MASCARUCCI. L’ENCICLICA? LA CITTÀ DEL SOLE, UTOPIA E CONTRADDIZIONI.

27 Ottobre 2020 Pubblicato da

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Americo Mascarucci ci ha inviato questa riflessione sull’ultima enciclica di papa Bergoglio. Lo ringraziamo, e la condividiamo con voi. Buona lettura. 

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Fratelli Tutti sembra la “Città del Sole” di Campanella. Un trionfo di utopie e contraddizioni

 

“Se quasi dovunque la guerra in qualche modo ebbe fine e furono firmati alcuni trattati di pace, restano tuttavia i germi di antichi rancori. Se insieme non si sopiscano gli odi e le inimicizie per mezzo di una riconciliazione basata sulla carità vicendevole nessuna pace avrà valore. A risanare le ferite del genere umano è necessario che vi appresti la sua mano Gesù Cristo, di cui il samaritano era la figura e l’immagine”. Queste parole sono contenute nell’enciclica Pacem Dei Munus Pulcherrimum scritta nel 1920 da papa Benedetto XV, pontefice del Novecento completamente dimenticato, quasi una meteora passata nell’indifferenza della storia. Eppure quel papa visse da pontefice i tragici anni della prima guerra mondiale, avendo regnato sul trono di Pietro dal 1914 al 1922. L’enciclica che Giacomo della Chiesa, prima papa a scegliere il nome “Benedetto” dopo due secoli (l’ultimo era stato Prospero Lambertini, Benedetto XIV, morto nel 1758) pubblicò in quel 1920, nasceva dalla delusione per gli esiti della Conferenza di pace di Parigi che non aveva affatto placato le tensioni e gli odi scatenati dalla guerra, anzi rischiava di accentuarli. Benedetto XV intraveda già i rischi di un secondo conflitto mondiale (come del resto nel 1917 aveva preannunciato la Vergine a Fatima chiedendo conversione e penitenza), che sarebbe scoppiato circa venti anni dopo (1939), ma le cui basi sembravano già gettate da quella che appariva a tutti gli effetti una pace fragile. Il papa aveva tentato più volte di fermare la guerra definendola “inutile strage” e aveva anche avanzato delle proposte di pace ignorate dalle forze in campo, che non riconoscevano in quegli anni alcuna autorità al romano pontefice, di fatto ancora “prigioniero” in Vaticano dopo la conquista di Roma da parte del Regno d’Italia. In quell’enciclica, scritta anche in un momento drammatico per la cristianità in seguito alla rivoluzione bolscevica in Russia e al crollo dell’impero austro-ungarico, che fino ad allora era stata la potenza cattolica più potente nello scacchiere internazionale, il papa riconosceva che soltanto con l’intervento salvifico di Gesù Cristo, fosse possibile mantenere la pace sulla terra. Benedetto XV quindi invitava tutti i popoli ad affidarsi a Cristo e a lasciarsi guidare dal suo insegnamento, perché soltanto lui, come il buon samaritano, era davvero in grado di curare le ferite della guerra e sanare gli odi fra le nazioni. All’epoca gli interventi del pontefice, durante e dopo la guerra, furono considerati “pura utopia” dagli stessi cattolici, visto che in Francia, potenza uscita vincitrice dal conflitto, il clero e le gerarchie furono i primi a prendere le distanze dal papa, considerando i suoi ripetuti appelli rivolti a fermare il conflitto, un’indebita interferenza oltre che un supporto ai nemici della Nazione, l’Austria su tutti.

Eppure, quanto è forte quell’enciclica oggi se rapportata a “Fratelli Tutti”, il documento sulla fratellanza universale scritto da Papa Francesco? Anzi, se Benedetto XV riconosceva come soltanto Gesù Cristo fosse il salvatore del mondo e della pace universale, Francesco sembra affermare il concetto esattamente opposto, ossia che non soltanto Cristo è la via per la salvezza.

Non solo, se non si conoscesse l’autore dell’enciclica e si chiedesse ad un qualsiasi concorrente di un quiz televisivo chi possa averla scritta sulla base dei concetti espressi, probabilmente se ne potrebbe attribuire la paternità ad un qualsiasi leader mondiale o premio nobel impegnato nel campo della pace, della difesa dell’ambiente, della lotta ai cambiamenti climatici, nel contrasto alle politiche di Trump e dei sovranisti, tale è l’assenza di ogni possibile riferimento ad una salvezza per il tramite esclusivo di Gesù Cristo.

Nel momento in cui Bergoglio, diversamente da quanto avvenuto ai tempi di Benedetto XV, è riconosciuto come autorità mondiale degna di essere ascoltata sia da un punto di vista politico che morale, ecco che la sua narrazione paradossalmente assume un linguaggio universalistico, mondialista, globalista, sincretista, laddove tutte le religioni sembrano poste sullo stesso livello, con Cristo citato unicamente come testimonial delle politiche di accoglienza e di integrazione. Ma senza più il ruolo centrale ed essenziale che gli riconosceva Benedetto XV e che gli hanno sempre riconosciuto tutti i pontefici successivi, compreso il Giovanni XXIII della Pacem in Terris il cui valore universale, quel parlare a tutti gli uomini di buona volontà, credenti e non, era giustificato dal clima del momento, con il mondo diviso in due dalla Guerra Fredda e con i venti di guerra fra Usa e Urss che spiravano sempre più impetuosi.

Un’enciclica utopica quella di Francesco, dove il sogno, il desiderio, la speranza sembrano prendere il sopravvento sulla realtà. Un mondo costruito sull’utopia e su una pace universale, una fratellanza fra tutti gli uomini, che non esiste se non sulla base di meri, e purtroppo vuoti, concetti teorici. Il grande imam dell’università islamico sunnita di Al-Azhar citato quale ispiratore dell’enciclica al pari di San Francesco e che ha apposto la propria firma accanto a quella di Bergoglio sul documento di Abu Dhabi sulla fratellanza universale, è lo stesso che attaccò con veemenza Benedetto XVI che chiedeva rispetto e tolleranza verso i cristiani copti d’Egitto vittime delle violenze dei fondamentalisti islamici dopo l’attentato alla cattedrale de Il Cairo nella notte di Capodanno del 2011.

Perché Ratzinger aveva la colpa di ricordare come fra cristiani e musulmani esistesse un abisso rispetto a concetti come tolleranza, pace, fratellanza e fosse invece forte e prevalente la “cultura dell’infedele”.

Benedetto XVI era però un papa con i piedi saldamente piantati nella realtà, non nell’utopia, e sapeva perfettamente quanto non fosse sufficiente un rispetto basato sulle enunciazioni di principio e non sui fatti. Perché non c’è firma che valga se poi nella stragrande maggioranza dei Paesi islamici i cristiani sono perseguitati.

Nel tentativo di imitare il “falso Francesco”, quello spacciato come nemico delle crociate e amico del sultano d’Egitto, esce fuori un’enciclica a metà strada fra “utopia” di San Tommaso Moro (come ben evidenziato da Ettore Gotti Tedeschi) e la “città del Sole” di Tommaso Campanella. Anzi, la visione sincretista di “Fratelli Tutti” sull’uguaglianza di tutte le religioni (già emersa con evidenza nel sinodo sull’Amazzonia) unita ad una concezione “comunistica” dei beni e della proprietà privata, sembra ricalcare proprio l’opera del filosofo domenicano più volte accusato di eresia, laddove con Francesco la globalizzazione diventa buona o cattiva a seconda delle circostanze: buona se consente la libera circolazione delle persone, le migrazioni, l’abbattimento dei confini e delle identità nazionali, cattiva se invece promuove la dittatura del mercato. Ma la globalizzazione è una visione globale, che come dice la parola va analizzata nella sua globalità, non può essere spacchettata e valutata a compartimenti stagni. Ciò che invece l’enciclica di Bergoglio sembra fare nel chiedere le porte aperte ai migranti ma condannando nel contempo il liberismo economico; ignorando che liberismo e migrazionismo sono le facce della stessa medaglia e che le migrazioni sono il prodotto delle esigenze del mercato globale sempre più alla ricerca di manodopera da impiegare a basso costo, per aumentare la produzione riducendo i salari. Alla fine i capisaldi dell’enciclica possono essere riassunti proprio in due termini: utopia e contraddizioni. Le contraddizioni di un papa che sembra quasi vergognarsi di essere cattolico. Del resto, chi ha detto che “non esiste un Dio cattolico”?

Americo Mascarucci – giornalista e scrittore

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2 commenti

  • Enrico Nippo ha detto:

    Ammesso e non concesso che il papa sia Benedetto XVI (è un’opinione come un’altra), occorre rendersi conto che è acqua passata. Per di più ha un’età ultra veneranda che non gli permette più di rimanere su sulla breccia.

  • Gian ha detto:

    “Le contraddizioni di un papa che sembra quasi vergognarsi di essere cattolico.”
    Bergoglio vestito di bianco è la contraddizione. I suoi superiori gesuiti, a suo tempo inascoltati, ne avevano sconsigliato la nomina a vescovo. La sua sempre più dirompente e illegittima presenza non smuove il sopore di coloro che avrebbero il dovere e il potere di intervenire, per porre fine a questa distruttiva pagliacciata. Intanto lui procede arrogante e blasfemo, a completare la rottamazione, anche se non è papa.
    Il Papa è Benedetto XVI.