La Destra Tradita, di Pietro Diodato. Prefazione di Giovanni Formicola.

6 Giugno 2024 Pubblicato da

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, offriamo alla vostra attenzione la prefazione che l’avvocato Giovanni Formicola ha scritto per il libro di Pietro Diodato, “La Destra tradita”. Buona lettura e condivisione.

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Pietro Diodato racconta una storia politica, la sua storia politica, non senza escursioni nella dimensione privata. Ma non la storia di un partitante – sebbene si sia sempre svolta all’interno di un partito –, bensì quella di un militante. Cioè di una persona che ha impegnato la sua esistenza nella luce dell’insegnamento del libro di Giobbe (7,1), «militia est vita hominis super terram» – cui fa eco una voce che proviene dal mondo classico, che qualcuno ha definito l’altro antico testamento della Chiesa, quella della saggezza naturale di Seneca, secondo il quale «vivere militare est».

Ma naturalmente non basta, relativisticamente, militare, come se ogni causa giustificasse sé stessa quando servita con dedizione, entusiasmo, disinteresse.

Chi scrive si pone al servizio della Contro-Rivoluzione per la restaurazione della civiltà cristiana, cioè a dire per una rinnovata instaurazione sociale della regalità sociale di Cristo, usurpata dalla plurisecolare Rivoluzione contro l’ordine naturale e cristiano nei costumi, nei fatti della storia, nelle idee. E perciò apprezza tutto quanto e chiunque – quale che ne sia la consapevolezza e l’intenzione, quindi anche oggettivamente – si trovi a muovere la storia nella direzione del processo contro-rivoluzionario, anche solo arginando o ostacolando quello rivoluzionario. E poiché questo – nella misura in cui viene inteso in senso forte, cioè come volontà di sovversione e dissoluzione della civiltà nei suoi fondamenti religiosi e metafisici, e non come lotta contro un particolare e contingente ordine storico – è sinistro e muove in modo incessante verso sinistra, è solo da destra che può essere ostacolato, rallentato, e poi, non senza l’indispensabile aiuto di Dio, fermato e sconfitto con una graduale rettificazione di ciò ch’è stato sovvertito. E allora, alla stregua di tanto, giusto è militare a destra.

Quella che vi accingete a leggere è dunque una storia di una militanza giusta, siccome a destra, sebbene non sempre consapevolmente contro-rivoluzionaria, ma certo anti-rivoluzionaria, e non senza risentire di tutte le contaminazioni subite dalla destra in Italia, a cominciare da quella dell’unico socialismo dal volto umano, il fascismo. Ma questa è un’altra storia.

Scendendo ora dall’empireo dei princìpi sulla terra dei fatti narrati, mi sembra di dover invitare alla lettura non solo perché la vivace narrazione ci prospetta da dentro la vicenda di quasi quattro decenni della destra in Italia, soprattutto in Campania, ma perché contiene autentiche rivelazioni e consente di ricavare almeno tre lezioni, nella misura in cui la storia – anche quella piccola – sa essere maestra.

  1. La prima riguarda una tipica caratteristica del partito moderno, che tende ad espungere da sé chi non si pieghi alle logiche di gestione del potere al suo interno, che vanno dalla scelta degli eleggibili nelle assemblee istituzionali a tutto ciò che può essere oggetto di spartizione politico-economica, in funzione di gruppi di pressione ideologico-imprenditoriale-finanziaria. Non basta – anzi è visto come un pericolo – essere un militante che elabori idee, contribuisca alla cultura politica del partito, porti consenso in modo generoso e legato solo all’orizzonte ideale, se non è asservito – e quindi da essi condizionato – agl’interessi costituiti, anche se confliggono, come quasi sempre confliggono, con le motivazioni nobili dell’impegno politico.
  2. Un’altra riguarda il rapporto che c’è tra la moralità individuale e l’azione politica. Chi non si sforzi di emendare le proprie cattive tendenze e i propri vizi, quali che siano, finisce con l’approfittare dei miserabili spazi di potere che la politica gli offre per commettere azioni ripugnanti, e di piegare alla loro «giustificazione» ogni teoria: si finisce a pensare (male) come (male) si vive.
  3.  La terza che mi pare di dover sottolineare – tra le tante altre che sarebbe pure possibile ricavare – riguarda il fatto che le scelte politiche, per quanto nutrite e da nutrire di sana passione, devono essere fredde e raziocinanti, in altri termini prudenti, là dove la prudenza non è quella carnale che induce ad evitare grane, ma la virtù che consente di scegliere il giusto mezzo, anche se rischioso ed esistenzialmente costoso (il paradigma è quello del martire), per raggiungere il giusto fine. Mi riferisco alla comprensibile «rabbia» che ha indotto Pietro Diodato a seguire chi ha tradito una storia ed un’identità– senza dire della condotta extra-politica di costui – nella fallimentare e infame scelta di allearsi politicamente con un vecchio arnese democristiano buono per tutte le stagioni (oggi è quella del PD) come Pierferdinando Casini, e con un mandatario dei poteri extra large e anti-nazionali di Bruxelles e della Banca internazionale, come Mario Monti. Sono certo, conoscendolo personalmente, che la scelta di Pietro Diodato fu in buona fede. Epperò lo travolse in modo immeritato, considerata la sua storia che qui ci racconta, con lo zerovirgola di cifra elettorale che pure gli avevo pronosticato per distoglierlo circa un paio d’anni prima.

Il lettore, inoltre, troverà in questa storia, oltre il respiro ideale dell’esistenza come militanza, l’esperienza dell’impegno politico anche quale attenzione fattiva agl’interessi e necessità concreti del popolo, che intercetta un consenso non ideologico nel senso deteriore del termine, ma fondato su un legame di rappresentanza autentico, per cui il mandato ricevuto non è un foglio bianco, su cui il politico eletto pensa di poter scrivere tutto e il contrario di tutto, ma lo vincola in modo imperativo.

Infine, nella narrazione non mancano com’è ovvio le piccole grandi figure da lui incontrate, che l’autore sottrae come può all’oblio, con un’opera di autentica virgiliana pietas, soprattutto nella misura in cui emerge per contrasto il confronto con i figuri che invece hanno goduto e godono di ben altra visibilità e potere.

 

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