciascuno i propri inevitabili errori. E se la Via è anche Verità e Vita, nessuno, ma proprio nessuno, può emettere giudizi temerari su chicchessia.

 

Il Santo Curato d’Ars:

«“Ti ringrazio, mio Dio, perchè non sono come gli altri uomini: ladri, ingiusti, e adulteri, nè come questo pubblicano”.

Tale è, fratelli miei, il linguaggio dell’orgoglioso, il quale, essendo pieno della buona opinione di se stesso, disprezza, col pensiero, il prossimo, censura la sua condotta, e condanna le azioni che sono compiute con le intenzioni più pure e più innocenti.

Egli non trova nulla che sia ben fatto nè ben detto, se non ciò che fa e dice lui stesso.

Lo vedrete sempre attento alle parole e alle azioni del suo vicino e, alla minima apparenza di male, senza fermarsi a esaminare, lo biasima, lo giudica, lo condanna.

Ah! maledetto peccato, quante divisioni produci, quanto odio, quante discussioni, o, per meglio dire, quante anime trascini nell’inferno!

Sì, fratelli miei, noi vediamo che una persona che sia soggetta a questo peccato, si scandalizza e si sconvolge per qualunque cosa.

Bisognava proprio che Gesù Cristo giudicasse questo peccato alquanto cattivo, a causa della distruzione orribile che produce nel mondo, dal momento che, per incuterci il più grande orrore possibile, ce lo dipinge in una maniera così chiara e vivace, nella persona del fariseo.

Ah! fratelli miei, quanto grande e quanto orribile è il male che questo maledetto peccato trascina con sé!».

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24 commenti

  • Adriana 1 ha detto:

    Caro Giampiero,
    “Esperienza”…la parola medesima porta alla “visione” scientifica galileiana e alla replicabilità della “prova”.
    Qui, tale argomento diviene ostico, non esistendo una replicabilità possibile ( nemmeno nello stretto ambito di una “visione” – o di una serie di visioni- personali ).
    “Non è detto che i frutti – e le metodologie occidentali e orientali- dell’ascesi siano diversi…”
    Io, al contrario, trovo del tutto difformi i sistemi del Sokushinbutsu dalle manifestazioni cruentemente “anatomiche” di certi “Santi” (ossia: “separati” occidentali.)
    Quello che trovo comune ad entrambe le culture è il desiderio di comprendere “come l’uom s’eterna”…Un desiderio ancestrale dell’umanità, che viene rivelata- in questa sede- perfino da qualche dichiarata “anima nera” della umanità medesima: una “pura” anima nera che capovolse la scala della discesa in quella dell’ascesa. D’altra parte, e…dall’Altra Parte, in chiave di Eternità, bisogna ammettere che non dovrebbe esistere un Alto-Basso, un Su e Giù, né, tantomeno, una via destra e una via sinistra…almeno, per quanto a noi è dato sapere.

    • Giampiero ha detto:

      Cara Adriana , non confondiamo i piani. Ciascuna forma di esperienza, incluse quelle spirituali, deve essere considerata nel suo specifico. Nessuna sta a se escludendo le altre. Tutte però possono cooperare ad una presa di coscienza più ampia e comprensiva.

      • Adriana 1 ha detto:

        Caro Giampiero,
        ma allora meglio scegliere un’altra parola che non sia “esperienza”… Che so?: “accadimento”, “sensazione”, “intuizione”, “sogno”, “illusione”, “visione”, “ispirazione”, “inconscio” ecc., ecc…che si riferisca, cioè a tutto ciò che non sia replicabile e, quasi per nulla, “trasmissibile”, nonostante la sua tensione verso il “Sublime”.

        • Giampiero ha detto:

          Lei dice? Non siamo così impermeabili da non poter coglierne un bar lume . Nel profondo siamo come vasi comunicanti di un unica Fonte.

          • il Matto ha detto:

            Prendo la palla al balzo: “nel profondo siamo come vasi comunicanti di un’unica Fonte”. Esattamente quello che dice Eckhart riguardo a ciò che riferiscono i mistici. Ovvero quell’Assoluto che sta oltre qualsiasi visione e locuzione, insomma … “L’unica Fonte”. Due giganti in questo senso sono Plotino e Dionigi Areopagita. Cordialmente.

          • Adriana 1 ha detto:

            Caro Giampiero,
            sono/sarei piuttosto d’accordo con il suo punto di vista- che tiene però presente solo l’interpretazione “buona” di una santa comunicazione-….ma poi ( mentalmente, sensitivamente, spiritualmente ) sappiamo che esistono/ si formano anche frequenti “egregore” ( forme-pensiero ) non troppo buone…
            Come distinguere le une dalle altre?
            E’ sempre stimolante parlare con lei. Un saluto.

  • Giampiero ha detto:

    Penso che Meister Eckhart venga invece smentito dalla stessa esperienza di tutti coloro che definiamo come “mistici”. Non parlano la stessa lingua in quanto non esprimono tutti la medesima esperienza. Una tale considerazione non va però a sminuire sic et simpliciter nè il valore nè la stessa veridicità di queste esperienze, dico solo che possono essere influenzate dall’ humus e, quindi, dalle aspettative di ogni singolo mistico. Non essendo l’umanità costituita da monadi è normale che il contesto culturale, filosofico e, soprattutto, religioso influenzino la mistica che in tali contesti si esprime. La mistica orientale non è come quella che riscontriamo nel nostro contesto occidentale. Ma le evidenti differenze non devono portarci a concludere che se una è “vera” l’altra sia necessariamente falsa. Come non ci portano a concludere che siano entrambe “false” in constatazione delle differenze. Potrebbero essere “vere” entrambe, ognuna però al proprio livello. Tutte però avvalorerebbero per via esperienziale la visione di una pluridimensionalità dell’unico Assoluto. Le “dinamiche divine” (ad extra) , e, in un certo qual modo, le aspettative di ogni singolo mistico, starebbero alla base delle differenze che in tali esperienze possiamo cogliere. Stessa lingua dunque? No, ma ogni linguaggio può esprimere e riportare qualcosa di “vero” della dimensione cui attinge.
    Un grazie particolare per quanto a riportato del curato d’Ars.

    • il Matto ha detto:

      Grazie molte per questo contributo davvero equilibrato e chiarificante.

      “La visione di una pluridimensionalità dell’unico Assoluto”: felice espressione, molto, molto accattivante e … eretica! 😄

      • Giampiero ha detto:

        Eretica? Non direi. Per me Dio rimane sempre Uno e Trino. Ma vogliamo congelare certe formule dogmatiche?… Le ripropongo l’ancora non condiviso thè. 🙂

        • il Matto ha detto:

          Dicevo “eretico” nel senso che il “pluridimensionale” non si limita all’Uno e Trino, ed ha un sapore ecumenico planetario, dunque plurivisionario.

          Cosa propone per condividere finalmente questo un thè?

          • Giampiero ha detto:

            Lo so, era per mantenermi negli argini di una “ortodossia”. Ma ribadisco quel concetto dalla parvenza un pò “eretica”, che sarebbe meglio però sviluppare con una tazzina di thè. Alla prox.

  • Adriana 1 ha detto:

    Bello!, bello!,
    ma… è veramente un paradosso che per giungere ad intuire l’illuminazione di un piano spirituale altissimo e silente ci sia l’umana necessità di tante parole.
    ( i “timbri” di accesso non finiscono mai!?! ).

    • il Matto ha detto:

      La necessità di tante parole sorge quando si vuol tentare di comunicare il da farsi per favorire l’intuizione o l’illuminazione, che in ogni caso giungono da sé e senza prevviso.

      Così il comunicare si porta dietro le sue conseguenze: in senso lato, chi ascolta o legge lo fa irrimediabilmente interpretando dal proprio “agglomerato” interiore fatto delle proprie esperienze (e dei propri attaccamenti!), cosicché finisce per ascoltare o leggere altra cosa da quella che esprime il comunicante, ciò che ovviamente si ripercuote sulle repliche e sui commenti.

      Ci sono eccezioni, come in questo caso (“Bello!, bello!), che confermano la regola. Ossia può accadere che comunicante e ricevente si trovino sulla stessa lunghezza d’onda che travalica le parole.

      Saper ascoltare e leggere è un’arte (e non me lo invento io), e gli artisti, quelli veri, sono sempre stati pochi rispetto alla massa.

      Se poi consideriamo Lao Tse: «Chi sa non parla, chi parla non sa», ci troviamo subito … in alto mare! 😄

      • Adriana 1 ha detto:

        Carissimo Il Matto,
        Il mare è alto quanto profondo…Sibillinamente S. Bernardo di Chiaravalle ( che odiava gli ornamenti superflui ) raccomandava che la costruzione delle chiese obbedisse esclusivamente ai criteri di: “altezza, larghezza, lunghezza e… profondità”. Raccomandazione che nessuno ha mai spiegato.

  • Giancarlo ha detto:

    C’è qualcuno che può escludere, con prove certe, che il quadro potrebbe anche rappresentare la faccia del dottor Tosatti…quando riceve i pezzi del Matto?

  • laura cadenasso ha detto:

    Nel ricordo di una non troppo recente affermazione di un sacerdote che celebrava Messa dinanzi all’ altare -del quale non ricordo il nome per motivi di lontanaza nel tempo di tale evento- in questo preciso istante mi permetto con semplicità di chiederLe : Lei -persona reale qual’ è/ autosoprannominatosi il Matto/ che parla con i lettori di Stilum Curiae- Crede nella recita del Credo ? Se sono troppo invadente oppure indiscreta, sinceramente mi scuso pur senza vantare pretese di risposta

    • il Matto ha detto:

      Gentile Laura,

      lei non è affatto invadente. Fra persone educate si può benissimo instaurare un colloquio dai cui può o non può scaturire un sentire comune, e questo, ritengo lei sia d’accordo, rientra nel rapportarsi fra esseri umani.

      Le rispondo volentieri: credo nella recita del Credo. Ma debbo precisare che si tratta, per me che sono Matto (pseudonimo “vero”, non assunto per eccentricità) di un credere insoddisfacente riguardo alla mia capacità di assimilarlo. Voglio dire che la profondità del Credo (parlo sempre per me) mi risulta insondabile e mi induce a riflettere senza sosta, non potendo in nessun modo accontentarmi del formulato, come del resto risulta dal mio articolo.

      Spero di averle risposto esaurientemente.
      Cordialità.

      • Fritz ha detto:

        Incurabile purtroppo, non per mancanza di medicine ma per volontario autolesionismo. Per la Cadenasso non saprei ma non abbastanza matto per sfangarsela davanti a Dio con una risposta come questa.