Umana, troppo umana? L’omelia di Delpini secondo un cattolico.

17 Giugno 2023 Pubblicato da 11 Commenti

 

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, offriamo alla vostra attenzione questo commento alle esequie di Silvio Berlusconi pubblicato da La Testa del Serpente, che ringraziamo per la cortesia. Buona lettura e condivisione.

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Il funerale di stato concesso a Silvio Berlusconi, assieme al lutto nazionale proclamato dal governo italiano, ha suscitato nel paese un vespaio di commenti e di opinioni divergenti. Chi ha odiato il Cavaliere in vita non gli ha risparmiato accuse da morto e molti, anche all’interno della Chiesa, hanno considerato eccessiva persino la celebrazione delle esequie in Chiesa.

 

A far problema non è solo la sua adesione alla Massoneria (per lo più una clava usata dai nemici cattolici, sapendo che il funerale, così come la comunione, da tempo non si negano più a nessuno). Si tratta, dicono, di una questione morale, o meglio di moralismo. Di quel tanto denigrato moralismo che ora esplode da ogni pulpito per emettere la sentenza di condanna definitiva verso un uomo che molti hanno considerato e considerano l’incarnazione del male morale.

 

A leggere infatti certi commenti (provenienti tutti da un area politica che ha fatto dell’antiberlusconismo una ragione di vita) non c’è uomo che nella sua vita abbia fatto peggio di Silvio Berlusconi in quanto a frodi, inganno, menzogna, disonestà, latrocinio e lassismo morale. Un ladro, un predatore sessuale, un mafioso, un uomo dedito solo e sempre al proprio interesse che non merita di essere ricordato né pianto. A dipingerlo così, con sentenza definitiva, non solo i social (che qualcuno ha definito “i vespasiani del XXI secolo”) ma eminenti giornalisti, politici e professori universitari.

 

Va da sé che, in un contesto del genere, l’omelia dell’arcivescovo di Milano mons Mario Delpini non poteva che suscitare accesi commenti e critiche dall’una e dall’altra parte. Forse l’omelia più difficile per Delpini, sicuramente la più seguita (trasmessa in diretta sulla tv di stato e quella del defunto), la più attesa.

 

Nella suggestiva cornice del Duomo di Milano l’arcivescovo ha avuto l’occasione di parlare a tutto il paese, alla classe politica, interamente presente alla cerimonia e alla famiglia, una grande e influente famiglia avvolta ora nel più grande dolore. Ha avuto l’occasione di ricordare a tutti gli italiani (sempre più digiuni di catechismo) i fondamenti della fede cristiana sulla vita, sulla morte, sul giudizio personale e finale, sull’inferno, il purgatorio, sulla risurrezione e sulla vita eterna a cui tutti siamo chiamati. In una parola su quei misteri escatologici dimenticati che la Chiesa chiama “novissimi”.

In modo particolare mons. Delpini ha avuto l’occasione di chiarire che nessun uomo può essere giudicato in base alla simpatia politica o all’immagine che ci si è fatti di lui; che nessun uomo può essere considerato né tanto santo da meritare il paradiso (a meno di proclamazione ufficiale da parte della Chiesa) né tanto peccatore da meritare l’inferno, ma che Dio è un giudice giusto e misericordioso e a lui spetta il giudizio su ogni uomo. Ribadendo i principi cristiani, l’arcivescovo si sarebbe così potuto smarcare dalle tifoserie che circondavano il feretro.

Eppure mons. Delpini ha preferito mantenere un profilo basso, proponendo una riflessione semplice ed essenziale uno stile narrativo esistenziale, poetico e sapienziale. Ha ricordato in sintesi che (1) ogni uomo desidera e cerca la felicità, il godimento e la pienezza di vita. (2) Che un personaggio pubblico attira su di sé simpatie e antipatie e (3) che oggi l’uomo Silvio si trova davanti a Dio.

L’omelia, breve e composta, ha raccolto un plagio quasi unanime. In diretta Tv mons Camisasca la definisce “poetica”, “Grande omelia” titola Il Foglio, “ispirata e significativa” per Il Messaggero; molti i commenti entusiasti sui social e un vescovo ha confidato a chi scrive di averla trovata “fantastica”.

Eppure per qualcuno – che forse si aspettava un elogio funebre – l’omelia è stata fredda e dura nei confronti del Cavaliere. Qualcuno l’ha paragonata all’omelia di papa Francesco per Benedetto XVI (anche lui ex capo di stato, anche lui avversato ma a cui – detto per inciso – il Vaticano non ha concesso il lutto). Per Enrico Mentana l’omelia è sembrata un’omelia “laica” e ha creato sconcerto tra amici e parenti.

Forse il termine “laico” è quello più adatto. Una tendenza a “laicizzare” il Vangelo e il messaggio cristiano per adattarlo alla capacità spirituale e intellettuale del pubblico (ripeto, sempre più digiuno di catechismo e sempre più lontano dalla fede) è oggi una costante nelle uscite pubbliche di sacerdoti, vescovi e cardinali.

Di certo il vescovo non era chiamato a dare un giudizio sulla vita di Berlusconi, a lodarlo o a condannarlo. Ha giustamente scelto di non sbilanciarsi evitando di soffermarsi sulla biografia (ricca e imponente) del defunto. Ma allo stesso tempo ha limitato il suo discorso a una visione umana, troppo umana, dell’esistenza. Volendo usare una terminologia biblica Delpini è stato più Qoelet che San Paolo; più Ben Sirà che san Giacomo, san Pietro o san Giovanni; più Epicuro che Sant’Ambrogio.

Nessuna menzione all’anima e al suo destino, alla vita eterna e al perdono dei peccati; un accenno implicito e velato al giudizio (“un uomo davanti a Dio”), nessun accenno alla risurrezione di Cristo che da senso all’esistenza di fronte al muro freddo della morte corporale e delle lacrime che suscita; nessun riferimento esplicito alle Sacre Scritture. Al di là di quello che si pensi del Cavaliere, una platea di sessanta milioni di persone avrebbe forse meritato più coraggio nell’annuncio cristiano, sempre più dimenticato ed escluso dal discorso pubblico per lasciare spazio a riflessioni sempre più umane, laiche. Come se la Chiesa non avesse una parola di Vita di fronte al dramma della morte. Come se non avesse trovato un tesoro da condividere con gioia, un segreto da rivelare a chi cerca un orizzonte verso il quale navigare in mezzo alla tempesta.

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