La Crisi in Israele e il Conflitto nel Mondo Ebraico. Vincenzo Fedele.

6 Aprile 2023 Pubblicato da

Marco Tosatti

Carissimi StilumCuriali, Vincenzo Fedele, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione le sue personali riflessioni su eventi recenti in Israele. Buona lettura e condivisione.

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LA CRISI DI ISRAELE E IL CONFLITTO DEL MONDO EBRAICO

 Il 27 marzo Stilum ha pubblicato (vedi quì) un resoconto sui pericoli di una nuova legge in Israele che vieterebbe anche solo la lettura dei Vangeli. In concomitanza i TG hanno iniziato ad informarci delle manifestazioni in Israele contro le leggi che vorrebbero redistribuire i poteri all’interno di quella che viene definita l’unica democrazia in medio oriente. Ovviamente i TG l’hanno fatto come magistralmente ha descritto Benedetta de Vito su Stilum, (Vedi qui), cioè senza dire nulla dei veri motivi della “rivolta” e, in quel poco detto, si sono sforzati nel non far capire nulla. Soprattutto si sono sforzati nel non far comprendere il perché di questa informazione divenuta improvvisamente importante, dopo che le manifestazioni, che vanno avanti da quasi due mesi, erano state bellamente ignorate, secondo le regole della casa e della casta dei pennivendoli. Il TG1 ha invitato a parlarne perfino la ex ministro/a Cartabia che, in termini giuridici ha perfettamente centrato il problema. Alla fine del servizio e della dotta disquisizione in TV, mia moglie, che ascoltava il servizio insieme a me, mi ha chiesto : Ma tu hai capito qualcosa di quello che ha detto ?

Per spiegarlo sono dovuto partire da lontano ed ho cercato di semplificare. Qui cercherò di essere chiaro, pur semplificando.

Sgomberiamo, anzitutto, il campo dalla pia illusione che gli israeliani siano scesi in strada per difendere il cristianesimo o il cattolicesimo. La realtà è ben altra e, riferita al cristianesimo, è molto più grave e travalica la proposta di Legge cui abbiamo accennato sopra.

E’ molto più grave perché la nuova Legge sarebbe solo il suggello legale di quello che accade ormai giornalmente, di emarginazione, attacchi e distruzioni a danno di chiese, monasteri e scuole cristiane sia di rito latino che orientale.

In realtà quello che sta accadendo sulle strade, e che non ha precedenti nello stato ebraico, è lo sbocco storico di un processo che parte da molto lontano e che vede contrapposte le due anime che convivono in Israele e che, per semplificare, individueremo come: i sionisti e gli internazionalisti.

Lo Stato israeliano si regge su due pilastri: Il Governo (con l’esercito) e la Corte Suprema. Israele non ha mai avuto una costituzione e dal momento dell’atto costitutivo nessuna delle diverse bozze preparate è mai stata approvata. La Corte Suprema ha sempre sopperito, finora, a questa mancanza facendo da contraltare ai diversi governi che si sono via via succeduti.

Sembra un po’, a ben pensarci, quasi il contrappasso del cristianesimo rispetto all’ebraismo, sperando che l’accostamento non sconfini nella blasfemia. Il cristianesimo, più che un insieme di Leggi divine, è l’incarnazione di una Persona-Dio, Gesù Cristo con le Leggi dei Padri a fare da corollario a Dio disceso sulla terra e che gli ebrei non hanno riconosciuto. La Corte Suprema, in Israele, incarna, nelle persone che la compongono, l’assenza della Legge fondamentale, la Costituzione, che lo Stato ebraico non ha mai avuto.

Fin dalla sua origine, e da prima della sua fondazione, Israele ha dovuto far convivere l’idea di Nazione, come intesa modernamente, con l’idea di uno Stato ebraico  insediato nella terra donata da Dio ai padri. Si è sempre detto che senza questa identità ebraica, in fondo, Israele avrebbe poco senso di esistere, insediato artificialmente in una terra abitata da secoli da altri popoli. Quella che doveva essere la casa di tutti gli ebrei, indipendentemente dalla loro fede religiosa, si è sempre scontrata con la domanda fondamentale di quale sia il senso dell’esistenza di Israele se è scollegato dalla religione ebraica e dalla promessa divina di quella terra ad Abramo ed alla sua discendenza.

Che Israele, in fondo, sia il frutto della volontà di potenti famiglie di banchieri, ad iniziare dai Rothschild, che lavorarono con il governo britannico per ottenere la famosa, o famigerata, dichiarazione di Balfour del 1917, è stato il dubbio di moltissimi ebrei che già all’inizio del secolo scorso cercarono di opporsi alla costituzione di uno Stato in Palestina, prefigurando il disegno che ci stava dietro e gli ingenti finanziamenti affluiti prima ancora che scoppiasse la prima guerra mondiale.

Non possiamo addentrarci in questa sede sulla fondazione dello Stato ebraico, sulle risoluzioni ONU, sulla guerra dei sei giorni e sull’occupazione, temporanea, dei territori occupati. Occupazione temporanea che perdura da oltre 55 anni.

Nel 1993 è stato stipulato quello che viene conosciuto come il primo accordo di Oslo, firmato da Yitzhak Rabin, per conto di Israele, Yasser Arafat, per conto dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) e la supervisione del Presidente USA, Bill Clinton. Gli accordi di Oslo portarono all’istituzione dell’Autorità Nazionale Palestinese, con il compito di rappresentare i palestinesi e governare la striscia di Gaza e la Cisgiordania, riconoscendo anche l’OLP come partner di Israele per dirimere le questioni in sospeso. In realtà gli accordi di Oslo, come anche quelli del 1995 noti come “Oslo 2”, non vennero mai integralmente applicati ed i governi israeliani che seguirono non risolsero mai i problemi relativi ai confini dello Stato Palestinese, degli insediamenti israeliani, della presenza dell’esercito israeliano nei territori palestinesi e, in fin dei conti, non risolsero mai il conflitto tuttora in essere.

Le due anime di Israele, quella strettamente ebraica e quella liberale ed internazionalista, si sono sempre fronteggiate con fasi alterne di prevalenza finché, nel 1995, la Corte Suprema affermò, in assenza di una Costituzione mai approvata dal 1949, di detenere il potere di controllo sulla legislazione del parlamento, la Knesset, che fosse ritenuta in contrasto con le leggi costitutive di Israele. Praticamente la dichiarazione di una supremazia della magistratura sul potere legislativo del Parlamento.

La destra israeliana ha sempre visto la Corte suprema e la magistratura, come fortemente pendenti verso la parte libertaria israeliana, in modo autoreferenziale e contro il potere del Parlamento democraticamente eletto.

Se passasse la riforma proposta dal Governo Netanyahu molti poteri sarebbero aggiunti all’esecutivo attuale ed al suo Primo Ministro, Netanyahu, attraverso la possibilità di scegliere e nominare molti giudici delle corti israeliane fino alla possibilità di sovvertire i verdetti emessi dalla stessa Corte Suprema israeliana. Il governo avrebbe un potere che fino ad ora non ha mai avuto, senza contrappesi e tale potere sarebbe concentrato nelle mani del partito del premier israeliano, il Likud.

Ritornando agli accordi di Oslo, il Likud ha sempre cercato di boicottarli e non attuarli, pur contrastato dalle opposizioni e dalle sentenze della Corte Suprema. Fatto sta che, comunque, si sono sempre cercati tutti i modi per aggirare, trasgredire o occultare gli accordi stipulati ad Oslo, che oltre alla divisione territoriale, dovevano anche garantire l’autodeterminazione dei palestinesi e gli aspetti religiosi della convivenza all’interno di Israele. Questi “aggiramenti” sono stati attuati non solo ignorando il parere degli Stati Uniti e dell’ONU, garanti degli accordi, ma anche nei confronti degli stessi israeliani che si sono trovati a scivolare sempre più nel fatto compiuto conseguente alla politica sempre meno strisciante di favorire in tutti i modi nuovi insediamenti israeliani nei territori occupati e creando sempre più nuovi coloni.

Ai sempre nuovi insediamenti israeliani, in territori che avrebbero dovuto essere di competenza palestinese, si sono quindi aggiunte le provocazioni religiose sempre più invasive sino alla spallata di Sharon che, con la sua famosa passeggiata nella spianata del Tempio, decise che era arrivato il tempo di provocare apertamente il mondo arabo-palestinese che, infatti, sfociò nella serie infinite di intifada con le dure risposte dell’esercito israeliano.

Sharon, pur con la sua escalation, aveva solo seminato in attesa della maturazione degli eventi e coltivando il progetto sionista di appropriarsi dell’intera “terra d’Israele”. Parliamo di 30 anni fa ed intanto hanno fatto di tutto per far progredire il progetto, ma adesso, complice la debolezza degli Stati Uniti, Netanyahu pensa di poter raccogliere i frutti di tanto lavoro quindi raggiungere due obiettivi entrambi fondamentali: cancellare totalmente Oslo ed affrancarsi dalla Corte Suprema, quindi dal sistema giudiziario.

La destra è adesso al governo, ma con la maggioranza risicata di 64 seggi su 120. Il Likud, il partito di Netanyahu, è il principale partito della coalizione, sia come numeri che come importanza storica. E’ il partito fondato da Menachem Begin, in cui ha militato Ariel Sharon, figure quasi mitiche nel panorama israeliano. Il partito estremista United Torah Judaism, è il partito cui appartengono i due deputati che hanno presentato la citata proposta di Legge per vietare Gesù Cristo ed il Vangelo comminando un anno di carcere con l’accusa di tentata conversione al cristianesimo, pena raddoppiata a 2 anni se la proposta di conversione è indirizzata ad un minore. Questo partito è alleato del Likud nel governo, ha 7 seggi, quindi è indispensabile alla sopravvivenza del governo stesso.

Le due anime della società israeliana hanno convissuto per molti decenni, pur lottando da barricate opposte. Le ultime mosse del Likud e la reazione dell’opposizione, che è riuscita a coinvolgere anche molti elettori dello stesso Likud, adesso stanno spingendo il Paese fino all’orlo di una guerra civile.

La visione del Likud prevede l’espansione dello Stato ebraico a supporto inderogabile della stessa esistenza di Israele, quindi l’espansione territoriale dovrebbe comprendere la Cisgiordania e la striscia di Gaza. Non ci sarebbe, perciò, spazio per alcuno stato palestinese, per quanto previsto e ratificato dagli accordi di Oslo. Tutto questo finora è stato supportato dalla dottrina del “diritto” israeliano all’autodifesa che, come corollario, ha fatto accettare anche la dottrina parallela degli attacchi preventivi contro coloro che vengono reputati come “minacce”, a parere del governo e dell’esercito, all’esistenza stessa di Israele. Secondo questa visione, Israele viene prima di ogni altra cosa. Prima del diritto dei palestinesi ad esistere su un proprio Stato e persino prima dei vicini che provino ad opporsi all’espansionismo sionista.

Da qui l’accettazione passiva, se non incentivata, degli attacchi impuniti alla Siria ed all’Iran, e adesso mancherebbe solo un pretesto, ad esempio una esplosione di violenza, per annettere la Cisgiordania e “persuadere” i palestinesi ad andarsene, anche deportandoli con la forza, privandoli dei più elementari diritti civili, oltre quanto si stia già facendo attualmente, a migrare sull’altra sponda del fiume Giordano, in quello che attualmente è il Regno di Giordania.

La destra dei coloni ha estromesso dal potere la vecchia élite ed il sionismo religioso sta facendo sempre più presa tra i giovani, anche laici e di sinistra. I coloni adesso pretendono la difesa dei propri “diritti”, per quanto ottenuti in modo subdolo e illegale appropriandosi di territori palestinesi. In diverse occasioni hanno iniziato a farsi giustizia da soli, invocando la reazione di Tsahal (l’esercito israeliano), nel caso di una reazione, anche minima, dei palestinesi oppressi. Tutti i coloni girano armati e la possibilità di una scintilla che inneschi una catena di violenze è altissima, ed in fondo è quello di cui si va alla ricerca per giustificare una reazione israeliana che faccia continuare l’escalation che porterà alla annessione dei territori e la definiva estromissione dei palestinesi con la perdita di tutti i loro diritti civili.

Un fatto curioso, che in un diverso contesto sarebbe considerato solo un simpatico aneddoto,  ha riguardato un quadro, contenente una fotografia esposta in uno degli uffici del ministero degli interni israeliano, modificata digitalmente per eliminare la cupola dorata della moschea di Al-Aqsa. Il quadro è stato subito rimosso dopo la segnalazione ed il ministero ha chiarito che “il quadro è stato appeso da una società esterna quando ci sono stati dei traslochi di uffici”, ma il vicesindaco di Gerusalemme,  Yosi Havilio, ha detto in risposta che “l’osceno tentativo di cancellare dall’area di Gerusalemme qualsiasi  segno non ebraico  si è ora fatto strada sui muri delle nostre istituzioni di pianificazione”.

Un ricercatore della ONG Ir Amim, Aviv Tatarsky, ha affermato che “se prima era limitato a gruppi marginali ed estremisti, oggi coloro che sognano di cancellare la Cupola della Roccia sono al centro dell’establishment israeliano”.

Per creare l’incidente che potrebbe fare da scintilla, similmente, ma molto più grave, di quanto fatto da Sharon in passato con la famosa passeggiata sulla spianata, si è arrivati persino a promettere consistenti premi in denaro per chiunque riuscisse nell’intento di sacrificare ritualmente un agnello o un capretto davanti alla moschea di Al Aqsa eludendo il ferreo controllo della polizia israeliana, attuato proprio per evitare disordini e rivolte dalla parte araba. Premio aumentato in caso il sacrificatore si faccia arrestare provocando un caso ufficiale.

In questo contesto di contenzioso religioso si inquadra anche la proposta di Legge di cui all’articolo citato di Stilum Curiae, espressamente contro i cristiani, ma che coinvolge la stessa libertà di pensiero, di parola e di stampa come intesa normalmente. Quindi è palese che le intolleranze religiose non si rivolgono solo contro i mussulmani, ma anche contro i cristiani di qualsiasi fede e in fondo contro chiunque non sia allineato sulla linea del governo attuale. Molti altri episodi di intolleranza e di violenza verso i cristiani, oltre che verso i Palestinesi, testimoniano la triste realtà verso cui si sta incamminando la società israeliana.

Il 16 marzo, a Nazareth, colpi di pistola sono stati esplosi contro una scuola cattolica gestita da suore e contro il monastero annesso alla scuola stessa. Il 19 marzo analogo attacco contro la comunità cattolica orientale. Le intolleranze sono state denunciate da mons. Nahara, vicario del Patriarca latino, in una lettera in cui chiede la mano dura contro questi atti.

Anche il Patriarca orientale Teofilo III ha denunciato come atroce l’attacco alla chiesa della Tomba della Vergine, e nella denuncia descrive gli assalitori vestiti con i tradizionali abbigliamenti ebraici.

Ad inizio anno era stato anche dissacrato il cimitero cristiano sul monte Sion, attacco che si unisce alle scritte sul monastero armeno in cui si invoca la morte dei cristiani e la devastazione del centro maronita a Ma’alot.

Il 3 febbraio un uomo, un ebreo americano in seguito arrestato dalla polizia, ha abbattuto una statua di Gesù nella chiesa della Flagellazione, posta alla prima stazione della Via Dolorosa e mentre veniva arrestato dalla polizia, proclamava: “Non possiamo avere idoli a Gerusalemme. È una cosa molto seria. Non possiamo avere pietre di falsi dèi a Gerusalemme”.

Venerdì 24 Marzo gli scolari cattolici hanno marciato lungo la Via Dolorosa per protestare contro questo vandalismo della statua di Gesù Cristo nella Città Vecchia di Gerusalemme. Alla settima stazione della Via Crucis si è unito alla marcia anche il Patriarca latino Pierbattista Pizzaballa.

La Custodia francescana della Terra Santa continua ad emettere comunicati di condanna contro attacchi a luoghi cristiani (5 in cinque settimane) dicendosi preoccupata del susseguirsi di questi atti di odio e di violenza verso la comunità cristiana in Israele. Sottolinea anche che, in poco più di un mese, è stato vandalizzato un cimitero cristiano a Gerusalemme, i muri di un monastero armeno è stato oltraggiato con graffiti anticristiani, un ristorante di proprietà di cristiani è stato attaccato da giovani coloni radicali, attacchi analoghi hanno subito anche gli armeni sempre da parte di giovani coloni armati. Nel nord di Israele è stato attaccato e vandalizzato anche un centro maronita.

Preoccupante che la stessa Custodia francescana si spinga ad affermare che “non è un caso che la legittimazione della discriminazione e della violenza nell’opinione pubblica e nell’attuale ambiente politico israeliano, si traduca anche in atti di odio e di violenza contro la comunità cristiana”.

Tutto il quadro, quindi, è stato predisposto per arrivare a raccogliere i frutti di un lavoro predisposto da un trentennio; ma qualcosa non ha funzionato, il meccanismo si è inceppato e la società civile israeliana è insorta per fermarne l’evoluzione come mai era accaduto in passato.

Due, principalmente, sono le novità intervenute:

La reazione degli ebrei liberali, alla Soros tanto per intenderci, e gli accordi, frutto della diplomazia cinese, stipulati tra IRAN ed Arabia Saudita.

Per il primo aspetto, l’ala liberale ha una visione inconciliabile con l’altra anima che domina il mondo ebraico e Israele, ed è guidata dal leader della opposizione, Yair Lapid, leader del partito Yesh Atid.

Del resto già dalla stipula degli accordi di Oslo, Soros aveva scandalizzato molti in Israele parlando del suo ebraismo internazionalista, lontano da quello identitario del Likud, tanto che molti, durante la conferenza di Soros in un albergo israeliano, si erano alzati ed erano usciti dall’auditorium. Da quel momento, era il 1995, Soros non ha più messo piede in Israele. Ma non vuol dire che abbia desistito dai suoi intenti. Anzi.

Il sionismo liberale sposa l’idea americana di non appoggiare alcuna confessione religiosa mostrando un disinteresse, se non una vera e propria avversione, per il culto religioso ebraico. Nel loro programma, ad esempio, c’è l’eliminazione del privilegio, per gli ultra ortodossi, dell’esonero dal prestare servizio triennale nell’esercito, cui sono tenuti tutti gli altri israeliani abili al servizio. Del resto sono ben note le idee globaliste dei vari Soros e dei loro sodali per cui i confini statali non dovrebbero esistere, le tradizioni dovrebbero essere eliminate, il concetto stesso di comunità e di famiglia deve essere svilito, come deve essere cancellata la figura del padre in un’opera di annichilimento progressivo che porti ad un anarchismo rivoluzionario sempre in attività e che coinvolga tutti gli aspetti della vita civile e spirituale, dalla scuola allo sport, alla letteratura, all’arte alla cultura in generale ed oltre. Abbiamo visto all’opera la cancel culture, figlia diretta del ’68 tuttora incompleto nei risvolti a suo tempo programmati da questa élite degenere

La settimana scorsa, lunedì 27 marzo, nella giornata della protesta più acuta in Israele, Radio Rai ha mandato in onda una intervista con l’intellettuale israeliano Etgar Keret, scrittore, attore e regista liberale, che oltre a dire cose pessime su Netanyahu, tutte vere, è riuscito ad infilare per quattro volte, fra i motivi della protesta, la mancata difesa degli omosessuali e dell’ideologia gender, insieme a quella delle minoranze varie (ragazze madri, palestinesi, ecc.) qualora il disegno di Legge di Netanyahu sul primato della Knesset rispetto alla Corte Suprema passasse.

In quest’ottica (gender, omosessualismo, ecc.) si comprende meglio la strana attenzione dedicata dai media alle proteste israeliane che, per quanto impreviste ed inattese nei numeri e nel coinvolgimento di tutti gli strati della popolazione (con gli stessi elettori del Likud a protestare in piazza), andavano avanti da settimane nel silenzio di giornali e TV. Si comprendono anche meglio le ottime righe di Benedetta de Vito che, ancora una volta, dettaglia il livello di professionalità e indipendenza dei giornalisti.

Per quanto attiene il secondo aspetto, cioè l’accordo tra IRAN ed Arabia Saudita, stipulato grazie all’azione diplomatica cinese, estromettendo totalmente gli USA dalla stipula, è forse inutile sottolineare che ha totalmente ridisegnato la geopolitica mediorientale privando Netanyahu di una delle sue carte migliori. La grande Israele biblica, i cui confini arrivavano, appunto, quasi all’attuale Arabia Saudita, sicuramente rimarrà solo un sogno nel cassetto. Non è pensabile che senza un benestare saudita, anche tacita ma che dia una legittimità della parte araba, Israele possa permettersi attacchi all’Iran e dovrebbe forse rivedere anche la continuazione di quelli alla Siria, pur con la Russia impegnata in Ucraina.

Lo spauracchio iraniano è servito egregiamente, dagli anni ’90, per distogliere l’attenzione dalla situazione palestinese, prorogando l’occupazione “temporanea” della Cisgiordania per oltre 50 anni. L’Unione Europea, quando non si è girata dall’altra parte secondo lo stile della casa, ha anche partecipato indirettamente erogando ingenti finanziamenti.

Attuare un progetto così radicale contro i palestinesi, in questo nuovo contesto geopolitico, con la Cina che assurge sempre più a nuovo protagonista mondiale, porterebbe ad una guerra regionale e, attraverso la guerra, ad una probabile fine dello Stesso Stato israeliano.

Netanyahu si sta rendendo conto che, per attuare il progetto a lungo sognato (scontro finale con i palestinesi per l’annessione definitiva dei territori ed eliminazione del contropotere della Corte Suprema), i requisiti necessari ad innescare e sviluppare la crisi si sono allontanati alquanto con la mutata situazione geopolitica e con la parte liberale e liberista interna che riesce a bloccare totalmente il paese come mai finora era riuscita a fare.

Emblematico è stato il silenzio assordante di Netanyahu per ben due giorni, nonostante le autostrade bloccate da oltre 100.000 manifestanti, le piazze piene con milioni di israeliani a protestare, i porti e gli aeroporti chiusi, quindi il paese totalmente isolato dal mondo, scuole ed università serrate, tutte le ambasciate di Israele in sciopero in tutto il mondo. Un Paese totalmente paralizzato ed il primo ministro che impiega due giorni a dire una parola e, quando finalmente si pronuncia, lo fa per ritirare la proposta di Legge incriminata che, si dice, slitta a dopo la Pasqua ebraica, ma più verosimilmente sarà fatta slittare in attesa di tempi migliori.

Come in tutti i progetti malefici c’è sempre un granellino, o granellone, che infine inceppa il meccanismo.

L’immagine che attualmente va per la maggiore, a livello internazionale, è quella del domatore, Netanyahu, che si era messo tra le fauci della tigre per dimostrare il suo potere, lo sprezzo del pericolo e ribadire chi è che comanda ed ora ne è rimasto intrappolato ed incastrato, sperando di non finire stritolato dai denti appuntiti dell’animale che, al momento, sembra divertirsi a rigirarselo tra le fauci e tenerlo in apprensione in un gioco che credeva di condurre e che invece lo vede come semplice pedina e vittima sacrificale e sacrificabile.

In conclusione, chiariti quali sono i veri obiettivi e le poste in gioco, per quanto riguarda noi cristiani è ben difficile decidere di schierarsi da una delle due parti in lotta. Dobbiamo renderci sempre più conto che niente è come appare. I nostri “fratelli maggiori” sono tutto fuorché fratelli e delle due fazioni in campo una è peggiore dell’altra che è a sua volta peggio della prima. Sia a livello legislativo (la Legge sul proselitismo) che come provocazioni ed attacchi, con sobillatori che sempre più soffiano sul fuoco dell’odio, come sopra ricordato, i cristiani sono sempre più martoriati.

La diplomazia della Santa Sede conta, purtroppo, praticamente zero in quello scacchiere e, quindi, non si ha neanche modo di incidere. Sperare che si affermi l’una o l’altra parte equivale a decidere se si sta meglio nella padella o goderci direttamente la brace. Intanto i riflettori dei media, come si erano subitaneamente accesi sulle vicende israeliane, altrettanto velocemente si sono spenti. In Israele non succede più nulla, se si guarda allo spazio dedicato. Neanche  un trafiletto in 12^ pagina o l’onore di figurare nei TG prima dei commiati tra le ricette della colomba pasquale e la scollatura della stralette di turno.

Purtroppo la realtà è ben diversa e non basta far finta di non vedere la brace che cova sotto la cenere perché questa sparisca. Purtroppo gli sviluppi di queste notizie torneranno ad occupare le prime pagine e speriamo che sia solo per raccontare di pacifiche, anche se imponenti, manifestazioni e non siano cronache di guerra civile o di guerra regionale con terribili collegamenti globali.

Vincenzo Fedele

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