Atei Cristiani, Fondamentalismo Religioso e Relativismo Morale. Bernardino Montejano.

7 Maggio 2024 Pubblicato da 5 Commenti

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il prof. Bernardino Montejano, che rinhgraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione queste riflessioni su un dibattito in tema di ateismo e religione in Occidente, anche alla luce della sempre più ampia presenza islamica. Buona lettura e condivisione.

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UN ATEISMO GIUDEOCRISTIANO?

Su “La Nación” è apparso il 4 maggio un interessante articolo di Gonzalo Garcés, dal titolo “Tra scienza e religione, l’Occidente dibatte sul fondamento etico del suo culto”. In esso affronta la controversia tra membri del Nuovo Ateismo come Dawkins e Harris, con difensori della tradizione religiosa, come Jordan Peterson.

Richard Dawkins si definisce un “cristiano culturale, non lontano dalla scrittrice italiana Oriana Fallacci, morta qualche anno fa, che si dichiarava “atea cristiana” e molto lontano dalla nostra Carmen Argibay, “atea militante”.

Mentre l’Europa vive rinunciando alle proprie radici, il sindaco di Londra ha eliminato le decorazioni pasquali, ma ha celebrato il Ramadan, il mese di digiuno e preghiera per i musulmani, come prescrive il Corano, quel libro “che ci ha inebriati”, come afferma la scrittrice italiana citata.

Dawkins precisa: “culturalmente siamo un Paese cristiano. Non sono credente, ma amo gli inni devozionali, i canti natalizi e le cattedrali. Sarebbe orribile se sostituissimo il cristianesimo con una religione alternativa… Se devo scegliere tra cristianesimo e islam, scelgo il cristianesimo. Mi sembra una religione fondamentalmente dignitosa… sarebbe una catastrofe se il cristianesimo diventasse una religione minoritaria”.

L’autore sottolinea alcune contraddizioni di chi critica Israele come “le femministe che marciano a favore dell’Iran, Paese dove verrebbero giustiziate se non indossano il velo” e la sinistra “che oggi è diventata antisemita e si è innamorata della Sharia, la legge islamica che aspira a governare tutti gli aspetti della vita pubblica e privata”.

E ci chiediamo: può l’Occidente sopravvivere senza una religione che dia al suo modo di vivere legittimità, vitalità e forza? Il politologo Ben Shapiro risponde di no, perché “così come non si può avere una cattedrale senza il sentimento che l’ha ispirata, non si può avere la civiltà occidentale senza i valori giudeo-cristiani che l’hanno originata… e aggiunge che, se le sue radici giudaico-cristiane venissero tagliate, l’albero occidentale marcirebbe e degenera nel relativismo”.

Un canadese, Jordan Peterson, presenta la religione come una forma narrativa di saggezza e crede che le storie bibliche forniscano il miglior fondamento, e forse l’unico solido, per la struttura etica di cui si avverte la mancanza nelle nostre società. Ciò lo ha portato a discutere con Sam Harris, una delle figure del Nuovo Ateismo, che cerca un modo per evitare due catastrofi che considera simmetriche: il fondamentalismo religioso e il relativismo morale.

Quanto al fondamentalismo religioso, egli inorridisce davanti alla capacità della religione di promuovere il male e fa riferimento ai terroristi musulmani che, “armati di giubbotti esplosivi, si fanno saltare in aria, con la gioia di sapere che li aspettano le 72 vergini promesse dal Profeta, come i fondamentalisti che nel 2014 uccisero 145 bambini a Peshawar convinti di fare del bene, visto che sarebbero andati tutti dritti in paradiso”.

Per quanto riguarda il relativismo morale, dice che ce ne allontaniamo quando consideriamo buono tutto ciò che riduce la sofferenza.

Peterson sottolinea che “siamo incapaci di funzionare senza gerarchie di valore e dal momento in cui questa gerarchia esiste, non possiamo fare a meno di concettualizzare un Bene supremo, che chiamiamo Dio”.

Harris si rifiuta di ammettere che le narrazioni religiose siano un fondamento migliore per la nostra etica rispetto al ragionamento scientifico… inoltre, le religioni promettono una ricompensa nell’aldilà, qualcosa che giustifica le peggiori atrocità… Detto questo, Peterson sottolinea che i regimi ufficialmente atei , come l’Unione Sovietica o i Khmer rossi, avevano il proprio orizzonte trascendente sotto forma di paradiso socialista e lo utilizzavano efficacemente per giustificare i loro crimini. Ricordiamo inoltre il comandamento: “Non nominare il nome del Signore invano”: non si riferisce solo al giuramento, ma è anche il divieto di usare l’autorità divina per i propri interessi.

Secondo Harris, le storie religiose sono tentativi precoci e ammirevoli di stabilire verità morali… ma oggi dobbiamo lasciarci alle spalle l’infanzia e affermarci come adulti su principi razionali; al che Peterson risponde che la morale astratta non avrà mai la forza e la profondità delle storie religiose, in Occidente le storie giudaico-cristiane. Qui non dobbiamo dimenticare che dobbiamo accordare le Sacre Scritture con il Nuovo Testamento, alla pienezza della nuova ed eterna Alleanza.

Considerato l’assalto demografico del mondo musulmano, trovo interessante il dibattito in cui si mostra la preoccupazione degli uomini senza fede di preservare le proprie radici cristiane, che hanno fatto grande l’Occidente. Dobbiamo resistere. Moltiplicare le sacche di resistenza che già compaiono in Ungheria, Polonia, Slovacchia, Francia… per salvare il patrimonio ereditato.

Dio ci aiuti.

Buenos Aires, 6 maggio 2024.

Bernardino Montejano

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5 commenti

  • luca antonio ha detto:

    Stimata ed equilibrata Balqis, mi trova d’accordo sul cercare di cogliere certe aperture; ho contribuito, il 99% lo fa chiaramente Dio, a convertire un mio amico d’infanzia -comunista de fero – portandolo vedere opere d’arte in ogni chiesa e in ogni occasione; “tutta questa bellezza deve avere per forza un’ Origine, una Fonte ” ha concluso dopo 4 decenni di gite insieme.
    Rimane tuttavia il fatto che se ci si limita semplicemente a godere di quella bellezza fattaci conoscere da altri senza poi la ricerca del Vero, senza il sacrificio di sè nel trasmette quella bellezza, e senza testimoniarla con la propria vita, quella bellezza, col tempo scompare, o meglio, non avendo più il quadro di riferimento, rimane incomprensibile, diventa “invisibile”.

  • R.S. ha detto:

    Nell’attuale espressione culturale occidentale è forte la sensazione di fastidio per ciò che l’ha fondata e la tendenza a proporre una novità priva di fondamenta.
    La cultura che si vorrebbe condivisa assomiglia a un’invenzione che difetta di storia e si autoattribuisce la gloria. Gronda apparenza e se la fa bastare per valere.

    Da un punto di vista meccanico è un tritacarne: macina tutto e restituisce polpette farcite di esteriorità tatuata o pendula, rigorosamente priva di definitività.

    Ci finisce dentro anche la religione, perché chi crede di averne una se la ridice soggettivamente, perdendone i connotati solidi sostituiti da consolazioni psichiche.

    In questa grande fiera dell’errabondo incerto, risuona ancora, più strana, la domanda che venne posta a Gesù:
    “Nella Legge, qual è il più grande comandamento?”
    Una domanda tendenziosa rivolta a Gesù per metterlo alla prova quando il rigore farisaico delineava contorni molto precisi. Ma tendenziosa anche oggi, in una religione incapace di disegnare un contorno.

    Il vangelo usa in greco lo stesso verbo delle tre tentazioni nel deserto: si tratta infatti di una domanda dai risvolti sottilmente diabolici che ha un perimetro preciso: “nella Legge”…

    L’antico testamento identificava il comandamento con la Legge e Gesù afferma di non volerne cambiare nemmeno uno iota, eppure di essere venuto a darle compimento. Ecco il perché dell’interesse ancora valido oggi: lo sguardo di Gesù è sempre capace di portare dove è necessario per dare un senso alla sfida.

    Gesù trasgredisce il sabato solo per fare del bene, perché l’amore (Dio) ha il potere su ogni altro potere e non perché il sabato (o Dio) non abbiano più valore! Infatti il “comandamento nuovo” riassume tutto senza escludere nulla: Dio è amore e il rispetto di un suo comandamento non può tradursi in una mancanza d’amore. La creatura che ama Dio dà compimento alla Legge proprio perché ama e non perché viola i comandamenti.

    Gesù la Legge la conosce bene e risponde precisamente alla domanda tendenziosa postagli per metterlo alla prova: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”.

    Questo è il più grande e primo comandamento, che però rischia un cortocircuito: infatti con che cosa amo il prossimo? Con le unghie? Il cuore, l’anima, la mente e le forze sono già impiegate per amare Dio… Ma se amare Dio diventasse un motivo per non amare il prossimo qualcosa non quadrerebbe.

    Invece “il secondo comandamento è simile al primo: amerai il tuo prossimo come te stesso; da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”.
    Se il secondo è simile al primo e la Legge e i Profeti lo attestano, significa che va superata ogni possibile antinomia tra verità e libertà o tra la giustizia e la misericordia. In Gesù si compone ogni apparente inconciliabilità perché la Legge e i Profeti sono in vista di Cristo venuto a darne compimento senza negarne uno iota.

    Non posso ignorare il fratello amando Dio e tanto meno posso negare Dio per amore della creatura. Amando Dio in spirito e verità è automatico vivere la carità verso le creature, mentre chiamando “amore” ogni “filia” creaturale si può scivolare nell’idolatria, nel peccato e nel rifiuto della Legge di Dio.

    Gesù non dice banalmente di amare gli altri “come se stessi” in un circuito chiuso creaturale, ma di amare il prossimo (che esula dalla cerchia di quelli che ci sono più affini) come Dio (in Cristo) ci ha amati (Gv 13,34): “come io vi ho amato, così amatevi anche voi”. Un amore che può davvero operare perché i figli di Dio (per Grazia e non per Natura) diventino “una cosa sola” in quella comunione intratrinitaria che lega il Padre e il Figlio mediante lo Spirito che procede e riempie di Grazia santificante.

    Chi fa davvero la differenza? Il modo di essere di Cristo! A Lui convergono la Legge e i Profeti, da Lui discende la verità sull’amore che compie la Volontà di Dio e mette in pratica la Sua Legge. Da Lui proviene lo Spirito Paraclito con il quale i discepoli affrontano il pellegrinaggio tra la pienezza dei tempi e la fine dei tempi, dopo che Gesù ce l’ha dato restando presente nei sacramenti.

    Questo ci libera dalle nostre mezze misure: se amassi qualcuno solamente “come me stesso” qualora fossi uno che si ama poco, amerei poco; ma se la misura è Gesù allora amo al massimo possibile. Gesù dice di amare il prossimo non solo “come me stesso”, ma “come Dio mi ama” cioè “come io vi ho amati”: così Gesù rivela il volto di Dio.

    Se la Legge rimanesse fine a sé stessa l’amore per Dio sarebbe radicale (“con tutto il tuo cuore, tutta la tua anima e tutta la tua mente”), ma quello per l’uomo non lo sarebbe necessariamente. Nella Legge infatti non si dice di amare gli altri “con tutto il cuore, l’anima e la mente”, ma solo “come sé stessi” sulla scia di quel “come Dio ti ama”.

    Gesù dà compimento a ogni potenziale disparità e ambiguità affermando che il rovescio della medaglia (l’amore per il prossimo) è semplicemente e veramente l’altra faccia del primo. Dio lo si ama amando il prossimo, ovviamente restando nei comandamenti di Dio. Oggi c’è chi equivoca pensando di amare il prossimo senza amare Dio e senza bisogno di Dio, agendo come se Dio non esistesse! Con il pretesto di liberarci dalla Legge ci si è liberati di Dio!

    L’amare nella Carità è una disponibilità a morire a noi stessi e non un far morire gli altri e tanto meno un uccidere Dio. Tutt’altro di un “fare quel che ci pare”! Della Legge Gesù non toglie nemmeno uno iota amando in Grazia dell’amore di Dio!

    San Paolo nell’inno alla Carità scrive che se anche dessi tutto in elemosina o se mi spendessi per gli altri, ma non avessi la Carità, a nulla gioverebbe. Evidentemente la Carità non coincide banalmente con il “fare” quelle cose.

    Pensiamo allora alla povertà di chi disprezza la tradizione, la preghiera e i comandamenti, con la scusa di un culto rivolto all’uomo e alle sue voglie, riducendo Dio, se ancora Lo nomina, a una “scusa per”, al ribasso…

    L’amore di Dio è incondizionato, cioè senza compromessi, senza premi e senza meriti nostri. Chissà come mai, da creatura, c’è chi presume come condizione dell’amore anche quella di non riservare tutte le forze che abbiamo per amare Dio.

    Non inganniamoci: non basta “darsi da fare” nelle attività solidali per dirsi giusti (e tanto meno credenti in Cristo) dicendo di “aver fede” in Gesù. Si vede bene quando si è innamorati e quando si è solo interessati.

    C’è chi soffre vedendo Dio oltraggiato al punto che può rivolgersi al Signore dicendo così: “vedi Gesù, non ho mai sofferto in questo modo, ma Ti ringrazio, perché finché non ho patito questa croce non sapevo di poterti amare così tanto”.

    C’è chi spreca l’olio costoso per ungere il corpo di Cristo.
    E’ diseconomico, ma Gesù dice, “lasciala fare”!
    C’è tutto il valore di una sapienza che nessuna cultura egemone e superficiale può intercettare, mentre la Verità viene a intercettare la nostra miseria, per salvarla. Per salvare i poveri presenti presso di noi, senza lasciarli privi di Cristo, che è il vero rischio di questo tempo che ha rimosso il katechon.

  • luca antonio ha detto:

    “Dawkins precisa: “culturalmente siamo un Paese cristiano. Non sono credente, ma amo gli inni devozionali, i canti natalizi e le cattedrali. Sarebbe orribile se sostituissimo il cristianesimo con una religione alternativa”
    Imbarazzante superficialità, non se ne rendono conto di “atei devoti” che un Cristianesimo senza Cristo è un’assurdità ?, come dire …mi piace la nutella ma odio i produttori di cacao e voglio distruggere le piantagioni di nocciole.
    E anche l’appello finale “trovo interessante il dibattito in cui si mostra la preoccupazione degli uomini senza fede di preservare le proprie radici cristiane, che hanno fatto grande l’Occidente. Dobbiamo resistere.”
    è sterile, inutile.
    La grandezza dell’occidente è il frutto di enormi sacrifici personali – e di enormi doni Divini -, di vite spese nell’imitazione di Cristo; poter pensare di preservarne i frutti senza quel senso del sacrificio è pari al dichiarare una guerra, e andarci senza armi, solo perché presi dalla nostalgia del tempo in cui da piccoli giocavamo coi soldatini.

    • Balqis ha detto:

      Che i cosiddetti “atei devoti” si esprimano in un modo che, agli occhi di un credente, appare superficiale è, in fondo, cosa ovvia, essendo, appunto, atei. Sarebbe strano il contrario.
      Accettare il fatto di vivere in una società non cristiana, prendere atto che esistono altri modi di pensare e comportarsi è il primo passo da compiere per non essere condannati all’irrilevanza. Forse un simile rovesciamento di prospettiva potrebbe condurre ad uno sguardo diverso verso certe ovvie superficialità, interpretandole come labili inizio di percorsi personali di scoperta, da coltivare, cogliendo le occasioni che si presentano. In questo senso, forse una società non cristiana in un certo senso è preferibile ad una radicalmente anti-cristiana.

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