Don Bosco e il Papato. Capitolo X. Don Marco Begato.
17 Settembre 2024
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Carissimi StilumCuriali, don Marco Begato, a cui va il nostro grazie, offre alla vostra attenzione la decima puntata del suo saggio su Don Bosco e il papato. Buona lettura e diffusione.
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DECIMA PUNTATA
Capo VI. Beatificazione dei martiri Giapponesi. – Concilio Vaticano. – Quarta sessione – Stato presente della cattolica religione. – Che debbasi imparare dalla Storia Ecclesiastica.
Trattandosi di un tema centrale nella presentazione della nostra serie “Don Bosco e il Papa”, dobbiamo ora certamente fermarci un poco sulla questione dell’infallibilità pontificia. Per ragioni di continuità, iniziamo a leggere quanto scrive don Bosco nella sua Storia, seguiranno alcune divagazioni di approfondimento.
Anzitutto il santo torinese riprende a buon pro dei suoi lettori i fondamenti dell’autorità pontificia:
Dopo il Concilio Tridentino trascorsero oltre a trecento anni, senza che apparisse la necessità di convocare altro concilio ecumenico. Tutte le questioni sorte furono sciolte, e tutti gli errori manifestatisi in questo spazio di tempo vennero esaminati, giudicati, e condannati dal supremo Gerarca della Chiesa. Perciocchè egli ha ricevuto da G. C. piena e illimitata autorità sopra tutto ciò che riguarda il bene spirituale ed eterno dei cristiani. Il Salvatore disse a san Pietro: «Tutto ciò che legherai in terra, sarà anche legato in Cielo, e tutto ciò che scioglierai in terra, sarà anche sciolto in Cielo.»
Quindi contestualizza la necessità di convocare un nuovo Concilio, alla luce degli enormi mutamenti culturali della modernità, successivi alla fase della Rivoluzione Luterana:
Ma le turbolenze di questi ultimi tempi e gli errori che insidiosamente si tenta di mescolare colla religione; i così detti moderni filosofi, i libri, e giornali cattivi, le massime politiche non mai udite, le varie forme di società segrete, la massoneria, il socialismo, i liberi pensatori, spiritisti e simili invasero si fattamente il cuore e la mente degli uomini, che il romano pontefice Pio IX giudicò essere necessaria la convocazione di un concilio ecumenico, per mantenere la purità della fede, e conservare alla Chiesa tutta la sua potenza.
Egli pertanto, seguendo l’esempio dei suoi predecessori, che nei gravi momenti furono soliti raccogliere intorno a sè i vescovi cattolici, posti dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio, intimò la convocazione di un concilio da tenersi nella basilica vaticana, detto perciò Concilio Vaticano I.
Finalmente viene a presentare la Quarta Sessione del Concilio, quella in cui si definì l’infallibilità del Romano Pontefice:
Nei fasti della Chiesa sarà sempre memoranda questa sessione. Esposta la dottrina cattolica intorno alla istituzione del primato apostolico nel beato Pietro, e della perpetuità del medesimo nei papi suoi successori, la cui autorità dovevasi estendere a tutti i tempi, a tutti i luoghi, a tutte le cose spettanti alla religione, a tutti i cristiani laici, sacerdoti e vescovi della terra, in fine si passò alla grande questione del magistero infallibile del romano Pontefice. Il glorioso Pio IX dopo l’approvazione dei padri proclamava questa sublime verità con le seguenti parole: «Che poi nello stesso apostolico primato, che il romano Pontefice ha su tutta la Chiesa, come successore di s. Pietro, principe degli apostoli, si contenga anche la suprema podestà di magistero, questa santa Sede l’ha sempre creduto, e l’uso perpetuo della Chiesa lo prova, e fu dichiarato dagli stessi ecumenici concili e da quelli primieramente, in cui l’Oriente e l’Occidente convenivano insieme nell’unione della fede e della carità.
Dal discorso che prelude alla proclamazione del dogma, così come lo riporta don Bosco, emergono i tratti propri del ministero pontificio. Esso in primo luogo ha a che vedere con il compito di conservare la verità e la fede.
«La prima salute sta nel custodire la regola della retta fede. E poichè non può venir meno la sentenza del Signor nostro Gesù Cristo, che disse: «Tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa;» quanto fu predetto viene comprovato dal fatto; perocchè nella Sede apostolica si è sempre conservata immacolata la cattolica religione e professata la santa dottrina.
È in quanto custode della fede che il Papa viene riconosciuto nella sua esemplarità e autorità.
«La santa romana Chiesa possedere sopra tutta la Chiesa cattolica il sommo e pieno primato e principato; quale veramente ed umilmente essa riconosce d’aver ricevuto dallo stesso Signore insieme colla pienezza della potestà nel beato Pietro, principe e capo degli apostoli, di cui il romano Pontefice è successore: e siccome più che le altre tutte è tenuta a difendere la verità della fede, così, se intorno alla fede sorgeranno questioni, col suo giudizio debbonsi definire.»
Quindi nella Suprema Sede si vede anche il motore teso a propagare il più possibile nel mondo la verità e la fede custodite e difese.
Per soddisfare a questo pastorale dovere, i nostri predecessori sempre si adoperarono indefessamente, affinchè la salutare dottrina di Cristo si propagasse presso tutti i popoli della terra; e con pari cura vigilarono, perchè, dove fosse stata ricevuta, sincera e pura si conservasse.
Qualsiasi strumento tornava quindi utile – dai Concili ai Sinodi – pur di coronare lo scopo e di tutelare ciò che risultava essere consentaneo al deposito della fede.
E i romani Pontefici, secondo che consigliava la condizione dei tempi e delle cose,ora convocando ecumenici concilii, od esplorando la sentenza della Chiesa dispersa pel mondo, ora per mezzo di sinodi particolari, ora con altri mezzi che somministrava la divina provvidenza, definirono da ritenersi quelle cose, che col divino aiuto avevano conosciute consentanee alle sacre Scritture ed alle Tradizioni apostoliche.
Non l’espansione politica, non l’arricchimento dei fedeli, non il fasto artistico e culturale, non la soluzione delle guerre, non l’assistenzialismo: nessuno di questi risulta essere obiettivo o fine primario del Pontificato. Lo è la custodia della verità e della fede, dalla qual cosa possono eventualmente scaturire gli altri nobili compiti. Ugualmente è chiaro che al Sommo Pontefice non spetta il manifestare nuove dottrine.
Imperocchè ai successori di Pietro non fu già promesso lo Spirito Santo, affinchè, esso rivelante, manifestassero nuove dottrine; ma perchè, colla sua assistenza, santamente custodissero e fedelmente esponessero la rivelazione tramandata dagli Apostoli, ossia il deposito della fede.
Per contro dunque si va a circoscrivere e puntualizzare il valore dell’infallibilità pontificia: essa riguarda solo l’impegno di custodire e diffondere i contenuti di fede (Dio manifestato nella Rivelazione) e di morale (Dio manifestato nella natura razionale dell’umanità)
Adunque questo carisma di verità e di fede non mai deficiente fu concesso divinamente a Pietro e a’suoi successori in questa cattedra, affinchè essi per la salute di tutti adempissero l’eccelso loro ufficio, e tutto il gregge di Cristo per mezzo loro rimosso dall’esca velenosa dell’errore, si nutrisse col pascolo della celeste dottrina; e affinchè, tolta l’occasione di scisma, tutta la Chiesa si conservasse una, e appoggiata sopra il suo fondamento, ferma resistesse contro le porte dell’inferno.
Noi pertanto, aderendo fedelmente alla tradizione ricevuta fin dall’esordio della fede cristiana, a gloria di Dio nostro Salvatore, ad esaltazione della cattolica religione ed a salute dei popoli cristiani, coll’approvazione del sacro concilio, insegniamo e definiamo, essere dogma da Dio rivelato, che il romano Pontefice, quando parla ex cathedra, ossia quando, esercitando l’uffizio di pastore e dottore di tutti i cristiani, per la sua suprema apostolica autorità definisce una dottrina sulla fede o sui costumi doversi tenere da tutta la Chiesa, per l’assistenza divina a lui nel beato Pietro promessa, gode di quella infallibilità di cui il divin Redentore volle essere fornita la sua Chiesa nel definire qualche dottrina sulla fede o sui costumi: e pertanto tali definizioni del romano Pontefice essere per se stesse, e non pel consenso della Chiesa, irreformabili.
Fin qui don Bosco su Pio IX nella sua Storia Ecclesiastica.
Credo poi possa interessare ai lettori un piccolo approfondimento tratto dalle Memorie Biografiche, la biografia di san Giovanni Bosco, in cui vedere meglio alcune sfumature dell’adesione del santo alla infallibilità pontificia.
Don Bosco è riconosciuto come uno dei paladini e sostenitori dell’infallibilità pontificia, con grande anticipo rispetto alla proclamazione del dogma. In ciò si pone sulla scia di S. Vincenzo de’ Paoli.
Anzi tutto, come fin d’allora professasse ed insegnasse la sua ferma credenza nel l’infallibilità del Romano Pontefice, e ciò ventidue anni prima che nel Concilio Ecumenico Vaticano si definisse dogma di fede questa solenne verità; come dimostrasse il suo perfetto accordo con S. Vincenzo de’ Paoli, il quale per frenare l’agitazione giansenistica e le sue arti diaboliche, induceva i Vescovi di Francia a ricorrere, non ad un Concilio generale, essendo il male troppo pressante, ma sibbene direttamente al Papa: e Innocenzo X nel 1653 come Dottore universale condannava senza ammettere appello gli errori e le perfidie di tali eretici (MB III)
Il santo dei giovani si operò personalmente presso prelati e vescovi per avvicinarli a comprendere la bontà di tale tesi.
Se Vincenzo fa l’Apostolo in Francia dell’Infallibilità del Pontefice, D. Bosco si recò espressamente a Roma per vincere i pregiudizii di certi prelati i quali sostenevano l’inopportunità della definizione dogmatica (MB III)
Importante è anche il suo colloquio con il proprio vescovo, che lo indusse a mutare pensiero sulla questione.
Don Bosco, senza por tempo in mezzo, fu a visitarlo per dissuaderlo dal fare un tal passo, ragionò a lungo con lui sul non mettere incagli ai disegni di Dio, gli fece notare che certe paure gli sembravano esagerate, che non era più il tempo d’indietreggiare e di tacere, trattandosi di una verità fondamentale, negata e bestemmiata dagli empi del mondo intero, e che le conseguenze della definizione dovevano lasciarsi in mano a Dio.
Monsignore, il quale era pieno di zelo e di pietà profonda, e nutriva somma venerazione ed amore per Don Bosco, fu così soddisfatto e convinto da quelle ragioni, che gli disse:
– Fin d’oggi mi accingo a trattare la cosa sotto questo aspetto e preparerò una memoria in difesa dell’infallibilità personale del Papa e sull’opportunità della definizione dommatica.
– Prepari su quest’argomento, soggiunse Don Bosco, un vero discorso che dirà in pieno Concilio. Io l’assicuro che farà cosa graditissima al Papa e che le acquisterà grande onore al cospetto di tutta la Chiesa. (MB IX)
Altri passi ci aiutano ad approfondire la tematica. Anzitutto si veda come don Bosco usasse anche la buona stampa con l’obiettivo preminente di difendere il dogma dell’infallibilità
Avendo Don Bosco perduti, come si è già detto, più quaderni di una sua storia universale della Chiesa, Don Bonetti ebbe incarico di colmare egli quella lacuna; e incominciò il suo lavoro verso il 1862, continuandolo per molti armi. Ma di questo non ci rimane che la prima Epoca in due volumi manoscritti, comprendenti 1261: pagina con citazioni bibliche, patristiche e di autori ecclesiastici e profani senza numero. Don Bosco di sua mano vi poneva molte postille. Ma la moltitudine delle occupazioni troncò infine un’opera [5] che lo stesso Santo Padre, come vedremo, desiderava fosse compiuta specialmente in sostegno della infallibilità del Capo della Chiesa.
La necessità di tale diffusione è attestata in più casi, anche nei colloqui personali. Ne riporto uno, lasciando in coda la bella descrizione che don Bosco faceva del valore dei dogmi:
Egli parlava volentieri del Concilio Ecumenico e manifestava il suo vivo desiderio che si proclamasse il dogma dell’infallibilità personale del Papa per i vantaggi immensi che produrrebbe quella definizione. Egli non lasciava mai occasione per istruire i preti, i chierici, i giovani che erano con lui, e in quei giorni scendeva a discorrere dei dogmi in generale. D. Bonetti, presente, metteva in carta le sue parole.
“Che cosa è un dogma? – aveva detto Don Bosco.
Il dogma è una verità sopranaturale, la quale esplicitamente o implicitamente si trova nelle sacre scritture, ed è confermata dalla definizione della Chiesa, o radunata in Concilio o dispersa per l’orbe. Il dogma va predicato. Fu materia precipua della predicazione dei Santi Padri: esso è la sostanza [734] della nostra Religione, quindi è necessario che i fedeli ne siano istruiti e lo conoscano: esso ha relazione intima colla morale. Deve perciò essere predicato in modo conveniente, con esattezza, perchè non venga ad essere ai fedeli piuttosto di danno che di spirituale vantaggio.
Pare che ora sia alquanto trascurata da alcuni la predicazione del dogma: è d’uopo farla risorgere: la difficoltà nel trattarne non ci deve spaventare, qualora noi cercheremo di prepararci bene.
Il dogma va predicato:
1° Perchè esso è la parte più nobile e vitale della religione;
2° Il dogma è il segno, il carattere con cui il fedele si distingue dall’infedele;
3° Il dogma è germe delle virtù sopranaturali;
4° Il dogma è la materia della nostra fede: perchè fides est sperandarum substantia rerum argumentum, dice S. Paolo, non apparentium: e deve essere noto ai fedeli, affinchè possa essere esercitata la loro fede.
5° Il dogma dimostra la relazione che passa tra le verità naturali e le sopranaturali. Supera la forza della ragione, ma non è mai contraria a questa. Vi è tal nesso tra le verità dogmatiche, che, negata una, logicamente si dovrebbero negare tutte.
6° Il dogma va predicato, perchè nutrisce l’umiltà che è il fondamento della vita morale. È la sottomissione dell’intelligenza a Dio rivelante e alla Chiesa docente”.
Concludo con due domande. La prima riguarda il grande trasporto di don Bosco per questa causa:
Circa due anni or sono venne diretto un invito ai cattolici di fare voto di credere, professare, difendere e colle parole e cogli scritti, e se fosse d’uopo anche colla vita, l’invidividuale infallibilità del Papa, sebbene ella non sia ancora dichiarata verità di fede, in quella guisa che da buoni cattolici solevasi praticare riguardo all’Immacolata Concezione di Maria, prima della solenne definizione.
Mi chiedo: la devozione personale di don Bosco era adeguata al futuro dogma? O forse don Bosco non inclinava verso quel massimalismo disposto ad accordare al Papa infallibilità anche oltre il confine della fede e della morale e i pronunciamenti ex cathedra? Se così fosse, non conviene tenere una certa prudenza rispetto all’entusiasmo di don Bosco verso il Papa? Non conviene ereditarne l’amore al Papa, ma sapendo che un eccesso di zelo potrebbe risultare inadeguato rispetto a un cammino di fede maturo? L’insegnamento del Concilio Vaticano II, che ha approfondito il ruolo della conciliarità rispetto allo stesso primato petrino, non chiede forse di mitigare gli slanci di don Bosco? A me pare che tenere tutto l’entusiasmo di don Bosco, però nei confini dell’infallibilità ex cathedra riguardo a fede e morale sia un buon modo per onorare tanto il santo quanto la Chiesa.
La seconda domanda, a mio avviso più importante o almeno più pragmatica: qual era il senso profondo dell’amore di don Bosco al Papa? Già le citazioni precedenti hanno mostrato un interesse da parte del santo educatore a diffondere i dogmi, gli insegnamenti retti, le giuste interpretazioni di Scritture e Tradizioni apostoliche. L’esaltazione dell’infallibilità non pare dunque in nessun modo slegata da queste priorità. Anche il resoconto delle Memorie Biografiche relativamente all’annuncio del nuovo Concilio suggerisce di procedere in questa interpretazione:
Alla sera giungeva in Torino la notizia che il Papa in questo sacro giorno aveva pubblicata la bolla per la convocazione del Concilio Ecumenico Vaticano, nella quale si annunziava che il Concilio sarebbe stato aperto l’anno venturo 1869, il giorno 8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione di Maria SS.
A farne rilevare la necessità, il Pontefice, nel suo immortale documento, descritte le condizioni tristissime della società, il disprezzo in cui molti avevano l’autorità e la dottrina della Chiesa, la profanazione delle cose sante, la dispersione degli Ordini religiosi, la rapina dei beni ecclesiastici, le vessazioni recate al Clero, il prevalere delle sette, la corruzione portata dalla stampa malvagia, il danno dell’educazione straniera alla religione, dichiarava voler con questo Concilio porre rimedio a tanti mali.
Questa Bolla suscitò ovunque una forte commozione. L’invito, amorevolmente rivolto da Pio IX ai protestanti, valse a provocare tra loro un generale irritamento. L’invito ai Vescovi scismatici risvegliò in essi le antiche avversioni, i pregiudizi, la superbia; e le lettere del Papa vennero respinte. Prima però del termine del Concilio Iddio chiamava al suo tribunale i Patriarchi Greco ed Armeno di Costantinopoli, il Greco di Alessandria e il Copto. Ma tutti i sinceri cattolici esultavano, convinti che lo Spirito Santo avrebbe per mezzo del Concilio condannati gli errori del secolo e molti Vescovi nutrivano e manifestavano la speranza che il Concilio avrebbe definito il dogma dell’infallibilità pontificia. Il Papa però non aveva ancor espresso il suo pensiero su questa definizione.
Dai testi pare proprio emergere che tale amore papale in don Bosco non fosse una esaltazione fine a se stessa della figura petrina. Era piuttosto la convinzione che ormai solo il Papa potesse offrire una resistenza al dilagare delle eresie dentro e fuori la Chiesa. Amore al Papa e difesa della Verità e della Fede formano un tutt’uno.
Stando così le cose, oggi, in questa nostra fase successiva al Vaticano II, dal momento che in varie occasioni i Pontefici hanno rivisitato le forme del proprio ruolo di campioni della fede e generalmente abbandonato la funzione di martelli dell’eresia, don Bosco esprimerebbe ancora tutto questo slancio devoto alla Prima Sede? O proporrebbe un approccio diverso, sia pur ossequioso nei confronti del Pontefice?
O forse in questa fase, come ci insegna il Magistero più aggiornato, dovremmo riporre la nostra fiducia non nella singola persona del Pontefice (come sembra prediligere don Bosco), bensì nella sua persona unitamente al Collegio Episcopale (come insegna anche il Concilio Vaticano II)? Forse il Collegio Episcopale globalmente inteso, può rappresentare la bilancia rispetto a interpretazione individualistica della figura del Papa? Non converrebbe che gli esaltatori dei recenti pontificati tenessero maggiormente da conto questo aspetto di collegialità? Ciò per evitare di esaltare il Papa come singolo, col rischio di restare in balia di sue eventuali deviazioni.
Lascio a voi la risposta e mi avvio verso le conclusioni generali circa la Storia Ecclesiastica e quanto essa ci ha insegnato attorno alla figura del Papa. Prima però mi dedico a due brevi approfondimenti.
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Tag: begato, decima, don bosoco
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