L’Estasi al Culmine della Vita. Il Richiamo della Foresta di Jack London, Commentato da Il Matto.

6 Gennaio 2025 Pubblicato da 33 Commenti

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il nostro Matto ci invita a riflettere su un classico della letteratura, il libro capolavoro di Jack London. Buona lettura e meditazione…

§§§

 

L’ESTASI AL CULMINE DELLA VITA

 

«C’è un’estasi che caratterizza il culmine della vita e oltre la quale la vita non può innalzarsi. E il paradosso di vivere è tale che questa estasi arriva quando si è sommamente vivi e viene come un totale oblio dell’esser vivi».

Jack London

 

* * *

da: libreriamo.it/frasi/jack-london-bellezza-della-vita

 

La citazione di Jack London tratta dal celebre romanzo Il richiamo della foresta ci introduce a una riflessione profonda sulla condizione umana (e animale), sulle origini dell’estasi, e sul ritorno alle radici più autentiche dell’essere. Attraverso le vicende del cane Buck, London descrive un viaggio di trasformazione che porta l’individuo – umano o animale – a riscoprire la propria essenza primordiale. In questa frase, si esplora uno stato di elevazione estrema: l’estasi vissuta come un totale oblio dell’esistenza, un’esperienza paradossale in cui si è supremamente vivi proprio nel momento in cui ci si dimentica di esserlo.

 

C’è un’estasi che caratterizza il culmine della vita e oltre la quale la vita non può innalzarsi. E il paradosso di vivere è tale che questa estasi arriva quando si è sommamente vivi e viene come un totale oblio dell’essere vivi.

 

Questa estasi, questo dimenticarsi di vivere, viene all’artista fuori di sé colto da una vampata di passione; viene durante la battaglia campale al soldato pazzo di guerra quando rifiuta la tregua; e venne a Buck alla testa del branco mentre faceva risuonare il vecchio grido del lupo, teso a inseguire il cibo ancora vivo che fuggiva rapido davanti a lui sotto la luna. Stava scandagliando le profondità della sua natura e di parti della sua natura ancora più profonde di lui, le stesse che risalivano nel grembo del Tempo.

L’estasi al culmine della vita

Jack London sottolinea che questa estasi non è un’esperienza ordinaria, ma qualcosa che appartiene al “culmine della vita”, ovvero uno stato di intensità assoluta.

 

È una condizione in cui tutte le forze vitali si concentrano al massimo, dove la consapevolezza razionale viene sostituita da un flusso travolgente di energia. In tale contesto, l’estasi diventa sinonimo di pieno coinvolgimento nell’atto che si sta compiendo, sia esso un’opera d’arte, una battaglia o una caccia. Per London, quest’estasi rappresenta una forma di trascendenza terrena, accessibile non attraverso la fuga dalla realtà, ma tramite un’immersione profonda nel presente. Essa è l’espressione più pura della vita perché annulla la distanza tra l’individuo e l’azione: chi sperimenta l’estasi, pur dimenticando se stesso, vive un’esistenza più autentica e intensa. London utilizza tre immagini potenti per illustrare questa idea: l’artista, il soldato e Buck.

 

L’artista vive l’estasi nel momento in cui è interamente assorbito dall’atto creativo. Questo stato può essere paragonato al cosiddetto “flusso” descritto dagli psicologi moderni: un’esperienza in cui il tempo e lo spazio sembrano svanire, e l’individuo si ritrova completamente immerso nella propria opera. In quell’istante, l’artista si dimentica di vivere perché è totalmente fuso con il processo creativo.

 

Anche sul campo di battaglia si può raggiungere un’estasi paradossale. Il soldato, spinto al limite della resistenza fisica e mentale, si perde nel fervore della guerra. In questa situazione estrema, la paura della morte viene superata dall’adrenalina e dall’istinto primordiale di sopravvivenza. Non c’è più consapevolezza di sé: esiste solo l’azione, la lotta, e l’urgenza del momento.

 

(Nota del Matto – ne La battaglia come esperienza interiore, Ernst Junger testimonia: «Dinanzi a questo portentoso e incessante scorrere verso la battaglia, tutte le opere perdono di significato, tutti concetti si svuotano di fronte alla manifestazione della potenza elementare che sempre fu e sempre sarà». Si tratta dunque di un’apofasi estrema per la quale il guerriero sperimenta immediatamente la Vita, che è oltre i significati e i concetti, ovvero oltre le formule, oltre il pensiero).

 

Buck e il richiamo del lupo

Infine, l’estasi di Buck è profondamente legata alla natura.

 

Alla testa del branco, Buck incarna la libertà selvaggia: non è solo un leader, ma l’incarnazione stessa di un istinto ancestrale che lo spinge a inseguire la preda sotto la luce della luna. In questo momento, Buck si riconnette con la sua essenza più profonda, una parte di sé che risale al “grembo del Tempo”. L’istinto del lupo, che vive in lui nonostante la sua natura di cane addomesticato, si risveglia con tutta la sua forza primordiale.

 

Il viaggio di Buck, nel romanzo, è metafora del ritorno alle origini e alla libertà. Nel mondo civilizzato, Buck vive intrappolato in una realtà artificiale che lo separa dalla sua vera natura. La sua trasformazione da cane domestico a capobranco è una celebrazione del potere della natura di richiamare gli esseri viventi verso la loro autenticità più profonda.

 

Questo “richiamo della foresta” può essere interpretato come il richiamo delle radici: ciò che è autentico e puro, ma che spesso dimentichiamo nella nostra quotidianità. L’estasi che Buck sperimenta è il culmine di questo ritorno alle origini, uno stato in cui non c’è posto per le convenzioni o per la consapevolezza razionale, ma solo per la fusione con l’istinto e la vita.

 

Una delle riflessioni più profonde contenute in questa citazione è il paradosso secondo cui l’estasi nasce dall’oblio della vita, ma è anche l’espressione massima del vivere. Questo apparente contrasto riflette l’essenza stessa della condizione umana, in cui momenti di pienezza spesso comportano un distacco dall’io e dalla consapevolezza di esistere.

 

L’estasi, allora, rappresenta un’apertura verso qualcosa di più grande di sé. Che si tratti della creazione artistica, della lotta per la sopravvivenza o della connessione con la natura, questo stato permette all’individuo di trascendere i limiti della propria esperienza e di riconciliarsi con una realtà universale e primordiale.

 

La citazione di Jack London invita a considerare l’estasi non solo come un momento raro e straordinario, ma come qualcosa di profondamente legato alla vita. Essa non appartiene solo agli artisti, ai guerrieri o ai leader di un branco: anche noi, nella nostra quotidianità, possiamo sperimentare questa estasi quando siamo interamente presenti in ciò che facciamo, che sia un gesto d’amore, un atto creativo o una connessione con la natura.

 

London, attraverso le vicende di Buck, ci ricorda che il vero senso della vita non sta solo nella razionalità, ma nella capacità di abbandonarsi a ciò che ci rende vivi nel profondo. La sfida è ascoltare il “richiamo della foresta” che risuona dentro di noi e lasciarsi guidare verso un’estasi autentica, dove la vita tocca il suo culmine.

 

* * * * *

Da Matto, osservo che seppur mai nominata, la Divinità, il Verbo «senza del quale nulla è stato fatto di ciò che esiste», straripa da tutto quanto sopra.

 

Nelle parole di London,

 

Il richiamo della foresta, ove la foresta è la Divinità, è il Verbo che chiama a Sé l’essere umano, 

– «il culmine della vita oltre la quale la vita non può innalzarsi» è la Divinità, il Verbo. 

 

Nella recensione:

 

– «le radici più autentiche dell’essere» sono la Divinità, il Verbo,

– «la propria essenza primordiale» è la Divinità, il Verbo,

– «la parte di sé che risale al “grembo del Tempo”» è la Divinità, il Verbo,

– «qualcosa di più grande di sé» è la Divinità, il Verbo,

– «ciò che ci rende vivi nel profondo» è la Divinità, il Verbo,

– «una realtà universale e primordiale» è la Divinità, il Verbo.

 

Di più, è messa in risalto l’apofasi quale propedeutica all’estasi;

 

nelle parole di London:

 

«un totale oblio dell’esser vivi»,

 

nella recensione:

 

– «uno stato di elevazione estrema»,

– «un viaggio di trasformazione»,

– «un totale oblio dell’esistenza»,

– «si è supremamente vivi proprio nel momento in cui ci si dimentica di esserlo»,

– «uno stato di intensità assoluta»,

– «la consapevolezza razionale viene sostituita da un flusso travolgente di energia» («la manifestazione della potenza elementare che sempre fu e sempre sarà» di cui in Junger),

– «un’esperienza in cui il tempo e lo spazio sembrano svanire»,

– «non c’è più consapevolezza di sé»,

– «uno stato in cui non c’è posto per le convenzioni o per la consapevolezza razionale*»,

– «un’apertura verso qualcosa di più grande di sé»,

– «capacità di abbandonarsi a ciò che ci rende vivi nel profondo».

– «questo stato permette all’individuo di trascendere i limiti della propria esperienza».

 

*Nota del Matto: «La lucidità è l’equivalente negativo dell’estasi», afferma opportunamente Emil Cioran.

Evidentissimo, in tutto quanto sopra, la corrispondenza evangelica circa l’apofatico «chi non rinnega se stesso», secondo che dice la Divinità, cioè  il Verbo: spogliamento inconcepibile per chi fa della dottrina una corazza di ferro anziché un delicato velo trasparente, attraverso il quale traspare lo stato contemplativo delle ore rare e insulari, di cui, con magnifica immagine, in Rainer Maria Rilke:

«Questa fu una delle ore rare. Sono come un’isola fittamente fiorita tutt’intorno. Le onde respirano lievi lievi dietro le mura della primavera e nessuna navicella sopraggiunge dal passato e nessuna vuole avanzare verso il futuro. Che poi vi sia un ritorno al quotidiano non può arrecare alcun danno e queste ore insulari, che rimangono distinte da tutte le altre, quasi vissute in una seconda, superiore esistenza».

 

«Una seconda, superiore esistenza»: il Puro Dove o stato della coscienza assorbita dal Verbo «ut unum sint», e perciò trascendente ogni dottrina ed ogni elucubrazione umana che al fine, com’è fin troppo evidente, sono fonte di affanni e di conflitti.

 

Non potrei avviarmi alla conclusione senza un omologo riferimento nipponico,  proponendo due fondamentali precetti zen … e cristiani, prima riprendendo un importante passaggio della recensione:

 

«Per London, quest’estasi rappresenta una forma di trascendenza terrena, accessibile non attraverso la fuga dalla realtà, ma tramite un’immersione profonda nel presente […] possiamo sperimentare questa estasi quando siamo interamente presenti in ciò che facciamo, che sia un gesto d’amore, un atto creativo o una connessione con la natura».

 

Fausto Gianfranceschi:

 

«Aderisci con attenzione a tutto quello che fai: è una sottile forma di estasi permanente. Anche bere un bicchiere d’acqua è un’esperienza limpida».

 

Ima wo ikiru: “vivere nel presente”, dunque presenti a se stessi e a Dio,

 

e

 

Shūchaku nashi: il “non attaccamento”, quindi la libertà da qualsiasi pensiero e passione,

 

precetti d’importanza capitale in merito all’operatività apofatica tesa a rispondere direttamente, ossia senza intermediazione alcuna, al “richiamo della foresta” (nella recensione, meravigliosamente, «ciò che è autentico e puro»), cioè all’appello della Divinità, del Verbo, onde riscoprire, dopo ol demolirsi del sé fittizio, il proprio Honrai Menmoku o Volto Originario così com’è creato, attimo per attimo, dall’Alito della Divinità, del Verbo.

 

Quel medesimo Alito che «soffia dove vuole» e quindi ispira l’haiku al poeta e pittore giapponese Yosa Buson (1716-1784) facendogli cogliere, con magistrale sintesi, l’estasi del … malandrino:

 

«Che luna:
il ladro
si ferma per cantare».

 

Difficile che dopo l’estasi il ladro resti tale, dacché il canto ed il chiarore lunare costituiscono la mistica miscela che deterge da ogni sozzura il suo puro, innocente Honrai Menmoku.

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33 commenti

  • Adriana 1 ha detto:

    Caro Matto,
    se con sforzi- o senza sforzi cervellotici da parte mia– dovessi venir accolta- lassù, in alto- dall’Assoluto, mi auguro di incontrare concenti armoniosi. Il silenzio di parole mio o di altrui non mi impaura: voci e strumenti, però, mi danno gioia.

  • Adriana 1 ha detto:

    Caro e comprensivo ” il Màtto “,
    Io sono solita vivere nel silenzio che non mi “impaura”.
    Ma, come tu lo sogni nell’ Assoluto, lascia che io, in Esso, aspiri alla musica, conforto del cuore. A quella musica che non è ristretta agli shamisen, ma si estende agli strumenti e alle voci immortali della nostra armonia.
    In quella accoglienza divina spero di trovarla.

  • Adriana 1 ha detto:

    Caro Enrico,
    …che poi, tale ripiegamento intellettualistico-filosofico, mi pare nulla abbia a che fare con un Vangelo che riunisce in sé, in maniera assai contradditoria e complicata,1) un messaggio di tipo veterotestamentario rappresentato da quell’: “Io Sono” ( replicato dal Messia per ben 46 volte nel testo ) – direi: allo scopo di ricalcare la memoria della sibillina risposta del Tetragramma a Mosè (traducibile in Yahwè o- più brevemente: “Yà”: v. Ya o Ye -shua)- che componeva la radice del nome in ebraico di Gesù-), con: 2) L’imperativo socratico sul frontone del tempio di Apollo: “Conosci te stesso!”.
    Il discorso -affascinantissimo- potrebbe procedere a lungo, e questo, forse, non è il luogo adatto. L’entusiasmo dell’estasi ( sia pure momentanea ) fa perdere la “cognizione usata” di noi a noi stessi, per ritrovarci nella nostra, propria autentica natura- à notre insu- . Ma, per qual motivo? Perchè-stoicamente- ciascuno di noi è una fiammella che nasce e dura eterna per una volontà esterna?, o, perchè- con il desiderio, l’istinto e la fantasia- desideriamo trasformare la nostra “umida e molliccia natura” nell’ Agni luminoso ed eterno ( attraverso un inedito atto di “violenza” – fisica e/o di perdita intellettiva- provvidenziale? Ciao, a te, se puoi/vuoi, la risposta!

    • il Matto ha detto:

      So che con te, sempre cavallerescamente, posso essere impertinente.

      Riallacciandomi ai commenti che ho già postato, permettimi di offrirti un rosa con … relative spine:

      quando affermi “Il discorso -affascinantissimo- potrebbe procedere a lungo”, mi induci a ribadire (parlo sempre di me … e di chi se no?) che proprio il “discorso” ha da essere interrotto, manco a dirlo per apofasi.

      Per quanto un argomento possa essere “affascinantissimo”, esso non cessa di mantenere il soggetto nel mare magnum del pensiero pensato, le cui definizioni sono … infinite, com’è infinito il Pensiero Pensante, il Verbo Muto. Osserviamo il Punto: è senza dimensioni e tuttavia è il centro dello spazio e del tempo.

      🌹

    • il Matto ha detto:

      “Ma per qual motivo”?

      Vuoi trovare un motivo all’Essere, cioè al Verbo? Vuoi trovare un perché da cui l’Essere, cioè il Verbo dipende?

      L’Essere. E’. Il Verbo E’. Nessun “discorso” è necessario, ed anzi distrae dall’Essere, dal Verbo.

      Noi umani siamo immersi fino alla gola nel Divenire, nel … Discorrere. Ecco perché occorre l’operatività apofatica, o, se vuoi, il raccoglimento, ovvero il raccogliersi dal Divenire, dal Discorrere.

      • Adriana 1 ha detto:

        Ah, carissimo “Il Matto”,
        le questioni più difficili da risolvere sono quelle “incommensurabili”…e sono tante e portano- inevitabilmente- con sé paradossi cui neppure i più devoti riescono a rispondere. Uno per tutti: Dio vuole il bene perchè è bene? Oppure
        il bene è bene perchè Dio lo vuole? La sua origine si trova nel dialogo platonico “Eutifrone”, dove Socrate chiede se: ” Il pio è amato dagli dei perchè è pio, oppure è pio perchè è amato dagli dei? “.
        Nel primo caso Dio è “sottomesso” al bene oggettivo, che è indipendente da Lui, e- quindi- gli è superiore-.
        Nel secondo caso, qualsiasi cosa Dio voglia sarà comunque un bene ( anche la tortura di un bimbo innocente ).
        Terzo caso: Dio è forse Egli stesso ” IL BENE ” assoluto? Ma, in tal caso non è un essere dotato di volontà, bensì un concetto astratto!
        Smettiamo pure di colloquiare- se “giuri” di preferire l'”apofasi” al colloquio, e torniamo all’entusiasmo ascetico! Ma, allora, che differenza c’è con la silenziosa pratica del “telaio”? Ossia, l’antichissimo Tantra che induce alla trascendenza eliminando ogni differenziazione tra spirito e corpo?
        Vedo, qua, spine senza rose… 🤔Ahimè!

        • il Matto ha detto:

          Peccato che tu non viva a Roma. Avrei il piacerissimo di invitarti alle lezioni di Spada che iniziano con venti minuti di immobilità e silenzio, e poi, ma soltanto poi, continuano col movimento e le parole (degli insegnamenti trasmessi), per poi concludersi con altri venti minuti di immobilità e silenzio.

          Ci pensi? Quaranta minuti di immobilità e silenzio: un’apofasi davvero liberatrice!

          Dice il maestro zen Suzuki Shunryu: “Nella mente del novizio ci sono molte possibilità, ma nella mente dell’esperto ve ne sono poche”.

          Come dire che s’inizia e si finisce la lezione da novizi (con shoshin, mente di principiante), lasciando andare l’esperienza accumulata dal/nel pensiero.

          Piccola notazione: vedi che fine sta facendo il mondo in mano agli “esperti” (anche religiosi)?

          Sento l’impulso, possente, ad “aprire il rubinetto” ma, per ascesi, resto fermo e mi taccio.
          Per almeno … venti minuti 😍.

  • Adriana 1 ha detto:

    Mah?! si è bloccato il Blog in tutte le sue pagine!!!

  • il Matto ha detto:

    Adriana, piccola integrazione:

    il Cerchio ha un Centro da cui prende esistenza e senso.
    Il Centro è il Verbo Muto in Sé Stesso mentre tutto ciò che gli gravita intorno come Circonferenza è il Discorso.

    Non può disegnarsi il Cerchio-Discorso senza il Centro-Verbo Muto, mentre si può disegnare il Centro-Verbo Muto con un Punto: il culmine dell’Apofasi.

    La Coscienza attratta dal Centro-Verbo Muto-Punto ha da ridursi essa stessa ad un Punto, ove non c’è Discorso.

    Già lo sai: sono Matto! 😊

    • stilumcuriale emerito ha detto:

      Per disegnare un cerchio non sono necessari un centro e un compasso. Basta capovolgere un bicchiere su un foglio di carta e seguirne l’orlo con una matita o una penna. Il massimo dell’ignoranza consisteva ai miei tempi nel non essere capace nemmeno di disegnare una O col bicchiere.
      Ciao. Stammi bene.

      • il Matto ha detto:

        Senza un centro il bicchiere e la O te li sogni.

        Ciao e buon anno!

      • Adriana 1 ha detto:

        Ma per costruire le O del bicchiere, in origine ci fu bisogno di qualche attrezzo.😄

      • Adriana 1 ha detto:

        Caro Stilum,
        ma, -a meno di non essere il gomito di Giotto-, per fabbricare i cerchi del famoso bicchiere ci sarà voluto qualche attrezzo arcaico, ti pare? A meno di non abitare esclusivamente tra le antiche popolazioni centro-sud americane che prediligevano le forme quadrangolari…quelle genti che
        , secondo lo spiritosissimo disegnatore Carl Barks ( autore di Paperino ), abitavano nel “Paese delle uova quadre” !

    • Adriana 1 ha detto:

      Caro Enrico,
      anche la tua è un’ipotesi… Però… potremmo avere un Centro talmente “sonoro” da intronarci fino alla nostra (fisica e metafisica) perdizione o distruzione…perchè no? Non sei l’unico- e privilegiato- Matto di questo “piccolissimo” mondo- se paragonato alle immense, e per noi “paurose” galassie dell’Universo-…” Ecco il mondo/ vuoto e tondo/ S’alza, scende- balza, splende,/ Fa carole-intorno al sole,/ trema, rugge- dà e distrugge. /Ora sterile, or fecondo,/ Ecco il Mondo./… “. Il saggissimo e sensibile Arrigo Boito che tanto bene seppe “interpretare” le evidenti “tragedie” dell’Uomo moderno di Goethe, ci “ridimensiona” con grazia ineffabile nel suo “Mefistofele”…direi, anzi: ci ridimensiona con pietosa simpatia! E, come Goethe, ci tratta allo stesso modo arbitrario con cui il “vanitoso” Dio biblico trattò la “cavia” Giobbe. Ma era Costui ( in dialogo col suo Alter Ego ) il dio dei filosofi? Il “motore immobile” ? L’osservatore distaccato? O non doveva essere, piuttosto, un dio personale e geloso? Giobbe,- a sua volta,- che ottiene altre greggi e “altri” figli a seguito della “prova”, non è anch’egli, forse, niente altro che un pastore primitivo per il quale- come nei cosiddetti comandamenti originari- mogli, figli, cammelli, greggi, campi sono beni di pari valore di cui godere e di cui vantarsi finchè si è in vita? Allora…quale sarebbe la Divinità- a noi esterna- (e onnisciente e onnipotente e buona ) che dovrebbe attrarci???
      Ricordi ciò che raccomandò- da ultimo- Krsna
      ad Arjuna: ” Fissa su di me l’anima tua; sii a me devoto; a me rendi il sacrifizio; a me rendi onore; a me così tu verrai e a te prometto la verità, (chè) tu mi sei caro. ” (Baghavad Gita, cap. 19, 34 ). ??? E’, forse, sempre quella che assolve dall’omicidio e dal fratricidio, -quando, almeno, non li esalta- come nelle pagine dell’A.T.?

      • il Matto ha detto:

        Carissima,

        tu continui a mettere carne su carne al fuoco! Certamente è carne saporitissima che rende piacevole il colloquio, ma un allargamento entropico del “discorso” può costituire anche una scorpacciata che può anche provocare un’indigestione. E meno male che ancora non si è fatto vivo Rolando! 😂😂😂

        Occorre, secondo quanto risulta a me, un restringimento sintropico del “discorso”, insomma un’apofasi.

        Perdona questo Matto impertinente.🌸 (questa volta ti offro un sakura 😊)

  • Fritz ha detto:

    Ho letto il libro da adolescente e a quell’età sono state forti le mie risposte a certi concetti quali la giustizia, la libertà, la violenza ed altri ancora come quelli legati agli istinti e alla appartenenza alla natura.
    Ma, ringraziandoti del tuo articolo come riflessione per noi lettori, mi scuserai se sono convinto che l’estasi di London, legata al sangue, alla lotta, alla sopravvivenza e agli istinti, non possa collegarsi nè alla Divinità nè al Verbo. L’esser posseduti dal Verbo, da una ben differente Natura, non ci azzecca un fico secco con cani, lupi, cacciatori, tutto il resto e le loro passioni e lotte. Dio riflette ciò che è oltre i cani, i lupi e la natura animale di questi e degli uomini. Pur nella bellezza narrativa dei richiami ancestrali della foresta e delle origini sulla terra, i libro non va oltre la fede in se stessi come individui rispetto alla sopravvivenza fisica: ha davvero flebili collegamenti al richiamo all’essenza divina insita solo nell’uomo, che si può affiancarsi nella storia è l’antitesi di istinti, passioni, lotte, amori terreni, sensazioni e sentimenti.
    Mi spiace per te ma credo che sei fuori strada abbinando alla storia di un cane, una storia umana che il Verbo portebbe ben più oltre quella descritta nel romanzo.
    Quello che non hai colto nel libro, nè si potrebbe cogliere perchè è ivi inesistente, è che il Verbo avrebbe un’altra storia di amore, un Amore che non è raccontato da London: egli si inchina a madre natura non a un Creatore della Natura, che è creatura e non madre e per ben altri scopi, ben oltre la autodeterminazione; altro nel libro non si vede. Vi è solo un anelito di libertà materiale e intellettuale ma non si parla d’altro: la liberta di London non redime nè salva, certo consente la vita che è riconquistata nella sua bellezza e forza e ma da un’estasi, solo umana, non di fede. È un riconoscimento o una conquista interiore quella libertà, ma non si vede traccia di Dio e di libertà oltre la vita. Tutto sembra più affine alla gnosi, in un autocompiacimento creaturale, in una estasi intellettuale che morirà con il corpo.

    • Adriana 1 ha detto:

      Caro Fritz, sempre indifferenti, quando non crudeli verso gli animali questi cristianucci!!! Scientisti pomposi peggio di Cartesio e di Darwin!

    • il Matto ha detto:

      Ringraziandoti del contributo … ti scuso eccome! Ognuno ha il suo punto di vista, in quanto ognuno – e non potrebbe essere diversamente – parla della sua esperienza di vita e a partire dalla medesima. E né tu né io facciamo eccezione.

      Per non farla troppo lunga, osservo soltanto che poiché l’estasi è un accadimento squisitamente personale, nessuno, e sottolineo nessuno, può entrare completamente nel merito di essa ed emettere sentenze inappellabili. Di fatto, l’estasi è un uscita da se stessi quali ci si concepisce ordinariamente per approcciare ad uno stato di coscienza superiore che è di pertinenza esclusiva del soggetto estatico, restando impossibile per chiunque non abbia sperimentato il medesimo stato, lo stabilire con assoluta certezza se si tratti di un’estasi “solo umana e non di fede”. Ed ammesso che possa darsi un’estasi “solo umana”.

      Infine, osservo che “gnosi” non è una parolaccia e non necessariamente coincide con un “autocompiacimento creaturale soltanto intellettuale”.

      Del resto, Paolo dice “Tra i perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo”, ove “perfetti” è un chiaro termine gnostico, mentre in Marco troviamo che “A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole”.

      Ora, “a voi” chi, se non ai “perfetti”? Poi ci sono “quelli di fuori”.

      Da quello che dici mi sembra tu sia, rispettabilissimo, uno di “quelli di fuori”.

      Buon anno!

  • Adriana 1 ha detto:

    Tutto bellissimo! A tutto aderisco…Soltanto un termine, qui impiegato, mi pare turbi il contatto vitalistico con l’autentica esistenza: il “Verbo”, che già di per sé riporta alla concezione del Discorso (trascorrere da una parte all’altra del Ragionamento), alla Logica e alla Razionalità. Difficile impiegare le parole nell’intento di escluderle! Penso che l’uso di tale termine -ellenistico-giovanneo- sia più atto ad indirizzare verso una malinconica e tenera riflessione introspettiva -quale quella attribuita all’Imperatore Adriano- piuttosto che verso uno straordinario stato di “fusione” con l’ autentica e sovradominante origine della esistenza creaturale umana e belluina. ( Riporto il testo ):
    ” Animula blandula, vagula, Hospes comesque corporis, Quae nubc abibis in loca, Pallidula, rigida, nudula. Nec, ut soles, dabis iocos”. ( la trovi sul Web con relative traduzioni ).

    • il Matto ha detto:

      Cara Adriana,

      nulla da eccepire sulle tue osservazioni, però devi tenere presente che stai colloquiando (non “dialogando”, colloquiando, che è ben altra cosa e assai più preziosa) con un Matto che, in quanto tale, tende ad evadere, a mezzo apofasi, dal razionale e dal ragionevole, nonché dal formulato in genere.

      Giovanni inizia con “In principio era il Verbo”: ebbene, l’apofasi mi conduce sempre più verso il Principio – l’Attraente! – che, proprio in quanto tale, è il Grande Silenzio che non è ancora Discorso, Formulazione, Logica, Ragione. Per questo, da Matto, affermo che il Verbo in Sé è Muto, Inespresso, e proprio per questo Fonte del Discorso che è sonoro.

      L’apofasi chiarisce in maniera inequivocabile che alle forme definite del Discorso, presiede l’infinito del Principio che è il Verbo Muto: ogni pensiero ed ogni parola escono dal Grande Silenzio e ad esso immediatamente ritornano dopo la loro effimera apparizione, qui, tra l’altro, aprendosi il gigantesco e terribile tema dell’impiego del linguaggio che può essere creatore o distruttore. E qui mi fermo.
      Ciao.

      • Adriana 1 ha detto:

        Domandina secondaria: “Quindi il Silenzio ha bisogno della Parola”? Non è perfetto in sé? Ad Atum- il dio nascosto, solingo e creatore- bastò la mano: “sua fidanzata”. A Shiva il “ruggito” primordiale…comunque: un suono. Dove sta la perfezione solitaria dell’Assoluto?
        N.B. Concordo: è un colloquio…per questo mi piace.

        • il Matto ha detto:

          IL Silenzio non ha bisogno della Parola perché ne è il Signore: può usarne come non usarne. Purtroppo, se ne usa, gli uomini ci ricamano sopra e succede quel che sta succedendo (ed è sempre successo).

          E poi, il fatto che per l’essere umano sia più facile parlare che tacere la dice lunga. Moooooolto luuuuuunga! 😱😄

          • Adriana 1 ha detto:

            La dice molto…troppo lunga… mentre- forse- è preferibile, è sufficiente: “annusare”.
            Se non l’hai mai scorso, mi permetterei di consigliarti la lettura del “Profumo” di Patrick Susskind ( un testo di grande spessore ). Ne fecero un film penoso- per soldi- travisandolo. Era ed è evidentemente impossibile tradurre in immagini quella operazione “letteraria” storico-afasica; satirica ma- al tempo stesso- disperatamente anelante all’ illuminazione dell’ Amore Assoluto che sia -contemporaneamente- umano e trascendente.
            Un Livre d’or dei sensi e dell’anima che fa piazza pulita delle mode e delle ideologie, ma- soprattutto- degli usi distorti delle parole e di certe ricette dello spirito e dell’intelletto comunemente praticate.

  • Cristina ha detto:

    Grazie di queste belle e vere riflessioni che ci riportano all’origine della vita,a DIO.”L’uomo è quello che ama”(Sant’Agostino) e nella passione d’amore si può conoscere la più profonda estasi.

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