“Se io mi Intuassi come tu t’Inmii…”. Il Matto.
5 Novembre 2024
Marco Tosatti
Carissimi StilumCuriali, il nostro Matto offre alla vostra attenzione questi pensieri…buona lettura e diffusione.
§§§
«SE IO M’INTUASSI COME TU T’INMII»
In una chiara notte d’autunno
la finestra come altare
nel sacro silenzio
di siderea fragranza
specchiandosi la Luna in me e me nella Luna
con Cassiopea, Andromeda e Pegaso,
sorse questo balbettio
luce ombrata da parole
il Matto
* * *
Caro Amico/a,
tu sei uno specchio! E questo è un fatto, non un’opinione. E vale se sei cristiano, buddhista, islamico, ebreo e via dicendo, ed anche se sei ateo. L’immagine proposta è inequivocabile: tutto ciò che vedi, e che è esterno a te, lo vedi perché si specchia in te, cosicché risulta anche interno a te. Non c’è obiezione che tenga. Senza lo specchio, nessuna coscienza e nessuna esistenza. Non è una questione di fede, puoi constatarlo da te: senza lo specchio che sei, non potresti riflettere, e quindi leggere, ciò che stai leggendo.
Cristiano, buddhista, islamico, ebreo o altro che tu sia, sul tuo collo non c’è la tua testa: c’è l’altro-da-te che non è estraneo a te e ti fa esistere come tu lo fai esistere. Sul tuo collo c’è … l’Universo, e con esso il Creatore! Perciò tu sei infinitamente di più della tua testa, di ciò che essa, con tutti i propri limiti, crede e pensa. PRIMA di ogni idea, concetto, pensiero, immagine e dogma, tu sei VISIONE. Tu sei CONTEMPLAZIONE. Perciò sei molto di più di ciò con cui ti identifichi, e da cui dipendi credendo e pensando. La tua testa è un ingombro. PRIMA del tuo ridurti (ridurti!) a ciò che pensi e credi (qualunque cosa pensi e credi), tu sei UNIVERSALE: la tua vera testa è l’intero Creato, di cui fa parte anche il tuo cervello che, per quanto sviluppato, ne può pensare quasi nulla.
Simone Weil:
«Per me non c’è gioia più grande che guardare il cielo in una notte limpida, con un’attenzione così concentrata che tutti gli altri pensieri scompaiono; si ha allora l’impressione che le stelle entrino nell’anima».
Dice che tutti i pensieri scompaiono, cioè che la testa scompare! E così rimane la contemplazione unitiva, di cui tutti possono (potrebbero) fruire ma di cui nessuno si può appropriare e vantare l’esclusiva.
Le stelle (e con esse tutto il creato) non sono di proprietà di alcuna religione, filosofia o scienza: stanno lì, infinitamente prima di ogni parola scritta o parlata, di ogni mito, di ogni storia, di ogni scienza, di ogni filosofia. E prima di ogni fede. Infatti, soltanto a posteriori qualcuno ha potuto scrivere: «In principio Dio creò il cielo e la terra» e «In principio era il Verbo»: tali parole sono state scritte nel tempo, quindi seguono a distanza infinita il Principio. Il «creò» e l’«era» possono trarre in inganno. Attimo per attimo, in un continuo e impensabile Presente, nonché unico tempo reale, Dio CREA il cielo e la terra ed È il Verbo. Perciò non «Dio disse» bensì Dio DICE. Il Verbo è IN ATTO, proprio e soltanto ADESSO. Ciò che se ne scrive e se ne dice viene infinitamente dopo, nel tempo, e il temporale può soltanto indicare assai approssimativamente l’eterno, il divino, ovvero «ciò di cui non si può pensare il maggiore» (sant’Anselmo: «id quod maius cogitari nequit»). Il cosmo già abita nel mistero di Dio (Ef 3,9: «il mistero nascosto da secoli in Dio») senza che noi lo sapessimo (Gen 28,16: «Allora Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: “Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo”».
Quel che puoi constatare per la vista vale anche per quello che ascolti, tocchi, gusti e odori. Tutto ciò che percepisci con i cinque sensi si riflette in te. Esiste in te che sei uno specchio. E tutto ciò che si riflette ed esiste in te suscita pensieri (ecco la testa!) che però anch’essi si specchiano in te, e perciò, constatazione cruciale!, non sono te che sei lo specchio. Tu sei prima di ciò che apprendi, credi e pensi! Sei prima della tua testa, prima della tua identità cerebrale, prima dela tuo complicatissimo, frastornato “io”, dilaniato fra dubbi e certezze. Per questo meno pensi e più sei! Addirittura qualcuno ti direbbe: «non pensi, dunque sei»! Il tuo essere non è testa, bensì è cielo, mentre il pensiero è nuvola. Se ti fermi alla tua nuvola, alla tua testa, dimentichi che sei cielo, che sei specchio. Invece io te e chiunque altro siamo cielo! Siamo specchio! È un dato divino primordiale che precede infinitamente ogni pensiero, quindi ogni testa, quindi ogni legge, dogma e opinione.
Notiamo insieme: l’IMMEDIATEZZA con cui l’oggetto si riflette nello specchio non è prerogativa del pensiero, della testa, che infatti non può che (in)seguirla: il pensiero non può competere con l’ISTANTANEITÀ del RIFLESSO, anzi deve attenderlo per potersi attivare poiché esso è l’ATTO PURO SENZA TEMPO – il PRINCIPIO – dello specchio, non del pensiero che abbisogna di tempo. Il riflesso è l’atto contemplativo (e creativo) che il pensiero, fatalmente in ritardo, avvolge e occulta indugiandovi intorno, perciò mediandolo. Essendo mediatore, il pensiero confessa e subisce la distanza e il tempo tra sé e l’oggetto riflesso, tanto meno conosciuto in sé, cioè contemplato, quanto più analizzato e descritto.
Hermann Hesse:
«Chi fa del pensare la cosa principale, può certo arrivare abbastanza lontano, comunque ha confuso la terra con l’acqua e prima o poi dovrà annegare».
E che l’umanità stia sempre più annegando nel pensiero, dal più colto e raffinato al più incolto e becero, soltanto gli sventati possono metterlo in dubbio o addirittura negarlo. Invece:
l’albero che vedi là, fuori di te, è anche qua, dentro di te.
Proprio adesso! Nel non-tempo di qui-e-ora.
D’acchito, l’albero lo vedi, non lo pensi.
Se prima non lo vedi, non puoi pensarlo.
Proprio adesso lo vedi là perché proprio adesso è qua.
Non c’è là senza qua, non c’è qua senza là.
Il qua e il là si coniugano nell’Attimo presente,
nell’Attualità folgorante del riflesso.
Contemplazione unitiva tra fuori e dentro.
Assenza del pensiero. Assenza del tempo.
La fede e la speranza creano l’oggetto e il tempo.
Le spiegazioni giungono nel tempo e col tempo,
senza poter raggiungere ciò che spiegano,
e che spiegano nel vano tentativo di raggiungerlo.
Sei tu in quanto specchio che conferisci esistenza all’albero, il quale, senza uno specchio – senza una coscienza – che lo riflettesse resterebbe conchiuso nell’assurdo. Non c’è un “fuori” cui non corrisponda un “dentro” e viceversa, mentre il “fuori” e il “dentro” sono nel contempo distinti ma non separati, cioè non-due, nell’immediatezza del riflesso.
Come ogni oggetto che si specchia in te, e quale che ne sia il senso-veicolo, anche l’albero suscita pensieri che si riflettono in te, che si sovrappongono all’albero finendo facilmente per sostituirsi al suo puro, immediato riflesso in te che sei lo specchio: un albero analizzato e spiegato, cioè pensato, non è più l’albero COSÌ COM’È, cioè l’albero puro che si riflette nel tuo puro specchio. Purezza su purezza! Ogni analisi-spiegazione dell’oggetto riflesso che non sia preceduta e accompagnata dall’APPERCEZIONE, cioè dalla percezione consapevole e perciò ISTANTANEA che vede/contempla l’albero così com’è, degrada in una complicazione che deforma o addirittura offusca l’immagine nello specchio, la quale resta in sé ognora una, semplice, perfetta, vera, come uno, semplice, perfetto e vero è lo specchio.
Paul Auster:
«Basta guardare qualcuno in faccia un po’ di più, per avere la sensazione alla fine di guardarti in uno specchio».
Anch’io che ti sono davanti mi specchio in te, come te che mi sei davanti ti specchi in me, ciò richiamando lo splendido verso di Dante nel IX canto del Paradiso (rivolto all’anima di Folco da Marsiglia):
«SE IO M’INTUASSI COME TU T’INMII»,
ossia, se io potessi entrare in te come tu entri in me, ciò riferendosi all’empatia, che il tedesco rende con Einfühlung: sentire dentro.
Siamo allora due specchi che, infinitamente prima di ogni pensiero, cioè ISTANTANEAMENTE … si specchiano e si compenetrano, io intuandomi e tu inmiandoti; e siamo entrambi preziosi poiché in realtà siamo due della miriade di Frammenti dell’Unico Specchio, sicché il mondo, anzi l’Universo intero è una magica combinazione di Frammenti dell’Unico Specchio riflettentisi l’un l’altro. Uno, semplice, perfetto, vero lo Specchio. Uno, semplice, perfetto, vero, l’Universo. Uno, semplice, perfetto, vero, l’Uomo (appercettivo). Essere Frammento uno e semplice del Grande Specchio è la realtà prima e ultima, a patto che il Frammento non creda, illudendosi, di essere lo Specchio intero.
Jalaladdin Rumi:
«La Verità era uno specchio che cadendo da cielo si ruppe.
Ciascuno ne prese un pezzo
e vedendo riflessa in esso la propria immagine
credette di possedere l’intera verità».
La combinazione di Frammenti dell’Unico Specchio dà conto di come il Volto del Verbo – il Volto Originario, Honrai Menmoku secondo lo Zen – sia quello di tutti e di nessuno. Se infatti si rompe uno specchio in molti frammenti, il medesimo sole continua a riflettersi in ogni diverso frammento, ma senza che un frammento possa vantarne l’esclusiva. Come dire: l’Intero nella Parte e la Parte nell’Intero.
Il Volto del Verbo nelle molteplici opere d’arte è sempre diverso, ed è proprio tale diversità che ne testimonia l’Originalità, ovvero l’Io Supremo che si riflette – si inluia! – nei volti di tutti e di nessuno, e a cui l’artista conferisce una forma ispirata che quindi, simultaneamente, è e non è quella vera. E allora ecco il prodigio del Verbo che dice all’Uomo:
«SE TU T’INMIASSI COME IO M’INTUO!»
Esempio eccelso di specchio universale (perciò ultra-religioso) è la Vergine SPECULUM JUSTITIAE, che accoglie il Riflesso del Seme Divino, cioè del JUSTUS, dell’AEQUUS, del DIGNUS: il suo «non conosco uomo» è terreno e temporale, ma il suo ancillare «fiat mihi» è celeste ed eterno poiché ISTANTANEO, cioè INCONDIZIONATO.
Sennonché questa strabiliante realtà, affinché all’Uomo ne sia possibile l’imitazione realizzativa – l’inluiarsi del Verbo – richiede una coscienza libera da ogni attaccamento a qualsiasi forma giacché il Seme Divino o Spirito non ha forma; ossia si rende necessaria una coscienza pura, universale, uno specchio terso appunto, ciò che evidentemente è rarissimo privilegio, visto il teatro di nefandi conflitti d’ogni genere – persino religiosi! – cui è ridotta la terra, a causa del caos provocato dalle … teste.
Introspettivamente importante l’antifarisaico specchiarsi di Giorgio Caproni:
«Mi sono risolto.
Mi sono voltato indietro.
Ho scorto
uno per uno negli occhi
i miei assassini.
Hanno
– tutti quanti – il mio volto».
E certamente è da pochissimi il coraggio di riconoscere di essere il primo degli assassini! Il primo che ha deturpato in sé il Volto Originario del Verbo. Molto più alla portata il serpeggiare della saccenza parolaia mascherata da umiltà; molto più facile l’umidiccia auto-indulgenza con una mano dall’unghia giallastra del dito accusatore e l’altra rattrappita sulla legalistica pietra da lanciare. Altro che mani giunte per pregare! Meglio lasciarsi andare all’orrendo: «O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano».
E c’è anche lo specchio quale «vietata soglia» di Mario Luzi:
«Talora lo intravedo
un me altro da me,
un me ben altro:
non ha nulla di mio
eppure ha il volto
d’un universo io
di cui son parte.
È là, mi aspetta
in piedi
appena dentro
una vietata soglia».
Cui fa eco Fernando Pessoa:
«Ma senza saperlo ero di più».
L’APPERCEZIONE, ovvero la “percezione della percezione”, perciò NON mediata dall’elaborazione cerebrale-concettuale personalistica, d’essere uno specchio, elaborazione in ogni caso anch’essa riflettentesi in te come in me, richiede un atto astrattivo, un raccoglimento dalla dispersione-distrazione nella molteplicità degli oggetti e dei pensieri, il pensiero essendo una reazione analitico-descrittiva “di” ciò che si riflette nello specchio. “Circa”: il girare intorno, è il modo del pensiero che mai può giungere al centro, cioè all’oggetto così com’è.
William Blake:
«Se le porte della percezione fossero purificate, tutto apparirebbe all’uomo come in effetti è, infinito».
Il pensiero è una serie di dettagli “circa” il riflesso e posteriore ad esso. Pertanto fra gli oggetti riflessi sono compresi i pensieri che sono altro, cosicché io e te non siamo l’“io” quale aggrumazione di pensieri, convinzioni e cultura, ossia di teste con cui individualisticamente ci identifichiamo e con cui ci combattiamo. No, noi siamo infinitamente di meno e infinitamente di più: te e me siamo due preziosissimi Frammenti del Grande Specchio. Non nel LENTO pensiero, bensì nel REPENTINO riflesso sorge la fiammata della nostra vera Vita. La medesima Vita-Verità per te, per me, per tutti. Fiammata di Vita eterna, Luce del Verbo che, qualora ci si abbandoni ad essa, arde e consuma l’io posticcio, plumbeo e bellico con cui abitualmente ci si identifica.
Giovanni Gentile:
«L’amore della verità è perciò amore del vero se stesso, che si oppone all’egoismo, non perché questo sia amore di sé, ma perché amore di un falso sé».
Il pensiero più raffinato, ossia le filosofie, le teologie e le dottrine più circostanziate restano complicate elaborazioni-formulazioni umane irrimediabilmente susseguenti all’ISTANTANEO puro riflesso quale atto dello Specchio, e perciò restano irrimediabilmente relative ad Esso, lontane da Esso, dovendo limitarsi a dirne quel che possono indugiandovi intorno (“circa”) da molteplici prospettive, nessuna delle quali, proprio in quanto prospettiva (o punto di vista), può vantare la visione dell’intero, la quale, invece, non può essere che ATTUALE, quindi NON PENSATA. Del resto, la conflittualità fra prospettive diverse, assunte ciacuna come vera, dice che nessuna di esse può ritenersi superiore alle altre.
Lo Specchio puramente riflette. IMMEDIATAMENTE riflette (e crea). Nulla aggiunge e nulla toglie a ciò che riflette. Il riflesso è ISTANTANEO, perciò pre-concettuale, pre-cogitativo, e dunque precede il giudizio che è già implicito nell’oggetto riflesso: un ladro è già ladro in sé, e lo specchio non lo giudica bensì lo lascia al suo libero esser ladro ed alle inevitabili conseguenze. Il pensiero è temporale, il riflesso è eterno poiché accade nell’ATTIMO PRESENTE che è inafferrabile dal pensiero. Nel riflesso non c’è tempo, come invece accade nel pensiero. Il pensiero può darsi (e riflettersi nello Specchio) soltanto nel tempo, sovrapponendosi al puro, istantaneo e incessante riflesso. Lo Specchio È, il pensiero DIVIENE. Lo Specchio STA, il pensiero SCORRE.
Perciò, come si sarà compreso, si tratta qui di “riflessione” non già come esercizio del pensiero “circa” un oggetto, bensì come REPENTINO RIFLESSO quale pura riproduzione dell’oggetto dallo/nello specchio, per la quale v’è distinzione ma non separazione fra specchio e oggetto riflesso, come anche fra tutti gli oggetti riflessi. È la sostanza dello specchio, in sé immacolato, che permette gli accidenti degli oggetti riflessi, compreso il pensiero.
In breve, tutto accade nello specchio la cui sostanza è in sé inalterabile, e questo accadere in te, in me, in ciascuno, è non-duale altrimenti non vi sarebbe riflesso: tutto ciò che si riflette nello specchio non è lo specchio in sé, il quale, conservando la propria limpida vacuità, è la Realtà primordiale che precede e permette ogni cogito, ogni formula, ogni rivelazione, ogni istanza religiosa o atea che sia. Il pensiero inconsapevole di essere anch’esso un riflesso è segno della caduta della coscienza dallo stato contemplativo (e creativo) allo stato condizionato e mortale, ove il pensiero funge da divisore (elemento diabolico) sul piano dialettico e quindi su quello pratico.
Il tuo intimo essere speculare – il tuo vero essere – non è limitato a te, si estende a me, a ciascuno, sicché non è soltanto tuo o soltanto mio o soltanto di qualcuno, e ciò cambia radicalmente il modo di sentirsi un “io”, quindi di dire “io”, seppure a tale livello abbia ancora un senso dire “io”, poiché si trascende l’“io” cui facilissimamente si associa il “mio”, causa d’ogni scempio d’uomo verso uomo. L’“io” ordinario è un’illusione poiché è una separazione estranea allo specchio che è distinto e distingue, sì, ma non è separato e non è separante da ciò che vi si riflette. L’ “IO” che compete allo Specchio è ATTUALE, è l’IO SONO, è il VERBO univoco, limpido, aperto, vuoto, né afferrante né respingente, ciò che risulta inconcepibile ad un “io” ordinario quale agglomerato di informazioni e passioni, ossia ad una coscienza raggomitolata nel drappo del proprio pensiero, piena della propria forma: una coscienza che diabolicamente si separa dall’altro-da-sé.
Lo Specchio non è una metafora,
bensì la Realtà Primordiale, Fonte del Tutto.
Lo Specchio è il Volto del Verbo;
è l’Essere che conferisce l’essere;
è l’Uno che conferisce l’unità;
è la Purezza-Vacuità che conferisce la purezza-vacuità;
è il Libero che conferisce libertà;
è l’Innocenza che conferisce innocenza.
È il Maschio che conferisce forza,
È la Femmina che conferisce dolcezza.
Lo Specchio è Spirito.
Lo Specchio non si sa dove cominci e dove finisca,
come lo Spirito non si sa donde venga e dove vada.
Io e te, come chiunque altro, siamo vivi nel Riflesso,
mentre nel pensiero moriamo.
Il pensiero, cioè la testa, ci allontana. Ci separa.
E allora, perché il Cielo si apra,
perché lo Specchio limpidamente specchi,
la testa va … tagliata!
§§§
Aiutate Stilum Curiae
IBAN: IT79N0 200805319000400690898
BIC/SWIFT: UNCRITM1E35
Condividi i miei articoli:
Categoria: Generale
Eppure Lei pensa come tutti coloro da cui attinge le citazioni. Senza testa non vi è distinzione fra bene e male, nessun libero arbitrio. La chiosa finale poi mi riporta indietro nel tempo. Infine a proposito di specchi la strega di Biancaneve lo consultava con la famosa formula : specchio, specchio delle mie brame………”
Osservazione interessante quella sullo specchio e la strega di Biancaneve.
Tenga presente che, in qualche modo, tutte le citazioni (come tutto l’articolo) sono apofatiche, e quindi mentre affermano, dato che per esprimersi occorre affermare, nel contempo negano ciò che affermano, e, per così dire, indicano un ritorno al Silenzio, ovvero alla purezza dello Specchio. Insomma, occorre rompere il Silenzio per invitare al medesimo.
Una curiosità: lei intuisce di essere uno specchio?
Sono per il pensiero razionale, l’ intuizione è irrazionale.
Voleva dire sovrarazionale?
Tutto è razionale, cioè misurato? L’Infinito ha una misura?
La ragione può “captare” lo Spirito Santo, o soltanto parlarne?
Il pensiero razionale sta alla larga dall’iperbole, misurare l’infinito non tocca a me. Da mortale consapevole lascio che lo Spirito Santo mi modelli, accorgendomene da come ho operato.
🙏
Piccola integrazione:
Affissandosi nello Specchio vuoto, la propria immagine sparisce per “ricomporsi” nell’Immagine Originaria del Verbo che è la nostra, a Sua immagine e somiglianza.
Bellissimo… Non si capisce un tubo😃
Matto te vojo ben!
Ti ringrazio. “Volersi bene” può apparire come un luogo comune, invece è il segreto del convivere. Però, nel componimento in incipit ho avvertito che l’argomento trattato in parole è un’ombra. Tuttavia non posso credere che almeno qualche frase non ti abbia colpito positivamente. Un caro saluto.
…così come si fece fare- secondo tradizione- Yukio Mishima.
Ah, stavolta, ero più che sicura del gran finale! Specchio, specchio…e dei neuroni a specchio che ne facciamo? Li buttiamo?
Scherzi a parte, su questo argomento trovo assai istruttivo un apologo Zen che mi permetto di aggiungere.
Eno era il più umile discepolo del maesto Konin: un giorno il maestro invitò i discepoli a comporre una breve poesia che esprimesse ciò che ognuno di loro aveva compreso dello Zen. Jinshu, il giovane più sapiente e intelligente, scrisse: ” Il corpo è l’albero dell’illuminazione/ lo spirito è come uno specchio brillante./ Incessantemente noi li puliamo/ perchè non si ricoprano di polvere. ” Eno, quando la vide, scrisse:
” Non c’è albero dell’Illuminazione/ né specchio brillante/ poichè intrinsecamente tutto è vuoto./ Dove può, dunque, depositarsi la polvere? ” Il maestro diede a lui il “kesa” (trasmissione), ma di nascosto e all’insaputa degli altri. Poi, entrambi si isolarono su una montagna e solo dopo 15 anni, Eno ne discese per fare il maestro.
E’ un esempio istruttivo su un argomento importantissimo intorno al quale mi piacerebbe leggere la tua opinione.
L’apologo Zen che hai citato è un classico circa lo Specchio. Ho rinunciato a proporlo per non aumentare … l’ombra delle parole 😄.
La pratica ormai pluridecennale dell’apofasi mi permette di dire che le affermazioni di Jinshu ed Eno sono entrambe vere, secondo l’“orientale” et-et in luogo dell’“occidentale” aut-aut.
Dalla prassi dell’apofasi, del raccoglimento, dell’astrazione, del silenzio, mi risulta abbastanza chiaro che lo Specchio è la Realtà suprema, la quale, come dice Eno, non può essere maculata dalla polvere. Qui sarebbe affascinante intrattenersi (ombrare con le parole) circa l’Immacolata Concezione di cui ho accennato nell’articolo. Quello di Eno è quindi lo Specchio Ideale, Trascendente, Divino, Perfetto.
Lo Specchio di Jinshu può riferirsi al Frammento di Specchio che ciascuno è, o, se vuoi, è immanente a ciascuno, qui entrando in ballo la polvere dei pensieri (e delle passioni) che offuscano il Frammento e che occorre incessantemente pulire … lasciandoli scorrere.
Dice un maestro Zen: “Omoi no o tebanashi”, Aprire la mano del pensiero, ove all’aprire corrisponde il pulire.
Non so se da quest’ulteriore ombra di parole, trapeli almeno un tenue raggio di luce 😉.
Ciao.
💥💥💥
Ma…forse è più prudente tralasciare il dogmatizzato mistero della Immacolata Concezione.
Tralasciare il fondamentale Mistero teandrico?
Lasciare che il Cristo nasca LÀ, nella grotta di tufo?
Ma se non nasce anche QUA, nella grotta del cuore, a che serve il “dogma”?
Caro Enrico,
a perseguitare come eretico chi non ci crede.
“Voi siete nel Mondo, ma non del Mondo…”
Chi vuole, può cercare la relazione di quanto esposto nell’articolo con quanto segue.
FOSCO MARAINI E L’EMPRESENTE
Sulla fotografia
Le fotografie sono «immagini carpite nell’empresente» (Luisa Santinello).
Dice Maraini:
«Fra gli infiniti presenti ce n’è uno (l’empresente) che sta a ridosso della sottile e ignota barriera che ci separa dal futuro: è il momento stesso in cui noi due stiamo parlando o – se vuoi – quello immediatamente percepito da chi leggerà queste righe. Esso emerge di attimo in attimo, non ha nulla di teorico o grammaticale, è – in qualche modo – l’attimo fuggiasco in cui si materializza l’esperienza, e in cui io ne entro in possesso. La sua restituzione, anche parziale, sotto forma d’immagine, consente di comunicare all’esterno il momento in cui il soggetto conoscente ha percepito e descritto la realtà in cui siamo immersi». (Conversazione con Francesco Paolo Campione, 1995).
«Una fotografia non è un fotogramma. Essa è qualcosa di statico, di definitivo direi. Non deve desiderare né il futuro né il passato. Non deve giustificarsi in altro che in se stessa (…). Essa è perfettamente libera: perfettamente indipendente. Ha, infine, una sua dignità. Ecco il senso della frase “la fotografia è un’arte”» (Maraini, Dignità della fotografia, 1937, articolo pubblicato in Cinema, Quindicinale di divulgazione cinematografica, anno II, vol.I, n.24).
tratto da:
Continua a leggere: Fosco Maraini e l’empresente | Messaggero di Sant’Antonio