Trump, la Dottrina Monroe e le Sfide dell’Unione Europea. Matteo Castagna.

27 Gennaio 2025 Pubblicato da 3 Commenti

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Matteo Castagna, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione queste analisi sulle dichiarazioni di trump, e l’America. Buona lettura e condivisione.

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di Matteo Castagna

E’ necessario fornire un’analisi sull’insediamento di Donald Trump che vada oltre la retorica propagandistica e le opposte tifoserie. E’ un’operazione che non si fa mai a caldo, ma dopo aver riflettuto ed aver osservato le reazioni. Contrappesi, contingenze, contesti possono essere determinanti, in politica, fino a bloccare il potere esecutivo di qualsiasi inquilino della Casa Bianca. L’abbiamo visto con la denuncia degli Stati in mano ai Democratici, che hanno bloccato l’ordine esecutivo contro lo ius soli, portando la questione in tribunale.

Lo vedremo, se il Congresso darà sempre l’assenso, a maggioranza, ai provvedimenti, perché il Presidente non può fare tutto ciò che vuole, in quanto dispone di vincoli costituzionalmente garantiti. Un altro esempio concreto è rappresentato dall’ordine di sospendere i finanziamenti all’estero per 90 giorni, che, però, a quanto sembra dalle fonti documentali e personali del Financial Times, escluderebbe l’Ucraina.

Anche lo sfegatato “no vax” Robert Kennedy jr., nominato ministro della Sanità americana, ha già tirato il freno a mano rispetto alla campagna elettorale, dicendo di non voler più gettare i vaccini nella pattumiera, ma soltanto di dare loro maggiore trasparenza.

Ciononostante, la narrativa del presidente nel suo discorso di insediamento del 20 gennaio 2025 ha davvero rivelato molto, sia della volontà, sia della sua impostazione mentale, sia della visione d’insieme, che sarà attribuita alle scelte della nuova amministrazione.

Ciò che ha fatto impazzire molti progressisti è stata la presenza alla cerimonia dei grandi magnati del tecno-capitalismo americano: Mark Zuckerberg (Meta),  Sundar Pichai (Google), Jeff Bezos (Amazon) e Elon Musk (X, SpaceX, Tesla). E’ una dimostrazione di forza di chi promette di rendere il Paese “più grande, più forte, molto più eccezionale” di prima. “Da oggi, il declino dell’America è finito”, ha specificato The Donald.

Brucia ai globalisti che nessuno di questi uomini più potenti della terra fosse presente all’insediamento di Joe Biden, nel 2020, quando l’ospite più importante fu Lady Gaga. Quattro anni fa, non ci furono esponenti politici stranieri. Stavolta, invece, non è passata certo inosservata la presenza, assai eloquente, di Giorgia Meloni per l’Europa e del presidente argentino Javier Milei per l’America Latina.

Il codazzo di pubbliche rosicate si è letto solo da esponenti di centro-sinistra nostrani, che non perdono mai l’occasione di dimostrare totale mancanza di senso delle Istituzioni e invidie personali, ossia di gran provincialismo, il quale è sempre oggetto di scherno, Oltreoceano.

Per non parlare, poi, della ridicola levata di scudi dei soloni del nostro politicamente corretto per il saluto di Musk, così grave da aver meritato la risata dell’autore, l’indifferenza dei media e dei politici americani e, addirittura, parole ampiamente distensive da parte del premier israeliano Benjamin Netanyahu, che conosce come un po’ eccentrico il miliardario di origine sudafricana, ma non certo come un nazista antisemita. Queste accuse hanno prodotto fiumi d’inchiostro inutile solo qui e perdite di tempo sui social. Un antico proverbio dice che “con l’inchiostro, una mano può innalzare un furfante ed abbassare un galantuomo”, sembrando descrivere alla lettera il modello comunicativo di certa stampa sinistra occidentale.

Sul piano economico, da tempo l’immagine prevalente nei discorsi dei nuovi presidenti è quella di un Paese che deve risollevarsi da una crisi non grave, ma capitale. Lo disse Obama nel 2009, Trump nel 2017, Biden nel 2021, e di nuovo Trump stavolta. Da questo punto di vista, la novità è il tono particolarmente religioso usato da Donald Trump, che assume direttamente su di sé, la capacità di assicurare “il ritorno dell’età dell’oro”. Un po’ come faceva Silvio Berlusconi, quando si riteneva l’ unto dal Signore, in grado di liberare l’Italia dall’egemonia comunista.

“Il proiettile di un assassino mi ha strappato l’orecchio – ha ricordato riferendosi all’attentato subito a Butler, Pennsylvania il 13 luglio durante un comizio – ma Dio mi ha tenuto in vita per riportare l’America alla sua grandezza”. Trump ha, spesso, espresso in passato questo concetto, ma l’ufficialità del discorso d’insediamento ci porta a constatare che il nuovo presidente riconosce il divino come fonte di legittimazione del proprio potere.

Lo stesso George Washington, nel suo discorso di insediamento, nel 1789, davanti al Congresso, parlò di una repubblica che “per meritare il sorriso benevolo del Cielo” avrebbe dovuto seguire “le regole eterne dell’ordine e della legge”. Non il contrario. Ed è in questo solco che si possono mettere gli ordini esecutivi relativi all’etica, ossia l’abrogazione dei “generi” provenienti dall’ideologia gender e woke, per il ritorno agli unici sessi “maschio e femmina”, come Dio li creò.

Nell’ottica di una dimensione religiosa va vista anche la volontà di iniziare le cerimonie d’insediamento in chiesa, sebbene la “vescovessa” evangelica si sia lasciata trasportare in un patetico sermone sui presunti bambini gay e trangender da tutelare. Potrebbe essere motivo di riflessione, da approfondire con il suo amico e collaboratore Mel Gibson, cattolico tradizionalista, per l’inizio di un processo di conversione, a Dio piacendo.

La Costituzione, che spesso è il cuore dei discorsi di inaugurazione dei presidenti, è stata quasi del tutto ignorata da Trump, così come il Congresso (questo, ignorato del tutto). Il presidente ha immediatamente firmato circa cento ordini esecutivi, cioè dei decreti, nonostante disponga della maggioranza sia alla Camera che al Senato, per dimostrare, subito, come un vulcano, che lui è l’uomo del fare, al contrario del predecessore.

Tra di essi, fondamentale perché gli effetti si ripercuoteranno anche in Europa, è la chiusura dei rubinetti all’Organizzazione Mondiale della Sanità e un segnale politico importante è l’uscita dagli Accordi di Parigi sulla lotta al cosiddetto riscaldamento globale, cui Trump non crede. Il concetto è stato ribadito a Davos, al meeting del World Economic Forum, che ha fatto del green Deal la sua bandiera, ma che il tycoon ha subito ammainato, con parole severe e tranchant.

Il Presidente, come altro pilastro della sua legittimazione, ha sottolineato l’ampiezza della sua vittoria elettorale, con un’America “che si unisce sul mio programma”: “abbiamo vinto tutti gli swing States”, “abbiamo guadagnato consensi in tutte le categorie”, “abbiamo vinto il voto popolare di milioni di voti”.

Il 5 novembre Trump si è imposto con il 49,8% e 77 milioni di voti, contro il 48,3% di Kamala Harris e 75 milioni di voti. La vittoria c’è tutta ed è stata riconosciuta dagli avversari, ma i numeri dicono che l’America non è propriamente unita sul suo programma.

Su questo, il neo-eletto presidente dovrà prestare particolare attenzione perché, se da un lato la polarizzazione del voto è una caratteristica che include anche il terzo polo, formato dall’ astensionismo, determinati errori potrebbero essergli fatali per il futuro.

Non perderà consensi sul pugno di ferro verso l’immigrazione clandestina, che vede nei sondaggi un ampio consenso, allargato a moltissimi elettori democratici, ma dovrà tenere presente quanto gli statunitensi desiderino la pace e la tranquillità economica, in un ordinato sistema sociale, che sappia anche creare welfare e andare incontro alle fasce più deboli della popolazione.

Anche individuare una specifica urgenza nazionale è stato tipico degli ultimi discorsi di insediamento. Per Obama fu come far funzionare il mercato e lo stato in maniera più giusta per tutti (si era poco dopo lo scoppio della crisi del 2008), per il Trump del primo mandato fu “restituire il potere al popolo”, per Biden fu la difesa della democrazia (si era poco dopo l’assalto a Capitol Hill).

Trump ha trasformato l’urgenza in “emergenza”: l’immigrazione clandestina, contro la quale verranno utilizzati tutti i mezzi a disposizione, compreso l’abolizione del diritto alla cittadinanza americana per i bambini che nascono da persone che si trovano negli USA irregolarmente. “Milioni di stranieri criminali saranno rimpatriati”, garantisce il Presidente.

Ma c’è una seconda “emergenza nazionale”: quella energetica. Da quasi dieci anni gli Stati Uniti hanno raggiunto l’indipendenza energetica, ossia vendono all’estero molta più energia (gas e petrolio) di quanta ne comprino. Ma con l’espressione Drill, baby, drill (“trivella, baby, trivella”) il nuovo presidente promuove un ulteriore aumento della produzione nazionale di idrocarburi, con l’obiettivo, dice, di abbassare i prezzi. Prezzi che al momento sono determinati dall’intesa sostanziale tra Arabia Saudita e Russia. Presto ci sarà un incontro con Putin, in cui saranno vari i dossier aperti, mentre quello dell’Ucraina di Zelensky non sembrerebbe preoccupare più di tanto. Per alcuni analisti sarebbe forte la tentazione di Trump di lasciare la patata bollente alla UE.

Al contrario di molti altri predecessori, compreso l’ultimo repubblicano, George W. Bush, che nel 2001 si era mantenuto su temi di principio, come la responsabilità individuale e la partecipazione civica, da stimolare durante il suo mandato (sarebbe poi stato ricordato per aver lanciato le disastrose guerre di Afghanistan e Iraq), Trump è sceso molto nel dettaglio. In particolare, ha garantito che l’America ricostruirà la sua potenza industriale, che oggi è doppiata dalla Cina, partendo dalla produzione di automobili, vecchia gloria nazionale, ormai sbiadita.

Per fare questo, gli Stati Uniti “si dis-impegneranno dalle aree di conflitto nel globo”, per concentrarsi sulle proprie esigenze locali. Qui arriva il riferimento a Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo e alleato di Trump, capace di costruire egemonia attraverso i suoi canali comunicativi. Musk “porterà l’America su Marte”. E Musk sarà il titolare del nuovo “ministero dell’Efficienza”, che si occuperà di tagliare la spesa pubblica, con l’obiettivo ideale di diminuirla del 75%.

A questo punto, pare che Trump voglia riprendere ed attualizzare la cosiddetta “dottrina Monroe”, che indica un messaggio ideologico del Presidente degli Stati Uniti James Monroe, contenuto nel discorso sullo stato dell’Unione, pronunciato innanzi al Congresso, il 2 dicembre 1823, che esprime l’idea della supremazia degli States nel continente americano. Monroe affermò, in quel discorso, che qualsiasi intromissione di potenze straniere negli affari politici del continente americano, sarebbe stata considerata ostile.

Con un linguaggio più moderno ciò significa che la dottrina Monroe annunciava al mondo che gli USA erano decisi a preservare la propria integrità territoriale, soprattutto contro le pretese e le rivendicazioni sulla costa nordoccidentale del Pacifico. Roosevelt adattò questa teoria alla sua politica e Trump sembrerebbe voler riprendere in mano, anche nelle questioni riguardanti il Canada e la Groenlandia, ma soprattutto nell’apparente volontà di rimanere fuori dall’interventismo in Europa, che ha caratterizzato le politiche americane dal 1945 ad oggi.

Sarà pronta l’UE a camminare con le sue gambe? Ecco la sfida che, forse, i burocrati di Bruxelles non hanno ancora colto, ma che sarebbe una grande opportunità di indipendenza e sovranità per costruire un’Europa politica forte, che sappia cooperare con tutto il resto del mondo in un sistema multipolare in cui tutti i Paesi possano fornire il meglio delle loro eccellenze.

Trump dedica la sua conclusione all’America mitica ed eccezionale “che ha superato tutte le sfide che ha incontrato”, “che ha formato i più straordinari cittadini della Terra”, “che tornerà a vincere come mai prima”, “che fermerà tutte le guerre”. Non c’è più notizia dell’impegno di chiudere la guerra in Ucraina “nel primo giorno del mio mandato”, preso in campagna elettorale. Ma c’è la rivendicazione del cessate il fuoco tra Hamas e Israele, concesso dal premier Netanyahu, tre giorni prima del discorso, poco dopo aggirato dall’esercito israeliano con una serie di attacchi micidiali in Cisgiordania.

“La nostra società sarà basata esclusivamente sul merito”, dice riferendosi all’impegno di eliminare tutte le regole in difesa di minoranze e categorie protette. “La libertà di espressione trionferà e non ci sarà più censura”, dice riferendosi alla pratica da imporre non solo sulle reti sociali, ma anche nei media tradizionali, di eliminare il fact-checking, il controllo fattuale, prima della pubblicazione di dichiarazioni pubbliche.

“Da oggi, gli Stati Uniti d’America saranno un Paese libero e indipendente”, chiude Trump. Noi ce lo auguriamo anche per l’Europa.

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3 commenti

  • don alessio ha detto:

    Mel Gibson non è cattolico né tradizionalista. E’ un sedevacantista, quindi non fa parte della chiesa cattolica.

  • Davide Scarano ha detto:

    Il tempo ci mostrerà cosa vorrà e potrà fare Donald Trump. Riportare indietro l’orologio della Storia a prima della globalizzazione, cioè agli anni novanta, quando la Cina non era potenza economica e tecnologica, i Brics non esistevano e la Russia era sull’orlo del fallimento è impresa pressochè impossibile, di sicuro proverà ad invertire la direzione, almeno fino a quando avrà servizi di sicurezza in grado di garantirgli la sua incolumità.
    Quanto all’Europa osservo che la distanza tra cittadini ed istituzioni, meglio la crisi della rappresentanza politica, che in Italia è stata dimostrata dall’affluenza minore al 50% alle ultime elezioni europee, non promette nulla di buono, meglio non offra garanzia circa l’impossibilità di eventuali e futuri “Stati di eccezione” di schmittiana memoria, che purtroppo abbiamo vissuto durante “l’emergenza pandemica”.

    PS Approfitto per l’occasione per rivolgere al caro saluto al generale Piero la Porta.

  • unaopinione ha detto:

    “Nell’ottica di una dimensione religiosa va vista anche la volontà di iniziare le cerimonie d’insediamento in chiesa, …”.
    Sí, ma a quanto pare non ha messo la mano sulla Bibbia:
    https://rumble.com/v6bi0lp-trump-did-not-place-his-hand-on-the-bible-for-oath-of-office.html?mref=wrdkl&mc=7vj9z (in inglese – purtroppo si deve passare per due spezzoni pubblicitari).

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