Considerazioni sulla Datazione del Libro dell’Apocalisse di San Giovanni Apostolo. R.S.

18 Novembre 2023 Pubblicato da 25 Commenti

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il nostro R.S., che ben conoscete, e che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione queste considerazioni sulla datazione dell’Apocalisse di Giovanni. Buona lettura e condivisione.

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Considerazioni sulla datazione del libro dell’Apocalisse di San Giovanni Apostolo

Stabilire l’epoca della rivelazione ricevuta da San Giovanni è importante e ci sono molte ragioni per dubitare della datazione che la vuole scritta all’epoca dell’imperatore Domiziano (che regnò dal 81 al 96 d.C.).

Questa ipotesi poggia quasi esclusivamente su una frase di Sant’Ireneo in “Adversus haereses” (V,30,3) del 180 d.C. circa.

Sulla base delle numerose informazioni reperibili risulta più logica ed attendibile una data decisamente anteriore.

San Giovanni racconta la rivelazione ricevuta sull’isola di Patmos non lontano da Efeso (circa 50 Km in linea d’aria).

San Giovanni visse nei dintorni di Efeso con Maria Santissima fino alla data della morte ed assunzione della Madre di Dio.

Mentre scrive Apocalisse, dice di essere imprigionato sull’isola. Chi ve l’aveva confinato? Probabilmente i Romani, che associavano i profeti e le loro profezie a pratiche magiche contrarie al bene comune, specie se con implicazioni politiche.

Le piccole isole delle Sporadi erano perfette per isolarvi dei potenziali mestatori (così Plinio nelle Storie, 4.69-70 e Tacito negli Annali, 4.30).  Patmos ha una funzione storicamente attestata come carcere romano.

Nei tre anni vissuti da San Paolo ad Efeso (53, 54 e 55 d.C.) non c’è menzione di suoi contatti diretti con Giovanni, il quale in quel frangente poteva essere stato confinato a Patmos.

Anche San Paolo aveva sperimentato in quegli anni più di un procedimento legale nei suoi confronti, comparendo una prima volta davanti al fratello di Seneca, Junius Gallius Annaneus (Gallione in At 18,12), rappresentante l’autorità romana in Acaia dal 1/7/51 al 30/6/52 d.C. (è un dato certo, estrapolabile da iscrizioni a Delfi, scoperte nel 1905, datate con riferimenti al regno di Claudio), un anno e mezzo dopo essere giunto a Corinto al termine di una serie di tappe che avevano impiegato al minimo altri 6 mesi. Circa un lustro più tardi fu imprigionato a Cesarea (per due anni), prima di ottenere l’invio a Roma per sostenere la propria posizione di cittadino romano davanti a Cesare, sorbendosi un altro paio d’anni agli arresti domiciliari.

La persecuzione anticristiana, sobillata principalmente dalle sinagoghe, era dunque in atto ben prima di culminare in ostilità molto più pesanti sul finire del regno di Nerone e successivamente durante il regno di Domiziano.

Inizialmente i cristiani -che originavano dagli Ebrei sia da un punto di vista territoriale, sia come radici veterotestamentarie della fede- ebbero i primi scontri proprio con i Giudei e non con i Romani. I magistrati romani, a cui si rivolgevano i Giudei nel tentativo di togliere di mezzo i loro rivali, non erano troppo interessati a dispute teologiche di cui non comprendevano né l’essenza né le sottigliezze. In tale situazione, sebbene in semiclandestinità, i cristiani poterono espandersi nell’impero.

I primi veri fastidi diretti per l’imperatore -anche nell’Urbe, per questioni tra giudaizzanti e cristiani, riferite negli Atti degli apostoli e nella lettera ai Galati – nel 50 d.C. inducono Claudio a un decreto di espulsione dei Giudei da Roma.

Malgrado ciò le cose peggiorarono finché, dopo l’incendio di Roma del 64 d.C. di cui vennero accusati i cristiani, iniziò una vera persecuzione che condusse al martirio di San Pietro e San Paolo. Tacito descrive i supplizi a cui i cristiani furono vittima per opera di Nerone. Tuttavia, nonostante la loro presunta colpevolezza, i cristiani suscitavano pietà poichè puniti non per il bene pubblico, ma per la crudeltà di uno solo (Annales). Svetonio conferma che Nerone aveva mandato i cristiani al supplizio e li definisce “nuova e malefica superstizione”, senza però collegare il provvedimento specificamente all’incendio di Roma.

Più tardi, sotto il regno di Domiziano (81-96 d.C), i cristiani furono accusati di ateismo e di “adozione di usanze ebraiche”, le quali conquistavano sempre più anche importanti notabili romani.

Sant’Ireneo e la sua citazione

Sant’Ireneo fu discepolo di San Policarpo, il quale conobbe personalmente San Giovanni apostolo.

La sua frase che sarebbe così dirimente nel datare l’Apocalisse attorno al 95 d.C. si trova nella sua celebre opera “Contro le eresie”. E’ scritta riferendosi all’Anticristo e dice così: “Se avessimo dovuto proclamare apertamente, nel tempo presente, il nome dell’Anticristo, sarebbe stato detto da lui [l’apostolo Giovanni], che ha visto anche l’Apocalisse. Perché fu visto non molto tempo fa, ma quasi nella nostra generazione, alla fine del potere di Domiziano” (Adv. Hae . V, 30,3).

Nota bene: Nerone stesso si chiamava Lucio Domizio, aggiungendo una potenziale ambiguità, considerando che S. Ireneo visse e scrisse durante un periodo segnato dall’apostasia, riportando informazioni altrui.

Questa frase di per sé non determina certezze nello stabilire una data, tanto più che ha per soggetto l’Anticristo e non l’Apocalisse: nella Bibbia il termine “anticristo” è presente solo in due delle tre lettere di San Giovanni, ma non in Apocalisse. Sant’Ireneo dice semplicemente che San Giovanni era ancora vivo quando parve manifestarsi quanto descritto in Ap 13,8: “l’adorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell’Agnello immolato”. Ad essere adorata è la bestia, ma ciò non implica che la visione/rivelazione risalga a quel tempo. A portare a questa conclusione fu piuttosto Eusebio, nel IV secolo, in un passo (HE III, 18,3) dall’interpretazione ambigua della frase di Ireneo, la cui traduzione ha fatto propendere per l’ipotesi che ad essere visto/a al termine del regno di Domiziano non fosse Giovanni (il che è vero), ma la sua rivelazione/Apocalisse (il che è una forzatura). Il dubbio è forte.

Stabilito che di “certezze” da S. Ireneo non ne abbiamo, diventa interessante valutare molti altri criteri interni al testo che possono contribuire ad una sua datazione, anche in considerazione del fatto che alcuni storici dissentono sul fatto che all’epoca di Domiziano vi siano state persecuzioni anticristiane paragonabili a quelle neroniane.

Le chiese dell’Asia senza menzione del catastrofico terremoto che le colpì.

Tra le sette città alle cui chiese si rivolge il messaggio di Apocalisse c’è anche Laodicea.

Secondo Tacito (Annales) il terremoto disastroso che la rase al suolo fu nel settimo anno di regno di Nerone (60-61 d.C.).

Paolo giunse a Roma nei primi mesi del 59 d.C. e quindi in tempo per scrivere alcune lettere prima del terremoto. Nell’epistola ai Colossesi c’è un esplicito riferimento anche alle altre due città che sarebbero poi state distrutte (Laodicea e Gerapoli) nel medesimo istante. S. Paolo scrive ai Colossesi una splendida catechesi, ma senza alcun cenno al fortissimo terremoto abbattutosi sulla loro città. Anche nella lettera agli Efesini, sempre del periodo della prigionia a Roma, c’è un riferimento a Laodicea, senza notizia della catastrofe.

Questo indizio spinge inoltre a ipotizzare una composizione di Apocalisse di gran lunga anteriore a quella solitamente considerata (quindi prima del 60), riferendosi a Laodicea senza alcuna menzione al sisma che la devastò.

La setta dei Nicolaiti

Cacciati da Efeso, costoro erano attivi nelle restanti città dell’area e vengono nominati relativamente ad altre due delle sette chiese di Apocalisse: Pergamo e Tiatira. Mangiavano cibo offerto agli idoli, contraddicendo il minimo richiesto ai cristiani ed erano dediti alla fornicazione e al libertinaggio, risultando trasgressivi rispetto ad Atti 15,29 (“astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla impudicizia…”).

Si fa riferimento ad un culto di Baalam. Il problema è che costoro erano degli gnostici (sedicenti conoscitori delle profondità del mistero) che propalavano un loro insegnamento (avevano i loro apostoli, profeti e profetesse) in antitesi all’annuncio del vangelo, rendendo un culto misterico a Satana, equiparato per divinità al Dio rivelato da Cristo. Si tratta dei “falsi dottori” di cui parlano altre lettere cattoliche, logicamente attribuibili allo stesso periodo e alla stessa area.

La questione scottante, quasi assillante, in quel periodo

Compare anche nelle lettere di San Giovanni ed è un primo vacillare della fede cristiana, proprio perché Gesù, già attesissimo, non torna ancora e intanto il tempio di Gerusalemme sta raggiungendo fasti mai visti (i lavori saranno completati nel 64 d.C., anno dell’incendio di Roma), nel proliferare di sette gnostiche e di nugoli di falsi profeti.

E’ quasi martellante, ubiquitaria, la denuncia della minaccia dei “falsi dottori”: caratterizza quasi tutte le lettere cattoliche scritte in un ristretto numero d’anni, circoscritto tra il 55 e il 61 d.C.

Anche le lettere alle sette chiese dell’Apocalisse trattano l’argomento dei falsi profeti; così le altre di più autori, comprese le prime due di San Giovanni, raccomandando di non lasciarsi sedurre dagli anticristi. Questa emergenza costituisce la preoccupazione più sentita anche della seconda lettera di Pietro e della lettera di Giuda, molto simili tra loro; contraddistingue anche la seconda lettera a Timoteo, scritta quando Paolo è ancora agli arresti e solo Luca è con lui.

La lettera di Giuda, fratello di Giacomo il minore, non menziona la morte del cosiddetto “fratello del Signore” e nemmeno le due lettere di Pietro accennano al martirio del fratello Andrea: un indizio che quando furono scritte dovevano essere ancora vivi, pur percependosi l’approssimarsi di una svolta che in breve farà strage di molti degli Apostoli.

La prima lettera di San Pietro, con forti assonanze alle lettere ai Colossesi ed agli Efesini, la suggerisce contemporanea in virtù dei temi in essa trattati.

Non troviamo traccia del martirio di S. Giacomo il minore negli Atti degli apostoli (il cui racconto termina alla fine dell’anno 60 d.C.) e nella lettera agli Ebrei, che -se successiva- ne avrebbe trattato. S. Giacomo il minore fu giustiziato a Gerusalemme tra la Pasqua e la pentecoste del 62 d.C.

Il tempio di Gerusalemme

In Apocalisse si parla molto di Gerusalemme e del tempio, senza alcun riferimento alla sua distruzione. Se il tempio di Gerusalemme fosse stato già abbattuto, sarebbe stato un argomento forte da spendere, e invece … niente!

Giovanni è responsabile della sua misurazione, a conferma che il tempio a Gerusalemme c’era ancora (Ap 11,1-2)… “ma il cortile esterno del tempio, lascialo da parte, e non lo misurare, perché è stato dato alle nazioni, le quali calpesteranno la città santa per quarantadue mesi”.

La rivelazione data a Giovanni riguarda fatti che dovevano avvenire, anche tra breve (Ap 1,1). Nel 64 a Gerusalemme Gessio Floro prende il posto di Albino. Terminano anche i lavori del tempio, iniziati da Erode il grande nel 17 a.C.  Intanto, nell’estate del 64, Roma brucia.

Giuseppe Flavio riporta che si trattava di un’epoca in cui la gente era delusa da ciarlatani e falsi profeti che si pretendevano messaggeri di Dio (che sia un cenno a chi attendeva o minacciava la distruzione del tempio e invece se lo trovava davanti più fastoso che mai?).

Quattro anni prima dell’inizio della guerra, che cominciò nell’autunno del 66 d.C., mentre Gerusalemme festeggiava la festa delle capanne (inizio ottobre del 62 d.C.) in un clima di pace e prosperità, un certo Gesù figlio di Anania, un semplice contadino, in piedi nel tempio iniziò a gridare: “una voce dai quattro venti, contro Gerusalemme e contro il santuario, contro lo sposo e la sposa, contro tutto il popolo”. Quest’uomo gridò per i vicoli queste parole, giorno e notte.

Disturbati da tanta insistenza, lo arrestarono e castigarono, ma quello continuò imperterrito. Tra i magistrati ci fu chi intuì che agisse sotto un impulso soprannaturale e lo fece comparire davanti al governatore romano, ma pur flagellato non chiese una grazia e non versò una lacrima, ripetendo ad ogni colpo infertogli: “Guai a Gerusalemme”.

Quando Albino gli chiese chi fosse, da dove venisse e perché insistesse con tali parole, non ricevette risposta, ma solo ulteriori grida, tanto che Albino lo considerò un pazzo e lo liberò. In tutto il tempo che trascorse prima dell’inizio della guerra, continuò a ripetere come una litania: “Guai a Gerusalemme!” senza maledire chi lo colpiva e senza benedire chi gli dava del cibo. E durante le feste gridava ancora di più. Continuò per sette anni e mezzo, instancabile, finché durante l’assedio della città, che confermò i presagi, fu ucciso (nel marzo del 70) da un colpo di pietra scagliata dai frombolieri.

Impressionanti anche i dettagli descritti da Giuseppe Flavio (Guerre Giudaiche libro V, capitolo V), degli strani segni (sette…) che accaddero nel 66 d.C.

1-una stella a forma di spada (o di croce) restò sopra Gerusalemme, insieme a una cometa (quella di Halley transitò nel gennaio del 66 d.C.) per un anno. A molti ricordò quanto disse Gesù in Matteo 24,30-31: “Allora comparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sopra le nubi del cielo con grande potenza e gloria. Egli manderà i suoi angeli con una grande tromba e raduneranno tutti i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli”. Ma anche in Apocalisse…

2-al tempo della festa degli azzimi (nel 66 a fine marzo), il giorno 8 di nisan, all’incirca alle tre di mattina, una luce sfavillante scaturì dall’altare, nel tempio, tanto che sembrò come se fosse pieno giorno. La cosa durò per mezz’ora.

3-una mucca, portata da qualcuno in sacrificio, poco prima di essere uccisa partorì un agnello nel cortile del tempio.

4-la porta posta ad est nel cortile interno del tempio, tanto massiccia che per la chiusura serale richiedeva l’intervento di venti uomini (sprangata da barre metalliche e fermata da un grosso blocco di pietra) fu osservata aprirsi da sola a mezzanotte. Le guardie corsero ad informare il loro comandante e insieme riuscirono faticosamente a richiuderla.

5-Non molti giorni dopo la festa del 21 liyar (maggio del 66 d.C.) poco prima del tramonto fu visto da molti testimoni increduli e in tutta la Giudea questo fenomeno: carri militari volanti in cielo e battaglioni armati precipitanti dalle nuvole.

6-Durante la festa di pentecoste (maggio del 66 d.C.) i 24 sacerdoti entrando nel cortile del tempio durante la notte riferirono di aver udito un forte rumore e poi un coro, come un esercito che diceva: “Noi quindi ce ne andiamo di qui”.

Siamo esattamente 33 anni dopo il giorno in cui gli Apostoli ricevettero lo Spirito Santo iniziando la predicazione del vangelo.  La guerra giudaica iniziò nel 66 d.C. e per concludersi tragicamente nel 70 d.C. con la distruzione del tempio.

Strano davvero non farne alcun cenno in uno scritto successivo (Ap 11,8), il che non riguarda solo Apocalisse, ma l’interezza degli scritti del Nuovo testamento, evidentemente tutti anteriori al 70 d.C.

Ovviamente nella datazione e nella comprensione di Apocalisse cambia tutto se è stata scritta prima o dopo il 70 d.C.

Altre peculiarità del testo di Apocalisse

Gli scritti apostolici comparsi tra il 47 e il 63 d.C. si fanno eco vicendevolmente per alcuni dettagli, evidentemente di attualità e significativi sotto il profilo storico, geografico e culturale, come ad esempio la spada a doppio taglio (Apocalisse 1,16 – 2,12 e 19,15 ed Ebrei 4,12), presente anche in Efesini 6,17 con reminiscenza di Isaia 49,2.

Frequente l’utilizzo del simbolo dell’Agnello, evidentemente collegato al suo sacrificio che salva. In Apocalisse il vocabolo ricorre 36 volte, distribuite in quasi tutti i capitoli; nel restante Nuovo Testamento compare 4 volte di cui 2 nel vangelo di Giovanni. L’Agnello è ostia-vittima (quindi un riferimento eucaristico), è mangiabile (rimanda “al mangiare la pasqua” di Gesù con i discepoli), è mansueto nell’immolazione e rinvia alla prima predicazione (Filippo e l’eunuco, cit. Isaia)…

In Apocalisse si leggono sette beatitudini legate alla ricezione del testo (es. gli invitati al banchetto nuziale dell’Agnello).

Comune agli scritti apostolici coevi è un gran parlare di angeli: in Ebrei, 1 Pietro (3,22 e 4,7), Efesini (cap. 1,2,3 e 6) e Colossesi.  In Apocalisse c’è una grandiosa presenza di angeli: il vocabolo (come angelo/angeli) si trova una settantina di volte, che sono moltissime se si pensa che in tutta la Bibbia sono circa 320.

Inoltre il riferirsi a Gesù come l’alfa e l’omega (tipico di Apocalisse), il principio (tipicamente giovanneo, prologo del quarto vangelo) e la fine, il primo e l’ultimo, colui che era, che è e che viene, il Vivente (espressione frequente anche nella lettera agli Ebrei).  Notevoli pure le immagini della falce, dello stagno di fuoco e zolfo, del dragone, della corona della vita, della stella del mattino (seconda lettera di San Pietro) e dell’albero della vita, con un potente rimando a Genesi, per un’icona fortemente mariana affidata alla difesa dei Cherubini dopo la cacciata da Eden e promessa quale grembo per il Verbo fatto carne.

Gli anni di redazione del Nuovo Testamento 

Si è soliti dire che Apocalisse è l’ultimo libro del Nuovo Testamento, ma è possibile che non sia così dal momento che è possibile rinvenirne qualche eco in altri scritti neotestamentari. Prima di addentrarci in questa ipotesi è utile un breve sguardo sui tempi di redazione dei vangeli sulla base degli indizi presenti nelle lettere paoline.

San Paolo scrive da Efeso ai Corinti, nel 55 d.C., invitandoli a guardarsi da scismi ed eresie: malgrado fossero trascorsi solo una ventina d’anni dalla Pasqua di resurrezione il problema c’era già, e grosso. La Chiesa aveva già dovuto convocare il primo concilio (49 d.C.) per dirimere alcune questioni molto divisive.

San Luca fu compagno di viaggio di Paolo dal 50 al 60 d.C. circa. Dal capitolo 16 degli Atti (nel 50 d.C., visto che Paolo fu a Corinto nel 51, data certa per il riferimento al proconsole Gallione), S. Luca scrive raccontandosi nel testo in prima persona: non più come storico, ma come cronista.  Fino al 49 d.C. invece descriveva i fatti in terza persona.  In ogni caso è certo che negli anni cinquanta circolasse già l’Evangelion di Luca: la buona notizia scritta e ne troviamo traccia già nella seconda lettera ai Corinti (8,16-18): “con lui abbiamo inviato anche il fratello che ha lode in tutte le chiese a motivo del vangelo”. La seconda lettera ai Corinti è scritta poco dopo i tumulti di Efeso.

Se Luca è già famoso come autore del vangelo nel 55 d.C., è presumibile che il suo scritto circolasse da qualche anno. Poiché Luca attesta anche di non essere il primo a scrivere un vangelo. Il suo è ricco di informazioni che potevano essere note solo a Maria e sappiamo che Maria visse lungamente con San Giovanni fino all’assunzione in cielo (databile al 47 d.C. facendo tesoro delle visioni di Suor Caterina Emmerick).

I vangeli di S. Matteo e di S. Marco sono precedenti, mentre per quanto riguarda il quarto vangelo è interessante che il celeberrimo prologo è teso a rintuzzare le derive gnostiche, cioè quelle di scuole di pensiero quali i nicolaiti e gli ebioniti, sette già attive anche a Gerusalemme, in un periodo che conosceva un pullularvi di visionari e sedicenti messia che coinvolsero anche Paolo all’arrivo in città per la pentecoste del 56 d.C.

Nella lettera ai Colossesi (del 59 d.C.) c’è un inno che ricorda il prologo del vangelo di Giovanni (Col 1,13-20 e 2,9-11).

Sembra proprio che Paolo lo conoscesse quando inviò la lettera scritta dalla prigione a Roma.  Inoltre nel vangelo giovanneo si parla al presente della piscina presso la Porta delle pecore (Gerusalemme non è stata ancora distrutta). Questi particolari attestano la stesura del vangelo di Giovanni al più tardi attorno al 60 d.C. I vangeli sinottici c’erano già.

Osservando sinotticamente i vangeli di San Luca e San Giovanni, come proposto nella successiva tabella, si può notare una indiscutibile complementarietà tra i due testi.

 

 

San Paolo scrive da Efeso ai Corinti, nel 55 d.C., invitandoli a guardarsi da scismi ed eresie: malgrado fossero trascorsi solo una ventina d’anni dalla Pasqua di resurrezione il problema c’era già, e grosso. La Chiesa aveva già dovuto convocare il primo concilio (49 d.C.) per dirimere alcune questioni molto divisive.

San Luca fu compagno di viaggio di Paolo dal 50 al 60 d.C. circa. Dal capitolo 16 degli Atti (nel 50 d.C., visto che Paolo fu a Corinto nel 51, data certa per il riferimento al proconsole Gallione), S. Luca scrive raccontandosi nel testo in prima persona: non più come storico, ma come cronista.  Fino al 49 d.C. invece descriveva i fatti in terza persona.  In ogni caso è certo che negli anni cinquanta circolasse già l’Evangelion di Luca: la buona notizia scritta e ne troviamo traccia già nella seconda lettera ai Corinti (8,16-18): “con lui abbiamo inviato anche il fratello che ha lode in tutte le chiese a motivo del vangelo”. La seconda lettera ai Corinti è scritta poco dopo i tumulti di Efeso.

Se Luca è già famoso come autore del vangelo nel 55 d.C., è presumibile che il suo scritto circolasse da qualche anno. Poiché Luca attesta anche di non essere il primo a scrivere un vangelo. Il suo è ricco di informazioni che potevano essere note solo a Maria e sappiamo che Maria visse lungamente con San Giovanni fino all’assunzione in cielo (databile al 47 d.C. facendo tesoro delle visioni di Suor Caterina Emmerick).

I vangeli di S. Matteo e di S. Marco sono precedenti, mentre per quanto riguarda il quarto vangelo è interessante che il celeberrimo prologo è teso a rintuzzare le derive gnostiche, cioè quelle di scuole di pensiero quali i nicolaiti e gli ebioniti, sette già attive anche a Gerusalemme, in un periodo che conosceva un pullularvi di visionari e sedicenti messia che coinvolsero anche Paolo all’arrivo in città per la pentecoste del 56 d.C.

Nella lettera ai Colossesi (del 59 d.C.) c’è un inno che ricorda il prologo del vangelo di Giovanni (Col 1,13-20 e 2,9-11).

Sembra proprio che Paolo lo conoscesse quando inviò la lettera scritta dalla prigione a Roma.  Inoltre nel vangelo giovanneo si parla al presente della piscina presso la Porta delle pecore (Gerusalemme non è stata ancora distrutta). Questi particolari attestano la stesura del vangelo di Giovanni al più tardi attorno al 60 d.C. I vangeli sinottici c’erano già.

Osservando sinotticamente i vangeli di San Luca e San Giovanni, come proposto nella successiva tabella, si può notare una indiscutibile complementarietà tra i due testi.

Dal punto di vista di Roma, sempre nel 58, Nerone stanco del caos e dell’incapacità di Felice che aveva scontentato tutti, decide di sostituirlo con Porcio Festo ed è lui, appena giunto, a inviare Paolo a Roma, come richiesto, essendosi subito interessato del suo caso.  Esistono delle monete fatte coniare da Festo datate il quinto anno di Nerone (58-59): in genere i procuratori romani entravano in carica sul finire della primavera, quando il clima era più favorevole al viaggio per mare.

L’eco di Apocalisse in altri scritti neotestamentari

Tutti i dati raccolti indicano che Apocalisse è un testo molto attuale nel periodo tra il 50 e il 60 d.C. e possiamo rileggere il tutto senza partire dal presupposto che sia uno scritto che data all’incirca al 90 d.C.

Le persecuzioni annunciate erano in parte in corso e in parte imminenti.

Lasciata Efeso, Paolo entra in Macedonia dove rimane 3 mesi. Sverna in Grecia poi nell’anno 56 d.C. (Atti 20,3) torna indietro passando dalla Macedonia. In primavera salpa da Filippi (Atti 20,6) per essere a Gerusalemme in tempo per la pentecoste nell’anno 56, passando per Mileto dove tiene il famoso discorso.

Efeso logicamente potrebbe essere stata, con Mileto, una delle prime città raggiunte dal testo della Rivelazione/Apocalisse ricevuta da San Giovanni a Patmos.  Ebbene, nella prima lettera ai Corinti, scritta da Efeso al termine del 55 d.C.  si legge (15,51-52): “Ecco io vi annunzio un mistero: non tutti, certo, moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati”: rimandi ad Apocalisse?

Anche la lettera agli Ebrei contiene spunti che potrebbero derivare da Apocalisse (capitoli 3, 5, 7, 14, 20 e 21): il monte Sion, la Gerusalemme celeste, la grande angeologia, l’assemblea dei primogeniti, lo spirito dei giusti e Gesù mediatore, l’aspersione del sangue…

Leggiamo infatti (Eb 12,18-24): “Voi infatti non vi siete accostati a un luogo tangibile e a un fuoco ardente, né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano che Dio non rivolgesse più a loro la parola; non potevano infatti sopportare l’intimazione: Se anche una bestia tocca il monte sia lapidata. Lo spettacolo, in realtà, era così terrificante che Mosè disse: Ho paura e tremo. Voi vi siete invece accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell’aspersione dalla voce più eloquente di quello di Abele”.

Essendo improbabile che l’autore dell’Apocalisse abbia letto la lettera agli Ebrei è più logico il contrario, rimanendo ispirato dalle potenti immagini del libro di Giovanni.

Questi rimandi storici permettono di datare al meglio tutti gli scritti apostolici e per quanto riguarda Apocalisse, un’ipotesi ragionevole è che il libro sia precedente alla prima lettera ai Corinti.

Giovanni morì molto vecchio, ma scrisse nel fiore degli anni

L’apostolo Giovanni era giovanissimo quando fu con Gesù (meno che ventenne). Quando Maria fu assunta in cielo, l’apostolo che Gesù amava aveva poco più di trent’anni. All’epoca della prigionia a Patmos poteva averne una quarantina.

Nel quarto vangelo San Giovanni riporta quasi stenograficamente il lungo discorso di Gesù dopo l’ultima cena: gli sono dedicati ben quattro interi capitoli, dal 14 al 17. Anche la visione/rivelazione di Apocalisse viene scritta con dovizia di particolari. In entrambi i casi si tratta di “appunti” vividi, non datati, non rielaborati.

Nel caso del lungo commiato di Gesù è stata proposta l’ipotesi di recitativi mandati a memoria, trasmessi oralmente, con una modalità non estranea alla cultura ebraica (così Pierre Perrier, in “Vangeli dall’orale allo scritto”).

Anche per la visione di Apocalisse avrebbe poco senso metterla per iscritto decenni dopo aver visto e ascoltato le immagini e le parole impressi nella memoria di un giovane uomo dotato di un’acutezza non comune e della purezza di cuore della quale Dio si è servito. Un’altra considerazione: mentre i tre vangeli sinottici riportano i discorsi apocalittici di Gesù (che si leggono in avvento), San Giovanni non lo fa: forse perché aveva già scritto tutto il necessario?

Quando San Giovanni lasciò Patmos? Non si sa, ma presumibilmente al termine delle persecuzioni volute da Nerone.  Prima del disastro di Gerusalemme e prima della tragedia di Pompei ed Ercolano, nel 79 d.C. terrificante per tutti i contemporanei.

Successivamente San Giovanni potrebbe aver vissuto le (più blande?) persecuzioni avvenute sotto Domiziano.

Le fonti storiche attribuiscono a Giovanni una morte in tardissima età (almeno novantenne), per cui poteva essere certamente vivo ai tempi della persecuzione sotto Domiziano, ancora in tempo per conoscere ed istruire Policarpo, che fu suo discepolo e divenne vescovo di Smirne durante il regno di Traiano.

L’Apocalisse per un tempo a venire, che giunge fino al nostro

Il dragone si è servito della bestia (l’anticristo) per soggiogare i re della terra, avvalendosi per la propaganda del falso profeta che recita con tutte le maschere possibili.

Il libro dell’Apocalisse apre lo sguardo ad uno scenario che la storia degli uomini non potrebbe immaginare: una caduta istantanea di tutte queste realtà, che altrimenti ci costringerebbero ad attendere il prevalere di questa o quella, secondo le nostre ingannevoli simpatie, mentre sopra c’è chi le usa da burattini, sempre contro Cristo.

La disfatta della bestia, dei re, del falso profeta sarà istantanea (Ap 18,21)…

E’ davvero materia di fede e non di studi e di calcoli terreni. La storia ha tempi lunghi, ma Satana ha un regno a tempo, per manifestarsi slegato al termine di mille anni dopo la distruzione di Babilonia e prima dell’epilogo glorioso dei tempi.

Satana sta avendo un tempo per sé stesso, ma i credenti attendendo le Nozze dell’Agnello e di abitare la Gerusalemme celeste possono vivere le beatitudini consegnateci da San Giovanni in Apocalisse che non è una minaccia della fine di tutto, ma di un mondo, del suo principe, della schiavitù in cui inganna, incarcera e confonde l’umanità amata da Dio.

Maranatha.

Amen.

R.S.

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25 commenti

  • Francesco ha detto:

    Articolo molto interessante ma che non tiene conto del fatto che l’autore dell’Apocalisse con tutta probabilità non è Giovanni apostolo, come già evidenziato fin dai primi secoli. A tal proposito si legga ad esempio l’edizione italiana del Nuovo Grande Commentario Biblico (Queriniana), che a proposito dell’autore dell’Apocalisse dopo una lunga disamina conclude (p. 1307): “sembra più opportuno concludere che l’autore era un profeta appartenente alle prime comunità cristiane, di nome Giovanni, altrimenti sconosciuto”.

  • OCCHI APERTI! ha detto:

    Premetto che non è questo il mio pane, affatto; pertanto è solo per arricchire di ulteriori dati le considerazioni – già ricchissime – di R.S. che mi accingo a condividere qualche mio appunto, che riassumo alla meno peggio, spero, da fonti che rispondono agli standard scientifici più aggiornati e che NON provengono da internet ma che si rintracciano nei team di maggiori esperti, i cui studi – oggi a disposizione di tutti, pubblicati in vari dizionari biblici e commentari – fanno scuola ufficiale (sarebbe interessante sentire in proposito il nostro DON ETTORE BARBIERI, che leggo sempre e saluto o il nostro DON PIETRO PAOLO che ci manca da un pò).

    La tradizione patristica – non ci si può fermare solo a Ireneo ed Eusebio (che pone esattamente la deportazione di San Giovanni a Patmos il 14°anno di Domiziano e cioè nel 95): anche Girolamo, Vittorino, Clemente Alessandrino e Origene, per esempio, sono punti di riferimento dei maggiori esperti di esegesi per gli studi di datazione dell’Apocalisse – riteneva Ap databile intorno al 81-96 d.C., sul finire del regno di Domiziano.

    Ma oltre alle PROVE ESTRINSECHE forniteci dagli scritti dei più antichi Padri della Chiesa (ritenute all’oggi più che valide), andrebbero considerate anche le PROVE INTRINSECHE (su cui mi pare sostanzialmente si basi la tesi del nostro R.S.), cioè quei riferimenti storici, rintracciabili nel testo, che danno ulteriori indicazioni circa la datazione.
    Alcuni esperti, infatti, suggeriscono come principio metodologico il datare l’opera secondo il fatto storico più recente accennato in essa.

    Ciò detto Ap (11, 1-2) sembra far comprendere che il Tempio di Gerusalemme, al momento della composizione del testo, non fosse ancora stato distrutto; motivo per cui un protestante inglese (vescovo anglicano, per la precisione – Robinson), ritenne fondato pensare che il libro in questione risalisse a prima del 70 (sotto il regno di Vespasiano).

    Altri esegeti sostenevano, invece, che questo medesimo passo appartenesse a una fonte semplicemente fatta propria da Giovanni, senza che nessuno potesse confutarli.
    E già qui sorge un problema, perché siamo di fatto nel campo delle deduzioni; “si lavora di congettura”, proprio come diceva STILOBATE, non potendo addurre prove alla propria “convinzione”.

    Ci sarebbe altro da dire riguardo al motivo per cui alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi di una datazione anteriore, ma il tempo fugge e procedo oltre perché, a detta dei più qualificati sul campo, tra cui spicca Adela Yarbro Collins (vedasi sul web il curriculum), vi è una prova che rende altamente improbabile che Ap sia stata redatta prima della distruzione del Tempio di Gerusalemme e cioè l’uso frequente di “Babilonia”, per l’implicazione che Roma è il più antico antìtipo di quella città (ricordo che in ambito esegetico tipo sta per “ombra”, antìtipo per “realtà”; esemplificando: l’Eucaristia è l’antìtipo della manna, la manna, tipo dell’Eucaristia; quindi Babilonia tipo di Roma, ma andrebbe aperta una parentesi enorme qui perché Babilonia, ovviamente, non è solo tipo di Roma…).

    Dice la Collins:

    “La maggioranza dei commentatori ha riconosciuto che in Ap Babilonia è il simbolo di Roma, ma in questo non hanno intravisto implicanze per la datazione del libro. “Babilonia” è comunemente considerata un simbolo della grande lussuria, del potere politico o decadenza. Tuttavia, una interpretazione storicamente attenta a questa tipologia DOVREBBE TENER PRESENTE COME SI ESPRIME IL LINGUAGGIO TIPOLOGICO EBRAICO del medesimo periodo in merito a Roma. Oltre a “Babilonia”, nelle fonti ebraiche risalenti al periodo del secondo tempio e nella letteratura rabbinica, “Egitto”, “Kittim” e “Edom” sono altrettante designazioni tipologiche di Roma. …L’affinità tra le due città consiste nell’avere distrutto il Tempio di Gerusalemme. E’ probabile che Giovanni abbia appreso questa tradizione dai suoi fratelli di fede giudei oppure che il suo modo di pensare fosse analogo a quello nei testi sopra citati. In conclusione, l’uso di questa tipologia implica fortemente che Ap … sia stata composta dopo il 70. Le rimanenti prove intrinseche sono compatibili con una data posteriore al 70. Sembra, dunque, che non esistano motivi cogenti per mettere in dubbio la datazione tradizionale attestata da Ireneo e da altri scrittori cristiani del II sec., cioè la fine del regno di Domiziano (95-96 d.C.)”.

    Nell’articolo poi, molto denso di spunti, si sottolinea l’importanza di stabilire una datazione – capire se anteriore al 70 o se risalente al 95circa – e questa importanza viene data per ovvia, senza ulteriori chiarificazioni.
    Immagino allora ci si riferisca al fatto che, se anteriore al 70, l’Ap potesse riferirsi a fatti di quel periodo, mentre se la datazione è posteriore l’Ap è più facile supporre si riferisca a qualcosa di non legato a quel momento storico ma futuro.

    Se non ho capito male, allora, opterei per la veridicità di una datazione intorno al 95: Apocalisse è un libro che parla e deve parlare a ogni epoca e generazione.

    Aggiungo una seconda considerazione del tutto personale: ritengo più probabile Ap sia stata scritta intorno al 95 anche per via dell’età che San Giovanni poteva avere in quell’anno: una età matura – soprattutto spiritualmente – per ricevere il peso di una Rivelazione così immensa.

    Ma tutto ciò, ripeto, non è il mio pane e ho solo da apprendere. Resto in attento ascolto di tutt’altre riflessioni in proposito, se mi verranno proposte.

    Accenno anche brevissimamente che Apocalisse – oltre alla datazione – presenta discussioni interessanti sull’autore e sul greco utilizzato (aspetto, questo, che dovrebbe essere rivelativo dell’autore).
    Tutte questioncine molto relative, anzi, del tutto marginali per una esegesi spirituale e, soprattutto, per chi prega e contempla con questo testo – così intimamente legato ai testi veterotestamentari -ma molto interessanti per chi guarda anche ad aspetti più “terreni” e storici.

    Carissimo R.S., ancora grazie: notevole la passione che trasmette (e che coinvolge!), anche su un aspetto per me marginale – come quello della datazione – del libro dell’Apocalisse.

    • R.S. ha detto:

      Molto interessante.

      A mio avviso il punto focale è quello di chi oppone a quelli che sono dei fatti (su tutti la data del terremoto che distrusse Laodicea e il tempio ancora integro, perchè se fosse già stato distrutto nel 95 sarebbe sicuramente stato un argomento che lascia eco) l’ipse dixit derivato da una congettura dovuta all’interpretazione (forzata) di una frase di S.Ireneo che ho cercato di illustrare. Il ritenerle più che valide meriterebbe almeno una spiegazione che vada oltre l’ipse dixit, altrimenti è solo una congettura.

      Tutto il Nuovo testamento era stato scritto e diffuso prima del 70 e non si può ogni volta dire che ciò che c’è di disturbante la tesi contraria derivi da interpolazioni successive. Se avessero scritto dopo sarebbero stati molto più espliciti, non vi pare? E comunque la condizione del tempio e la centralità non è riferibile al solo passo di Ap 11.

      Babilonia è Roma? Potrebbe anche essere Gerusalemme, per due motivi: perchè il Signore vi è morto (e risorto) e perchè dopo l’ampliamento della cionta muraria voluto da Erode Agrippa all’interno delle mura gerosolomitane vi erano sette colli, come a Roma.
      Le argomentazioni della Collins mi paiono deboli.

      Giovanni scrisse non prima del 70, ma prima del 60!
      Il perchè è spiegato: non è un dogma di fede, ma dà numerosi appigli da afferrare, anzichè scalare le idee di chi sostanzialmente non ammette proprio certe profezie andate a segno.
      Giovanni nel 95 non aveva un’età matura, ma senile.
      Perchè dovrebbe scrivere ottantenne e non prima?

      Grazie per l’attenzione.

    • Luigi ha detto:

      L’identificazione di Babilonia con Roma non è esegeticamente e storicamente attendibile. Essa risente troppo dell’esegesi antiromana di matrice ebraica e protestante. In realtà Babilonia non è Roma ma il simbolo di qualsiasi potere politico umano che si pretende autonomo da Dio. Mentre Roma, l’ultimo dei quattro imperi della profezia biblica di Daniele inerente la periodizzazione del tempo futuro del Messia venturo, è stata nel disegno divino lo strumento per ordinare ad unità i popoli nella prospettiva dell’Avvento del Signore. Allego il link di una intervista all’esegeta Fabrini che spiega la questione
      https://www.30giorni.it/articoli_id_636_l1.htm
      Si veda anche
      http://www.30giorni.it/articoli_id_293_l1.htm

      • OCCHI APERTI! ha detto:

        Avevo aperto infatti una parentesi su Babilonia/Roma e ringrazio del suo contributo che va nel dettaglio.

        D’altro canto, il tema scelto da RS lascia aperte tantissime precisazioni.
        I pro e i contro andrebbero tutti attentamente vagliati.
        Non si è parlato poi della particolare forma letteraria di Ap… Anche quest’ultima potrebbe incidere sulle prove intrinseche, per esempio.

  • andrea carancini ha detto:

    Un grazie all’autore dell’articolo (e al responsabile del sito) per questo prezioso contributo!

  • Prov ha detto:

    Al di là della narrazione, precisa o meno, è bello, utile e meritorio calarsi anche nella realtà del mondo.
    Paolo, Giovanni e chiunque altro – Gesù compreso – vivevano sulla terra ed erano immersi nel divenire continuo del tempo.
    La storia, letta a servizio della rivelazione e della Verità, ha pertanto un sapore ed un valore ben diverso dalla quotidianità banale e noiosa che vorrebbero farci credere.
    Grazie!

    • OCCHI APERTI! ha detto:

      Bellissimo contributo; molto profondo.

      Ringrazio.

      • R.S. ha detto:

        Verissimo.

        Dio ha dato inizio al tempo, “in principio”.

        Gesù è venuto “nella pienezza del tempo”.

        Tornerà al “compimento dei tempi”.

        Appassionato alla storicità dei vangeli, tra tanti che ne farebbero volentieri un mito, una saga o una leggenda, ho capito soltanto che Dio tiene saldamente in pugno la storia degli uomini.

        Qualche potente potrebbe facilmente eliminare quelli come me, ma non cambierebbe il corso della storia.

        E’ una grande consolazione per chi confida in Dio che nella sua Parola ha lasciato abbondantissime tracce della storia (es. prima lettura odierna, libro dei Maccabei, tra l’altro attualissimo).

        • OCCHI APERTI! ha detto:

          La leggo solo ora, carissimo, avendo scritto circa due ore fa a un Mastro Titta in vesti liturgiche 🙂 sulla attualità dei Maccabei… e allora non si può proprio non ringraziare Dio sul vero senso della Liturgia… che è proprio UNIRE (come diretta conseguenza per aver posto Dio al centro)…un cuor solo un’anima sola… se si resta innestati alla Vite…

          Altrimenti siamo solo tralci disseccati.

          La Liturgia è la forma, l’abito della “cattolicità”: rende non tutti ma OGNUNO, in Cristo, universale.

          Dovremmo ben riflettere tutti su questo, divisi come siamo…

          Cristo al centro! Dio servito per primo!

        • OCCHI APERTI! ha detto:

          “Il tempo è la memoria di Dio”: è una conclusione che mi ha raggiunto come un fulmine a ciel sereno diversi anni orsono ormai.

          Quindi la sua passione per la storicità, stando alla mia conclusione, è uno scandagliare nei ricordi di Dio, Onnipresente nella vita dell’Uomo. Una bellissima passione.

  • Stilobate ha detto:

    Onore all’impegno. Nell’articolo vi sono diversi spunti interessanti. Ovviamente si lavora di congettura, non potrebbe essere altrimenti. L’argumentum e silentio, per esempio, è sempre un terreno incerto. Il fatto, poniamo, che nelle lettere di Tizio a noi giunte dopo secoli non sia menzionato quel certo Caio che egli ben conosceva e che in quegli anni era magari suo vicino di casa, può essere un labile indizio, ma nulla più. Comunque l’operazione dell’articolista è, secondo me, lodevolissima e degna di interesse.

    • R.S. ha detto:

      Grazie per l’interesse e chiedo scusa per una ripetizione nel testo, intervenuta in fase di immissione nel sito… le righe mancanti avrebbero aggiunto un altro elemento, sulla situazione del 56. È vero che ci sono delle congetture, ma c’è anche molta storia e riferimenti certi. Non così accade per chi dà per certo quel che è congettura, sia nel datare vangeli e apocalisse dopo il 70, sia nel presentare per incontrovertibile l’opzione di Domiziano, che non è data come vorrebbero costoro dallo scritto di sant’Ireneo.
      I fatti del 66 descritti da Giuseppe Flavio sono impressionanti.

      • Stilobate ha detto:

        Ma grazie a Lei, R.S. L’Apocalisse è un libro così bistrattato negli ultimi tempi (o forse dovrei dire nei tempi ultimi).
        A Lei un cordiale saluto.

  • Terminus ha detto:

    C’est dommage ! Un si grand article pour tirer une conclusion tout à fait fausse et inutile parce qu’elle trompe les gens sur la réalité de l’Antéchrist et de son époque :

    ”Le dragon a utilisé la bête (l’Antéchrist) pour soumettre les rois de la terre, en utilisant le faux prophète qui agit avec tous les masques possibles pour la propagande.”

    C’est à croire qu’il s’agit d’une erreur volontaire et passe-partout.
    Il faut donc rappeler une fois de plus quelques éléments essentiels qui permettent de ne pas se laisser égarer par de faux prophètes et de fausses prophéties :

    1) comme l’explique très bien Wikipedia, la définition de ”Antéchrist” ne signifie pas ”qui précède le Christ” , qui est antérieur au Christ ou précurseur de la venue du Christ comme ce fut le cas pour Saint Jean-Baptiste. Cela signifie qu’il s’agit d’un personnage qui se substitue au Christ, qui prend la place du Christ (notamment sur le trône pontifical comme l’explique bien l’épître 2Th2), qui se prend pour le Christ et change tout, ”les temps et le droit” comme l’annonce le prophète Daniel (Dn 7/25 – Dn 9/26-27 – Dn 8/10-12 – Dn 11/31). Bien évidemment, ce personnage est antichrist, opposé au Christ.

    2) nulle part dans la Sainte Écriture, ON NE PARLE DE L’ANTÉCHRIST :
    ▪︎ Le livre du prophète Daniel – auquel le Seigneur Jésus-Christ nous renvoie impérativement en Mt 24/15-18 – parle très clairement de l’abominations de la désolation, du prince dévastateur et de ses oeuvres destructrices qui sévirait dans la septantieme et dernière semaine. (Dn 7/25 – Dn 9/26-27 – Dn 8/10-12 – Dn 11/31)
    ▪︎ le chapitre II de la deuxième épître de St Paul aux thessaloniciens parle de la venue de l’homme impie allant jusqu’à S’ASSEOIR EN PERSONNE (donc, il s’agit bien d’un personnage humain) dans le sanctuaire de Dieu (sur la Terre = Vatican, trône pontifical), se produisant lui-même comme Dieu. (2Th 2/4),
    ▪︎ le chapitre XIII de la vision apocalyptique donnée par Dieu à St Jean décrit les oeuvres d’une ”Bête surgie de la ”terre” avec deux cornes comme un agneau, mais qui parle comme un dragon”. (Ap 13/11) (ici ”terre” est symbole biblique de Église) (Ap 13/11) et qui accomplit des prodiges étonnants au service de la ”Bête à sept têtes et dix cornes surgie de la mer” (Ap 13/1) (ici ”mer” est symbole biblique de ”tumulte des peuples”). Plus en avant dans la vision, cette ”Bête surgie de la terre” n’est plus du tout citée mais est appelée ”le faux prophète ”. Le faux prophète est donc la ”Bête surgie de la terre ” et le verset 20 du chapitre XVIIII confirme très bien que le faux prophète est la ”Bête surgie de la terre” (voir le lien entre Ap 19/20 ” celui qui accomplit au service de la Bête des prodiges par lesquels il fourvoyait les gens ayant reçu la marque de la Bête et les adorateurs de son image” et Ap 13/14 ”et, par les prodiges qu’il lui a été donné d’accomplir au service de la Bête, elle fourvoie les habitants de la terre”. Tout cela démontre que le faux prophète ne peut être que le héros de l’Eglise du Christ, l’apparent Vicaire du Christ sur la terre, le pape, un faux pape évidement. Il n’y a d’ailleurs que ce chef de l’Eglise qui saurait amené les ”habitants de la terre” (de l’Eglise) à faire ce qui est décrit en Ap 13/12-16.
    ▪︎le chapitre XII, versets 3 et 4 de l’apocalypse parle d’un ”énorme dragon rouge feux” qui, dans le contexte, est manifestement le communisme naissant en octobre 1917 en même temps que l’apparition de la très sainte Vierge Marie. Et au chapitre XIII, verset 2 on précise que le dragon transmet à la ”Bête surgie de la mer ” sa puissance, son trône et un immense pouvoir.
    • au chapitre XVI, verset 13, on rassemble tous ces trois acteurs : ”Puis, de la gueule du Dragon, et de la gueule de la Bête, et de la gueule du faux prophète, je vis surgir trois esprits impurs, comme des grenouilles”. Mais on ne trouve jamais de trace d’un Antéchrist.

    3) la lecture des trois passages de la Sainte Écriture cités ci-avant permet d’établir une corrélation qui met en évidence une conclusion inconstestable : l’acteur qui se substitue au Christ à la fin des temps antichrists est indéniablement UN PERSONNAGE HUMAIN avec un corps biologique humain comme en ont eu tous les personnages célèbres de la bible : Adam et Ève, Noé, Abraham, Moise, Jean-Baptiste, St Joseph d’Arimathie, St Pierre, et bien sur le personnage antichrist Judas. Le Christ est Dieu fait homme, celui qui L’a trahit est un homme, celui qui le trahit au travers de son Eglise à la fin des temps est encore et toujours un homme.

    4) Comprenons bien que l’Antichrist suprême ou l’Antéchrist dont parle La Salette NE PEUT ÊTRE QU’UN HOMME et non pas une ”Bête à sept têtes et dix cornes”. Selon la Sainte Écriture et les prophéties authentiques (La Salette, Fatima, prophétie des papes, …) l’Antichrist suprême appelé Antéchrist est celui qui va ”jusqu’à s’asseoir en personne dans le sanctuaire de Dieu, se produisant lui-même comme Dieu.” (2 TH 2/4). La ”Bête à sept têtes surgie de la mer ” n’est pas un personnage humain et ne saurait pas s’asseoir sur un trône. Cette Bête antichrist est un ensemble de sept idéologies antichrits et qui est très bien décrit en Apocalypse, chapitre XVII, versets 8 à 12.

    Il est donc abérant de prétendre, comme le fait notamment Monseigneur Vigano, que :
    ▪︎ L’Antéchrist est la ”Bête à sept têtes et dix cornes surgie de la mer” et est le Nouvel Ordre Mondial
    ▪︎ que Jorge Bergoglio est le faux prophète au service de cet Antéchrist,
    ▪︎ que cet Antéchrist doit encore venir, n’est pas encore parmi nous.

    Mais tout le monde n’est pas comme Vigano. Mgr Pawel Lenga, qui reconnaît que Benoît XVI est toujours resté le Pape et que Bergoglio est un hérétique manifeste, a déclaré :
    L’ANTÉCHRIST est ICI » à SANTA-MARTA
    https://gloria.tv/post/xix6R6R42kGM2dkzmNNFt2vFp
    https://www.cath.ch/newsf/pologne-larcheveque-lenga-interdit-de-parole/

    il faut croire que certains tentent de nous détourner de cette réalité tellement évidente.

    • R.S. ha detto:

      Le mot “antechrist” n’est pas présent dans tout le livre de l’apocalypse.

      Le livre nous donne sept beatitudes et un rendez-vous .

      Rage de vivre ou joie de vivre?

      La Vérité nous rend libre

      • OCCHI APERTI! ha detto:

        Ringrazio R.S. per i suoi sempre interessanti articoli.
        Avrei partecipato volentieri alla discussione, condividendo con RS e gli amici di Stilum alcuni appunti personali che avevo recuperato per l’occasione ma dopo il messaggio a Prov ho avuto problemi tecnici non ancora risoltisi…Sarà per un altra volta, temo.

        In attesa di rileggerla presto, invio un caro saluto. A tutti naturalmente!👋

  • José Enrique Florencio Domínguez ha detto:

    Interesantissimo. Una precisazione: Lucio Domizio non fu Nerone, ma il suo nonno. Nerone si chiamava Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico.

    • R.S. ha detto:

      Grazie!

      Quanto al nome, avevo letto questo:
      Figlio di Gneo Domizio Enobarbo e di Agrippina, passata poi in seconde nozze all’imperatore Claudio, nacque il 15 dicembre 37 d. C. ad Antium: ebbe originariamente il nome di Lucio Domizio Enobarbo.

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