«Estendere i confini (morali) dell’Europa fino alle rive dell’Eufrate». Giovanni Lazzaretti.

18 Novembre 2024 Pubblicato da 1 Commento

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il prof. Giovanni Lazzaretti, a cui va il nostro grazie, offre alla vostra attenzione queste riflessioni sulle radici ideologiche e di pensiero di avvenimenti che ci vedono quotidiani testimoni. Buona lettura e condivisione.

§§§

 

Taglio Laser, 16 novembre 2024, Santa Margherita di Scozia

 

«Estendere i confini (morali) dell’Europa fino alle rive dell’Eufrate»

Il Sionismo come ideologia

 

Nel paesino di Annicco, provincia di Cremona, si tiene la “Scuola di Dottrina sociale della Chiesa della Lombardia”, organizzata dall’Osservatorio Van Thuan.

È il terzo anno di corso, e hanno scelto il titolo generale “Il realismo cristiano e le ideologie della modernità”. Sono 8 lezioni, una di carattere generale e 7 mirate a una ideologia specifica.

Davvero insolito che abbiano scelto di mettere anche il Sionismo tra le 7 ideologie. Che abbiano scelto me per parlare ci sta anche: sul Sionismo ho scritto parecchio, anche se gli spezzoni scritti non riguardavano il Sionismo in quanto tale, ma avevano lo scopo di spiegare meglio le tematiche della guerra in corso.

Si trattava quindi di riprendere le cose dette, inquadrarle in uno schema che tenesse ben conto del titolo generale del corso, ripulirle dai doppioni, inserire qualche cosa nuova che ho studiato più di recente. E soprattutto, cosa estremamente difficile, scrivere e parlare dimenticando la guerra in corso.

Se il Sionismo è ideologia, lo è indipendentemente da questa guerra.

La guerra di Gaza e del Libano ne è, semmai, una tragica conseguenza.

Questo è il testo della conferenza.

 

***

 

PULIZIA MENTALE PRELIMINARE

Chi ha organizzato questa Scuola di Dottrina Sociale ha fatto un’affermazione.

Scrivendo il titolo generale “Il realismo cristiano e le ideologie della modernità” e collocando tra queste “il Sionismo”, sta facendo l’affermazione: «il Sionismo è ideologia».

L’affermazione non è scontata.

A parte la larga massa di popolazione che non sa cos’è il Sionismo, o che l’associa a Israele tout court, o che lo identifica con l’ebraismo, c’è una fetta di popolazione che lo chiamerebbe semplicemente “movimento sionista”, ossia qualcosa di “operativo” più che di ideologico.

Le ideologie che verranno trattate nelle lezioni successive (modernismo, liberalismo, ambientalismo, giacobinismo, dossettismo, malthusianesimo) sono più familiari a chi studia Dottrina Sociale della Chiesa.

Occorrerà quindi stabilire cosa è un’ideologia, e poi vedere in che modo il Sionismo è ideologia.

A una definizione di ideologia dedicherò il passaggio successivo.

In questa prima parte mi dedicherò invece a fare un po’ di pulizia mentale, e a fissare i contorni dell’intervento.

 

Sistema 1 e Sistema 2

Un mese fa ho parlato a Lonigo su “guerra giusta e pace giusta” e ho accennato alle stesse cose che dico ora.

Noi non siamo angeli. Siamo fatti di carne, di emozioni e di ragionamento.

Nel libro “Pensieri lenti e veloci” Daniele Kahneman (che è uno psicologo, ma è Nobel per l’economia) descrive il pensiero come mosso da due sistemi.

  • Sistema 1 opera in fretta e automaticamente, con poco o nessuno sforzo e nessun senso di controllo volontario. è essenziale per quasi tutte le attività quotidiane (dalla reazione al suono di un clacson, all’individuo poco raccomandabile che vedo lungo la strada).
  • Sistema 2 indirizza l’attenzione verso le attività mentali impegnative che richiedono focalizzazione, come i calcoli complessi e l’uso delle statistiche. Sistema 2 è pigro e si attiva solo con la forza di volontà. Dovendo agire con sforzo, se Sistema 1 gli fornisce una storia plausibile, Sistema 2 si accontenta e non si attiva.

La quantità e la qualità dei dati su cui Sistema 1 costruisce la storiella sono in gran parte irrilevanti.

«È la coerenza, non la completezza delle informazioni, che conta per una buona storia. Anzi si scopre spesso che sapere poco rende più facile integrare tutte le informazioni in un modello coerente».

Memorizziamo quindi come siamo fatti. Essendo fatti di carne, siamo anche pigri. “Sapere poco” è comodo, ci fa vivere serenamente di slogan.

Se Sistema 1, emotivo reattivo automatico veloce, di fronte alla Storia (con la S maiuscola) partorisce una storiella plausibile, Sistema 2 ringrazia e resta quieto. Perché affaticarsi? Così siamo pronti a recepire flussi di informazioni mediocri o erronee, purché rientrino nella cornice della storiella partorita da Sistema 1.

Quindi per parlare di Sionismo occorre innanzitutto sforzarsi. Studiare, cercare dati, confrontare le situazioni storiche, eccetera.

A Lonigo mi chiesero se non era eccessivo cancellare le emozioni. Non è eccessivo perché le nostre emozioni sono TELEVISIVE, ossia filtrate da un sistema mediatico.

Nessuno di noi “vede” la situazione in Terra Santa. Noi vediamo delle immagini selezionate e su quelle costruiamo le nostre emozioni.

Per noi che guardiamo le cose dalla TV le emozioni sono semplicemente tutte false, perché costruite mediaticamente da altri.

 

La falsità delle immagini

False le emozioni, e false anche le immagini.

Le immagini sono false anche quando sono vere.

Le immagini che vediamo in TV (insisto sulla TV, perché chi va in ricerca su Internet è già qualcuno che si pone dei dubbi) sono sostanzialmente dei rilanci di agenzia, e provengono tutte dal mondo dei Cinque Occhi (Australia, Canada, Gran Bretagna, Nuova Zelanda, USA).

Un’immagine trasmessa può essere vera. Ma le immagini NON trasmesse la rendono falsa, ossia fanno sì che l’immagine scelta occupi un tempo mediatico eccessivo, che non le spetta.

Teniamo inoltre presente che le immagini sono immagini. Ossia sono film, in senso lato. Nessuno di noi è in grado di stabilire al volo

  • se un’immagine è di repertorio,
  • se è stata girata a mo’ di film in un altro luogo,
  • se è stata creata dall’intelligenza artificiale,
  • se è ciò che dice di essere (alcune immagini da Gaza potreste trasportarle tranquillamente in uno scenario di terremoto, non ne notereste la differenza).

Quindi: via le emozioni, via le immagini. Solo storia, ragionamento, numeri.

 

Bugie esplicite

Poi ci sono le bugie esplicite.

Ne ricordo qualcuna.

  • La strage di Timisoara nel 1989 in Romania, durante le sommosse anti Ceausescu.
  • La storia dei bambini tolti dalle incubatrici in Kuwait dai soldati irakeni. Bugia raccontata il 10 ottobre 1990 in preparazione alla Guerra del Golfo.
  • La convinzione che si possa organizzare l’11 settembre con telefonate da una caverna dell’Afghanistan.
  • Le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein illustrate da Colin Powell all’ONU.
  • Gheddafi che bombarda il suo popolo.
  • Ma anche bugie “leggere”, come la povera Amina Abdallah Araf, contestatrice di Assad in Siria, lesbica, rapita dai servizi segreti, che raccoglie la solidarietà di mezzo mondo, anche di nostri parlamentari. Poi si scoprì che la bella Amina era Tom McMaster, un americano che scriveva da Edimburgo. E le sue foto che circolavano in Internet erano di Jelena Lecic, una signora croata residente a Londra, che non c’entrava nulla con la vicenda. Ancora oggi, a 13 anni di distanza, digitando Amina Abdallah, la prima notizia che appare in italiano è quella del suo arresto.

Le bugie mediatiche esistono. E, vivendo noi nel mondo occidentale, le bugie che riceviamo sono bugie occidentali.

 

Non mettiamo a confronto le ideologie

Altro passo di pulizia mentale: esaminare una ideologia, senza confrontarla con un’altra ideologia antagonista.

Chi ha la mia età ha seguito gli “anni di piombo” con una certa consapevolezza. In quell’epoca sembrava che ogni ucciso di sinistra attenuasse il significato di un ucciso di destra, e viceversa.

Le responsabilità non si elidono. Un morto + un morto fanno due morti.

C’è un racconto di Guareschi dove don Camillo lancia un martello verso Peppone, che si salva per miracolo. Più avanti don Camillo chiede perdono, ma la discussione prosegue e adesso è Peppone a lanciare un martello. Don Camillo è salvo per miracolo.

«Gesù, siamo pari: un martello a uno.» «Una stoltezza più una stoltezza fanno due stoltezze» risponde il Cristo.

È solo quando don Camillo e Peppone si renderanno conto di essere ENTRAMBI colpevoli arriverà la pacificazione, quella profonda.

Quindi noi dobbiamo esaminare il Sionismo in quanto tale.

I confronti che ha avuto nei suoi 120 anni di storia con altre ideologie non ne cambiano la natura.

 

Infine, dimentichiamo le razze

Infine, dimentichiamo le razze.

Semitismo è una parola che nasce nel XVIII secolo, antisemitismo nasce nel XIX secolo (ed un termine improprio, perché riguarda solo gli ebrei, non i semiti), le leggi razziali sono del XX secolo.

Tutto questo impianto mentale è stato spazzato via dalla scoperta del DNA.

Non stiamo quindi parlando di “razza ebraica”, che non esiste. Esiste una “identità ebraica” alla quale aderiscono persone con DNA variegati e con l’aspetto esteriore più diverso, da Woody Allen, a Paul Newman, agli ebrei falascia.

Metto tra parentesi gli studi di Shlomo Sand sulla “tredicesima tribù”: una fetta degli ebrei sarebbero dei convertiti, non dei discendenti delle 12 tribù. Metto tra parentesi perché non interessa al nostro discorso. Gli ebrei non sono una razza, sono un’identità.

 

In sintesi, per poter procedere.

  • Spegnere le emozioni e attivare il Sistema 2.
  • Ignorare le immagini, false anche quando sono vere.
  • Sapere che viviamo immersi in un mondo di bugie mediatiche.
  • Esaminare una ideologia in se stessa, non a confronto con altre ideologie che danno la sensazione di smorzare le responsabilità.
  • Infine, non stiamo parlando di questioni razziali.

 

CHE COSA È UN’IDEOLOGIA

Cito un brano di Hannah Arendt sull’ideologia.

«Il movimento di pensiero [di un’ideologia] non deriva dall’esperienza, ma si genera da sé, e poggia su un unico punto tratto dalla realtà esperimentata e trasformato in una premessa assiomatica, rimanendo nel suo sviluppo completamente immune da qualsiasi esperienza ulteriore. Una volta stabilita la premessa, il punto di partenza, il pensiero ideologico rifiuta gli insegnamenti della realtà.»

L’ideologia viene qui descritta attraverso il “principio di realtà”.

Si adatta bene all’ideologia la frase attribuita a Hegel (pronunciata in altro contesto) «Se i fatti non si adeguano alla teoria, tanto peggio per i fatti».

Il principio di realtà è essenziale.

Per capirlo meglio, spostiamoci un attimo dalla filosofia alla fisica.

Portiamoci con la mente al XIX secolo, quando fisica galileiana e geometria euclidea celebravano insieme il loro trionfo: sistemi nati sulla Terra e per la Terra riuscivano brillantemente a spiegare come si muovono gli astri nel cielo.

Sì, c’era ancora Mercurio che non ne voleva sapere di girare secondo le leggi di Newton, ma si pensava che prima o poi si sarebbe scoperto l’inghippo.

C’era anche da chiarire la natura dell’etere, l’ipotetica sostanza attraverso la quale si doveva muovere la luce, ma anche questo sarebbe stato spiegato prima o poi.

La fisica dell’universo era quindi spiegata.

Ci fu anche chi propose di dichiarare ormai conclusa la disciplina della Fisica, e di dedicarsi solo alle sue applicazioni, all’Ingegneria.

Nel bel mezzo di questo trionfo succede un fatto.

Nel 1887 l’esperimento di Michelson-Morley cercava di misurare il “vento d’etere”. In parole semplici: la Terra nel suo moto attraversa l’etere? Oppure lo trascina con sé?

L’esperimento rispose: «Né l’una, né l’altra ipotesi sono vere».

Per cui la Fisica come era conosciuta andava riformata.

  • O stabilisci che la Terra è ferma.
  • O accetti che le lunghezze si contraggono in direzione del moto.
  • Oppure rimuovi un postulato silenziosamente presente: l’idea che il tempo scorra allo stesso modo in tutti i sistemi di coordinate.

Accettando la realtà, nacque una fisica più complessa, ma al contempo più “semplice”, avendo un postulato in meno.

Questo è il modo di procedere.

  • Avere delle idee è necessario.
  • La realtà si premura di disturbare continuamente le nostre idee.
  • Può essere che le mie idee siano giuste, e che la realtà vada plasmata.
  • Ma può anche essere che la realtà funga da “denuncia” delle mie idee sbagliate, da aggiustare, oppure da riformare dalle fondamenta.
  • L’ideologia non accetta la “denuncia della realtà”, e, se ne ha la forza, schianta la realtà invece di lasciarsi interrogare.

C’è però un altro modo di descrivere un’ideologia, ed è quello che preferisco.

Prendiamo la dottrina dei “princìpi non negoziabili”.

Completiamola col tassello che Benedetto XVI non inserì, ossia quello della “proprietà” (principio non negoziabile è la proprietà di chi ha bisogno di lavorare per vivere; non insisto, ho dedicato a questo una lezione apposita in altra scuola DSC).

A questo punto possiamo affermare che una ideologia è una struttura di idee che, nell’esposizione teorica e/o nella prassi, vìola almeno uno dei princìpi non negoziabili.

Se un sistema di pensiero non vìola i princìpi non negoziabili, potrà apparirmi come politicamente irritante, ma non è un’ideologia.

Sottolineo “nell’esposizione teorica e/o nella prassi”. Ci sono ideologie che non hanno la forza di tradursi in movimenti politici, e quindi restano vive solo nell’esposizione teorica.

Viceversa ci sono ideologie che non fanno annunci di postulati, ma, nella prassi, li fanno emergere.

Il neoliberismo, ad esempio, non affermerà mai che “la moneta deve essere debito”, che “è necessario un tasso ottimale di disoccupazione”, che “la moneta è merce”. Ma lo fa nella prassi, e distrugge così il principio non negoziabile della proprietà del povero.

Il Sionismo, lo vedremo, ha la teoria e ha la prassi.

 

LE FONTI

Non sono una persona che ha fonti segrete.

L’unica maniera che ho per esporre il pensiero è basarmi su scritti e fatti che chiunque può reperire, meglio se provenienti da fonti ebraiche.

Anche solo riordinare una cronologia, ricordare fatti dimenticati, citare dei numeri, ha un impatto fortissimo per riuscire a capire.

Poi ci sono anche i colpi di fortuna.

Ad esempio questo libro, “La Legione Ebraica nella Guerra Mondiale”, non è facilmente reperibile. L’averlo in mano lo ritengo un colpo di fortuna.

Vent’anni fa dovevamo andare a una conferenza in piazza della defunta Cecilia Gatto Trocchi, la conferenza venne annullata per malattia della relatrice, e così ripiegammo su una fiera del libro.

Qui ho l’incontro con un libro che mi interessa e al contempo mi spaventa per il prezzo: 180 euro. Erano i primi tempi dell’euro e la moltiplicazione la facevi sempre: 360.000 lire, quando un libro di quel formato costava più o meno 10.000 lire.

Giro e ritorno, e alla terza volta il venditore mi chiede «Le interessa?» «A parte il prezzo, mi interessa» «Ma lei non deve guardare il prezzo deve chiedere a me». Così riesce a vendermelo a 90 euro, 180.000 lire, sempre un’enormità, ma più ragionevole.

È il suo prezzo anche adesso: su Internet l’ho visto da 86 a 109 euro.

Perché è interessante questo libro?

  • Innanzitutto per l’autore: Vladimir Žabotinskij, sionista della prima ora, combattente, fondatore dell’Irgun, giornalista, scrittore, poliglotta, fondatore del sionismo di destra.
  • Poi il titolo: “La legione ebraica nella guerra mondiale”, l’unica guerra mondiale allora esistente.
  • È pubblicato in Italia nel 1935, XIII anno dell’era fascista: c’è l’italianizzazione dei nomi, l’editrice è “L’idea sionistica”, tutto tranquillo; pare impossibile che 3 anni dopo debbano apparire le leggi razziali.
  • È il libro di un ebreo che parla agli ebrei, e dice quindi cose che normalmente non si comunicherebbero ai non ebrei.
  • Il testo non è “inquinato” dall’olocausto. Le stragi naziste hanno stravolto il nostro modo di pensare. Prima dell’olocausto si può scoprire il sionismo “vero”; dopo l’olocausto il sionismo viene attenuato dalle nostre emozioni.

Mi era anche venuto il dubbio che il libro fosse una sorta di “apocrifo”, perché non lo trovavo nelle liste ordinarie delle opere di Žabotinskij e perché il libro è una traduzione di Maurizio Klingbail Bar Zevi, ma non c’è scritto “traduzione da cosa”.

Ma poi l’ho trovato catalogato nel “Jabotinsky Institute in Israel” e sto tranquillo. Probabilmente Žabotinskij lo scrisse in una lingua a lui più familiare e poi fu tradotto a uso dei sionisti italiani (è dedicato a Leone Carpi, capo del sionismo revisionista italiano).

 

PARTIAMO DA UNA CARRELLATA STORICA

Partiamo da una carrellata storica.

Davide commette adulterio con Betsabea, moglie di Uria l’Ittita. La mette incinta. Poi fa morire Uria in battaglia e si prende la sua sposa.

Tutto questo per dire che allora c’erano gli Ebrei e c’erano gli Ittiti. Oggi gli Ittiti non sai più dove sono, mentre sai ancora dove sono gli Ebrei.

Gli Ebrei nei secoli hanno subito una sequela ininterrotta di espulsioni, da singole città o da interi Stati. Il che significa che, per espellere, dovevi sapere dove erano e la loro identità ebraica era nota.

Nel 139 avanti Cristo vengono ad esempio espulsi da Roma con l’accusa di proselitismo aggressivo.

Un’altra espulsione ci è nota anche dagli Atti degli Apostoli: Aquila, collaboratore di San Paolo, era un ebreo espulso da Roma con tutti i Giudei da un decreto di Claudio.

Fino al 1500 gli Ebrei vivevano in quartieri chiamati Giudecca. La Giudecca era uno “stare uniti per scelta” (per la sicurezza, per il mantenimento dell’identità culturale e religiosa, per la rete lavorativa). Il Ghetto era invece una “Giudecca coatta”, con una serie di limitazioni, variabili da città a città.

Il ghetto iniziale è quello di Venezia nel 1516, ma è chiaro quello che cattolicamente brucia di più è il ghetto di Roma che nasce nel 1555 con la bolla “Cum nimis absurdum” di Papa Paolo IV. Una bolla che certamente dà molto fastidio alle nostre orecchie moderne.

Avere il ghetto non era un obbligo, anche se di fatto vi aderirono nel tempo quasi tutte le città d’Italia.

Ad esempio Parma (città che mi è familiare per parte di madre) non ebbe il ghetto. Ottavio Farnese decretò l’espulsione degli Ebrei da Parma prima, e da Piacenza poi, ma con possibilità per gli Ebrei di installarsi in località minori del Ducato. Tornarono poi a Parma nell’Ottocento.

Non dico sciocchezze se affermo che il ghetto era, per una fetta della popolazione ebraica, una costrizione non sgradita. Lo posso dire attraverso le parole di Žabotinskij che, nel suo libro, parla dello “spirito del ghetto” contrapposto alle derive dell’assimilazione.

Lo capiremo meglio quando si arriverà alla fase dell’emancipazione.

 

IN SINTESI ESTREMA

In sintesi estrema possiamo dire che, dopo la fine del Tempio di Gerusalemme, per gli Ebrei ci fu la plurisecolare fase della diaspora e delle espulsioni. Poi tre secoli della fase del ghetto. Poi la fase dell’emancipazione, portata dalla rivoluzione francese e soprattutto da Napoleone.

Naturalmente gli anni dell’emancipazione furono diversissimi da luogo a luogo.

Ciò che ci chiediamo è: emancipazione “da cosa”?

Verrebbe da dire “emancipazione da chi li costringeva a stare nel ghetto”. Vero solo in parte. Era anche emancipazione dai loro rabbini.

Ricordiamoci che il ritorno dell’esilio babilonese dà l’inizio a un mondo giudaico diverso da quello degli inizi. Il Vangelo è anche la descrizione continua della contrapposizione di Gesù contro l’impostazione giudaica fatta di precetti che sono leggi di uomini.

Farebbe bene la lettura integrale dei libri di Esdra e di Neemia.

«In quel tempo si lesse in presenza del popolo il libro di Mosè e vi si trovò scritto che l’Ammonita e il Moabita non dovevano mai entrare nella comunità di Dio, perché non erano venuti incontro agli Israeliti con il pane e l’acqua e perché avevano prezzolato contro di loro Balaam per maledirli, sebbene il nostro Dio avesse mutato la maledizione in benedizione. Quando ebbero udito la legge, separarono da Israele tutto l’elemento straniero che vi si trovava mescolato.»

Chiaro? Il ritorno dopo l’esilio di Babilonia diventa separazione razziale, basata su un pezzo del libro di Mosè, ma dimenticando altri libri. Divieto dei matrimoni misti, spero che vi ricordi qualcosa.

Tamar, Raab, Rut, erano donne straniere, che si unirono a israeliti. Adesso con Esdra e Neemia invece funziona diversamente.

«In quei giorni vidi anche che alcuni Giudei si erano ammogliati con donne di Asdòd, di Ammòn e di Moab; la metà dei loro figli parlava l’asdodeo, conosceva soltanto la lingua di questo o quest’altro popolo, non sapeva parlare giudaico. Io li rimproverai, li maledissi, ne picchiai alcuni, strappai loro i capelli e li feci giurare nel nome di Dio che non avrebbero dato le loro figlie ai figli di costoro e non avrebbero preso come mogli le figlie di quelli per i loro figli né per se stessi.»

La separazione dei Giudei dal resto del mondo non era cosa sgradita, era un’impostazione voluta.

 

L’EMANCIPAZIONE E IL SIONISMO

Il Sionismo nasce come realtà magmatica, formata da obiettivi contraddittori. Poi, a un certo punto, si cristallizza in un’Idea. Idea sbagliata che adesso nessuno è in grado di fermare.

All’inizio di tutto (fine del XVIII secolo e inizio del XIX) ci fu la “emancipazione”.

La Haskalah era un movimento ebraico che sosteneva l’adozione dei valori illuministici e, puntando sulla “tolleranza” illuministica, chiedeva l’espansione dei diritti per gli ebrei nella società europea. Annunciavano quindi la “uscita dal ghetto”, uscita non solo fisica, ma anche mentale e spirituale.

Il ghetto, non mi stanco di ripeterlo, era una realtà bivalente: da una parte c’era la costrizione alla separazione, dall’altra parte c’era la volontà di separazione, come protezione fisica e identitaria.

Di fatto lo scardinamento del ghetto avvenne per l’opera culturale di un “illuminismo ebraico” e l’illuminismo, si sa, ha poco a che vedere con le religioni in generale.

Così gli ebrei cominciarono a dividersi in categorie.

  • Se eri un oste del ghetto, o un bottegaio del ghetto, o un artigiano del ghetto, cosa andavi a fare fuori dal ghetto? Anche dopo l’emancipazione, quello era il tuo luogo, scelto e non forzato.
  • Fuori dal ghetto (fisico, mentale, spirituale) andarono quelli che potevano aspirare a ricoprire ruoli: divennero professori universitari, medici, politici, amministratori, ufficiali dell’esercito,… Ma uscirono dal ghetto come illuministi ebraici, divenendo in breve, in maggioranza, illuministi atei, o ebrei “leggeri” (privi dello “spirito del ghetto”, direbbe Žabotinskij).

I matrimoni misti, consentiti dall’emancipazione, portarono con facilità i figli all’allontanamento dalle radici ebraiche.

Ecco quindi che l’emancipazione, vista inizialmente come il “sole dell’avvenire”, cominciò a mostrare i suoi problemi e cominciò a generare anche il magma delle possibili linee di tendenza. Proviamo a schematizzarle.

  • Salvaguardia dell’identità religiosa tramite l’isolamento, non più coatto, ma scelto.
  • L’assimilazione tout court. L’ebreo come il cattolico. Vive come gli altri, si trova in sinagoga il sabato, fa certe pratiche, ma niente deve farlo riconoscere come “ebreo alla prima occhiata”.
  • La creazione di un’autonomia nazionale e culturale. Qualcosa di simile ai sudtirolesi nei confronti dell’Italia, volendo semplificare al massimo. Cosa possibile ovviamente solo all’interno di Stati di una certa dimensione (l’Impero Russo in primis).
  • L’emigrazione. Con l’emancipazione si è persa l’identità. Ma l’emancipazione via via generalizzata nei vari Stati consente di andare altrove, dove si pensa che l’identità perduta possa essere ricostruita.
  • L’adesione alla “rivoluzione”. Dove ci sono movimenti rivoluzionari di qualunque natura, lì ci sono degli ebrei. Ribaltare l’esistente, per poi guidare l’esito rivoluzionario.
  • Infine, l’adesione al sionismo.

Da notare che l’ipotesi emigrazione portava con sé un corollario pesante: l’oste, il bottegaio, l’artigiano, avrebbe dovuto diventare un colono, di fatto un contadino.

E l’emigrazione di massa non poteva avvenire con un movimento fai da te, ma rendeva necessario l’intervento del super-ricco con acquisto preventivo di terre e organizzazione dei viaggi (documentazione per l’uscita, navi a disposizione, biglietti a basso costo, pubblicazioni informative sui luoghi di arrivo, ecc.).

Mettete insieme queste linee parzialmente contraddittorie:

  • l’auto-ghettizzazione,
  • l’assimilazione,
  • le aree ebraiche all’interno dell’Impero Russo,
  • l’emigrazione organizzata e spesso fallimentare,
  • la rivoluzione ovunque avvenga.

In questo magma nasce il movimento sionista.

Nasce ufficialmente nel 1897 a opera di Herzl e Nordau, a seguito dell’affare Dreyfus (antisemitismo in Francia) e si inserisce nell’epoca delle grandi migrazioni dall’impero russo generate dai pogrom antisemiti del 1881-1882 e del 1903-1906 (prima e seconda Aliyha).

(Altre Aliyha: terza, per rivoluzione bolscevica e guerra civile in Russia; quarta, per nazionalismo antisemita dopo la prima guerra mondiale; quinta, per l’ascesa del nazismo in contemporanea alle quote restrittive di ingresso in USA; sesta, clandestina pre e post olocausto; settima, per il comunismo all’est e per l’antisemitismo arabo; ottava, la “legge del ritorno” attuale).

Due le linee sioniste.

  • Costituire un luogo in cui l’antisemitismo fosse assente per definizione.
  • Costituire un luogo dove l’ebreo potesse vivere in sicurezza.

Due linee simili, anche se non identiche.

Le due idee potevano essere sintetizzate così: occorre creare un ghetto moderno, non una piccola enclave all’interno di uno Stato, ma uno Stato-ghetto dove ci siano solo ebrei o dove gli ebrei siano sufficientemente armati da poter controllare e/o ghettizzare i non ebrei.

La scelta iniziale dei Monti Mau in Kenya era adatta per uno scopo simile, era una soluzione ragionevole: la creazione di uno Stato ebraico sulla scia degli “stati” creati dal colonialismo britannico.

Come è nata la Rhodesia, così può nascere sui Monti Mau (dove ci sono molte piogge, temperature moderate, terreni fertili) uno Stato simile alla Rhodesia, su base ebraica, legato alla corona britannica.

Unico problema era quello di modificare la naturale propensione dell’uomo del ghetto per il commercio e il piccolo artigianato, e di trasformarlo in un colono militarizzato.

Nel 1903 al Congresso Ebraico Herzl porta la proposta di creare lo Stato d’Israele in Uganda (in realtà è Kenya, come già detto; ma è nota come “opzione Uganda”): 295 voti a favore e 175 contro. Nonostante il voto favorevole, “vince” la minoranza, evidentemente più determinata: la proposta è accantonata.

Al settimo congresso sionista del 1905 ogni alternativa alla Palestina viene scartata.

La scelta di andare in Palestina fu quindi ideologica, priva di senso sia per l’antisemitismo che per la sicurezza.

Sono da rileggere le parole di Žabotinskij scritte nel libro “da 90 euro”.

Siamo nel 1914, solo 17 anni dopo la nascita ufficiale del movimento sionista. E Žabotinskij sta citando parole del sionista Max Nordau, ancora antecedenti.

Žabotinskij contesta a Nordau di usare ancora l’espressione “cugino Ismaele” riferendosi ai turchi, o agli islamici in generale.

«Dottor Nordau, noi non dobbiamo prendere la strada degli idioti. Non soltanto il turco non è nostro cugino, ma neanche col vero Ismaele non abbiamo niente in comune. Noi, grazie a Dio, apparteniamo all’Europa; per duemila anni abbiamo contribuito a creare la cultura occidentale. Dalla vostra stessa bocca ho sentito pronunciare, nei discorsi al Congresso, le parole: “Noi andiamo in Palestina per estendere i confini (morali) dell’Europa fino alle rive dell’Eufrate. Il nostro massimo nemico per questa guerra è il Turco”. È venuta adesso la sua ora. Dobbiamo noi rimanere a far niente?»

Questa è l’essenza del Sionismo come ideologia.

 

L’IDEOLOGIA

Creare un luogo con antisemitismo assente?

Creare un luogo per la sicurezza?

Niente di tutto questo. Solo ideologia. «Estendere i confini morali dell’Europa fino alle rive dell’Eufrate».

«Il nostro massimo nemico per questa guerra è il Turco». E perché mai? Per il solo fatto che “è lì”. È l’ostacolo.

Naturalmente non è vero che gli Ebrei per duemila anni hanno contribuito a creare la cultura occidentale, per il semplice motivo che il concetto di “occidente” è piuttosto moderno.

Diciamo che certamente gli Ebrei hanno contribuito a formare l’Europa illuminista e rivoluzionaria, quella che esporta in armi la sua “superiorità morale”.

Estendere i confini morali dell’Europa fino all’Eufrate (all’Eufrate, ricordiamolo!, non al Giordano) è l’analogo dell’esportazione di democrazia in Iraq dell’amministrazione Bush figlio.

L’ideologia sta ferma anche quando i fatti la smentiscono.

Riprendo i 5 punti che ho elencato prima. Erano 5 linee in parte contraddittorie, ma, paradossalmente, il Sionismo le ha concretizzate tutte.

  • SALVAGUARDIA DELL’IDENTITÀ – Se uno pensa all’identità religiosa ebraica, pensa a Israele. Dentro ci sono ebrei atei ed ebrei ultra-ortodossi, ma l’identità percepita dall’esterno è netta.
  • ASSIMILAZIONE – L’assimilazione non è più necessaria. Assimilarsi serve se sei in minoranza. Ma in Israele sei maggioranza.
  • AUTONOMIA NAZIONALE E CULTURALE – In Israele hai l’autonomia massima, sei uno Stato-ghetto.
  • EMIGRAZIONE – Da qualunque luogo puoi vedere Israele come la terra promessa, e lì emigrare.
  • ADESIONE ALLA RIVOLUZIONE – L’insediamento in Israele fu (ed è tuttora) un moto rivoluzionario: insediamenti prima legali e poi illegali, guerriglia, attentati, colpi di mano, occupazioni, espropriazioni,…

Tutto realizzato.

Con l’unico problema che quelli NON erano gli obiettivi del Sionismo, erano semplicemente il magma nel quale il Sionismo nacque.

  • Il Sionismo voleva un luogo in cui l’antisemitismo fosse assente per definizione. Ha invece creato il luogo dove l’antisemitismo è al massimo livello sulla terra.
  • Il Sionismo voleva un luogo per la sicurezza ebraica. Ha invece creato il luogo più pericoloso al mondo per un ebreo.

Questo è il dato di fatto.

L’ideologia sionista ha creato il luogo della guerra permanente.

Ma, essendo ideologia, «tanto peggio per i fatti».

 

LO SVOLGIMENTO DEL PERCORSO SIONISTA

Una volta definita la matrice ideologica del Sionismo, dobbiamo glissare sulle varie anime del Sionismo stesso. C’è un sionismo di sinistra, uno di centro-destra più accomodante, e un sionismo di destra (quello di Žabotinskij, per semplificare).

Una parte importante del primo sionismo è la costituzione della Legione Ebraica all’interno dell’esercito britannico nella prima guerra mondiale. Il loro compito (ideologico) è arrivare a essere i primi a varcare il Giordano, e ci riescono.

Dentro la Legione ci sono anche ebrei costretti ad arruolarsi lì dalle autorità britanniche. Sono degli ebrei assimilati, fanno coscienziosamente il loro dovere militare, come riconosce lo stesso Žabotinskij, ma di Gerusalemme non gliene frega niente.

Non accettarono neanche di visitare la Palestina come turisti a spese dell’esercito dopo l’armistizio. Gli interessava solo tornare a casa, da assimilati.

E cantavano una canzoncina che in italiano direbbe «Quando ritorneremo tutti a Blighty(1) / al più presto / e lasceremo la Città Santa / al Comitato Sionistico».

Durante la guerra mondiale c’è la famosa “Dichiarazione Balfour” del 1917, che promette un “focolare ebraico” in Palestina. In quel momento in Palestina ci sono 574.000 arabi, 74.000 cristiani e 56.000 ebrei (in gran parte di recente immigrazione). È quindi una promessa “ideologica”, basta guardare i numeri.

Dal 1920 inizia il mandato britannico in Palestina. In questo momento ci sono in Palestina 730.000 arabi e 60.000 ebrei. Dal 1930 i britannici tentano di frenare l’immigrazione ebraica, disconoscendo di fatto la Dichiarazione Balfour.

L’immigrazione ebraica durante il mandato britannico 1920-1948 passerà da 60.000 a 716.700 (cifre del primo censimento d’Israele). Scoppiano due rivolte arabe anti-ebraiche nel 1929 e nel 1936.

In tutta la fase del mandato britannico gli ebrei si organizzano come “coloni armati” in formazioni paramilitari e/o terroristiche, o semplicemente come kibbutz in armi.

E qui è bene ricordare queste formazioni, la galassia del paramilitarismo che prepara la nascita di Israele.

Haganah (“La Difesa”), organizzazione paramilitare in Palestina durante il Mandato Britannico (1920-1948). Rapporto di collaborazione-conflitto coi Britannici. Dopo la seconda guerra mondiale effettuò operazioni anti-britanniche in Palestina con la liberazione degli immigranti internati, con attentati dinamitardi alle strutture ferroviarie del paese, col sabotaggio e con le incursioni ai danni delle installazioni radar e delle postazioni della polizia britannica. Continuò anche a organizzare l’immigrazione illegale.

Irgun (Irgun Tzvai Leumi “Organizzazione Militare Nazionale”), organizzazione paramilitare scissionista dall’Haganah (1931-1948). Gruppo fondato da Žabotinskij, ha una impostazione terroristica antibritannica, ma fa una tregua coi britannici in funzione antinazista. Dopo la guerra riprende le attività antibritanniche. Il 22 luglio 1946 fa saltare in aria l’hotel King David (morirono 91 persone, tra cui 41 arabi, 28 britannici, 17 ebrei).

Banda Stern (Lehi, Loḥamei Ḥerut Israel “Combattenti per la Libertà d’Israele”), non accettarono la collaborazione coi britannici durante la guerra mondiale e si scissero dall’Irgun, assassinando ufficiali e alti esponenti britannici, arabi, ebrei collaborazionisti. A loro si deve il massacro di 100 civili nel villaggio di Deir Yassin (9 aprile 1948). Inquadrati poi nell’esercito di Israele, alcuni suoi componenti assassinarono Folke Bernadotte, mediatore dell’ONU, il 17 settembre 1948.

Palmach (Plugot Mahaṣ “compagnie d’attacco”), gruppo fondato dall’Haganah per formare i combattenti-dirigenti. Idearono la commistione civile-militare inserendosi nei kibbutz dove si mantenevano lavorando: 14 giorni di lavoro, 8 di addestramento, 7 di riposo. Fra il 1945 e il 1946 il Palmach svolse attacchi contro le infrastrutture britanniche: ponti, ferrovie, installazioni radar e stazioni di polizia. Ogni attività finì dopo il “Sabato Nero”, 29 giugno 1946, quando i Britannici fecero arresti di massa dei capi del Palmach e della Haganah.

Questa mappa credo descriva bene quanto è sottile la distinzione tra combattenti e terroristi.

Quando l’Irgun faceva saltare in aria l’hotel King David era palesemente un atto terroristico, ma loro si ritenevano combattenti.

Quando la Banda Stern massacrò i 100 civili a Deir Yassin erano palesemente terroristi (stavano facendo un pogrom, come quelli che originarono il Sionismo), ma Israele li riconobbe come combattenti, amnistiandoli nel 1949 e addirittura decorandoli nel 1980 con la “medaglia Lehi”.

In Israele vige l’auto-amnistia generale: Begin (Irgun), Rabin (Palmach), Shamir (Banda Stern), Sharon (Haganah), sono tutti stati primi Ministri pur avendo un passato che loro chiamano “combattente” e che noi definiremmo “terrorista” (se terrorismo è uccidere uomini politici, uccidere dei civili, attaccare infrastrutture civili).

E anche una volta inquadrati nell’esercito regolare, non andavano sul leggero.

La strage di Qibya avvenne nel mese di ottobre 1953, quando truppe israeliane sotto il comando di Ariel Sharon, in risposta all’attentato di Yehud (in cui una squadra di fedayyin palestinesi provenienti da Qibya uccise tre civili ebrei di cui due bambini) attaccarono il villaggio di Qibya in Cisgiordania. Sessantanove furono gli arabi palestinesi uccisi, due terzi dei quali donne e bambini. Quarantacinque case, una scuola e una moschea vennero distrutte.

«Sharon fece radere al suolo molte case, ma sapeva realmente che erano ancora abitate?» Beh, dopo aver raso al suolo la prima, lo sapeva.

 

LA FINE DEL MANDATO BRITANNICO E LO STATO D’ISRAELE

Tra la fase terroristica ebrea e la nascita dello Stato d’Israele c’è di mezzo l’olocausto.

L’olocausto crea uno scudo insormontabile. Il mondo sente di doversi in qualche modo “scusare” con gli ebrei. È questo il “tacito ricatto” che consente agli ebrei di ottenere l’impensabile: gli immigrati ebrei che hanno comperato ampie fette di terra grazie ai finanziatori che hanno alle spalle, vengono designati a diventare i governanti di quella terra; e gli abitanti esistenti dovranno essere sudditi.

Viene disegnata un ripartizione della Palestina tra ebrei e arabi; la ripartizione favorisce gli ebrei in modo marcato, ben al di là delle terre acquistate. L’annuncio di guerra da parte degli Stati arabi è contestuale, e per Israele è la manna. Con la guerra del 1948 il paramilitarismo diventa esercito, e Israele si allarga.

Lo Stato Palestinese svanisce, occupato da Israele stesso, dalla Giordania e dall’Egitto. Inizia la fase delle guerre con gli Stati arabi: dopo il 1948-1949, ci sono le guerre del 1953, 1967, 1973.

La guerra dei 6 giorni del 1967 è la “vittoria maledetta” (la chiama così Roberto Rapaccini su Studi Cattolici, riprendendo il titolo di un libro di Ahron Bregman).

Maledetta perché, una volta conquistata Cisgiordania, Gaza, alture del Golan e Sinai (che poi sarà restituito all’Egitto) Israele non può farle diventare parte integrante dello Stato: gli arabi diventerebbero la maggioranza.

È necessario mantenere quelle terre in situazione di occupazione militare, senza integrarle. Una situazione che richiederebbe un equilibrio sopraffino, che Israele non ha. Anche perché le occupazioni militari o sono fasi provvisorie, o si trasformano in Stato di polizia.

Colonizzazioni, vessazioni, introduzione di passaporti interni. La popolazione palestinese “esplode”: inizia nel 1987 la prima Intifada.

Le trattative di pace tra Peres e Arafat, poi tra Barak e Arafat, definiscono linee di principio, ma non riescono mai a sciogliere tutti i nodi (status di Gerusalemme, prigionieri politici, gestione dell’acqua, confini certi).

Bastano invece atti provocatori (Sharon che passeggia sulla spianata delle moschee) per far detonare la seconda Intifada nel 2000 (solite faccende: esplode l’Intifada per la passeggiata, ma l’Intifada era già preparata).

Le torri gemelle del 2001 e la “lotta al terrorismo globale” deviano l’attenzione su altro, e Israele ha mano libera.

Da allora si succedono le guerre periodiche su Gaza, 7 in questo millennio, prima di quella attuale. La sproporzione di morti tra Israeliani e Palestinesi è notevole: nelle 7 guerre di Gaza precedenti all’attuale si contano 4.701 palestinesi morti a fronte di 117 israeliani, rapporto 40 a 1, con una punta di 108 a 1 nell’operazione “Piombo fuso” (27 dicembre 2008 – 18 gennaio 2009).

Avviene anche la fase del ritiro da Gaza nel 2005, sostituito da un blocco di terra, di mare e di cielo. Fuori da Gaza si consolida il sistema dei muri di separazione, dei posti di blocco, dei permessi per i movimenti interni.

Avviene anche la guerra interna a Gaza tra Hamas e Fatah (2006-2007), che si conclude con la presa del controllo da parte di Hamas della Striscia di Gaza.

L’Autorità Nazionale Palestinese, formalmente votata per la prima volta nel 1996, non ha mai preso il controllo vero del territorio, dovendo sempre convivere con una occupazione palese o latente, e con l’aberrazione di dover gestire due pezzi di Stato di cui uno (Gaza) trasformato in un ghetto.

 

COME SI REGGE LO STATO D’ISRAELE

Nessuno Stato potrebbe fare ciò che fa Israele: sostanziale assenza di una Costituzione, occupazione permanente di terre senza ricevere sanzioni, discriminazione e segregazione di uomini, mancata definizione dei propri confini, immigrazione basata su una “identità”.

Come può funzionare una struttura del genere?

Funziona più o meno così.

  • La popolazione mondiale ebraica a spanne è divisa così: 6 milioni in Israele, 6 milioni in USA, e minuzie altrove.
  • In Israele ci sono i nazionalisti ebrei più determinati.
  • Come spiegò Žabotinskij nel solito libro, «nella politica ebraica mondiale il cresus(2)assimilato non è un fattore potente, malgrado egli possieda dell’influenza politica e finanziaria. Invece il nazionalista ebreo è una potenza, sia egli pure uno straniero sconosciuto».
  • Quindi il “cresus”, il riccone che si è assimilato negli USA, è sempre “comandato” dal nazionalista ebreo.
  • Aggiungendo che la politica in USA vive di soldi, è facile notare che il nazionalista comanda il cresus, e il cresus finanzia il politico USA. Il fatto che Biden avesse chiamato al governo 12 ebrei non deve stupire.
  • Tra questi dodici è bene ricordare Blinken. Blinken non è un ebreo qualunque. Suo nonno era Maurice Blinken, fondatore dell’Istituto Americano per la Palestina, che studiava la fattibilità economica dello Stato d’Israele. Quando Blinken va da Netanyahu, è un sionista che va da un altro sionista. Discuteranno di modalità, non certo di pace.
  • Il cresus poi comanda anche i media. Prendiamo ad esempio la notissima agenzia Reuters che fornisce notizie e immagini a mezzo mondo: la Reuters è diventata “Thomson Reuters”; il presidente è David Thomson, canadese e “pari” d’Inghilterra; ma è di proprietà al 55% di Blackston Group; Presidente di Blackston Group è Stephen Allen Schwarzman, di famiglia ebrea.
  • L’olocausto fa da lasciapassare per tutto. Nessuno Stato potrebbe erigere i muri che erige Israele, installare il suo sistema di posti di blocco e di passaporti interni, uccidere o mutilare decine di migliaia di civili, distruggere città intere, avendo sostanzialmente i media “non ostili”.
  • Israele è protetto dai cresus, da una politica USA che non può fare a meno dei cresus, dai media che dipendono dai cresus. In questo clima ognuno sa che con Israele bisogna essere “mediaticamente garbati”.

 

HO CITATO TROPPO ŽABOTINSKIJ ?

Ho citato spesso Žabotinskij. L’ho citato troppo?

Si potrebbe pensare di sì, in fondo è un uomo morto nel 1940, e citarlo ancora a distanza di 84 anni sarebbe come continuare a citare Garibaldi durante la contestazione giovanile del 1968.

Non è così, però.

L’uomo che comanda oggi Israele è Benjamin Netanyahu, detto Bibi. È al suo sesto governo. In altri governi ha fatto il ministro della difesa e il ministro delle finanze. È capo del Likud da vent’anni.

Si rifà alle idee di Žabotinskij? Certo. Ma sarebbe riduttivo. Il padre di Bibi, morto a 102 anni nel 2012, era il segretario di Žabotinskij. Quindi Bibi è cresciuto immerso nel sionismo di destra da sempre. È anche fratello di Yonathan, unico morto israeliano nell’operazione Entebbe in Uganda, quindi ha anche l’eroe in casa.

Basta cercare nelle pagine ebraiche e leggerete che «Benzion Netanyahu è stato un personaggio chiave per la destra revisionista sionista e primo consigliere politico del figlio cui era legato da un fortissimo affetto».

Quindi Bibi sta realizzando le idee di Žabotinskij, che prevedevano un Grande Israele comprendente l’intero mandato britannico, ossia l’intera Palestina e l’intera Giordania.

Ma Netanyahu è, in fondo, un moderato.

Proviamo ad ascoltare qualcuno di più muscolare.

 

ONE HOPE – UNA SPERANZA, O UNA SOLA SPERANZA

È un piano denominato “One Hope”, “Una speranza” o “L’unica speranza”. Sono 65.000 caratteri, ben più di questa conferenza, e non posso che riassumere.

Qui lo trovate in inglese

https://hashiloach.org.il/israels-decisive-plan/

Qui in italiano

https://www.terrasanta.net/2024/09/documenti-una-speranza/

Innanzitutto vediamo come l’autore definisce il suo Piano.

«Si tratta di una soluzione globale, ottimista senza essere ingenua, di quelle che non ignorano le difficoltà ma che sono accompagnate da una vera fede. Fede nel Dio d’Israele, nella giustezza della nostra causa e nella nostra esclusiva appartenenza alla Terra d’Israele; fede nella nostra forza di resistere agli argomenti che potrebbero minare la nostra convinzione; fede nella nostra capacità di mettere in campo l’eroismo necessario per vincere questa lotta epocale.»

Poi fa il suo atto di fede.

«Sono un credente. Credo nel Santo, Benedetto Egli sia, nel Suo amore per il Popolo ebraico e nella Sua Provvidenza su di esso. Credo nella Torah che ha predetto l’esilio e promesso la redenzione. Credo nelle parole dei profeti che hanno assistito alla distruzione e, non di meno, nella nuova costruzione che ha preso forma sotto i nostri occhi. Credo che lo Stato di Israele sia l’inizio della nostra redenzione, il compimento delle profezie della Torah e delle visioni dei Profeti.»

«Credo nel legame vivo tra il Popolo d’Israele e la Terra d’Israele; nel destino e nella missione del Popolo ebraico per il mondo intero e nella importanza vitale della Terra d’Israele nel rendere certa la realizzazione di questa causa. Credo che non sia un caso che la Terra d’Israele stia fiorendo sulla scia del ritorno degli ebrei, dopo tante generazioni di totale abbandono.»

«Credo che l’anelito di generazioni per questa terra e la fiducia nel nostro ritorno finale siano le forze trainanti più profonde del percorso del Ritorno a Sion che ha portato alla creazione dello Stato di Israele.»

«Tuttavia, il documento che vi viene presentato non contiene nulla che sia basato sulla fede. Non si tratta di un manifesto religioso, ma di un documento realistico, geopolitico e strategico.»

Poi descrive il contesto.

«Per più di cento anni di sionismo, il Popolo ebraico è stato costretto a condurre una lotta per il suo stesso diritto alla sovranità come nazione rinnovata nella Terra d’Israele.»

«La leadership sionista (anni 30 e 40) era disposta ad accettare proposte che comportavano la cessione di parti significative della Terra d’Israele.»

«La contraddizione tra l’esistenza dello Stato ebraico e l’aspirazione nazionale palestinese è intrinseca; è insita nello sviluppo del concetto stesso di “popolo palestinese”. Il “popolo palestinese” non è altro che un contromovimento del movimento sionista. Questa è la sua essenza, la sua ragion d’essere.»

«Il permanere delle due aspirazioni nazionali in conflitto nel nostro piccolo pezzo di territorio garantirà ancora molti anni di spargimento di sangue e di conflitto armato. Solo quando una delle parti si arrenderà, volontariamente o con la forza, e rinuncerà alle proprie aspirazioni nazionali in Terra d’Israele, si realizzerà la pace desiderata e la coesistenza civile diventerà possibile.»

«Spero che i lettori concordino con l’affermazione che, in quanto ebrei, non dovremmo rinunciare alla nostra aspirazione nazionale a uno Stato indipendente nella Terra d’Israele, l’unico Stato ebraico al mondo. Per questo, la parte che dovrà rinunciare all’aspirazione di realizzare un’identità nazionale in Terra d’Israele è quella araba. Il motivo per cui siamo condannati a un ciclo infinito di spargimenti di sangue è che nessuno osa esprimere questa semplice dichiarazione. Tuttavia, solo in questa dichiarazione si trova la chiave che può aprire la porta di una vera pace.»

«Questo è l’obiettivo del piano decisivo Una speranza che avete davanti a voi: non più gestire il conflitto in corso a vari livelli di intensità, ma piuttosto vincerlo e porvi fine.»

Infine l’esecuzione del piano. Prima in forma descrittiva.

«Porre fine al conflitto significa creare e consolidare la consapevolezza – pratica e politica – che c’è spazio per una sola espressione di autodeterminazione nazionale a ovest del fiume Giordano: quella della nazione ebraica.»

  • La soluzione dei due Stati non è realistica e non lo è mai stata. «Due Stati per due popoli» è uno slogan vuoto di contenuto,
  • Da una prospettiva storica, internazionale e religiosa, il progetto sionista del ritorno del Popolo ebraico nella sua terra dopo duemila anni di esilio, nomadismo e persecuzioni, è l’impresa più giusta e morale che abbia avuto luogo negli ultimi secoli.
  • Non siamo l’Onu, e non siamo obbligati a supporre che abbiamo a che fare con due narrazioni ugualmente giuste e argomentate. La nostra convinzione nella giustezza della nostra causa è ciò che ci dà la forza morale(3)per sconfiggere l’aspirazione araba contrastante.
  • L’intero territorio a est del Giordano fu strappato via per formare il Regno di Transgiordania(4), invece di far parte del focolare nazionale ebraico.
  • Lo scopo è abbastanza degno da giustificare una deviazione proporzionale dai principi comunemente accettati.
  • L’affermazione che «il terrorismo deriva dalla disperazione» è una menzogna. Il terrorismo deriva dalla speranza, vale a dire la speranza di indebolirci. Il terrorismo si basa sulla speranza di ottenere qualcosa, di minare la società israeliana e costringerla a cedere alla creazione di uno Stato arabo entro i confini della Terra di Israele.
  • Le ambizioni nazionali del Popolo ebraico e degli arabi della Terra di Israele sono in conflitto. Non possono essere riconciliate e ammesse a convivere insieme. Una divisione geografica artificiale del territorio non durerà. Non possiamo nascondere le minacce legate alla sicurezza e alla demografia dietro recinzioni e linee virtuali tracciate artificialmente. Il territorio tra il Mediterraneo e il Giordano è un’unità geografica e topografica unica, e non può essere diviso in modo da fornire stabilità politica e nazionale.
  • L’affermazione che il desiderio arabo di espressione nazionale nella Terra di Israele non possa essere “represso” è errata. Ha funzionato bene per lo Stato di Israele, e deve funzionare allo stesso modo per la Giudea e la Samaria.
  • Fino agli anni Novanta, semplicemente non avevano la speranza. La loro speranza di liberarsi del progetto sionista è stata stroncata sul nascere.
  • Possiamo e dobbiamo porre fine alla speranza araba di realizzare ambizioni nazionali nella Terra di Israele, e sviluppare una nuova speranza basata su una vita individuale più prospera, incomparabilmente migliore rispetto a quella di qualsiasi paese mediorientale intorno a noi.
  • La moralità di un’azione si misura dai risultati e non a prima vista. La realtà ci insegna che quando ci assumiamo la responsabilità e gestiamo un territorio, produciamo una realtà più morale e migliore per entrambe le parti.
  • Vincere il conflitto è più economico che continuare a gestirlo.

Poi in forma operativa.

  • Dichiarazione di sovranità su Giudea e Samaria (Cisgiordania), creazione di città e infrastrutture, invito agli ebrei ad abitarvi. In questa prima fase gli sforzi del terrorismo aumenteranno, ma le forze di difesa potranno sconfiggerlo.
  • Gli arabi di Giudea e Samaria che lo vorranno avranno una nuova speranza di un futuro buono e una vita privata soddisfacente sotto le ali dello Stato ebraico. Il Popolo ebraico ha portato così tanto bene, abbondanza, progresso, sviluppo e tecnologia in questo paese, che sarà felice di permettere a chiunque desideri vivere qui in pace di godere di tutto ciò.
  • Questa sarà una vita con il massimo dei diritti democratici: vita, libertà, proprietà; una vita di libertà di religione ed espressione, e molti altri diritti e libertà che caratterizzano uno Stato di Israele democratico e progressista. Avranno anche il diritto di votare per il sistema che gestisce la loro vita quotidiana. L’autogoverno degli arabi di Giudea e Samaria sarà diviso in sei regioni governative municipali in cui i rappresentanti saranno eletti in elezioni democratiche.
  • Gli arabi di Giudea e Samaria potranno condurre la loro vita quotidiana in libertà e pace, ma non potranno votare per la Knesset israeliana in una prima fase. Ciò preserverà la maggioranza ebraica nelle decisioni all’interno dello Stato di Israele. Potranno farlo forse in futuro.
  • Questo accordo graduale non trasforma lo Stato di Israele in uno “Stato di apartheid”. Un regime di libertà non inizia e finisce con il diritto di voto e di essere eletti. La mancanza del pieno diritto di voto per il parlamento nazionale non significa regime di apartheid; al massimo, è una componente mancante nel paniere delle libertà, o se vogliamo, un deficit nella democrazia. L’assioma secondo cui «una democrazia senza il pieno e uguale diritto di voto per tutti non è una democrazia» serve agli oscurantisti sostenitori della soluzione a due stati, e permette loro di terrorizzare il pubblico israeliano.
  • Possiamo imporre la sovranità israeliana su tutti i territori di Giudea e Samaria senza concedere agli arabi che vi abitano il diritto immediato di votare per la Knesset, e rimanere comunque una democrazia. Certo, non una democrazia perfetta, ma comunque una democrazia. La realtà non è perfetta.
  • Sono convinto che sotto il dominio israeliano, gli arabi di Giudea e Samaria avranno molti più diritti e libertà democratiche che sotto qualsiasi altro regime.
  • È importante notare che in termini democratici, non c’è distanza tra il primo ministro Benjamin Netanyahu e il piano che avete davanti. Netanyahu definisce l’entità nazionale araba che ci si sforza di stabilire in Giudea e Samaria come uno “stato-meno”, e ciò rispecchia il fatto che, giustamente, non ha alcuna intenzione di consentire a quell’entità statale di avere un esercito e controllare lo spazio aereo, terrestre, marittimo e informatico.
  • La seconda opzione è pensata per quegli arabi in Giudea e Samaria che avranno difficoltà a rinunciare alle ambizioni nazionali. Coloro che non possono rimanere qui come individui che hanno lasciato le loro aspirazioni nazionali alle spalle sono invitati a realizzarle in uno dei tanti paesi arabi circostanti, o a cercare, come tanti arabi intorno a noi, una vita migliore in Europa, Sud America o altrove, in modo da non dover rimanere nello Stato ebraico. L’emigrazione di cui stiamo parlando è pianificata, voluta e basata sul desiderio di una vita migliore.
  • Il sionismo è stato costruito sulla base dello scambio di popolazione, ad esempio l’aliyah di massa degli ebrei dai paesi arabi e dall’Europa alla Terra di Israele, volenti o nolenti, e l’uscita di masse di arabi che vivevano qui, volenti o nolenti, nelle aree arabe circostanti. Questo schema storico sembra destinato a compiersi, garantendo in primo luogo un futuro di pace.
  • Probabilmente ci sarà tra la popolazione araba chi avrà qualche difficoltà a fare la pace o a venire a patti con la fine del conflitto e che sceglierà di continuare la lotta armata contro lo Stato di Israele. A la guerre comme a la guerre! Possiamo e dobbiamo vincere. Coloro che pensano di restare qui e di minare costantemente e violentemente il diritto dello Stato di Israele ad esistere come Stato del Popolo ebraico, troveranno un IDF determinato a sconfiggerli con l’aiuto di Dio.
  • L’IDF, grazie a Dio, è un esercito forte e astuto, con la volontà e la capacità di sconfiggere i terroristi in un breve lasso di tempo: uccidendo coloro che devono essere uccisi, confiscando le armi fino all’ultimo proiettile e ripristinando la sicurezza dei cittadini di Israele.
  • Sulle reazioni internazionali. Persone migliori di me hanno già detto che «non importa cosa dicono i gentili, ma cosa facciamo noi ebrei». Non stiamo ignorando il mondo. Dobbiamo condurre una campagna diplomatica professionale e intelligente e credo che possiamo convincere gli altri o almeno moderare le critiche.
  • Non possiamo permetterci di agire secondo le richieste del mondo, ma piuttosto perseguire ciò che è buono e giusto per noi come fa qualsiasi altro Stato nazionale al mondo. E ciò che è buono e giusto per noi è porre fine a questo conflitto in modo decisivo una volta per tutte a nostro favore e portare tranquillità, pace, prosperità e sicurezza allo Stato di Israele.
  • il nostro nuovo piano deve essere accompagnato da una serie di misure volte a migliorare il bilancio demografico.
  • Il rafforzamento di Israele e la vittoria nel conflitto renderanno più facile l’assorbimento degli immigrati, aumenteranno la crescita demografica ebraica e incoraggeranno parte della popolazione araba a emigrare in altri Paesi.

 

Il piano è stato reso pubblico nel 2017 da Bezalel Smotrich, esponente dell’estrema destra religiosa sionista.

Allora era “solo” il vicepresidente della Knesset.

Adesso è il Ministro delle Finanze.

 

IL SIONISMO È IDEOLOGIA

Questo testo di Smotrich ha delle parti che condivido certamente.

  • È impossibile la soluzione a due Stati.
  • La democrazia non è solo mettere una scheda nell’urna.

Quello che difetta sono le conclusioni.

  • È impossibile la soluzione a due Stati, e quindi ci deve essere solo lo Stato sionista.
  • La democrazia non è solo mettere una scheda nell’urna, e quindi gli arabi debbono accontentarsi di vivere bene sotto l’ala di Israele.

Le mie conclusioni sono diverse.

  • È impossibile la soluzione a due Stati, e quindi ci deve essere uno Stato unico, non sionista.
  • La democrazia non è solo mettere una scheda nell’urna, ma è fondata sul diritto naturale.

Nessuno potrà spostare gli ebrei dalla terra. Ma è invece possibile togliere l’ideologia sionista dalla mente degli ebrei. Ebrei non sionisti e palestinesi non islamisti potrebbero allora convivere.

Solženicyn scriveva: «Nella lunga e caotica storia umana, il ruolo svolto dal popolo ebreo – poco numeroso, ma energico – è innegabile e persino considerevole. Questo vale anche per la storia della Russia. Ma, per tutti noi, questo ruolo resta un enigma storico. Anche per gli ebrei. Questa strana missione ha dato loro tutto, tranne la felicità».

Che gli ebrei siano potenti non ci sono dubbi, basti pensare ai 12 ebrei nel governo Biden. Ma la felicità segue altre vie, diverse dalla potenza.

Ciò che sta facendo adesso Israele non può essere detta la “soluzione finale” perché avrebbe un suono hitleriano, ma è la “soluzione conclusiva” nell’ottica di Netanyahu e dei suoi alleati ultraortodossi. «Verso la vittoria assoluta», come dice Netanyahu.

Gli immigrati che comprarono la terra vanno a sterminare gli abitanti che stavano sulla terra.

Convinti poi di una loro “superiorità morale”, fanno riecheggiare ancora la vecchia ideologia di Nordau, Žabotinskij & soci di portare i confini dell’Europa “liberale” fino all’Eufrate (quante volte abbiamo sentito la frase «Israele, unico baluardo democratico in Medio Oriente»?).

Israeliani e Palestinesi non conoscono il diritto naturale, non conoscono il concetto di guerra giusta, possono andare avanti solo fino allo sterminio.

La soluzione dei “due Stati” pacificamente affiancati è un’utopia, dopo oltre 100 anni di violenza. E questa è sostanzialmente l’unica cosa sulla quale Smotrich ha ragione.

L’unica soluzione che immagino è una Palestina unica, con presenza ebraica, islamica e cristiana. Un moderno Stato “tollerante”, dove non dovrebbe esistere il «Noi, voi», ma dove una Costituzione condivisa dovrebbe tutelare tutti. Un sogno che solo la preghiera può realizzare.

Ripeto i capisaldi dell’ideologia sionista.

  • Veniamo a portare la nostra superiorità morale.
  • La Terra è nostra, anche quando non c’eravamo.
  • Il nemico è colui che abita la Terra.
  • Il nemico ha tre scelte: morire, vivere nel benessere sotto l’ala ebraica senza partecipare alle scelte, emigrare.
  • Ciò che pensano i gentili non interessa agli ebrei (idea precisata da Žabotinskij nel suo libro e ripresa da Smotrich).
  • E questa è comunque democrazia.
  • Dio è con noi (ma questo lo dice l’ultraortodosso Smotrich, l’ateo Žabotinskij non lo diceva).

«Se non esiste nessuna verità ultima che guidi e orienti l’azione politica, […] una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia». San Giovanni Paolo II.

È perfettamente applicabile allo Stato d’Israele.

La verità ultima è la dignità di ogni essere umano, qualunque cosa abbia fatto.

  • Non si può affermare, come fece il ministro Gallant, «niente elettricità, niente acqua, niente gas, stiamo combattendo contro animali e dobbiamo agire di conseguenza». (Gallant è stato giudicato troppo moderato da Netanyahu, che l’ha sostituito in questi giorni).
  • Non si può evocare l’atomica su Gaza come fece il ministro della cultura israeliano Amichai Eliyahu.
  • Non si può affermare, come fece la parlamentare May Golan alla Knesset, «Sono personalmente orgogliosa delle macerie di Gaza e che ogni bambino palestinese, anche tra 80 anni, saprà raccontare ai suoi nipoti cosa hanno fatto gli ebrei».

Basta rifarsi al solito Guareschi.

Don Camillo è furioso nel racconto “Spedizione punitiva”.

«Gesù» disse al Cristo «qui non c’è che una cosa: trovarli e impiccarli.»

«Don Camillo» rispose il Cristo «se ti duole la testa tu te la tagli per guarire il male?»

«Però le vipere velenose si schiacciano» gridò don Camillo.

«Quando il Padre mio ha creato il mondo ha fatto una distinzione precisa fra animali e uomini. Il che significa che tutti coloro che appartengono alla categoria degli uomini rimangono sempre uomini, qualunque cosa essi facciano, e vanno perciò trattati da uomini. Altrimenti, invece di scendere in terra per redimerli facendomi mettere in croce, non sarebbe stato molto più facile annientarli?»

Solo quando le due ideologie che si scontrano in Palestina si riconosceranno ENTRAMBE COLPEVOLI, forse ci sarà la pace.

Ma per riconoscersi colpevoli bisogna vedere qualcosa che ti sta sopra e che ti giudica.

Se continui a pensare, come fanno Sionisti e Islamisti, che “Dio è con noi” la soluzione non la trovi di sicuro.

Insomma, sto descrivendo la speranza più folle: che Sionisti e Islamisti diventino un po’ cristiani.

Cosa mi direbbe Nordau, co-fondatore del Sionismo?

«Questa, mio giovane amico, è logica; la logica però è un’arte greca; gli ebrei non la sopportano. L’ebreo non si serve del giudizio, impara dalle catastrofi. Egli non compera un ombrello soltanto perché il cielo è nuvoloso: aspetta finché è bagnato e si è preso una polmonite; appena allora si ricorda che deve comperare un ombrello».

A parte l’appellativo “giovane amico” che non mi si addice, speriamo che stavolta la logica prevalga sulla catastrofe.

Chiudo con una frase di Žabotinskij, che ironizza sulle idee del colonnello Lawrence, il famoso “Lawrence d’Arabia”.

«Egli sarebbe pure per il sionismo, ma a certe condizioni; gli ebrei vadano in Palestina, ma non come europei o americani; essi dovrebbero “orientalizzarsi”, adattarsi alle condizioni di vita ed ai costumi arabi, altrimenti essi saranno causa non solo della loro stessa rovina, ma anche di quella dell’intero paese…»

Žabotinskij mette i puntini finali a evidenziare che sta deridendo Lawrence. Ma Lawrence aveva sostanzialmente ragione, si potrebbe quasi dire che fu un po’ “profeta”.

Se vai in una terra non tua, devi rispettare l’ambiente in cui ti rechi. Non chiediamo questo anche agli immigrati che vengono in Italia?

***

CITO UNA SOLA DOMANDA

Qui si conclude la conferenza. Ci sono poi state alcune domande, e ne cito una sola.

«Lei quindi pensa, come l’ultima Oriana Fallaci, che la Storia sia opera di pochi uomini?»

Ho risposto che sì, lo penso. La Storia è fatta da pochi uomini. Prendiamo il solito Žabotinskij. All’inizio del libro “da 90 euro” è semplicemente l’inviato all’estero di un giornale russo. Un semplice giornalista.

Poi diventa il fondatore della Legione Ebraica e passa per primo il Giordano nell’invasione della Palestina. Nel frattempo ha trattato con maggiorenti della politica e della finanza. Fonda il sionismo di destra. Fonda l’Irgun. È così convincente nelle sue idee estreme da inculcarle profondamente nel segretario Benzion Netanyahu. E Benzion le trasmette al figlio, fino a farle “fruttare” appieno nel XXI secolo.

Ma questa è la Storia così come la si vede. Alla fine gli Angeli caleranno il sipario sulla scena di questo mondo, e ci accorgeremo che la Storia vera l’hanno fatta i piccoli.

Ad esempio, tra i “deportati alla rovescio” da Babilonia alla Giudea c’erano certamente anche gli avi di Giuseppe e Maria. Probabilmente facevano parte di quel piccolo gruppo dei poveri di Israele che seppero conservare la religione pura e la conoscenza di Dio anche in assenza del tempio(5).

La Storia la fanno in pochi. Ma quei pochi non sono quelli che si vedono.

 

Giovanni Lazzaretti

giovanni.maria.lazzaretti@gmail.com

 

 

NOTE

  • Blighty è un nomignolo che identifica la Gran Bretagna o l’Inghilterra, in uso allora tra i militari, fin dal 1800.
  • Mi sono reso conto in conferenza che la parola cresus/creso come sinonimo di riccone (parola nata dal ricchissimo Re Creso di Lidia) non è più compresa dagli ascoltatori. Per me era invece nota fin da ragazzo.
  • Sembra di sentir parlare Žabotinskij nel libro “da 90 euro”.
  • È la Giordania attuale.
  • «Ora non abbiamo più né principe, né capo, né profeta, né olocausto, né sacrificio, né oblazione, né incenso, né luogo per presentarti le primizie e trovar misericordia. Potessimo esser accolti con il cuore contrito e con lo spirito umiliato, come olocausti di montoni e di tori, come migliaia di grassi agnelli.»

§§§

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1 commento

  • Paolo ha detto:

    A corollario di questa interessante presentazione da parte del Prof. Lazzaretti vorrei segnalare al lettori di questo BLOG il documento interattivo preparato dalla ONG israeliana BTSELEM insieme con l’agenzia investigativa “Forensic Architecture (FA)” di Londra
    https://conquer-and-divide.btselem.org/
    Illustra abbastanza bene come nella pratica vengono estesi i ‘principi’ morali dell’occidente europeo dal Mediterraneo al fiume Giordano.

    Buona visione

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